Riministoria 

Antonio Montanari

Tra erudizione e nuova scienza

I Lincei riminesi di Giovanni Bianchi (1745)

 

7. Bianchi e Morgagni

 

Dal punto di vista scientifico, la dissertazione lincea più importante, è certamente quella planchiana del 28 maggio 1751, n. 21, relativa all’esame anatomico riguardante il contino Pilastri, morto «ex Apostemate in lobo destro Cerebelli». E’ un tema celebre nella storia personale di Bianchi come studioso di Anatomia. Planco qui dimostra

 

che una lesione del cervelletto provoca una paralisi nel corpo dalla stessa parte del lobo offeso, non in quella opposta come accade per il cervello. Considerata oggi il suo capolavoro scientifico, la Storia non fu allora accolta positivamente dal mondo medico con l’eccezione di Morgagni. I rapporti epistolari tra Bianchi e Morgagni sono comunque anteriori alla pubblicazione della Storia: Morgagni gli aveva già scritto che Antonio Maria Valsalva, proprio maestro, morto nel 1723, aveva sostenuto la diversità tra cervello e cervelletto circa le conseguenze delle ‘offese’ a questi organi, fornendone «la vera dimostrazione anatomica e clinica del fatto» nel De Aure humana tractatus. Ricevuta la Storia, Morgagni nell’aprile 1752 scrive a Bianchi: «A me parve degna di lode la Diligenza di Lei in riosservare attentamente ciò che tanti altri Notomisti osservando, non avevano con pari esattezza descritto […]». Quel «riosservare» è un ironico accenno, in sintonia con il carattere ilare di Morgagni, ad una ‘scoperta dell’acqua calda’ fatta da Bianchi? Probabilmente Morgagni attribuiva a Planco soltanto il merito di aver messo in ordine notizie già acquisite, ma non da tutti accettate [195].

 

Alla lettura nel consesso accademico di questa dissertazione sulla malattia del contino Pilastri, Bianchi fa precedere un prologo [196], dove osserva che

 

due cose principalmente in questa sezione impariamo; una in proposito della Dottrina Pratica nella Medicina, e l’altra in proposito, o per meglio dire, contro della Teorica comunemente nella Filosofia, e nella Medicina ricevuta; per la qual cosa questa sezione meriterà che la pubblica luce vegga, tanto più che sarà corredata da alcune altre mie osservazioni particolari, che feci con diligenza sopra la strottura delle parti che osservai, le quali grossolanamente ne’ Libri sono descritte, e delineate, avendone io fatta fare del nostro diligentissimo Academico Sig. Abb. Battarra [197] la tavola la quale in fine di questa storia vedrassi; e questa storia facilmente io volterò in latino togliendoci da essa alcune cose di contesa, che io ebbi con i Medici di Cesena, giacché queste poco servirebbero al fatto delle mie osservazioni, e delle mie scoperte, ma questa sera io reciterò la storia in lingua Toscana, cioè tale, e quale io la scrissi allora.

 

[195] Cfr. Montanari, La Spetiaria del Sole, cit., p. 15.

[196] Si tratta del prologo già ripetutamente cit. in alcune sue parti.

[197] Battarra (1714-1789) collaborò assiduamente con Bianchi, come incisore di rami per edizioni a stampa: cfr. Grafica riminese tra Rococò e Neoclassicismo, disegni e stampe del Settecento nella Biblioteca Gambalunghiana, Rimini 1980, pp. 62-69. Battarra disegnò pure la «Lince lincea» per il Fitobasano cit., e quella per il bollo a secco dell’Accademia, conservato su due dei tre diplomi originali allegati al ms. 1183, BGR: si tratta di quelli di Cella e Santini. Sia Bianchi sia Battarra, per quanto riguarda le illustrazioni dei testi scientifici, sembrano riprendere la lezione di Fabio Colonna, sulla quale cfr. E. Raimondi, La nuova scienza e la visione degli oggetti, ne I sentieri del lettore, II, cit., pp. 31-33. Bianchi nelle Nov. VIII, 35, 1. settembre 1747, coll. 552-559, dà notizia che Battarra, «nostro Accademico Linceo», s’applica «molto allo studio della Botanica, e che ad imitazione del famoso Fabio Colonna altro Accademico Linceo disegna da se egregiamente le Piante, e le incide in Rame, essendo ora intorno allo studio de’ Funghi, de’ quali ha disegnate da quattrocento Tavole, che ora va incidendo in Rame per darle poi fuori alla luce insieme con la loro Istoria». Quest’opera, la Fungorum agri ariminensis historia, con una lettera latina di Bianchi al cap. quinto, esce in due edizioni, nel 1755 (cfr. Nov., XVI, 36, 5 settembre 1755, coll. 564-568) e quattro anni dopo.

 

 

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