Diario di Giulia – Capitolo VI

Nascondendo Massimo

Tornai ai quartieri delle schiave come in sogno. La guardia che mi scortava cercò di prendermi per un braccio, ma trasalì nel vedere il mio viso, pensando probabilmente che le mie labbra gonfie e livide e i miei lineamenti esausti fossero prova sufficiente che il soldato ispanico mi aveva usata con vigore. Con troppo vigore perfino per una puttana esperta.

 

Provando lo stesso curioso distacco che avevo sperimentato prima, quando ero stata sul punto di tagliarmi i polsi, misi un piede davanti all’altro e mi concentrai sul camminare, respingendo testardamente i miei sentimenti calpestati e il tumulto interiore scatenato da un generale romano. Con facilità nata da lunga pratica, scacciai tutto e mi concentrai soltanto sull’andare avanti. Era quello l’unico modo in cui ero riuscita a sopravvivere giorno dopo giorno, e ora lo stavo facendo di nuovo, non per il mio interesse, ma per il suo, perché la sicurezza di Massimo era tutto ciò che contava.

 

Arrivammo alla porta d’accesso e la guardia attese che io entrassi, poi girò sui talloni e ritornò alla sua postazione davanti alla tenda di Massimo, presumibilmente per proteggerlo, ma quel soldato ed i suoi compagni non erano altro che i suoi carcerieri... e probabilmente i suoi designati assassini. Una volta all’interno dei quartieri delle schiave, mi ritrovai da sola per la prima volta dopo ore, a guardare in silenzio il luogo dove avevo vissuto durante l’ultimo anno, i quartieri che avevo diretto come una matrona romana dirige la casa del marito. Ma non vi era alcun marito e questa era una casa fasulla, più falsa di così non poteva essere, perché era un bordello. Un bordello privato. Niente di più. Guardai quegli ambienti come se fosse la prima volta che li vedevo. Erano gli stessi che avevo lasciato poco prima quella sera, dopo essermi profumata i capelli ed il corpo con la mirra ed aver indossato una raffinata tunica di seta bianca. Eppure mi sembravano completamente differenti e totalmente estranei. O forse erano identici e l’estranea ero io.

 

Malgrado fossi una schiava, avevo sempre vissuto circondata dal lusso e dalle comodità, con tutto ciò che mi circondava e che mi riguardava attentamente concepito per accrescere la mia bellezza e grazia. Mi era sempre sembrato naturale vivere così, avere bagni sontuosi, profumi costosi, tuniche eleganti e perfino gioielli... Ma, improvvisamente, sapevo di non poter più sopportare nulla di ciò che mi attorniava. Sapevo che non potevo vivere un altro giorno come avevo vissuto ognuno di essi. E con la stessa definitività sapevo che non sarei più andata da un altro uomo che non fosse Massimo... se lui mi avesse voluta.

 

- Giulia!

 

Trasalendo, mi voltai e vidi che Eugenia mi veniva incontro in fretta, uno sguardo di preoccupazione nel bel viso.
- Oh, Giulia! Che cosa è successo?

 

- Sto bene, Eugenia, - dissi con un debole sorriso. Era chiaramente sollevata di vedere che non ero ferita, ma dopo avermi guardata in viso più da vicino, aggrottò di nuovo le sopracciglia.
- Dove sei stata? - chiese.

 

- Nella tenda del generale Massimo, - sussurrai, sforzandomi di muovermi. Non c’era tempo da perdere e avevo molte cose da fare se volevo aiutare Massimo e, per farlo, avevo bisogno dell’aiuto di Eugenia.

 

- Il generale ispanico? - chiese. - Sei stata con lui tutta la notte? - Annuii e lei sorrise, compiaciuta. - E pensare che ero preoccupata! Vieni, Giulia! Sei sempre stata la fortunella! Avere un uomo così giovane e bello è un bel cambiamento! E’ un bravo amante?

 

Ricacciando le sue parole dette con buone intenzioni, e il dolore che esse scatenavano, l’afferrai per gli avambracci.
- Ascoltami, Eugenia, - sussurrai con urgenza. - Dobbiamo parlare. Le altre stanno dormendo?

 

- Sì. Giulia, che cosa... - cominciò, ma io la zittii scuotendola. - Zitta e ascolta! - dissi senza alcuna gentilezza. - Eugenia, vuoi vendetta? Vuoi che Cassio la paghi?

 

Il suo viso divenne pallido, lo sguardo torpido. Restò in silenzio per qualche istante. Poi mormorò:
- Perché mi fai questo? - La sua voce suonò strozzata, il tono avvilito. La scossi di nuovo.
- Rispondimi, Eugenia! Sì o no? Vuoi fargliela pagare a Cassio?

