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"10 domande a..."

-Carlo Valeri-

di

Monia Di Biagio

Carlo Valeri, alias Kurtz, su nuoviautori.org, è Nato a Roma il 30/04/'77. Sta per laurearsi in Arti e Scienze dello spettacolo presso la Sapienza. La passione più grande è il cinema, ma ama molto anche letteratura e musica rock. Ma ecco, qui di seguito, come lui stesso si racconta agli ospiti-lettori de’ "L'intervista": “Sto per laurearmi in 'Lettere'. Cinema e Letteratura sono da sempre le mie passioni principali, non saprei scegliere tra le due, per me sono fonti di ispirazione in egual misura e credo che nella mia formazione culturale si fondano reciprocamente! Leggo e scrivo da sempre....e spero proprio di continuare a farlo per sempre! Le mie influenze più importanti sono: Kafka, Hesse, Bukowski, Vonnegut! Credo molto nello scrivere come terapia contro i 'dolori esistenziali' e credo veramente che chi scrive lo faccia per 'sopravivere'. Sono un assiduo frequentatore del sito e un appassionato lettore di alcuni autori pubblicati...Ma, come scrittore, pur avendo un ragguardevole materiale, ho pubblicato solo quello che troverete sul sito di nuoviautori e cioè alcuni racconti e poesie. Per il resto, a parte recensioni di film rintracciabili in un paio di siti di cinema, non è che posso dire di avere un vero e proprio curriculum letterario. Sto scrivendo un libro che in parte mi sta prosciugando nella mente e nello spirito e che quando avrò il coraggio di finire spero possa essere apprezzato da voi di 'nuoviautori'! Ma purtroppo non è ancora finito e quindi è quasi impossibile potertene parlare nell'intervista. Peccato! Io comunque qualche piccolo spunto ho provato a dartelo...Sperando possa bastare per tirar fuori qualcosa di interessante per una possibile intervista... Altrimenti moltiplicherò gli sforzi per concludere prima possibile il 'capolavoro' (ah-ha-ha!) Saluti Carlo Valeri (alias kurtz)”.

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1- Anche se il tuo “capolavoro” non è ancora finito non credo sia impossibile parlarne, ti chiedo infatti, con un neanche tanto sottile gioco di parole, di cosa parla? Di cosa tratta questo tuo libro, ancora in fase di stesura?

A grandi linee direi che è l’ideale continuazione, sia  per quanto riguarda lo stile che  le situazioni descritte, del mio precedente racconto “Roma drunk blues”. Inizia come una sorta di monologo liberatorio, per poi assumere le sembianze di un affresco notturno sulla città. Non è molto facile per me parlarne dal momento che è  ancora largamente incompleto. Ad ogni modo nelle mie intenzioni dovrà essere  estremamente personale, ingenuo, in certa parte autobiografico e un po’ delirante. Speriamo bene!

2- Cinema e Letteratura sono le tue due grandi passioni, inestricabili l’una dall’altra. Kafka, Hesse, Bukowski, Vonnegut i tuoi autori preferiti. Se un buon lettore dici tu stesso “da sempre”. Presto un Dottore in Lettere. Ma quando, precisamente, l’Arte letteraria, in tutte queste sue mirabili forme, ha fatto il suo onorevole ingresso nella tua vita?

Sin da bambino sono cresciuto in un ambiente particolare. I miei nonni materni dipingevano, si leggeva tantissimo e mio nonno scriveva anche poesie. Chiaramente la mia famiglia ha sempre campato d’altro, quelli erano solo  interessi secondari, eppure l’arte, in un modo o nell’altro, era onnipresente nelle nostre giornate. Tutto questo, probabilmente, ha influito molto sulla mia indole. Più avanti sono venute le passioni personali: cinema e letteratura. Da questo punto di vista direi che fino ai 16 o 17 anni le mie influenze culturali siano state più cinematografiche che letterarie. Le immagini colpivano la mia immaginazione più direttamente delle parole.

E non credo sia una stranezza visto che da decenni le giovani generazioni sono state costrette a crescere con un educazione soprattutto visiva. Poi, col tempo, i libri hanno  cominciato ad assolvere una funzione di piacere sempre più irrinunciabile. A volte seguivo i consigli di amici e professori, altre volte amavo scegliere libri per conto mio. La poetica di molti autori influiva sulla mia visione del mondo e sul mio gusto. Hesse ha avuto su di me un’influenza filosofica importante che mi ha aiutato molto in passato. Ma ormai non lo leggo da tanto tempo. Kafka per me è semplicemente geniale, il padre di tutti gli scrittori moderni; Bukowski, la mia scoperta personale e l’autore che, forse, amo di più per il suo coraggio, l’efficacia del suo stile semplice e pulito, il suo dolore sincero. Poi c’è Vonnegut. E’ il mio amore più recente e mi mancano ancora alcuni suoi libri. Devo ringraziare questo sito, e in particolare il gran capo Trotta, se ho cominciato a leggere questo scrittore così geniale e profondamente umano. Apprezzo  Bret Easton Ellis, Nick Hornby, e sto rivalutando il nostro Stefano Benni (‘Comici spaventati guerrieri’ è un capolavoro).

