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Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770 - 1831)

2.Gli anni di Jena

di Renzo Grassano

Hegel, a questo punto, si sente filosofo compiuto. E Jena rappresenta la sfida: il passaggio obbligato per procurarsi un posto da docente ed una precisa identità da filosofo. Le opere che abbiamo fin qui esaminato non erano state pubblicate: testimoniavano solo del lavorio interno, ed anche di una certa prudenza dovuta a preoccupazioni di carriera. Prudenza che verrà accantonata, però, nelle 12 tesi che costituiscono l'ossatura della Dissertazione presentata per ottenere la libera docenza.

Schelling, precocissimo anche in questo, era invece già conosciuto: era l'astro nascente della nuova filosofia tedesca.
All'inizio del 1800, Hegel scriveva a Schelling: "Nella mia formazione scientifica che è partita dai bisogni più subordinati degli uomini, dovevo essere sospinto verso la scienza, e nello stesso tempo l'ideale degli anni giovanili doveva mutarsi, in forma riflessiva, in un sistema."
Il sistema, in realtà era ancora avvolto nelle nebbie del bozzolo, e tutto quello che Hegel aveva pensato riposava nel System-Fragment.
Pertanto, Hegel a Jena venne accolto come un semplice allievo di Schelling. I due collaborarono , dal 1801 al 1803, al Giornale critico di filosofia.
E, per la verità, fu Hegel a scrivere di più, tracciando i caratteri della filosofia dell'unità come un pensiero che denuncia forme dogmatiche in ogni elemento intellettuale che voglia considerarsi assoluto mediante categorie finite.
E' un momento intriso di critica, cominciano a balenare strali contro il sistema kantiano, che verranno alla luce più tardi.
Nel frattempo, Hegel lavora anche su carte private, su scritti che verranno alla luce solo oltre un secolo dopo, come Logica e metafisica, Filosofia della natura e Sistema dell'eticità.
Questi scritti, scandagliati dalla critica, in parte troveranno uno sbocco più maturo nelle grandi opere successive, ed in parte resteranno sentieri interrotti.
Nel periodo jenense, Hegel si muove ancora lungo linee schellinghiane, ma già manifesta una sua originalità, specie quando si intestardisce nel voler produrre le condizioni per poter pensare l'unità e la totalità senza rischiare di cadere, come tutti prima di lui, in una posizione dell'intelletto.
Per questo Hegel è costretto a criticare le altre filosofie. La filosofia dell'identità è la filosofia della ragione totalmente in atto rispetto alla quale tutte le altre filosofie vanno intese come parti e come momenti di un cammino dello Spirito.
Sorge così la tematica del superamento: anche le filosofie precedenti ad Hegel nascono in reazione allo stesso problema, ma ne rappresentano una soluzione parziale e determinata. Queste parzialità possono essere superate solo avendo ben chiara la totalità.
Ovviamente anche Kant (orrore per kantiani e neokantiani!) viene gettato in questo schema, e considerato come un filosofo che si era posto il problema dell'identità, ma in modo inadeguato, perchè alla appercezione trascendentale aveva fatto corrispondere una scienza dei fenomeni separata dalla vera essenza delle cose: la cosa in sé.
Per non dire di Fichte. Questi, pur cogliendo l'unità di soggetto ed oggetto nel soggetto (cioè, per capirci nella coscienza), lo aveva risolto in modo riflessivo, e dunque astratto. L'aspirazione all'unità era rimasta in Fichte un "compito infinito" e mai risolto.
E questo porta a Schelling, cioè all'idea di assoluto e di identico, che secondo Hegel, ovviamente, superava Fichte, ma sul piano di una perdurante riflessività astratta. Per Hegel, il problema era di trasformare l'assoluto (l'universale) da oggetto della filosofia a compimento della filosofia, diventando sapere di Dio e punto di vista di Dio sul mondo ed i processi storici.
Un'ambizione divorante, ed insieme terribilmente affascinante, che nel clima del romanticismo era, comunque del tutto giustificata e condivisa da molte teste pensanti, a partire dallo stesso Schelling.

Differenza tra il sistema filosofico di Fichte e quello di Schelling
Lo scritto del 1801, Differenza tra il sistema filosofico di Fichte e quello di Schelling, rappresenta il culmine di questa riflessione. Liquidato Fichte, Hegel riformula la posizione di Schelling affermando che, se il bisogno della filosofia è quello di ricucire lo strappo tra finito ed infinito, occorre partire dal dato che la scissione è un puro prodotto dell'intelletto riflessivo, il quale oppone finito ed infinito rendendoli entrambi finiti.
La ragione elimina (in linguaggio hegeliano: toglie) tale opposizione, ristabilendo l'assoluto, l'identico, l'universale.
Volendo esprimere in un'unica proposizione il principio della filosofia, cioè l'Assoluto, Hegel dice che non è sufficiente né il semplice principio di identità, né il semplice principio di contraddizione, perchè esso astrae dall'identità, ma è necessario fare la sintesi di entrambi i principi, ovvero arrivare ad una definizione dell'Assoluto come identità dell'identità e della non-identità, ovvero l'unità dell'identità e della differenza.
Rispetto ai vecchi modelli metafisici nel quale l'Assoluto era posto come ente sommo, totalmente altro e quindi distinto in modo certo, anche nella mistica, siamo ad un recupero delle teologie più negative, in particolare quella di Meister Eichardt, per le quali Dio è la negazione di tutto il resto, di tutti i finiti ed i determinati.
Nell'antica filosofia indiana era neti neti, non questo, non quest'altro, ma QUELLO.
In questo scritto comincia così a venire alla luce la posizione di Hegel nei confronti della logica centrata sul principio di identità, formulato da Leibniz e poi ripreso da Kant.
Questa logica, per la quale A=A, è inadeguata ad esprimere l'intera verità, ovvero la complessità del reale, e l'esistenza dell'Assoluto e dell'universale. Questa esistenza, cui deve corrispondere un pensiero che rispecchi la sua realtà, è scrivibile e dicibile solo assumendo la contraddizione, ossia l'affermazione unita alla negazione.
E' interessante notare che questa posizione venne presentata, con molto coraggio, nelle 12 tesi preparate da Hegel nella Dissertazione per ottenere la libera docenza a Jena. Secondo Hegel: contradictio est regula veri, non-contradictio falsi, ovvero la contraddizione è la regola del vero, la non-contraddizione del falso.
Con questo arditissimo gesto intellettuale che rovesciava la logica tradizionale del finito e dell'esperienza, una logica, si badi che era filosofica, ma era anche patrimonio del senso comune, il primo passo verso la costruzione del sistema era compiuto.

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RG - 16 dicembre 2002