 

Come ho detto, Eugenia era più vecchia di me, ma io ero sempre stata quella che la confortava, quella che ascoltava le sue confessioni, le sue speranze e i suoi sogni. E i sogni che aveva, a profusione, erano un uomo che l’amasse, una piccola casetta in campagna e dei bambini. “Tanti bambini,” diceva sempre con la sua voce dolce e musicale. Sognava di essere mandata da un uomo diverso, un uomo che l’avrebbe amata, liberata, sposata e datole quei bambini che desiderava tanto... un uomo come Massimo. Io avevo ascoltato i suoi sogni tante volte e tenuto per me i miei, sepolti così in profondità nella mia anima da non sapere che anch’io avevo dei sogni... e che non erano tanto diversi da quelli di Eugenia. Almeno non fino a quella notte.

 

Ed ero con Eugenia quando le precauzioni erano fallite ed era rimasta incinta. Cercò di nascondere la sua condizione per qualche mese, la malattia di Turia rendendo la donna non così vigile. Ma alla fine Turia aveva notato i suoi seni gonfi e il ventre arrotondato e aveva ordinato che Andrea, che era ancora il medico della tenuta, la sbarazzasse del bambino. Andrea disse che era troppo avanti e che era pericoloso, così Turia revocò il proprio ordine, non volendo rischiare un pezzo di carne così costoso e dover affrontare poi l’ira di Cassio. Ed Eugenia era stata così felice, così ingenuamente convinta che avrebbe potuto tenere il bambino!

 

Avevo solo quindici anni quando accadde e seguivo i progressi della sua gravidanza con un misto di meraviglia e paura, stupita dai cambiamenti del suo corpo, estatica quando mi permetteva di toccarle il ventre e sentire i calci del bambino sotto le mie mani. Ero con Eugenia quando le doglie cominciarono. E con esse, l’improvvisa comprensione apparve alla sua mente e seppe che era la fine, perché le avrebbero portato via il bambino non appena fosse nato. Cercava disperatamente di nascondere le doglie, ma non poteva andare contro natura e alla fine venne la levatrice e prese in mano la situazione. Quando mi ordinò di uscire, rifiutai di muovermi e restai con Eugenia per tutto il travaglio. Dopo ore di doglie, il bimbo venne al mondo, un bel maschietto. Ridemmo e piangemmo per la meraviglia e l’incredulità davanti al miracolo di cui eravamo appena state testimoni, mentre la donna si occupava della placenta, più interessata a quella che alla ragazza sulla branda, perché l’avrebbe venduta a qualche donna ricca per scopi di bellezza, ad un prezzo più alto di quello che le era stato pagato per le sue arti… Ma le nostre risa ebbero vita breve, perché la levatrice prese il bimbo dalle braccia di Eugenia e lasciò in fretta la stanza... Ella si scagliò dalla branda ululando come un animale ferito e io rincorsi la levatrice, ma fui fermata alla porta da una delle guardie della villa che rudemente mi spinse dentro e sbarrò la porta. Era il crepuscolo e fummo lasciate sole. Mi presi cura di Eugenia meglio che potei e passammo l’intera notte in silenzio senza dormire, tenendoci le mani strette così forte che l’indomani erano gonfie e doloranti. All’alba, la porta si aprì e mi fu ordinato di uscire mentre Andrea entrava nella stanza con viso impassibile.

 

Non vidi Eugenia per oltre un mese. Quando ritornò nel nostro settore della villa, si comportò come se non fosse successo nulla. Non parlò mai più del suo bambino, ma io sapevo che pensava a lui ogni giorno e lo sognava ogni notte. La udivo piangere quando pensava che stessi dormendo e la udivo mormorare ninne-nanne mentre dormiva. E io sapevo che voleva vendetta. La voleva tanto intensamente quanto la volevo io.

 

Eugenia aveva il viso di gesso, lo sguardo indecifrabile, il respiro irregolare. Sapevo che le stavo facendo molto male, ma per qualche motivo non importava. Avevo bisogno del suo aiuto ed ero pronta a fare di tutto per averlo. Vagamente mi chiesi da dove era uscita questa Giulia fredda, dura, implacabile… ma forse ero sempre stata così e non lo sapevo, così come non sapevo quanto desiderassi morire, o che malgrado la disperazione della mia situazione avevo dei sogni e che i miei sogni erano quelli di ogni donna. Forse ci era voluta quella notte di tumulto e verità, di piacere e dolore per risvegliare questa Giulia, una Giulia che sapeva anche cosa si prova a sentirsi accudita, calda e sicura. Una Giulia che sapeva che non poteva continuare a fare la prostituta.

 

- Che cosa vuoi che faccia? - chiese Eugenia, lo sguardo ora rilucente d’un fuoco freddo, la schiena eretta, il mento fermo.

 

- Voglio che mi aiuti ad assecondare il generale Massimo nell’uccidere Cassio, - dissi. Ella sobbalzò, ma sostenne il mio sguardo.

 

- Ne sei sicura? - chiese.

 

- Sì, Eugenia. Ne sono sicura. Mi ha chiesto lui di aiutarlo. - Alzai una mano per fermarla e aggiunsi con un mormorio affrettato. - E’ venuto qui per impedire a Cassio d’usurpare il trono. L’imperatore è in viaggio e arriverà presto. Ma Cassio teme Massimo e vuole farlo uccidere. Lo nasconderò qui e lo aiuterò a introdursi nella tenda di Cassio. Tu mi aiuterai?

