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di Monia Di Biagio Michele Davalli è nato nel 1964 a Bologna dove svolge la professione di Dottore Commercialista. Nel 1980, si trasferisce a Vercelli dove inizia a collaborare con una radio locale sia in voce che nella redazione sportiva e con un periodico della città, dove, come dice lui stesso “scrivevo di tutto, quello che mi chiedevano di scrivere.” Nel 1983 rientra a Bologna, si iscrive all'università e come specifica lui “forte delle pulsioni giovanili” inizia a scrivere poesie “influenzate” dalla sua passione per T.S. Eliot ed il suo "correlativo oggettivo". Da lì il passo verso la narrativa. Racconti brevi per lo più rimasti nel cassetto per anni. Poi...Internet ed i siti letterari. L’esordio di pubblicazione elettronica è su Neteditor.net e Scrivi.com, dove ha riscosso non pochi consensi. Nel settembre del 2003 esce il suo primo libro "Ordine Sparso": una raccolta di 30 racconti brevi. Mentre con il racconto "Linea 23" è tra i vincitori del concorso "Short Stories" 2003 indetto dall'Agenzia Letteraria “Il Segnalibro”, ottenendo così recensioni su scrivendo.it, lalineascritta.it ed il rifugio degli esordienti. I suoi racconti sono pubblicati anche su http://www.neteditor.net, http://www.scrivendo.it, www.patriziopacioni.it, www.pennadoca.net. Alla classica domanda “Perchè scrivi?” lui anticipatamente ha voluto rispondere così, citando la prefazione del suo libro: “L’esigenza di scrivere nasce per riacquistare un equilibrio, il mio. Lo scrivere ha un enorme vantaggio rispetto al resto. Scrivere è lento. Mentre scrivi hai tempo di pensare al concetto successivo. Nessuno potrà mai sapere se per scrivere una frase hai impiegato un minuto o un giorno. Se hai un pensiero buono, una brillante intuizione - non c’è altro modo - devi scrivere se vuoi mantenerla viva e liberare la tua mente per una nuova attività di pensiero. Soprattutto scrivere è attivo, è interazione di mente e corpo, di pensiero e movimento. Quindi scrivo per fissare sensazioni che forse rischierei di perdere col passare del tempo, per potermi rileggere, per capire e per capirmi. Scrivo per convincermi di essere vivo” 1- Ricollegandomi subito alla tua ultima auto-citazione, sul tuo personale “perché scrivo”: come lasci convivere lettere e numeri, scienze tecniche e scienze umanistiche nella tua vita di Commercialista e di Scrittore? Forse l’uno è un lavoro, l’altro una passione o viceversa? Voglio sfatare il mito che chi scrive debba vivere in un universo aereo estraniandosi dai meri fatti materiali e che il commercialista esista solo a contatto con l’aridità dei numeri. Lo scrittore è un artigiano che costruisce la sua storia pezzo per pezzo soppesando le parole ed usando quelle che ritiene più adatte a ciò che vuole dire, all’effetto che vuole raggiungere; il Commercialista deve ottenere un certo risultato che so 2, ma ci può arrivare sia con 1 + 1, ma anche con radice quadrata di 16 / ( 32 – 7). In entrambi i casi entrano in gioco tecnica e fantasia. La differenza è che uno mi permette di pagare i conti del dentista, di fare la spesa e di comprare le scarpe a mio figlio, l’altro mi concede più che altro soddisfazioni. 2- Ad esempio, ricollegandomi alla precedente questione, ancor prima di Laurearti, suppongo in Economia e Commercio, eri già uno scrittore, nello specifico un giornalista, ma quando collaboravi nella redazione del periodico della città di Vercelli, era per te sintomo di spronamento scrivere, per così dire, “a comando”, o solo una inutile perdita di tempo che avresti invece voluto utilizzare magari per redigere temi che più ti interessavano ed intrigavano? Forse da qui la tua successiva scelta poi di “libero professionista della scrittura”? |
Credo quella esperienza sia stata utile per riuscire ad arrivare alla mente o al cuore del lettore utilizzando poche parole, per utilizzare uno stile asciutto, ma non superficiale. Inoltre scrivendo di tutto hai la necessità di documentarti sugli argomenti che tratti, e questo è molto utile quando scrivi perché non puoi raccontare di un ragazzino immigrato clandestino se non conosci le leggi sull’ingresso dei minorenni in Italia o non sai che la regione da cui provengono maggiormente è il Khourigba nel Nord Africa. Professionista dello scrivere è una definizione ingombrante, in una realtà come quella italiana dove quelli che possono permettersi di vivere solo scrivendo romanzi sono veramente pochi, diciamo che mi impegno a sviluppare una passione nel modo più professionale possibile.
