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"10 domande a..."

-Patrizio Pacioni-

di

Monia Di Biagio

Oggi ho il piacere di “introdurvi” e non di “presentarvi” un autore che ha scritto così tanto e così bene che la maggior parte di voi lo conosceranno già! Si tratta appunto di Patrizio Pacioni che è nato a Roma il 6 settembre, ma come dice lui stesso, con quell’alone di mistero che contraddistingue tutta la sua eclettica quanto originale opera: “in un anno imprecisato tra la guerra di Corea e la crisi di Cuba”, ed oggi vive a Brescia. I suoi interessi principali sono ogni forma di espressione artistica, la storia ed il gioco degli scacchi. Il sito ufficiale dello Scrittore è: http://www.patriziopacioni.it dove sono contenuti (potendo facilmente seguire un iter ordinatissimo e molto interessante da leggere): la sua storia, i suoi racconti, le sue opere, le sue letture, le anteprime, le recensioni, le rassegne stampa, gli incontri, le news ed i suoi Tour in lungo ed in largo per la Penisola italica….E quindi proprio tutte le informazioni riguardanti l’attività letteraria di Patrizio Pacioni. Inoltre su questo sito, nato come iniziativa promozionale personale e trasformatosi poi con incredibile rapidità in un vero e proprio e-magazine orientato alla scoperta e valorizzazione di nuovi autori e nello stesso tempo attento a ogni forma di espressione artistica, potete anche inviare il vostro racconto (di max 3000 battute), ogni mese Patrizio Pacioni ne sceglierà uno da mettere on line. Patrizio Pacioni esordisce in libreria con “Un lungo addio” (1997 Taurus Edizioni), che narra la storia drammatica di una profonda quanto devastante passione carnale che divampa tra fratello e sorella poco più che adolescenti. Ed ecco, tra racconti e romanzi, l’amplia bibliografia di Patrizio Pacioni, visionabile ed ordinabile anche sul suo sito, a questo link “Iscassia et Fogu” (Ed. La mela e il grano, 1998) la sua seconda fatica letteraria, altro viaggio nei delicati equilibri della famiglia, nel corso del quale viene esplorato in profondità il conflitto generazionale padre-figlio. Poi la svolta con: “Le Lac du Dramont” (Editrice Nuovi Autori, 2000), tenebrosa storia ambientata in una Costa Azzurra invernale ed insolitamente cupa e insidiosa, dove l’Autore imbocca con decisione la strada del giallo-noir. Opera del tutto singolare, segue “Chatters” (Editrice Nuovi Autori, 2001) thrilling psicologico con finale a tinte forti in cui allo stile cristallino dell’Autore si alternano intarsi della neo-lingua informatica della chat-line, presa così com’è, nella sua essenzialità e, a volte, nella sua crudezza. Sempre con Effedue Edizioni arriva poi nel 2002 “Dalle tenebre” che Patrizio ama presentare come “un romanzo d’avventura con guarnizioni thrilling, cotto in salsa noir”: insomma una lunga storia che, prendendo le mosse dal finale di “Le Lac du Dramont”, in un succedersi senza respiro di azione e colpi di scena, costituisce l’ennesima puntata dell’ epopea che da sempre vede le forze del bene contrapporsi all’assalto del male. Ma poi ancora nel 2003 esce sempre per Effedue Edizioni “13 in noir”. Ed il suo ultimo “Mater” (Effedue Edizioni 2004) e mentre questo suo ultimo romanzo profuma ancora d’inchiostro, sembra che Patrizio Pacioni stia già lavorando al libro del prossimo anno, un’idea originale e ambiziosa sulla quale, per quanto ovvio, mantiene almeno per il momento il più stretto riserbo! Invece tra i racconti, molti dei quali pubblicati, oltre che in un consistente numero di siti letterari internet, in raccolte antologiche e riviste (e tutti bellissimi, aggiungo!) ricordiamo: “SETTIMO CIELO”, “AERACNOFOBIA”, “SQUADRA SPECIALE” “RANSETTE PRIMO”, “VISITA A SORPRESA”, “MUTANTE!”, “PROMENADE”, “COSI' DANNATAMENTE VICINI A RIMINI” e “COMBINAZIONE FINALE”, tutti leggibili allo stesso link sopra citato. Tutti racconti in cui l’Autore mostra una spiccata predisposizione anche per le short-stories: attività questa che gli ha valso numerosi premi e riconoscimenti, tra cui spicca il secondo posto ottenuto nel 97 al Mystfest di Cattolica con l’intenso e bellissimo “Ransette Primo”.

