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di Monia Di Biagio Questa intervista vorrei presentarla in esclusiva, su un piatto d’argento alle sole donne. Ma chissà forse se la leggesse anche qualche maschietto non gli farebbe per niente male. Perché oggi con noi, in nostra compagnia oltre che una grande scrittrice, c’è soprattutto una grande donna: Carmen Covito. Come lei stessa ama affermare “Carmen Covito è nata, fino a ora, due volte...”: ...la prima fu il 14 novembre 1948 a Castellammare di Stabia (Napoli); ...la seconda è stata nell'ottobre del 1992 a Milano, quando la casa editrice Bompiani ha pubblicato “La bruttina stagionata”. Si è laureata a Napoli con una tesi su Schopenhauer. Una tesi che lei stessa definisce molto sessantottina perché si trattava di un lavoro sui rapporti tra il filosofo tedesco e la filosofia indiana: "una roba proprio campata in aria", secondo la Covito di oggi. Va poi in Spagna dove segue corsi di lingua e conosce uno studente giapponese e si sposa. Hanno vissuto a Madrid, a Brescia, con soggiorni a Tokyo, e dal 1989 Carmen vive a Milano da sola. Il suo primo libro è stato un best seller: "La bruttina stagionata" era diventato di moda, c'è stata anche una versione cinematografica. Lei ha dovuto evitare di inchiodarsi in quel marchio e ha voluto proseguire la ricerca in altri mondi, perché le piacciono le situazioni di contaminazione di mezzi espressivi. Ma sentiamo cosa ci dice lei stessa sinteticamente della sua vita: “Era una vita che ci provavo, a nascere come scrittrice. Nel frattempo, il mio "io" di prima andava a vivere a Madrid, a Tokyo, a Brescia e poi a Milano, lavorando a un po' di tutto. Laureata in filosofia con una tesi su Schopenhauer, quella Carmen Covito è stata insegnante di lettere nelle scuole medie e superiori, copywriter pubblicitaria, sceneggiatrice di fumetti, giornalista culturale free-lance, redattrice editoriale specializzata in risvolti di copertina. Avendo praticato per diciotto anni il matrimonio con uno studioso giapponese, si è occupata anche di scambi culturali tra l'Italia e il Giappone. Il mio "io" attuale, oltre al mestiere della scrittura, ha imparato da Aldo Busi l'arte della traduzione letteraria. Dal 1997 ha aggiunto a tutto il resto la sperimentazione con questo sito web. Dal 1998 al 2002, cedendo a una voglia che datava dai tempi dell'adolescenza, tutte le Carmen Covito esistenti si sono messe di comune accordo a studiare archeologia.” Tra le sue opere la più recente è “La rossa e il nero” (Oscar best sellers Mondadori 2003) dove “tra feroci ironie e brillanti invenzioni che imprimono alla trama le svolte più impreviste, questo romanzo di scrittura leggera e godibile intreccia in modo sorprendente la scientificità dei metodi archeologici e le mitologie del sogno avventuroso, la commedia e l'indagine, il bisogno moderno di trovare radici nel passato e la beffarda consapevolezza che ogni rispecchiamento non può essere ormai che un'allucinazione o un equivoco.” Nella prima opera, “La bruttina stagionata” (Bompiani 1992), la protagonista Marilina Labruna vive in una Milano livida, popolata di donne solitarie e di furbi che approfittano dei bisogni d'amore. Perciò lei, quarantenne non brutta ma, peggio, bruttina, deve trovare un modo diverso di trionfare. Con questo Romanzo d’esordio l’Autrice vince Premio Rapallo-Carige Opera Prima 1992 e il Premio Bancarella 1993 Questo Best seller è stato poi tradotto in tedesco, spagnolo, francese, olandese, greco, rumeno. Ne sono stati tratti un monologo teatrale (interpretato da Gabriella Franchini con la regia di Franca Valeri, adattamento di Ira Rubini) e un film (interpretato da Carla Signoris, sceneggiatura e regia di Anna Di Francisca). |
