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"10 domande a..."

-Michela Sacchi O'Brien-

di

Monia Di Biagio

Ho oggi il grande piacere di presentarvi una bravissima autrice, un’autentica romanziera nel senso più esplicito e veritiero della parola: Michela Sacchi O’ Brien, ed ad onor del vero mia carissima amica di penna. Anche se lei, molto probabilmente, a tutte le definizioni, che come scrittrice di un certo spessore potrebbero esserle assegnate, preferirebbe di gran lunga quella di “Story Teller” difatti a tal proposito tende a precisare: “Gli inglesi hanno una bella espressione: "story-teller" che si può forse rendere con l’italiano "cantastorie". Raccontare, trasmettere delle emozioni, catturare le tante sfaccettature del quotidiano è quello che cerco di ottenere con i miei lavori. Non ho altra pretesa che quella di essere una story-teller". Michela Sacchi O’Brien è nata nel 1967 a Milano e vi ha vissuto fino al ’94. Dopo aver conseguito il Diploma di Maturità Magistrale, si è iscritta alla Facoltà di Lingue Moderne dell’Università degli Studi di Milano. Ha insegnato inglese come lingua straniera nella scuola elementare, prima di dedicarsi all’insegnamento a tempo pieno come maestra. Dopo il matrimonio, si è trasferita a vivere sulla costa meridionale dell’Inghilterra, ove tuttora risiede. Attualmente insegna italiano come lingua straniera in corsi per adulti. Le sue opere comprendono vari racconti e tre romanzi:  Amici come prima scritto nel 2002, così presentato da Natascia Pane: “Un gruppo di amici trentenni, la cui conoscenza reciproca risale agli anni universitari, nel loro frequentarsi sviluppano una serie di dinamiche, tra le quali il lettore non stenterà a riconoscere situazioni a lui familiari: l’amore coniugale e quello extraconiugale, il single aggrappato ad un ricordo e la donna fatale inappagata dalle sue relazioni, la coppia anticonformista che si scontra con la propria infertilità. In un continuo susseguirsi di intrecci, il pathos dei quali giunge fino al drammatico, i personaggi ripercorreranno le loro storie personali, chiave per interpretare il presente e fondare il futuro. I rapporti si ricongiungeranno grazie alla scelta consapevole di ciascuno e alla reciproca promessa, filo rosso di tutto il romanzo, di tornare ad essere amici come prima".  Ancora noi, romanzo che gentilmente Michela sta presentando a puntate anche sul mio Forum personale, scritto nel 2003 di cui Michela stessa, o meglio la voce narrante, ci dice: "Da che possa ricordare Mandi ha amato Danilo, compagno d’infanzia, di giochi e di emozioni adolescenziali mai dimenticate. Ma Danilo è uno spirito libero e ribelle e i loro cammini sembrano prendere direzioni diverse. In un susseguirsi di incontri e addii, tra la Brianza e la Cornovaglia, Milano e le colline toscane, continua una storia d’amore che porta ad inaspettate conclusioni e si delinea il ritratto di una donna come tante che cresce, impara, soffre e ama. Ed infine, "Di qua del ponte"  che è stato pubblicato nel 2004 dalle Edizioni Fiori Di Campo. Libro nel quale ci vengono amabilmente raccontate diverse “Vite” per esattamente far comprendere cosa sia la Vita, di ognuno e di tutti, e nello specifico come ci viene spiegato nella presentazione al libro: “la storia di un adolescente chiuso e sensibile, amante di Bob Dylan, alle prese con la sua prima esperienza sentimentale; una donna sola che per diciotto anni si è portata dentro un terribile segreto e il rimpianto di un amore finito; un uomo indurito dalla delusione e dal risentimento; un giovane professore anticonformista; una ragazza pronta a sfidare la mentalità ristretta della provincia:

sono questi i personaggi che si muovono "al di qua del ponte", sullo sfondo degli anni sessanta, era ottimista la cui tranquillità è però già scossa dai sintomi della ribellione e del malessere giovanile che concluderanno il decennio. Una dura rivelazione li costringerà a confrontarsi con i loro veri sentimenti e a comprendere quali siano le possibili strade da intraprendere per realizzare un futuro al di là del ponte. Michela Sacchi O’Brien sta scrivendo il suo quarto romanzo. Tra i Racconti sono da citare: Attraverso le barricate, scritto nel 1990 di cui ci parla Natascia Pane: “rappresenta una delle prime esperienze dell’autrice nella forma breve del racconto. Lo stile semplice e diretto, nonché la scelta della forma breve e immediata, fanno emergere con efficacia, nella sua tristezza ed inevitabilità, un messaggio tuttavia venato di speranza. I giovani protagonisti e il loro amore vogliono essere il simbolo di questa convinzione: le barriere possono essere abbattute. Nel suo cuore scritto nel 1999, dove  l’amore di due adolescenti si scontra con la malattia e una giovane donna riscopre sentimenti che credeva di non poter più provare. Ed infine: Fame di carrube scritto nel 2003, in cui i due protagonisti, Sandro e Chiara, l’uno in rotta col padre, l’altra perduta nell’indifferenza, vivono insieme un amore impossibile, minato dalla droga, alla vana ricerca di una via d’uscita. Come Michela stessa ha risposto ad una domanda di Emiliano Cribri, “Gli Autori ai quali, anche incosciamente, si ispira sono: “molti.” Dice lei “Amo particolarmente la letteratura anglo-americana, da scrittori come Hemingway e Kerouac ad altri meno conosciuti, come Betty Smith. Soprattutto in quest’ultima mi riconosco moltissimo, nel suo stile conciso e immediato, quasi fotografico. Il suo mondo – Brooklyn all’inizio del XX secolo, la povertà materiale e la ricchezza spirituale degli immigrati, la varietà delle culture, dei colori, dei costumi – emerge dalle pagine vivo e reale. Tra gli italiani apprezzo lo stile semplice di autori come Buzzati, Calvino, Natalia Ginzburg. Una grande ispiratrice è stata anche Brunella Gasperini, scrittrice e giornalista, maestra nel descrivere sentimenti con partecipazione e allo stesso tempo realismo.” Se dovesse invece scegliere tra i versi più belli della Letteratura Italiana e non solo, Michela certamente sceglierebbe: “Ungaretti: -Ognuno sta solo sul cuore della terra/trafitto da un raggio di sole:/ed è subito sera.- Ma uno dei più belli è del poeta libanese Gibran: -beauty is life when life unveils her holy face– -La bellezza è la vita quando la vita disvela il suo volto sacro-". Ed il verso che la emoziona di più? Uno dei suoi, naturalmente! Una frase in realtà tratta da un suo romanzo che anche io trovo stupenda e non posso non riportare a chiusura di questa presentazione: “...Quanto mi sarebbe stato dato ancora per sperare? Mi sentii anch’io una scheggia sfuggita ai frantumi di un sogno."

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1-  Innanzitutto cara Miki permettimi di darti il più caloroso benvenuto nella mia rubrica di interviste, quelle che cerco di redigere e proporre, sempre, ad autori che neanche chiudendo volontariamente gli occhi potrebbero passare inosservati. E dopo la dovuta premessa nei tuoi confronti, che mi sentivo sinceramente di fare, passiamo subito, come si suol dire: “a bomba”, parlando di te e della tua Arte letteraria. Dunque a bruciapelo ti chiedo: il tuo primo libro scritto? Quello che più hai amato scrivere? Come è nata in te la voglia di mettere i tuoi pensieri nero su bianco?

Ma grazie a te, Monia, per avermi dato l’occasione di presentarmi al pubblico con i miei lavori.

Rispondo subito alla tua domanda, anzi, alle domande. Penso sia più corretto iniziare dall’ultima, perché la voglia di scrivere c’é sempre stata, fin da quando ho imparato a tenere in mano una matita. Ho sempre sentito il bisogno di fermare sulla carta i voli della mia fantasia, trascrivendo favole e storie che inventavo nella mia mente, e più avanti, come molti adolescenti, di dare sfogo a sentimenti e riflessioni interiori, attraverso diari e poesie.

A questo bisogno personale di scrittura ha fatto seguito quello di dare visibilità ai miei scritti. Una cantastorie ha bisogno di un pubblico che ascolti e si emozioni a quello che viene raccontato, così, un paio di anni fa, ho deciso di fare il grande salto e provare a pubblicare i miei lavori.

Il primo romanzo che ho scritto è stato proprio “Di qua del ponte”, che è stato poi anche il primo a venire pubblicato.

Quello che ho amato di più scrivere e che ancora ritengo il mio lavoro migliore è senz’altro “Ancora Noi”, forse perché, pur essendo una storia completamente inventata, ci sono diversi riferimenti autobiografici e mi identifico molto con la protagonista, Mandi. Amo molto anche il racconto “Fame di carrube”.

2- Progetti futuri? Puoi preannunciarci di cosa tratterà il tuo 4° romanzo?

Si tratta come sempre di una storia di sentimenti, in particolare di un’amicizia che viene messa alla prova. Ho anche già abbozzato alcune idee per un altro lavoro, romanzo o racconto lungo, ancora non sono sicura.