Mentre su cartaepenna potrete leggere “Icaro” ed ancora su pennad'oca  potrete leggere il racconto “L’altra”, che, importantissimo, come dice Patrizio stesso: “E’ un racconto tutto da leggere…Soprattutto dopo la parola –fine-” Difatti Patrizio Pacioni ha voluto dedicare questo racconto al CIAI (Centro Italiano aiuti all’Infanzia) Per saperne di più potete scrivere a info@ciai.it , andare sul sito internet www.ciai.it oppure chiamare allo 02/540041 o al numero 848.848.841, al costo di un solo scatto da tutta italia e per tutta la durata della comunicazione. Ed è proprio questo che vuole comunicarci dopo la parola “fine”: “Il CIAI dal 1968 difende il diritto di ogni bambino, ovunque sia nato, a crescere nell'amore di una famiglia. Ogni anno sostiene i bambini del mondo attraverso oltre 5000 Sostegni a Distanza e ne previene l'abbandono con progetti rivolti alle loro famiglie in Burkina Faso, Etiopia, Ruanda, Cambogia, India e Romania. In trent'anni di vita ha anche dato a 1500 bambini una nuova famiglia in Italia, difendendo la centralità del bambino nell'Adozione Internazionale. E poi, corsi di formazione per le famiglie e gli operatori, campagne di sensibilizzazione contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e numerose pubblicazioni per dire con fermezza che UN BAMBINO E' UN BAMBINO IN TUTTO IL MONDO Senza il tuo aiuto tutto questo sarebbe impossibile!Sostieni l’impegno del CIAI e aiutalo a dare un domani a questi bambini. Puoi scegliere tu: 10, 25, 50, 300, 1.000 Euro… qualunque sia il tuo contributo, è il segno tangibile della tua amicizia e può rendere migliore il presente e il futuro di tanti bambini.…perché non c’è modo migliore di dimostrare e di donare amore! Buona vita… a tutti i bambini del mondo. Patrizio Pacioni”

1- Introdotto spero nel modo più completo Patrizio Pacioni Scrittore, vorrei innanzitutto chiedere al Patrizio Pacioni Lettore, perché mi sembra questa una domanda fondamentale per passare poi a quanto seguirà e perché lei mi pare di aver capito nasce proprio prima come Lettore “accanito” che come Scrittore: quando è stato il suo primo incontro con un libro? E qual’era questo libro che l’ha condotta sulla soglia di un mondo “fatto tutto di parole”, facendola entrare in un mondo che poi non ha più abbandonato?

C’è un personaggio della letteratura per bambini che è nato tipicamente e irrimediabilmente italiano e tale resterà per sempre, nonostante i molteplici quanto maldestri tentativi di imitazione fatte dai produttori di cartoons americani e giapponesi: si tratta di Pinocchio, naturalmente. Ecco, il romanzo scritto da Collodi fu la mia prima lettura “vera”: a rivederlo con gli occhi di adesso, mi rendo conto che, forse senza neppure sospettarlo, Carlo Lorenzini riuscì a miscelare nella stessa opera (e nelle proporzioni ideali) la favola tradizionale e il romanzo d’avventura, spolverando il tutto con un pizzico di fantasy e soprattutto di horror/noir. Certo, ho detto proprio horror: come si potrebbero definire altrimenti episodi come quello di Mangiafuoco che divora le proprie marionette, Il Gatto e la Volpe che impiccano Pinocchio, la trasformazione in ciuchini dello stesso Pinocchio e del suo amico Lucignolo, con tanto di sadico trattamento riservato loro dal proprietario del circo che li “scrittura”? Una lettura che evidentemente deve avere lasciato in me tracce profonde, visto che nel mio primo romanzo “Un lungo addio” è inserita proprio una personalissima rielaborazione del Paese dei Balocchi, tetra e suggestiva al tempo stesso.