Ed ancora “Del perché i porcospini attraversano la strada” (Bompiani 1995) per descrivere il quale Carmen Covito si è avvalsa nel suo sito della recensione di una studentessa del Liceo scientifico di Gavina di Puglia, spiegandoci e domandandoci: “sì, perché? dove sta scritto che bisogna fregiarsi sempre e solo delle recensioni dei critici letterari ufficiali? Una lettrice come questa Antonella è un gioiello di cui qualunque scrittore sarebbe ben felice di adornarsi.” Così Antonella Sarpi, la studentessa ci dice a proposito di questo libro: "Finalmente una storia diversa, libera da languori nostalgici, da memorie edificanti [...] Più che un labirinto, questa storia è una giostra, di quelle giostre veloci che con una cloche ti portano in alto in alto e poi in basso, e quanto più è rapido il movimento, tanto più è inebriante. [...] Ecco, sembra il frastuono allegro e un po' inquietante di un luna-park il fondo di questo romanzo, un frastuono che alle orecchie abituate alle atmosfere ovattate dei salotti può risultare insopportabile, un luogo dove tra le più varie e imprevedibili attrazioni avvengono anche delitti: ma il male, i pericoli veri, e lo capisci bene alla fine, non vengono da lì, non dalla vertigine che ti prende quando sei sospeso nel vuoto, non dall'insensato attraversare la strada che fanno i porcospini, ma al contrario dalla rigidità dei conformismi, dalla fissità dei moralismi, dalla staticità seriosa di chi è concentrato su di sé a costruire il proprio isolamento dietro i velluti di un sipario chiuso." In “Benvenuti in questo ambiente” (Bompiani 1997) si vuole ancora una volta porre l’accento sull'inconsistenza della distinzione “normalità e anormalità”. Fra situazioni virtualmente estreme e delicate indagini nella realtà dei sentimenti, ironiche tensioni da giallo e sfumature di rosa acidissime, Carmen Covito ci conduce in una sovversiva ricostruzione dell'idea stessa di "normalità", allestendo un romanzo da camera con molte, molte finestre aperte sull'Italia di oggi. Come ci spiega l’autrice infatti: “Se un ragazzo di diciannove anni vuole amare una donna di cinquantadue, è follia pura o è la normalità del nostro ambiente? Non giudicate prima di aver letto questa strana, inquietante, normalissima storia: tutti gli schemi possono saltare, quando il ragazzo è un extracomunitario che in comune con gli altri non ha niente e la donna è una Dama disegnata che gli appare, e gli parla, dallo schermo di un computer.” Infine in “Scheletri senza armadio e altri racconti” (La Tartaruga edizioni 1997) con una battuta Carmen ci introduce alla lettura del libro dicendoci: “Ho sempre pensato che per non avere scheletri nell'armadio bisogna avere il coraggio di buttare via l'armadio. Ai miei scheletri, infatti, ci sono affezionata. Questi tre precedono il mio debutto ufficiale nella narrativa e, in qualche loro scheletrica misura, prefigurano alcuni dei temi che ho poi affrontato nei romanzi...” Il racconto "Scheletri senza armadio" che dava il titolo alla piccola raccolta è stato incluso poi nell'antologia a cura di Enzo Siciliano “Racconti italiani del Novecento”, (Meridiani Mondadori 2001-tomo III-). Altri racconti dell’autrice possono essere letti qui: http://www.carmencovito.com/racconti.html uno "scaffale" che contiene quei racconti che sono stati pubblicati su giornali e riviste. Mentre tutti gli e-books scaricabili di Carmen Covito invece li trovate qui: http://www.carmencovito.com/e-book.html Interessantissima sempre sul sito dell’Autrice anche la sezione “Scritture di viaggio”, che potrete visionare a questo link: http://www.carmencovito.com/viaggi.html In Elzevirus invece potranno essere lette alcune importanti riflessioni dell’Autrice: http://www.carmencovito.com/elzevirus.html Non perdetevi poi la sezione “domande & risposte” sempre sul suo sito perché troppo simpatica! Ecco il link: http://www.carmencovito.com/domande_risposte.html Passando invece alle “Traduzioni” dell’Autrice che più volte l’hanno vista collaborare con Aldo Busi, ricordiamo: “Il Novellino” le cento novelle antiche tradotte nell'italiano di oggi da Aldo Busi e Carmen Covito (Rizzoli