3- Massimiliano Farinetti,  in una delle tante recensioni fatte al tuo Romanzo edito “Al di qua dal ponte” dice dei tuoi personaggi e di te: “Francesco è uno shoegazer ante-litteram. Anna è una disc jockey ante-litteram. Michela è una story-teller.” Come già bene ci hai introdotto, con le tue stesse parole, nella presentazione, è questo che sei, che ti senti di essere, che sarai sempre e perché?

Perché quando scrivo quella di raccontare una storia è la mia intenzione principale. Scrivo per intrattenere, per emozionare e coinvolgere il lettore nelle vicende dei personaggi. Come lettrice amo perdermi nelle storie di altri e quindi come autrice cerco di dare agli altri la stessa possibilità.

4- Sempre nella Prefazione al tuo libro edito:  "Di qua del ponte"  Emiliano Cribari scrive:

“Muovo senza senso
Le vie che portano qua.

Di qua del ponte.

Nel senso unico
dell’infelicità.

E vado a sbattere contro me.
Contro i quadri,
delle mie vecchie carte da gioco,
e delle pareti
di questa stanza da poco.
A far quadrare soltanto
il disarmonico vuoto che indosso.

Testa o croce
Per capire chi sono.
Senza testa
Sono solo la croce
che devo indossare.

Tutto qua.”

Passato, presente e futuro, come collimano questi termini temporali nel cuore di ogni Scrittore? Qual è il ponte tra di essi che è necessario attraversare per riconoscersi sempre e comunque: uguali o diversi? Ed altresì “Il disarmonico vuoto” che è in noi, che tutti indossiamo e di cui Cribari tanto saggiamente parla, come fa uno scrittore a riempirlo? Con il suo corpo, la sua anima o le sue parole ebbre di entrambe le cose?

Credo che la risposta a questa domanda risieda proprio nei miei scritti. Il fluire del tempo e delle cose, il passato che attraverso il presente si unisce al futuro è un nodo centrale dei miei lavori. Te ne sarai sicuramente accorta leggendo “Di qua del ponte” e “Ancora Noi”.

Il senso dello scrivere credo stia proprio in questo: divenire quel ponte tra l’incorporeità del pensiero e la concretezza della realtà in cui viviamo, dare forma alle emozioni per catturare quella che è l’essenza più vera e profonda della nostra umanità.

Vorrei anche sottolineare che la poesia posta a prefazione di “Di qua del ponte” è stata scritta da Cribari appositamente per il romanzo e dalla vicenda è stata ispirata. Mi sembra giusto dirlo perché mi dà enorme soddisfazione sapere che la mia ispirazione sia stata la fonte di quella di un poeta come Cribari.

5- Riguardo allo stesso tuo Libro edito, Elisabetta Bilei dice: “Gli interpreti del testo devono affrontare loro stessi, il loro passato ed il mondo attuale in un’atmosfera di repentini mutamenti sociali per poter giungere al di là del ponte.” Quanto, secondo te, ognuno di noi nella vita reale, proprio come i personaggi del tuo libro, deve saper affrontare prima se stesso, le sue inconsce paure ed emozioni, ancor prima che gli altri e la vita stessa, per giungere finalmente là: oltre il proprio ponte personale?

In una canzone scritta per il figlio appena nato, Claudio Baglioni disse “Avrai parole nuove da cercare quando viene sera/e cento ponti da passare...”; le prese di coscienza, i bivi a cui ci si trova durante lo scorrere della vita, sono i ponti da passare di cui parla Baglioni, ma anche il ponte del mio romanzo, una tematica ricorrente nei miei lavori. Per questo i miei personaggi sono spesso giovani: è un momento saliente nella vita di ognuno l’arrivo al primo di questi ponti, la crescita interiore che ci spinge in avanti, verso il futuro, ed è forse il momento che più mi piace catturare nelle mie storie.

6- Mentre nella postfazione di “Di qua dal Ponte” Natascia Pane ci introduce alla lettura del romanzo, così dicendo di te: “L’autrice trae ispirazione dal puro impellente desiderio di raccontare una storia, di trasmettere –affermazione di questi tempi così coraggiosa- delle emozioni. E’ questo intento che la porta a rendere i suoi personaggi i più veri possibili, calandoli in ambientazioni ben definite e in situazioni familiari in cui chiunque si possa identificare. La sua scrittura è quindi volutamente semplice e diretta, con grande predilezione per il dialogo, l’uso frequente di colloquialismi e riferimenti alla vita di ogni giorno.” E’ esatto? E’ proprio questa la tua ispirazione? E’ questo che fai quando ti accingi a scrivere?