3- Una bellissima premessa che hai fatto al  tuo racconto “ROMA DRUNK BLUES”, rileggiamolo insieme, poi passo alla domanda:  “Ho deciso. Dimenticherò le lacrime perdute nei fluidi giorni dell’ipnosi. Il disprezzo accumulato sugli altri diventerà carne e ogni parte del mio corpo griderà parole. (Il mio futuro sta narrando l’amore di un alieno naufragato.) Imparerò. Devo imparare. Altrimenti sarà la fine. Il corpo, i gesti, la voce: tutto sarà chiaro, diretto, materia, sesso, e la mia paura diventerà arte. La mia arte custodirà i silenzi che ricevo e si rivelerà inutile quando sarà perfetta. Migliorerò. Devo migliorare. Altrimenti sarà la fine.” E’ questo che intendi per “Credo molto nello scrivere come terapia contro i 'dolori esistenziali' e credo veramente che chi scrive lo faccia per 'sopravivere'.” come ci hai chiaramente spiegato nella tua autopresentazione?

Sì, ma non solo. Per me scrivere può assumere tanti significati. Ha un carattere salvifico, laddove garantisce una sorta di liberazione dal proprio dolore, e, di conseguenza, è anche una forma di riscatto. Di certo ha a che fare moltissimo con l’autostima, soprattutto se dall’esterno ti confermano che sai scrivere. Tempo fa con un mio amico amavamo paragonare la soddisfazione che si prova di fronte a una propria creazione letteraria con quella dell’amplesso sessuale. E’ evidente che all’epoca non facevamo del buon sesso! (risata).  Al di là di tutto, un vero scrittore scrive perché deve scrivere. Non ha scelta. Non può fare altro.

4- La scrittura dunque come terapia, ci hai spiegato nella tua presentazione: e quando di terapie non ce ne è bisogno, cosa potrebbe essere dunque per te la scrittura? Quando questa non deve più necessariamente essere una valvola di sfogo, cosa diventa?

A prescindere dalle motivazioni interiori e dai temi che desidero affrontare, scrivere per me è sempre piacere. E, per certi versi, è anche una responsabilità nei confronti di me stesso, della realtà in cui vivo, dei miei desideri assoluti.

5- Su un tuo racconto “il Tennis” dici: “Rivolgersi al proprio passato delle volte costringe noi stessi a fare i conti con schizofrenici percorsi incompiuti; per me il Tennis è uno di essi. Ma, se scavo affondo nei lontani giorni di quelle ambizioni sportive, riesco a tirar fuori il ricordo di una lezione di vita. Un ricordo limpido e assieme ingiallito da un senso di vergogna che non ho mai compreso.” Potresti provare a ripercorrere insieme a noi uno di questi “percorsi incompiuti”? Ed insieme a non a capirne l’insegnamento ed il significato?

Secondo me il passato di chiunque è interamente costellato da percorsi incompiuti. Più si va in là con gli anni e più i percorsi incompiuti aumentano, nonostante poi si cerchi di addolcirli denominandoli ‘esperienze’. In tutta sincerità ti dico che il mio passato lo considero poco ricco di esperienze e stracolmo di ‘tentativi’ di esperienze. C’è una contraddittorietà dentro di me che mi porta a cambiare continuamente approccio alla vita, a giudicare diversamente gli episodi, ad abbandonare progetti, giudizi, convinzioni. Non posso farci niente. E non so cosa tirar fuori da tutto questo, se non che mentre alcuni considerano i momenti che vivono come tappe verso una maturazione, da parte mia mi piace vederli come percorsi splendidamente incompiuti verso una maturazione illusoria.

6- Da quello che ho potuto leggere, ovvero per quegli stessi scritti scorrevoli e “veri” per i quali vorrei porgerti i miei complimenti: ho notato che i tuoi racconti prendono tutti spunto dalla realtà quotidiana delle cose: è da quest’ultima che trai maggior ispirazione?

Non necessariamente. Più che con la realtà quotidiana delle cose, direi che i miei racconti traggono spunto dalla mia realtà. Sono racconti filtrati soggettivamente, molto più incentrati su visioni e sensazioni che su registrazioni realistiche. In tal senso forse userei il termine ‘realismo trasfigurato’, nel senso che è vero che si parte dalla realtà, ma con l’obiettivo di ‘stilizzarla’. Si tratta, oltretutto, di un procedimento frequentemente riscontrabile in letteratura.