Superclassici BUR 1992): "Per noi, tradurlo è stato un doveroso gesto di simpatia verso il nonno di tutti i testi narrativi italiani: un antenato stravagante, disinvolto, audace per i suoi tempi e, forse, perfino per i nostri." Poi Carmen Covito e Aldo Busi traducono “Il Cortigiano di Baldassar Castiglione” (Rizzoli 1993) per il quale Marco Cavalli, su “Il Giornale di Vicenza” del 24 febbraio 1995, dice: "Forse uno dei libri più belli usciti negli ultimi dieci anni, restituito a uno splendore stilistico insospettabile se si tiene conto della scarsa considerazione di cui gode la lingua italiana nella contemporanea repubblica delle lettere. [...] Si discute di amore, di pedagogia, di moda maschile e femminile, di frizioni generazionali, di arte della dissimulazione, e l'effetto è quello che scaturirebbe dall'ascolto di un talk-show elegante e raffinatissimo...". Altra importante Traduzione di “La lettera scarlatta” di Nathaniel Hawthorne (Mondadori 1995-Frassinelli 1998-Superclassici Sperling Paperback 2003) per la cui traduzione ci parla Rosella Mamoli Zorzi, da “Il Gazzettino”, del 3 aprile 1995: "È stata la nuova traduzione, bellissima, che mi ha rivelato - di nuovo, con forza - le qualità straordinarie di questo romanzo. La traduzione di Aldo Busi e Carmen Covito rende tutta la potenza della grande scrittura simbolica di Hawthorne, in un italiano che non ha mai echi mal digeriti dell'inglese, con scelte lessicali felicissime". Ed infine “Colette (e Willy) Claudine a scuola” traduzione di Carmen Covito ("I Classici Classici" Frassinelli 1996) di cui ci parla Mariolina Bertini, su “L'Indice” del Febbraio 1997: "Di Claudine a scuola- romanzo d'esordio in cui, tra le pagine maliziose volute da Willy, si affaccia una Colette adolescente selvatica e un po' felina - Carmen Covito ci offre una traduzione memorabile, spigliatissima nei dialoghi e nel lessico opportunamente svecchiato, accompagnata da una ottima postfazione."
1- Gent.ma
Carmen per meglio introdurla ai nostri lettori vorrei subito porle una domanda
che la riguarda personalmente: lei che molto spesso parla di contaminazione
culturale, di miscuglio di generi, è poi proprio stata sposata per 18 anni con
una persona di cultura così diversa dalla sua: cosa ha imparato? Cosa le è più
piaciuto della cultura giapponese?
Vorrei precisare subito che dal Giappone non ho divorziato: certo, ho avuto un
legittimo periodo di rigetto, in cui mi sono occupata di altri paesi e di altre
culture, ma adesso sono tornata al vecchio amore per la cultura giapponese e mi
sono anche rimessa a studiare la lingua (gli ideogrammi sono uno scoglio
terrificante, però magari quando arriverò a ottant'anni ne avrò imparato
qualcuno, l'importante è provarci e non arrendersi mai). Del Giappone mi
interessa e mi piace quasi tutto, a cominciare dal senso estetico tradizionale
per finire con l'architettura moderna. Potrei parlarne per ore e ore, quindi è
meglio che la pianto subito qui. Ti faccio solo un esempio delle influenze che
la mia esperienza personale di vita nella società giapponese può aver avuto
sulla mia narrativa: quando sei uno straniero in Giappone, sei straniero sul
serio, non puoi in nessun modo "travestirti da giapponese", ti individuano e ti
riconoscono subito come "gaijin", cioè come "altro", e io credo che questo mi
abbia dato una sensibilità particolare per quello che provano gli immigrati, gli
stranieri, i diversi. Non devo fare un grande sforzo per mettermi nei panni di
un extracomunitario, perché in Giappone l'extracomunitario ero io, ero io quella
spaesata, goffa, ignorante delle abitudini e dei modi di fare e di dire, ero io
quella con cui tutti gli altri dovevano avere pazienza e gentilezza (l'hanno
avuta). Raccomanderei caldamente questo tipo di esperienza a chiunque creda
ancora di essere il centro del mondo: sveglia, ragazzi, il centro del mondo non
c'è più da un pezzo, e comunque se ci fosse non sarebbe qui.
