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"10 domande a..."

-Enrico Mattioli-

di

Monia Di Biagio

Enrico Mattioli nato a Roma (in data da definire...) dove ancora "vive e vegeta e si nasconde", come dice lui stesso si occupa di umorismo e minimalismo, ha scritto "avvisiamo la gentile clientela" cioè, la cronaca di una cassa integrazione narrata da un commesso di supermercato. Racconto con il quale nell'ottobre del 2000 ha vinto il premio Atheste per la satira, era un concorso patrocinato dal comune di Padova e dalla regione Veneto. Anche se a proposito dei concorsi letterari ammette di non credere troppo nella loro valenza di riconoscimento. Altro suo racconto è "amori di terzo livello" dove tratta di un triangolo adolescenziale e del filo del destino, sullo sfondo degli acquedotti romani e della Liverpool beatlesiana. Ha inoltre scritto "stranieri nella notte" una passeggiata nei meandri personali attraverso la carrozzella romana. Poi, nella sua vita è entrato “nick la puzza” (un vecchio compagno di scuola), del quale si autodefinisce “il padre rivendicatore", e ne ha raccolto le gesta in racconti dal titolo "nick la puzza yeah yeah yeah" con ulteriore sottotitolo "storie squallide di resistenza straordinaria".  Collabora con nuoviautori, ed ha una parte dei suoi lavori su carognix, inseriti nelle rubriche "detto da voi" e "racconti". Altri siti sui quali l’autore è presente sono DMOframe e pince-nez. Conosce personalmente Carlo Trotta, con il quale sta portando avanti il progetto di edizione per un racconto scritto insieme dal titolo "comparse scomparse". Dopo il primissimo incontro con Carlo Trotta, si ritrovò inserito nell'antologia di nuoviautori, col racconto "ridotti ai minimi termini". Al momento i due co-autori stanno valutando e vagliando delle case editrici che potrebbero fare al caso loro. Delle case Editrici dice inoltre che qualcuna ha "declinato" le sue proposte editoriali, ma oggi può anche affermare che molte proposte le ha rifiutate lui perchè non lo convincevano. Musicista e Scrittore, in passato ha suonato la chitarra in un gruppo rock blues. Ma come egli stesso afferma: “l'espressione musicale è estremamente diversa dalla narrativa e cimentarmi con le note mi è stato utile per quanto concerne la prospettiva diversa, ed anche per la "musicalità" che deve scorrere anche tra le proposizioni di un racconto. Voglio dire che al di là dei contenuti - essenziali, ovvio - quando leggo mi piace avvertire anche il suono delle parole, una minima sinfonia.”

1) Gent.mo Mattioli una frase che mi ha colpito molto nella sua lettera di presentazione, è stata quella con cui ha esordito, la riporto letteralmente: "per chi si tuffa nel mare -o negli abissi, faccia lei- della narrativa, è importante trovare qualcuno che si interessi al proprio lavoro.” Ed ecco la mia domanda: quanto è difficile oggi fare e sentirsi fortemente uno scrittore? Da cosa sono rappresentate le maggiori difficoltà in questo che spesso, troppo spesso, è proprio “un mondo fatto di sole parole”?

Se un giorno "mi chiedessero una cosa del genere" risponderei che ho passato il mio tempo, sprecandolo….voglio dire che uno scrittore, pur essendo un "assorbente", nel senso che riceve tutto ciò che gli accade intorno - come ogni artista, del resto - uno scrittore, ripeto, è sempre uno che rimane da solo con un foglio bianco innanzi a se. È dentro e fuori allo stesso tempo. Va a tempo con la banda eppure stona. È un po’ come guardarsi allo specchio o parlare con se stessi. Per farla breve, mentre gli amici vanno al dancing o al biliardo, lui rimane nella sua stanza a scribacchiare. E credo che ogni scrittore potrebbe confermarlo, è più il materiale che viene scartato rispetto a quello che viene realmente usato nei lavori pubblicati.

