il Rimino - Riministoria

Le colpe della Chiesa
A proposito di processi storici

Nel 1832 un delatore fu compensato dal governo pontificio con un impiego nella dogana di Cesenatico.
Era Giovanni Manzini, uno dei primi soci della Carboneria di Forlì. La sua storia fu narrata nel 1922 da Oliverotto Fabretti, pubblicando un «Memoriale» segreto in cui si legge che a Rimini all'E.mo cardinale Albani, Commissario Speciale per le quattro Legazioni, fu fatta conoscere dal Manzini «la nuova setta intitolato "federazione della Giovane Italia", consegnandogli tre fogli, contenenti: il primo, il piano della setta; il secondo, i segni e le parole di essa; il terzo, il nome e il paese dei capi dei propagatori e di alcuni associati. [...] Una tale comunicazione è stata importantissima tanto per il Governo del Pontefice, quanto per gli altri tutti d'Italia. Riservasi il Manzini di dare ulteriori schiarimenti e più precisi, se il Governo li bramerà, tanto sul passato, quanto sul presente e futuro; offrendosi ben anco di tener dietro a qualunque movimento parziale o generale, innovazione od altro che fare si tentasse, per fare il tutto conoscere prontamente al Governo di Nostro Signore».
Nostro Signore ovviamente non aveva nulla che fare con i maneggi delle spie a favore del governo del papa. Questo episodio serve a ricordarci che non soltanto Cavour e Garibaldi hanno pagine oscure nelle loro avventure politiche. L'accusa contro Cavour nel "processo" di San Mauro è stata sostenuta da due degnissime persone, tra cui un giornalista, Lorenzo Del Boca, autore di un pregevolissimo testo, «Risorgimento disonorato».
In questa Romagna anarchica, tanto amata da un grande scrittore come don Francesco Fuschini, quando si farà un processo anche alle nefandezze dello Stato della Chiesa e di quello Pontificio?
A proposito di traditori.
8 maggio 1802. Dopo le soppressioni napoleoniche degli Ordini religiosi e l'incameramento dei loro beni allo Stato, si decide la demolizione del monastero di Scolca a Rimini, acquistato da un gruppo messo assieme da un avvocato, Domenico Manzoni, che fa una brutta fine. Nato a Faenza nel 1775, a 25 anni è condannato come giacobino ed eretico, per cui si rifugia a Forlì. Alcuni lo qualificano conte, altri lo dicono commerciante di granaglie. Grazie alle quali fa speculazioni bancarie che gli rendono una fortuna enorme, come osservava il compianto storico Antonio Drei. Manzoni è ucciso a Forlì il 26 maggio 1817.
Fu in rapporto con Antonio Canova. A cui nel 1814 ordina una statua che arriva alla famiglia dopo la sua morte. La vedova Geltrude Versari nel 1830 la vende ad un principe russo. Se ne sono perse le tracce. Invece di Canova, a Forlì, si conserva tuttora il monumento sepolcrale per Manzoni donato dallo scultore a Geltrude Versari.
Perché Manzoni fa quella fine? Alcuni studi sulla Romagna prerisorgimentale apparsi fra 1910 e 1918, indicano una certezza: Manzoni cadde vittima di un regolamento di conti interno al mondo della Carboneria. Non si scarta neppure l’ipotesi della rivalità delle Logge massoniche con la Carboneria. Il popolo considerava Manzoni un incettatore di grani, un affamatore in quel tempo di carestia. Sospettato di tradimento dai "cugini" (gli affiliati) carbonari, sarebbe stato punito per il suo agire. Per ottenere privilegi dal governo, scrive Gardelli, avrebbe fatto i nomi dei capi carbonari. Che poi si sarebbero vendicati.
Nel 1824 un delatore confida alla polizia che il ricco banchiere Manzoni è stato ucciso da Vincenzo Rossi e Pietro Lanfranchi. Lanfranchi è pure lui carbonaro, con il grado di "maestro terribile", ovvero di chi mette alla prova i nuovi soci. E pure lui ha fatto una brutta fine a 35 anni nell'agosto 1822, si disse avvelenato in carcere. Lo piansero come prode guerriero che sotto le armi francesi aveva ricoperto il suo corpo di gloriose cicatrici.

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Antonio Montanari


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1502/Riministoria-il Rimino/antonio montanari nozzoli/Date created: 09.09.2011 - Last Update: 09.09.2011, 17:19 -
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