2- Quanto della Carmen
Covito Archeologa è nei libri della Carmen Covito Scrittrice?
L'archeologia mi ha sempre attirata: il posto dove sono nata era l'antica Stabia,
a due passi da Pompei ed Ercolano, perciò sono cresciuta sapendo benissimo di
avere il passato sotto i piedi, bastava scavare... Ma non ho studiato da
archeologa perché non sapevo bene come si faceva a diventarlo, e poi ho
cominciato a occuparmi di altre cose, finché arrivata ai cinquant'anni mi sono
detta "o adesso o mai più" e mi sono messa a divorare libri e a visitare siti
con l'obiettivo di scrivere un romanzo che trattasse l'archeologia come una
realtà e non come un film di Indiana Jones (che d'altra parte adoro). Il fatto è
che il lavoro degli archeologi e la storia stessa dell'archeologia sono
un'avventura molto più affascinante della semplice caccia al tesoro a cui siamo
abituati a vederla ridotta nella letteratura. Non mi bastava lo stereotipo
dell'archeologo cacciatore di tesori, con gli stereotipi volevo giocarci e
incollarli assieme come si incollano i frammenti di un vaso ritrovato, ma per
far vedere sullo sfondo che, da quel vaso rotto, si può ricostruire
scientificamente un'intera sequenza di attività umane, "storie dalla terra" come
le definisce il famoso archeologo e maestro di archeologi Andrea Carandini. Ho
studiato sul suo manuale e su tanti altri, e poi sono andata a cercare odori,
sapori e parole tecniche sul sito di una vera spedizione archeologica in Siria.
Così è venuto fuori "La rossa e il nero".
3- In “La rossa e il
nero”, Cettina Schwarz (la protagonista) appena arrivata in Siria si tinge i
capelli di rosso con l'henné per sbaglio; e sempre per sbaglio, o meglio in modo
inatteso, all’ Hotel Baron di Aleppo, trova una lettera, che parla d'amore e
soldi e di spionaggio, non molto antica però misteriosa, scritta e lasciata lì
da una viaggiatrice inglese dei primi del Novecento. Insomma a volte le storie
più belle ed affascinanti nascono proprio da uno sbaglio, un equivoco? E sempre
in questo suo romanzo è la realtà che ancora una volta si rivela più
appassionante del sogno?
L'archeologia è una buona metafora per alludere a certi lavori di scavo
piuttosto fondamentali che tutti noi facciamo, o dovremmo fare, quando
osserviamo noi stessi, i sentimenti, la vita... Lo diceva anche Freud. Nel suo
studio Freud teneva delle statuette antiche, dei pezzi di scavo, e li guardava
mentre inventava la psicanalisi... Guarda caso, negli stessi anni in cui l'Hotel
Baron di Aleppo ospitava viaggiatrici misteriose e rivoluzionari col baffo
fascinoso.
4- Natalia Aspesi ha
detto de’ “La bruttina stagionata”: "Questo romanzo ha restituito ai milioni di
donne insignificanti, che faticano a crearsi la felicità che pretendono, che
nascondono il tumulto delle loro passioni per orgoglio e paura, il senso dei
loro diritti: siate bruttine e stagionate, e fregatevene." Federico Montel
invece esorta: "Un libro del quale nessuna donna sopra i quattordici anni
dovrebbe fare a meno... Continuino pure, tutte le donne, a comprare riviste che
insegnano loro come vestirsi, come truccarsi, come sbattere gli occhioni agli
uomini che incontrano sul loro cammino; un consiglio da amico, però, voglio
proprio darlo: lo facciano tenendo il libro della Covito in borsa: si tratta
senza dubbio di uno dei migliori antidepressivi inventati per le donne di questo
mondo...". E mentre ad Hollywood scoprono, per la seconda volta “l’acqua calda”:
quanto Marilina Labruna è Bridget Jones?
Posso rivendicare con pieno diritto e con tutte le necessarie prove di fatto la
priorità di Marilina Labruna su qualunque Bridget Jones. A scoprire la vita da
single metropolitana Marilina è arrivata per prima, e su questo non ci piove.