Conoscete un'attività più rovinosa di questa? Il nostro non è un mondo solo di parole, ma anche di apparenze e  monetizzazione, e un tipo che scrive di narrativa, cosa c'azzeccherà mai con tutto ciò?  Per quanto mi riguarda, malgrado tutto, le difficoltà maggiori non sono rappresentate dal fare narrativa, ma dalla società che hanno preparato intorno a noi. Il problema non è campare di questa attività - anche Kafka era un impiegato, se non erro - bensì dal fatto che, come diceva giustamente lei, è un mondo fatto di parole ... svuotate.

2) A proposito di Case Editrici e Concorsi letterari lei non mi sembra propenso sostenitore di nessun delle due forme di promozione letteraria: cosa bisognerebbe cambiare (in Italia!) affinché il sistema editoriale funzioni e non a senso unico solo per chi pubblica un testo, ma anche per chi lo scrive?

Lei è una raffinata e fine umorista, lo sa? In quella parentesi c'è la mia risposta. Dice bene. In Italia, appunto, perché nel resto del mondo non sono convinto che la situazione sia analoga. Credo che il problema, sia da ricercare sempre nella risposta del pubblico. Oggi nessuno vuol rischiare. Perché? Per chi? Penso che se non esiste un bacino di lettori adeguato … è la richiesta. Pensi che accadrebbe se i libri cominciassero a vendere quanto un cd di laura pausini!  Credo che uno scrittore, pur di farsi conoscere, accetterebbe anche il proprio libro "taroccato".

3) Per quanto riguarda la sua forma narrativa da cosa prendono spunto, quelli che io mi permetto, oserei definire, i suoi “racconti denuncia”, ma con il sorriso sulle labbra? Esperienza personale o indignazione per “inqualificabili” esperienze altrui?

Entrambe. Rifacendomi alle precedenti domande, ne accadono di tutti i colori in questo mondo! Questo rappresenta il lato positivo, no? cosa scriveremmo altrimenti?

4) Ed è a queste nostre inqualificabili esperienze personali che fa riferimento nel suo “Buone feste Nick La Puzza!” dove abilmente satirico parla del Natale? Come vive o come convive col nostro modo di essere Cattolico Cristiani in onda sulla pay tv ed inginocchiati ai piedi di altari d’oro massiccio?

Ho letto alcune cose di moni ovaia. Mi piace l'umorismo yiddish. Sono un fanatico di woody allen. Ne "l'ebreo che ride" di ovaia appunto, è riportato che "dio ride. Ed essendo sconsideratamente eletti come suo popolo, gli ebrei non possono che ridere di se stessi".  La stessa annunciazione ebraica, a differenza della nostra cattolica notissima, è un'annunciazione ilare. L'arcangelo dice ad abramo - ormai centenario - che avrà un figlio da sara - novantenne e sterile - ed abramo scoppia a ridere. Mi dispiace che noialtri abbiamo una concezione molto severa della fede. Nel mio racconto da lei menzionato - che tra l'altro ho recentemente riveduto in alcune parti - ho preferito rimanere vago sul finale. Ma il tipo che s'avvicina a la puzza nel pub e gli chiede una sigaretta, nient'altri potrebbe essere che il "povero" cristo. Se ne sta lì, con nick a bere una pinta di birra e guardare questo mondo frettoloso che gli scorre davanti nell'imminenza del proprio compleanno. Come se volesse stare da solo con uno come nick la puzza che dice di se stesso " la gente pensa che io sia un emarginato, un disadattato, ma sono soltanto, non omologato".  C'è quell'altro mio racconto "stranieri nella notte": sempre nel finale, Filippo - il protagonista - domanda ad Anacleto - il vetturino - "secondo te, chi scrive il copione della nostra esistenza: dio, budda o zarathustra? All'insolvenza dell'altro, Filippo conclude: " comunque, molto meglio avere il loro numero di cellulare, non si sa mai …"Siamo dei clienti, solo dei clienti che acquistano gadget ai santuari e prenotano le parabole su di un canale criptato. Del resto, lennon nel '66 lo disse apertamente: "oggi, siamo più popolari noi - riferendosi ai beatles - di gesù cristo. Non so chi arriverà primo, se il rock and roll o il cristianesimo. Gesù era un tipo in gamba, ma secondo me i suoi discepoli lo hanno travisato". All'epoca fu violentemente attaccato e lui fu ingenuo, ma rileggendolo oggi, pensate che sia stato proprio così sconsiderato?