3- Ci hai brevemente accennato dei tuoi esordi in Poesia dettata (credo sempre) ed influenzata (credo solo inizialmente). Potresti dunque portarci nello specifico, qui di seguito, un esempio della tua poesia “dettata” dalle “forti pulsioni giovanili” ed “influenzata” da T.S. Eliot?
Le pulsioni giovanili sono quelle che sembra ti facciano scoppiare il petto se non trovi il modo di esternarle e l’adolescenza è uno di quei momenti in cui un ragazzo diventa uomo così rapidamente da non rendersene conto e da sentirsi disorientato. In quei momenti devi trovare te stesso, io l’ho fatto trasferendo su carta, spesso di getto, le emozioni che non riuscivo a dominare. Mi chiedi un esempio? Ecco qui una poesia scritta quando avevo circa 20 anni:
"Avvilimento"
E’ molto tempo che non piove,
c’è tanta nebbia.
L’umidità si infila nelle ossa e
le attanaglia, quasi a voler stritolar
lo scheletro, per ridurre il corpo
a vuoto sacco in balìa del
cambiamento.
Qui s’incontrano l’uomo e
la donna, diversi ed uguali.
S’incontrano e consumano il
loro momento;
s’incontrano
indossando, per
un momento, l’abito
della diversità.
Troppo stretto per
essere comodo,
troppo diverso per
dare protezione.
S’incontrano e si sfiorano,
s’annusano e s’avvertono,
si trovano e s’impoveriscono
con spietata sicurezza
frutto di
prove, battaglie e progresso.
S’impoveriscono con lo
stimolo del cane che nuota.
E’ molto tempo che non piove,
c’è tanta nebbia, ma
fa ancora troppo
freddo per un
temporale.
4- Poesia e narrativa: in quale dei due generi letterari ami più cimentarti, quando la voglia di scrivere ti afferra le mani, l’anima e la mente?
La poesia è stato il primo contatto con la letteratura attiva ed è durato fino ai 25 anni, in pratica il periodo di trasformazione da adolescente a uomo. Poi un periodo di silenzio in cui i miei interessi erano indirizzati al lavoro, allo sport ed alle donne. Quindi di nuovo l’esigenza di tirare fuori quello che sentivo. Ho iniziato a tenere in tasca un taccuino su cui annotare pensieri, frasi, aforismi. Da quel momento ho pensato che avrei potuto trasformare quei brevi appunti in storie in cui il lettore potesse immedesimarsi e lasciarsi trasportare fino alla fine. Quindi, la narrativa è il genere che preferisco ed in cui mi sento più a mio agio. Credo che la poesia sia una situazione intima dove l’autore esprime la sensazione del momento a volte senza preoccuparsi del lettore che spesso si trova disorientato.
5- Il titolo del tuo primo libro “Ordine sparso” nasce proprio dall’esigenza di aver raccolto in quest’ultimo i tanti racconti che fino al 2003 erano rimasti celati nel cassetto?
La maggior parte dei racconti del libro sono stati scritti tra il 2002 ed il 2003, quando ho deciso di provare a fare lo scrittore, cercando di sviluppare al meglio le idee che mi venivano, provando ad utilizzare tecnica, documentazione e lavoro di lima. Sono storie che raccontano la mia visione del mondo utilizzando generi, stili e personaggi completamente diversi, da qui il titolo che credo identifichi l’essenza del libro.
6- Come sei arrivato alla prima pubblicazione cartacea? Quando e quale è stato il momento in cui ti sei detto “voglio provarci”?
Ho iniziato a pubblicare le mie storie in rete riscuotendo consensi e recensioni positive. Qualcuno mi disse perché non provi a farne una raccolta, così mi sono lanciato.
7- Sul sito letterario che per frequentazione abbiamo in comune, www.pennadoca.net, ho potuto leggere il tuo racconto “Autostrada”, se mi permetti la sintesi in termini: una storia di quotidiana follia con un finale a sorpresa: Vita e Morte. Come vivi da uomo e da scrittore questi due aspetti dell’esistenza di ogni essere umano?
Da uomo la morte non mi fa paura, so che devo morire, è fisiologico. Se dovesse capitare presto il mio rammarico sarebbe quello di non avere avuto abbastanza tempo per fare tutto ciò che mi sarebbe piaciuto fare. Da qui puoi dedurre che amo la vita in ogni suo aspetto, credo che sia il dono più bello che ci sia stato dato e che meriti di essere vissuta in ogni istante lottando in ogni momento per ciò in cui si crede. A proposito scrissi una poesia:
Potranno togliermi tutto.