Esatto! I miei romanzi (e racconti) s’ispirano alla gente comune e alla vita di ogni giorno. Lo stile di un autore è il veicolo principale del contenuto. Le mie sono storie accessibili a tutti, e chiunque si può rispecchiare nelle vicende dei protagonisti; il mio stile non può che seguire questa filosofia.

7- Quanto per te scrivere è: esigenza interiore, sfogo personale, ragione di vita, amore o passione….O quant’altro ti venga in mente?

Direi che si tratta di una passione che nasce dall’ esigenza interiore di dare sfogo alla mia fantasia e alle mie emozioni, per trasmetterle ad altri.

8- E parlando del “tuo stile” scrittorio, ancora una volta, rigorosamente, debbo prendere in considerazione le parole di Natascia Pane, in quanto le trovo molto esatte e veritiere: “Definire lo stile di un autore suscita spesso discussioni che portano imprevedibilmente lontano. Scuole di pensiero, tendenze, manifesti, corporativismi, capiscuola: questo e ancora altro viene sempre maggiormente scomodato per ricondurre una linea di scrittura agli esempi -preferibilmente illustri- del passato, alla tradizione a cui essa attinge, troppe volte, più che altro per giustificare la sua ragion d’essere. Raramente si assiste ad una manifesta consapevolezza e fedeltà al proprio modo personale di intendere la figura dello scrittore, del “narratore” nella sua individualità. Michela Sacchi è in questo una felice eccezione: nessun inutile tentativo di inserirsi in un contesto letterario che non sia “il suo”, bensì la ferma determinazione di guidarci all’interno della sua dimensione, dove può esprimersi e muoversi totalmente a suo agio, senza forzature, creando anzi l’atmosfera ideale per la lettura.” Cosciente io medesima che sia proprio così, per te, invece: quale è lo stile, tuo proprio, che ogni volta che stai per arricchire una pagina bianca e vuota con caratteri indelebili, non abbandoneresti mai e poi mai?

Penso di aver risposto a questa domanda con quello che ho detto prima: il mio stile sarà sempre semplice e fotografico, ricco di dialoghi e quotidianità, perché seguirà sempre la filosofia che mi guida nello scrivere.

9- Parliamo di “Ancora Noi” il romanzo che puntualmente io ed altri lettori stiamo seguendo, man mano che di alcune delle tue pagine, ci fai cortesemente dono sul mio Forum. I personaggi che racconti, proprio come Mandi e Danilo: nascono da te, da un pezzettino di te o più semplicemente dalla vita che ti scorre davanti agli occhi e ti carezza il cuore, alimentando la tua fantasia?

Entrambi, direi. Tutte le mie storie sono frutto della mia fantasia e le vicende così come i personaggi sono inventati. Ma questo non significa che non ci siano riferimenti personali e autobografici al loro interno. Nell’ambientazione geografica, per esempio, spesso luoghi che conosco molto bene per averli visitati o persino abitati. Le esperienze fatte sono fonte di ispirazione per qualunque autore e io non faccio di certo eccezione. La storia di Mandi non è la mia storia, ma tante delle sue esperienze e delle emozioni da lei vissute vengono direttamente dalle mie. E naturalmente sono sempre all’erta, pronta a catturare frammenti di vissuto: una persona incontrata, una storia di cronaca, un volto incrociato per strada...tutti tasselli da utilizzare nella composizione di un romanzo.

10- Ultima, classica, immancabile domanda di ogni mia intervista, quella che vuol tracciare una linea continua tra le vedute degli intervistati a proposito di un consiglio da dare all’esordiente, ed oggi chi meglio di te a cui porla, visto che del mondo letterario hai fatto la tua prima dimora. Cosa consiglierebbe dunque, in primis, Michela sacchi O’Brien ad uno scrittore esordiente, che in quel suo stesso mondo sta muovendo i primi impacciati passi?

Veramente mi considero ancora io stessa un’esordiente! Ma...direi per prima cosa di essere se stessi e, pur prendendo ispirazione dai grandi autori, di non copiare nessuno, né di seguire mode passeggere. Poi di aver fiducia in se stessi, di non lasciarsi abbattere dagli ostacoli e dai rifiuti. Infine di addentrarsi nel mondo dell’editoria, di capirne meglio i meccanismi per sfuggire a trappole e binari morti che non portano da nessuna parte. In particolare io ho trovato molto utile e stimolante parlare con altri autori “più o meno” esordienti. Ricordando anche che il confronto con gli altri è una fonte inesauribile di ispirazione e di idee!

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Grazie alla stimatissima Michela Sacchi O’Brien,

per la sua cortese e graditissima partecipazione.

Caramente, Monia Di Biagio.

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