Purtroppo per le mie tasche, io scrivo in italiano e la Fielding scrive in
inglese, quindi a sbancare i botteghini e le casse delle librerie di mezzo mondo
ci è arrivata lei. Non che io mi lamenti... Cioè sì, certo che mi lamento!
Perché in fin dei conti (miliardi!) la storia di Bridget Jones è una storiellina
rosa, dove l'obiettivo finale è conquistare un uomo e tenerselo per vivere
finalmente felice e contenta (in contanti?) mentre la storia di Marilina Labruna
è un po', anzi un bel po', più tosta. La "bruttina" è una donna che impara a
guardare il mondo, dato che il mondo non guarda lei, e impara a giudicarlo per
quello che ha di sbagliato ma anche per quello che ha di buono (il sesso, per
esempio). In definitiva, non invita le donne a mettersi comode nel loro vecchio
ruolo tradizionale, ma a darsi da fare per piacere a se stesse e per se stesse.
Quindi forse non ho scritto un romanzo adattissimo a tutte.
5- Per quanto riguarda
invece “Del perché i porcospini attraversano la strada” in definitiva secondo
lei c’è più senso nell'insensato attraversare la strada che fanno i porcospini o
nel restare immobili nelle proprie fissità mentali e sociali? Nel conformismo
dei salotti letterari è più auspicabile e consigliato fare come il porcospino o
come san fare solo “le brave bambine”?
Cosa fai, ti rispondi da sola? Ma va benissimo, anzi ti ringrazio per la domanda
retorica. Io sono del parere che, come diceva Proust, mettere delle idee in un
romanzo è come lasciare su un regalo il cartellino del prezzo: non si fa, non è
elegante. Se nel testo un messaggio c'è, è perché ce l'ha trovato il lettore: lo
ha dedotto dalla storia, lo ha ricavato da quello che fanno e dicono i
personaggi. Quindi non sta a me autrice dire quale può essere la morale, o il
"messaggio" , che ho voluto mettere nel libro: non ne ho messo alcuno. Ho
raccontato delle storie che si intrecciano attraversando molti ambienti, e
l'ambiente che fa da contenitore a tutte le storie è un teatro. Nel teatro si dà
uno spettacolo, e alcuni sono sul palcoscenico, altri in platea, altri dietro le
quinte: come nella vita.
6- E sempre a proposito
di questo Romanzo, una domanda del tutto diversa dalla precedente, forse più una
curiosità, per parlare soprattutto del suo incontro con Antonio Gades
(1936-2004) del quale ci dice: “Incontrai per la prima volta Antonio Esteve
Ródenas, in arte Antonio Gades, nella primavera del 1984. Stava mettendo in
scena a Parigi il balletto "Carmen", di cui tutti parlavano in seguito al
successo che aveva avuto nella versione cinematografica diretta da Carlos Saura.
Il film "Carmen Story" era allora candidato all'Oscar. Nel luglio successivo il
balletto doveva essere presentato in Italia al festival di Spoleto, e io ne
approfittai per proporre alla rivista "Panorama Mese" un lungo ritratto
dell'artista, sotto forma di "testimonianza" scritta in prima persona. La
ripubblico qui come omaggio affettuoso a un grande maestro scomparso, e anche
alla me stessa di allora, con tutte le mie ingenuità e con la mia emozione per
quelle due ore passate a registrare la rochissima voce di Antonio e a cercare di
non subire troppo il fascino della sua passionalità politica, della sua
straordinaria onestà intellettuale e del suo sex appeal.” Ed ecco la domanda a
tal proposito: si potrebbe pensare che il personaggio del danzatore-coreografo
Camacho del suo "Del perché i porcospini attraversano la strada" sia stato
ispirato proprio da Antonio Gades. E’ così? O lo è in parte?
Solo in parte: nel personaggio di Camacho confluiscono tratti di almeno tre
diverse persone che ho conosciuto nella realtà, più molti tratti di fantasia.
Nella costruzione dei personaggi in genere lavoro così, assemblando e
rielaborando finché il personaggio non ha più niente dei modelli originari e
diventa qualcosa di autonomo, qualcosa di vivente.