7- Riportando un’altra tua frase che vorrei commentare con te, tratta dal breve racconto “L’angelo e il buio”: “Leccando ferite addolcite dai libri, gestisco il fisico controllando i pensieri. Ingenuo! con l’immagine coltivo un amore finito e convinco il talento a considerare moderna la mia malattia. No, caro mio, è fatiscente e patetica; è una malattia vecchia di secoli.” E’ questo che fai quando un Amore finisce? E quando comincia cosa fai? Come esprimi la tua gioia interiore? Come dai voce alla tua Anima inebriata dal nuovo nascente sentimento?

Eccola qui la domanda tosta! (risata) Devo proprio rispondere? Molto dipende dalle circostanze in cui un Amore comincia o finisce. So di avere un caratteraccio, non mi fido molto delle persone e all’inizio tendo sempre a nascondere i miei sentimenti. Credo però di avere ancora enormi potenzialità amorose! In una storia d’amore cerco sempre di trovare il giusto equilibrio per entrambi. Mah! Esiste? Non lo so. Un giorno forse…

8- Passando alle tue poesie, naturalmente quelle che ho potuto leggere on line, come LE FOTO DEI PADRI, FEBBRE, L' INFANZIA, tutte recentissime perché edite il 30-01-2004, anche queste potrebbero a tuo dire essere considerate “sfoghi letterari” di sensazioni scaturite dall’azione su te stesso della realtà tangibile?

Direi di sì. Però, a differenza dei racconti, le  poesie che scrivo sono forse più istintive e meno pensate.

9- Ad esempio in “Le foto dei Padri” ho colto questo controsenso di vedute: la scrittura come terapia, ma la stessa psicologia, che a volte facciamo su noi stessi come terapia da maledire. In effetti a cosa ti riferivi, quando sul verso finale dici:

"Disgraziato

è l’amico freudiano,

disgraziato!”

Forse a quella stessa psicologia che smaschera troppo quei “dolori esistenziali” di cui ci hai parlato poc’anzi?

L’incoerenza che suggerisci nella tua domanda è parte integrante del senso di quella poesia, che ho scritto pensando soprattutto al disprezzo che certe volte nutro nei confronti della psicoanalisi. Se da un lato posso concepire la scrittura come terapia, dall’altro non mi piace che i miei scritti cadano in una sorta di confessione psicologica. Oltretutto per me la psicoanalisi è sopravvalutata. Non nego tanto la sua utilità scientifica, quanto la sua influenza preponderante in ambito letterario. Troppi libri in passato sono stati intrisi di introspezioni psicologiche tipicamente accademiche, ostinate chiavi di lettura che spesso hanno trasformato buone letture in trattati psicoanalitici, tarpando le ali alla libertà creativa, al lirismo e alla fantasia.

10- Ultima, classica, immancabile domanda delle mie interviste, e tu che come mi hai detto ti sei interessato a leggerle tutte e per questo ti ringrazio di cuore, forse già avrai capito a cosa mi riferisco: un consiglio a che si accinge a percorrere la tua stessa strada. A chi ha appena deciso di dedicare la sua stessa vita all’Arte più bella. Cosa gli suggerisci?

Di continuare a scrivere sempre, senza troppo coltivare dentro di sé l’assillo di diventare per forza Scrittore. Molti giovani scrivono: alcuni sono bravi, altri meno. Se si sente la necessità di far muovere la penna, bisogna farlo. Su ‘nuoviautori’ vengono pubblicati quotidianamente racconti e poesie di ragazzi pieni di talento, che mi pare valgano molto più di tutti gli ufficiali scrittori nostrani venduti in libreria. Leggere ‘La cena di Henry’ di Trotta per me è stato più importante che leggere qualsiasi altro Baricco, Brizzi o Tamaro. Ma non solo: anche ‘Amori di terzo livello’ di Mattioli o i racconti di Duedidue o le poesie della Mazzonetto sono state letture preziose. E magari ce ne sono altri che non cito e che sono ancora più bravi. Questo anche per dire che probabilmente i circuiti convenzionali sono sempre meno affidabili, se si vuole essere onesti con la propria passione. E’ un cammino rischioso quello dello scrittore, rischioso e mal retribuito. Però allo stesso tempo è un cammino unico, quanto mai necessario visti i tempi in cui viviamo. Forse ne vale la pena!

 Grazie a Carlo Valeri, per la cortese e graditissima partecipazione.

 Caramente, Monia Di Biagio.

 

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