Potranno togliermi i valori, potranno
togliermi gli affetti, potranno
togliermi un dio,
qualunque esso
sia.
Potranno dirmi che
ho sbagliato, potranno
dirmi che tutto
ciò che ho fatto
è stato un errore, potranno
dirmi
che quello in cui ho creduto
non è
mai
esistito.
Potranno cercare di
annichilirmi, di
annullarmi, di
annientare il mio
essere.
Non potranno mai
togliermi
rabbia, sogni e voglia di fare.
Da scrittore vita e morte sono momenti dell’esistenza umana e siccome io racconto storie che parlano di uomini, sono momenti che devo necessariamente trattare.
8- Su http://www.neteditor.net il sito internet che per primo ha visto il tuo esordio di scrittore, ho potuto leggere ed apprezzare i tuoi: “Linea 23”, “Una pietosa bugia” e “Desafinado”. Mi sono resa conto proprio leggendoli che i tuoi racconti sempre brevi, hanno contrariamente in sé vaste verità e sempre una ridondante, quasi a sorpresa, morale finale. Mi domando quindi, ogni volta che pensi, che immagini, che crei e poi metti nero su bianco uno di questi racconti, è sempre per insegnare, oltre che comunicare, qualcosa di grande, ovvero quell’insegnamento che fa parte delle nostre vite ma che ha volte perdiamo di vista? Tu sei lì a ricordarcelo? A dirci “così è la vita”?
No, non pretendo di insegnare nulla a nessuno. L’uso del finale a sorpresa mi serve semplicemente per comunicare come non sia possibile fermarsi ad una sola interpretazione, ma che spesso in tutte le cose della vita è necessario andare più a fondo, ricordare la dualità tra apparenza ed essenza. Di “Un’incredibile finale di coppa” ho addirittura scritto due finali, entrambi pubblicati, per significare che nella medesima situazione un comportamento non ne esclude un altro completamente opposto.
9- Come vincitore di un concorso letterario, tra l’altro uno tra i più conosciuti perché indetto dalla nota agenzia letteraria “Il Segnalibro”, come ti poni nei confronti di questo aspetto del mondo letterario rappresentato appunto dai concorsi? Servono? Sono solo una bella soddisfazione personale? Ti sei iscritto o ti iscriveresti ad altri?
Ritengo che i concorsi poggino su di una base commerciale, che noi scrittori scriviamo per essere letti, che per esserlo dobbiamo fare in modo che il nostro nome ed il nostro libro circolino. Un modo è quello della partecipazione ai concorsi. Vincere un concorso fa sì che di te pensino: “Ma allora non è proprio uno scemo !” e scatta la curiosità, iniziano a leggerti, il tuo nome gira ed acquisti notorietà. E’ molto difficile per un esordiente alla sua prima pubblicazione sentire suonare al campanello e sentirsi dire: “Sai che sei proprio bravo? Ho letto il tuo libro che mi è stato prestato dall’amica della ragazza di mio cugino che aveva letto una recensione su un sito Internet !” Volenti o nolenti, gli scrittori realizzano un prodotto che deve essere commercializzato in alternativa scrivono per loro stessi e di tutto questo non gli interessa nulla. Quindi ben vengano i concorsi, i Maurizio Costanzo Show, i salotti, le riviste letterarie, tutti strumenti a disposizione di chi vuole utilizzarli.
10- Ultima classica domanda di ogni mi intervista, che vuol rappresentare proprio il filo conduttore, tra i diversi punti di vista degli intervistati: cosa consiglieresti ad un esordiente? Ad esempio tra i tanti siti letterari che frequenti e che ti vedono ospite come autore, come definiresti tra tutti “Il rifugio dell’esordiente”, paragonandolo ai tanti siti letterari oggi presenti sulla rete? E’ un sito utile? Ed a te nel momento del tuo esordio, ad esempio nella scelta dell’Editore, è servito?
Leggere, leggere, leggere e scrivere, scrivere, scrivere. Ed ancora non stancarsi di rileggersi e di riscriversi, far leggere ad altri i propri lavori, accettare le critiche di qualunque tenore e da chiunque provengano e soprattutto non arrendersi mai. Riguardo al Rifugio devo dire che serve soprattutto ai più sprovveduti convinti che il mondo dell’editoria sia un mondo di puri e che loro siano novelli Hemingway. Sicuramente indirizza un’esordiente ad affrontare con cognizione una realtà che a volte può essere molto dura e spietata.
Grazie a Michele Davalli, per la sua cortese e graditissima partecipazione.
Caramente, Monia Di Biagio.
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