5) Vista la carrellata unidirezionale degli ultimi programmi tv, dei libri comici che hanno fatto la parte del leone alla fiera del Libro di Torino: quello di cui ha bisogno il lettore e lo spettatore oggi è la satira? Forse è l’unico linguaggio che comprendiamo appieno e che profondamente ci fa riflettere? Può parlarci in definitiva della potenza della satira e perché ha deciso di cimentarsi in questo genere letterario?

Io credo di scrivere narrativa. Del resto la satira, l'umorismo - non la comicità - partono da una base che ha molto in comune con il dramma. Le dirò anche un'altra cosa: io non credo che comprendiamo appieno questo linguaggio e che tale linguaggio ci faccia riflettere. Penso che ognuno riveda sempre il proprio vicino di casa, il collega di lavoro, l'amico di famiglia. Raramente vede se stesso. Vede tutto ciò che gli gira intorno, tranne che le proprie estremità. Più drammatico di così … però, sì, in un certo senso, fa ridere.

6) La satira è un genere molto frequentato da ambo le parti: chi la fa e chi la legge annuendo. E’ difficile farsi spazio, magari sgomitando, in questo genere letterario che poi oggi è quello che “va per la maggiore”?

Non so se poi è un genere che và così per la maggiore. Credo però, che l'umorismo migliore sia quello delle persone inconsapevoli. Pensate a coloro i quali hanno un ego troppo accentuato: non vi fanno ridere, in fondo? non sono loro la principale fonte di ispirazione?  Però, non bisogna dirglielo. Mai. Costoro rappresentano i classici "artisti di strada" e non lo sanno. Sono loro che quando vedono un film o leggono una cosa, pensano subito a tutti, tranne che a se stessi.  

7) Ho letto alcune sue poesie, e sempre con il sorriso sulle labbra, tipo: “confessioni d’uno sciupafemmine”, “rammarico” “supplizio show” “fermata del bus” “frenesia”. Mi permetta una battuta: anche quando ci si appropinqua a leggere le sue poesie prima bisogna necessariamente esordire con la consueta frase ”il momento è catartico”? E giocando con le parole, far satira per lei è una necessità o un rigoroso tenore di vita?

Mi piace la definizione "rigoroso tenore di vita". Simpatica. Ma per le risposte che le ho dato sopra, devo dire che non credo poi di far satira. È solo quel modo di cambiare gli accenti ad un dramma quotidiano che riguarda ognuno di noi. Le poesie, poi … mi divertono, ma non sono assolutamente un poeta. Avevo letto "frasario essenziale" di ennio flaiano e mi suscitarono  quelle rimette che lei ha citato. Il fatto, come dice lei, del momento catartico mi angoscia: con l'etichetta dell'umorista addosso, ci si aspetta  qualcosa di divertente, ma non sempre è così. non vorrei essere vittima del consueto "ahò, facce ride …"

8) Secondo lei c’è più verità in una battuta divertente, e magari messa in rima con quella musicalità di cui si parlava poc’anzi, o c’è più verità nello spiegare con serietà? In definitiva fare solo satira in tutte le sue forme espressive potrebbe significare a volte non essere presi seriamente?

Può accadere di non essere presi seriamente, è vero. A volte ti rendi conto che hai scritto una cosa fine a se stessa. Però, non saprei dire dove c'è più verità. Posso affermare, nonostante tutto, che c'è serietà nell'umorismo. Essenza.

9) Lei che ci mostra la realtà così com’è ma con una battuta è perché vede sempre quel bicchiere “mezzo pieno”? Naturalmente mi aspetto che mi risponda con una battuta…

No, è che vedo sempre quel bicchiere che trabocca …

10) Ultima domanda, quella classica conclusiva delle mie interviste, che però a lei vorrei sottoporre in un modo un po’ diverso: come spiegherebbe ad un esordiente, e magari con una battuta, cosa significa voler far parte di questo “mondo di parole”, voler fare della scrittura creativa la propria professione?

Se volete farne una professione, avreste perso in partenza. Quello che conta è il gioco, il ludico. Per parafrasare bukowski, quello che conta è grattarsi sotto le ascelle.

Grazie ad Enrico Mattioli, per la sua cortese e graditissima partecipazione.

 Caramente, Monia Di Biagio.

 

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