2- E parlando di libri citiamo la sua passione per il genere giallo, se non erro accesa all’improvviso all’età di 12 anni quando, come ci racconta lei stesso: “In un afoso pomeriggio di luglio la scoperta in soffitta dello scatolone di cartone dov'è stipata la collezione di gialli Mondatori e Longanesi raccolta negli anni dai tre fratelli maggiori: vecchi e spesso squinternati volumetti di seconda mano acquistati, a metà prezzo, nel corso delle razzie domenicali tra le bancarelle romane di Porta Portese e di Via Sannio. Edgar Allan Poe, Arthur Conan Doyle, Agatha Christie, Ellery Queen, Edgar Wallace, August Le Breton, Mike Spillane… furono i compagni delle letture segrete di tutta un'estate.” E’ proprio così che è nato la sua affettuosa predilezione per questo genere letterario? E questi autori quanto e come hanno influenzato tutta la sua produzione futura? Ed a proposito di questo, cosa intende quando afferma “Leggere best sellers non è un peccato”?

La domanda è complessa, quindi meglio andare per ordine e rispondere punto per punto. Quanto al sorgere della passione per il poliziesco, senz’altro i grandi autori del giallo Mondadori esercitarono sulla mia formazione di “lettore” una poderosa attrazione: il contrasto tra il bene e il male, tra la luce e l’ombra, mai messa così in evidenza come nel romanzo poliziesco, insieme con una implicita sfida all’individuazione dell’assassino (che per un ragazzo si trasforma in un gioco e al tempo stesso in una auto-misurazione del proprio acume, quindi della nascente maturità) costituiscono da sempre richiami fortissimi per ogni adolescente, e per me non fu diverso. Ma anche Topolino era ed è tuttora essenzialmente un detective, e in assenza della forza dirompente delle tv, negli anni del mio sviluppo fisico e mentale i fumetti del simpatico eroe di Disney erano un vero e proprio punto di riferimento culturale. Tornando ai mostri sacri che dominarono la scena della letteratura gialla nel suo massimo momento di fulgore, e a quale influenza possano esercitare sul mio “narrare” passato, presente e presumibilmente futuro, posso dire che TUTTI LORO mi si siedono accanto ogni volta che mi metto a scrivere. Nessuno di essi è riuscito però, almeno finora, a prendere il sopravvento sugli altri, finendo col condizionare in qualche modo uno stile narrativo che per quanto possibile cerco di mantenere originale e di raffinare sempre più.
Quanto ai bestsellers … uffa, come è vero che vendere centomila copie non sia un sigillo che possa garantire la qualità di un romanzo, è altrettanto vero che non è affatto certificato che un buon libro debba essere riservato a una ristretta cerchia di “eletti”. Insomma, quello che voglio dire è che non faccio, né farò mai, distinzione tra opere “commerciali” e opere “impegnate”: l’unica differenza di cui a mio avviso occorre tener conto è quella tra buona e mediocre letteratura, tra i libri che sanno sedurre e appassionare e quelli che invece si rivelano soltanto noiosi.


3- E in riferimento alla precedente domanda parliamo della sua passione per il genere “Thrilling”, che come racconta lei stesso da sempre coltivata, torna a esprimersi in modo tumultuoso durante un corso monografico di scrittura gialla frequentato presso la Scuola Holden di Torino, dove viene per così dire “riattizzata l'antica fiamma”. Tra l’altro a tenere quel corso fu nientemeno che Ed Mc Bain, che senza ombra di dubbio oltre ad essere, come dice lei stesso “uno dei più grandi giallisti viventi, un gigante del genere”, è soprattutto un autentico mito per lei che ne ha divorato tutti i romanzi. Cosa nacque, letterariamente parlando, dopo quel corso? Dopo quell’incontro cosa scrisse sull’onda della passione ritrovata?