7- Anche in “Benvenuti
in questo ambiente” ancora una volta si vuol tornare al sempre scottante tema
che vede come opposti la normalità e l’anormalità, il conformismo sociale e
l’altrui giudizio. Oggi il protagonista Nureddin è ancora uno dei tanti, o forse
uno dei pochi “anormali” rimasti visto che la società con i suoi inquietanti
mezzi cerca sempre più di omologarci tutti?
Appunto, il problema è capire dove sta la normalità quando ci troviamo in mezzo
ai mostri e abbiamo il dubbio di essere un po' mostruosi anche noi. In questo
romanzo mi sono divertita a far entrare in una famiglia particolarmente strana
un normalissimo giovane immigrato che, come poi scopriremo, crede di essere
anormale e in effetti lo è, ma non nel modo che crede lui e non per i motivi che
crede lui. Chi vuole saperne di più può andare a leggersi il romanzo (e magari
poi gli piace pure).
8- Per quanto riguarda
le sue numerose traduzioni, che l’hanno vista collaborare “fianco a fianco” con
Aldo Busi, quale tra queste vi ha più affascinato, avvicinato, impegnato,
divertito?
Le mie traduzioni insieme a Busi sono state un vero apprendistato in stile
bottega artigiana, preziosissimo per me. Forse la più divertente è stata quella
del "Novellino", dall'italiano antico in italiano moderno, perché trattandosi di
una raccolta di novelline brevi è stato possibile pubblicare la traduzione con
il testo originale a fronte e quindi abbiamo potuto scatenarci con gli
anacronismi e gli aggiornamenti facendo un esperimento: la traduzione non
rispetta punto per punto la lettera del testo ma non va nemmeno così lontano da
diventare un "liberamente tratto da". Quello che invece fa è cercare di rendere
con la lingua moderna sul lettore moderno lo stesso effetto che il testo faceva
con la sua lingua antica sul suo lettore antico. In altre parole: chi l'ha detto
che leggendo un classico non si deve ridere? Certe novelle del Duecento erano
scritte per far ridere, ma provate a leggere una barzelletta in una lingua ormai
morta e poi mi dite se l'avete capita.
9- Il rapporto intenso
con “il Lettore” che traspare in ogni singola pagina del suo sito, le riempie le
giornate, o gliele incasina ancor di più. Quando il rapporto diretto con il
lettore da sollievo, gratificazione, può divenire insostenibile?
Bisogna distinguere, come fanno i narratologi, il Lettore Modello dal lettore
vivo e vegeto. Del Lettore Modello abbiamo sempre bisogno e sappiamo che non ci
tradirà mai. Dal lettore vivo e vegeto invece ci si può aspettare di tutto,
anche il peggio. Quindi il rapporto diretto può essere felice, molto felice se
le persone ti scrivono e magari ti ringraziano per cose a cui non avresti mai
pensato; ma quando diventa insistenza è sempre un rapporto molesto. Io non sono
un personaggio televisivo e quindi mi risparmio gli eccessi di popolarità, ma le
mie telefonate anonime me le sono beccate anch'io (prima di scomparire da tutti
gli elenchi, cosa che, lo ammetto, fa molto VIP ma bisogna pur vivere). La posta
elettronica non è un grande problema: io per principio rispondo a tutti la prima
volta, posso anche rispondere una seconda volta e una terza, ma se poi le
richieste si fanno pressanti o pesanti, non solo non rispondo più ma faccio
anche a meno di scaricare. Uomo avvisato...
10- Ultima, classica,
immancabile domanda di ogni mia intervista, quella che vuol tracciare una linea
continua tra le vedute degli intervistati a proposito di un consiglio da dare
all’esordiente, ed oggi chi meglio di lei a cui porla, visto che del mondo
letterario ha fatto la sua prima dimora. Cosa consiglierebbe dunque, in primis,
Carmen Covito ad uno scrittore esordiente, che in quel suo stesso mondo sta
muovendo i primi impacciati passi?
Il consiglio è uno solo: nonostante i rifiuti che potrai ricevere (e ne
riceverai senz'altro) non arrenderti, non scoraggiarti, continua a scrivere, ma
continua anche a leggere.
Grazie alla stimatissima
Carmen Covito,
per la sua cortese e graditissima partecipazione.
Caramente, Monia Di Biagio.
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