Nacque immediatamente una padronanza più consapevole dei cosiddetti “attrezzi del mestiere”, soprattutto della costruzione del dialogo, che vede in Mc Bain un maestro assoluto. Mi fu inoltre finalmente chiara la differenza tra la struttura del romanzo tradizionale e quella del giallo. Poi, attraverso la rielaborazione delle sessioni di quel seminario riuscii a interiorizzare la tecnica tutta americana di architettura della trama e caratterizzazione dei personaggi… Un bagaglio non da poco, insomma, che cerco ora di ribaltare sui giovani autori con i quali ho occasione di entrare in contatto attraverso il sito e le attività formative cui vengo invitato a partecipare. Quanto alla voglia di scrivere io in prima persona ciò che fino a quel punto mi ero limitato a leggere con tanta passione lievitò violentemente, materializzandosi tre anni dopo l’esperienza torinese (2000) in “Le Lac du Dramont”, il mio primo giallo-noir.

4- Ma dopo Patrizio Pacioni lettore, quando Patrizio Pacioni ha realmente cominciato a scrivere? E come lei stesso si chiede sul suo sito “Esiste la Vocazione?”

Ho provato diverse volte a imparare a sciare, ma con scarsissimo successo. Anzi, quand’ero sulla neve della pista, in precario equilibrio, col maestro che continuava a farmi correggere la postura e i gesti, la cosa che più mi faceva imbestialire era vedermi circondato da tutti quei bambini minuscoli, di cinque/sei anni, che scorrazzavano come se fossero nati con quegli arnesi ai piedi. Questo per dirti che certo che c’è la vocazione, se con vocazione intendiamo un’attitudine innata a concepire e narrare vicende. È anche vero però che l’istinto da solo non può essere tutto, e che per progredire occorre continuare per tutta la vita ad aggiornarsi e a studiare con applicazione e impegno.

5- Il suo primissimo approccio con il mondo letterario, ed in particolar modo quello dei premi letterari, è nell’autunno del 1994, quando passeggiando nel centro di Milano, si è ritrovato praticamente incollato ad una vetrina della Libreria Feltrinelli, dove ha letto il bando di un concorso dal singolare nome di "Tacchino Letterario". E finalmente?

Sì, ricordo perfettamente quel pomeriggio autunnale ancora mite: c’era un incipit (piuttosto lugubre, ma suggestivo) da proseguire in un racconto di non più di sette od otto cartelle. Entrai nella libreria, ritirai una copia del bando, ma di quello che seguì immediatamente dopo non saprei dire nulla: so soltanto che arrivato in Piazza Missori, a poche decine di metri da lì, avevo già in mente la storia con la quale avrei partecipato al concorso, e che la sera stessa dopo avere sparecchiato la tavola da pranzo ero già lì a con carta e penna a scrivere davanti alla tv. Fra l’altro subito dopo avere scritto la parola “fine” in fondo al mio “Visita a sorpresa” (che tra parentesi è stato recentemente tradotto e diffuso in Spagna grazie a Grupo Buho) mi resi conto di aver fatto un buon lavoro: al punto che, quando la sera della premiazione venni chiamato a ritirare il primo premio, non mi stupii più di tanto.

6- I primi successi letterari? Come sono arrivati: tramite carta stampata, concorsi letterari o approvazioni via internet alla sua opera?

Avendo già parlato del “Tacchino”, posso dire che fu un altro concorso, stavolta “Premia l’autore” a rappresentare la vera svolta: terzo posto, con premiazione alla Fiera del Libro di Torino del ’97, e prima pubblicazione. Esce dunque “Un lungo addio”, che rappresenta la prima tessera di un mosaico che (per fortuna!) continua a essere in piena evoluzione. A Internet arrivai solo più tardi, dopo il terzo romanzo, facendo nascere www.patriziopacioni.it con intenti, all’inizio, puramente promozionali. Nel giro di pochi mesi però, le decine di e-mail che arrivavano mi fecero intuire l’esigenza di molti aspiranti scrittori di avere un punto di riferimento in un personaggio più esperto che fosse disposto ad ascoltarli e, al caso, consigliarli e correggerli.

7- I libri, la scuola, il cinema, il teatro: come inserirebbe cronologicamente ed in ordine di importanza questi termini nella sua vita e carriera letteraria?

La scuola è fondamentale, naturalmente, in quanto (problemi didattico - organizzativi a parte) fornitrice del substrato culturale senza il quale è impossibile porre valide basi di ogni percorso di vita professionale o culturale che sia. Il libro è un compagno silenzioso e fidato, che è stato sempre presente nella mia esistenza, consolandomi nei momenti più bui e aiutandomi a godere di quelli più luminosi. Una sorta di “Manuale delle Giovani Marmotte” della fantasia che mi ha aiutato ad allargare i confini dell’immaginazione, attraverso le emozioni degli scrittori e quelle dei protagonisti delle loro storie. Quanto a cinema e teatro, li reputo strumenti di comunicazione davvero mirabili: credo tra l’altro che per un Autore la rappresentazione scenica di una delle sue opere rappresenti uno dei culmini della propria gratificazione. Il palcoscenico offre agli spettatori l’emozione di assistere sera dopo sera a qualcosa di irripetibile, in quanto ogni rappresentazione, anche della stessa pièce o dello stesso concerto, è assolutamente unico. Il grande schermo invece ha il potere di rivolgersi in un colpo solo a centinaia di migliaia, con straordinaria suggestione audio-visiva, a milioni di spettatori sparsi in tutto il mondo, ampliando a dismisura la trasmissione del messaggio.

8- Veniamo ora a quella che io definirei “La sfida del '98”, quando nel bel mezzo del suo triennale soggiorno in Sardegna, si cimenta appunto con una sfida davvero ardua: scrivere e pubblicare per la CEI "Iscassia et fogu" un romanzo breve con numerosi inserti in lingua Sardo-Sulcitana. In questo libro si narra la storia appassionante di un giovane pastore che ritrova in drammatiche circostanze il padre sconosciuto. L'opera comporta un immane sforzo linguistico e lo studio attento della realtà pastorale isolana, che l’Autore effettua trascorrendo un lungo periodo di tempo tra i pastori del luogo. Per questo libro si è ispirato a Grazia Deledda? Conosce la leggenda che l’autrice appena citata scrisse sulla “Dama Bianca”? Trama , vita dei pastori, il figlio che ritrova uno strano tesoro in codice, poi scopre chi è il padre, glielo dice il fantasma della madre…Gli elementi in comune tra "Iscassia et fogu" e “La dama bianca” ci sono tutti...ma…

Più che una sfida un azzardo che ancora oggi mi fa tremare i polsi. Ero in Sardegna da neanche un anno, quando mi venne in mente di tentare quest’impresa, sollecitato dalla bellezza selvaggia dell’ambiente e da una lingua (il sulcitano) estremamente viva nella comunicazioni della gente ma praticamente priva di autentiche testimonianze scritte. Il confronto con “La dama bianca” della Deledda venne fuori anche nel corso di una delle presentazioni del libro, ma resto personalmente convinto che si tratti solo di una lontana assonanza: in Iscassia et fogu non c’è un “deus ex machina” (il fantasma) a sciogliere problemi e nodi narrativi: la scoperta finale della verità è il risultato di un sacrificio molto più immanente, una dura conquista operata nel dolore e col sudore della propria fronte, come accade realmente in una terra spesso dura anche coi suoi stessi figli.

9-Vorrebbe parlarci del suo ultimo libro “Mater”, definito come “il libro scritto da un uomo che ogni donna dovrebbe leggere”?

Mater ho cominciato a scriverlo nell’ormai lontano ’97: doveva rappresentare nelle intenzioni il lato finale del triangolo sui rapporti famigliari costruito attraverso Un lungo addio (fratello /sorella) e, appunto, Iscassia et fogu (padre/figlio). Finita la prima stesura però cominciai a sentire con forza il canto ammaliante e irresistibile delle sirene del thrilling- giallo- noir. Perché la verità è che, ancora oggi, scrivere questo genere di storie riesce a divertirmi moltissimo. Mi sfogai con tre romanzi consecutivi, ma Mater era sempre presente nei miei pensieri. Dopo DalleTenebre lo ripresi in mano, e la prima sensazione fu quella di chi, cercando una scatola di lampadine in cantina, trovi un vecchio diario dimenticato. Un senso di stupore, e allo stesso tempo di estraneità, dal momento che in sei anni il modo di pensare (e di scrivere) di un autore può cambiare sensibilmente. Quindi lo sforzo maggiore nel rivederlo e portarlo a termine consistette nel riallacciare il Patrizio di allora con il Patrizio di oggi. Il disegno finale invece era sempre lo stesso: analizzare attraverso una storia drammatica e avvincente un universo femminile che, pur affascinandomi da sempre non ero ancora riuscito a comprendere appieno, e nel contempo andare alla ricerca delle mancanze e degli errori che spesso impediscono a noi uomini di entrare in piena sintonia con “l’altra metà del cielo”. Dal punto di vista della trama qualcuno mi ha fatto notare come in questa vera e propria “guerra di liberazione” condotta senza quartiere da una dinastia di donne che il destino sembra avere consegnato alla sottomissione e all’infelicità, possa effettivamente individuarsi una tragica dignità da poema epico.

10- Ultima, classica, immancabile domanda di ogni mia intervista, quella che vuol tracciare un filo conduttore tra le varie vedute degli intervistati a proposito di un consiglio da dare all’esordiente, ed oggi chi meglio di lei a cui porla, che nel mondo dello scrivere e delle pubblicazioni cartacee vive già da un bel po’? Cosa consiglierebbe dunque, in primis, Patrizio Pacioni ad uno scrittore esordiente, che in quel suo stesso mondo sta muovendo i primi impacciati passi?

Per prima cosa suggerisco di non avere fretta. Nessuna impazienza di finire un lavoro, innanzitutto, vincendo la tentazione di “liberarsi” della propria fatica come se fosse una specie d’infezione: mantenere a ogni costo l’abitudine di leggere e rileggere ciò che si scrive, aggiungendo, tagliando e correggendo finché non si sia sicuri di avere fatto veramente il massimo per esprimere all’esterno ciò che si sentiva dentro. Nessuna fretta neanche di “arrivare”: lasciamo ad altri i “Cento colpi di spazzola”, ovvero il successo che arriva all’improvviso come una manna dal cielo. Il successo, quello autentico, quello che non tradisce né noi né gli altri, arriva solo a prezzo di un grande impegno teso a migliorarsi giorno dopo giorno, attraverso la lettura assidua di autori che abbiano qualcosa da insegnare, la frequenza di scuole di scrittura e seminari, l’esercizio quotidiano. La seconda avvertenza è senz’altro quella di verificare continuamente il proprio talento, com’è opportuno che faccia col proprio bagaglio un viaggiatore che si appresti a intraprendere una lunga crociera. Cogliere ogni occasione per farsi leggere da altri, dunque, possibilmente da qualcuno a)che sia estraneo alla combinazione sicura “famigliari - amici”, dal momento che le lenti dell’affettività risultano spesso troppo rosa per favorire un parere obbiettivo; b)che sia possibilmente un buon lettore, se non addirittura uno scrittore egli stesso. Tenendo sempre ben presente che spesso una critica, purché costruttiva, può risultare infinitamente più utile di un benevolo elogio.

Grazie allo stimatissimo Patrizio Pacioni, per la sua cortese e graditissima partecipazione.

Caramente, Monia Di Biagio.

 

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