 

Eugenia scosse il capo incredula.
- Giulia, di che cosa stai parlando? Ti fidi di quell’uomo, un uomo che conosci a malapena?

 

- Sì, mi fido di lui! - scattai in risposta. - Mi fido di lui e lo voglio aiutare. Ha promesso di liberarci...

 

Fu la volta di Eugenia di afferrare le mie braccia e scuotermi.
- Giulia, è un uomo. E’ giovane e bello, lo so, ma non è diverso dagli altri. Ti ha presa alla festa e poi ti ha portata nella sua tenda per continuare a prenderti. Ti ha usata esattamente come han fatto tutti gli altri uomini!

 

- E’ diverso e io lo aiuterò, - sibilai. - Se sei con me sarà molto più facile. Se non lo sei... lo farò comunque. Sei con me sì o no? Se no, almeno vattene e lasciami fare quello che devo fare! - Vidi Eugenia esitare e la braccai impietosa come una lupa bracca la sua preda. - Se non vuoi farlo per me, - dissi senza mai distogliere i miei occhi dai suoi, - almeno fallo per Giulio!

 

Eugenia sbiancò.
- Come lo sai? - domandò con voce bassa, rauca. - Come sai il nome di mio figlio?

 

- Perché te lo sento ripetere nel sonno ogni volta che divido i miei alloggi con te!

 

Eugenia trasalì come se l’avessi colpita. Poi, con voce piatta, disse.
- Che cosa vuoi che faccia?

 

- Il generale Massimo sarà presto qui. Aprirò la porta sul retro e lo aspetterò. Lo nasconderò nella mia stanza. Nel frattempo, tu sveglia Onora e Eliana. Sono le più perspicaci. Spiega loro cosa succede. Quando le altre si sveglieranno, ci faremo aiutare da loro. Massimo ci dirà cosa fare.

 

- E se qualcuna di loro rifiuta di aiutare o si spaventa? - chiese Eugenia.

 

- La mettiamo fuori combattimento. Adesso va! Devo aprire la porta e farlo entrare.

 

Allontanai Eugenia spingendola e andai all’entrata posteriore, ma lei mi prese per un braccio e mi fece voltare.
- Gli ho dato il tuo nome, Giulia, - disse, gli occhi scintillanti di lacrime trattenute, le labbra serrate dolorosamente mentre cercava di sorridere. Io annuii e presi una lampada dal tavolo vicino. Alle mie spalle, Eugenia disse con calma. - Sai, Giulia? Se non ti avessi conosciuta meglio, direi che ti sei innamorata del generale Massimo.

 

Povera Eugenia, così semplice e dolce! Era la cosa più vicina ad una amica che avessi mai avuto, tuttavia non mi conosceva realmente. Non mi conosceva per niente. Nessuna mi conosceva davvero. Neppure io stessa. Almeno non fino a quella notte. E a Massimo.

 

Non dovetti aspettare molto. Arrivò in orario, la spada in mano, il viso una maschera indecifrabile, un uomo con una missione, ben lungi da colui che mi aveva baciata così impetuosamente che l’acre gusto del sangue ancora indugiava nella mia bocca. Senza una parola, sbarrai l’entrata posteriore, lo guidai nella mia camera e chiusi la porta dietro di noi.
- Puoi restare qui, - dissi, evitando i suoi occhi. - Quando sarà il momento, ti porterò alla tenda di Cassio.

 

- Che cosa hai detto alle altre donne? - sussurrò, anche lui evitando di guardarmi direttamente.

 

Prima che potessi rispondere, ci fu un leggero bussare alla porta ed Eugenia entrò nella stanza. Si bloccò quando vide Massimo, poi guardò me.
- Massimo, questa è Eugenia. Ci aiuterà e si preoccuperà di tutto, qui, mentre noi... mentre andremo alla tenda di Cassio, - spiegai.

 

Massimo annuì.
- Grazie, Eugenia, - disse con la sua possente voce profonda. - L’imperatore sarà qui presto, ma non so quando. Devo fermare il tuo... - esitò, poi si corresse, - ...devo fermare Cassio. Quando arriverà Marco Aurelio, tutte voi sarete liberate. Vi dò la mia parola.

 

Eugenia chinò la testa e sussurrò:
- Gli dei ti benedicano, generale. - Poi, rivolta a me, aggiunse. - E’ fatta, Giulia. Onora e Eliana lo diranno alle altre, quando si sveglieranno...

 

- Giulia, - continuò Massimo. - Ho parlato con Gallieno, il portavoce della mia cavalleria, e ho dato disposizioni per farmi aiutare dai miei uomini. Ma devo sapere se Cassio lascerà l’accampamento e quando ritornerà. Qualcuna delle tue amiche o ancelle può fare da intermediaria?

 

Eugenia ed io ci scambiammo un’occhiata.
- La tua servetta... - cominciò Eugenia, ma io scossi la testa.

 

- No, Rufa è solo una ragazzina che ha paura persino della propria ombra. No, deve farlo una delle donne...

 

Eugenia annuì.
- Lo faccio io, - disse con voce ferma.

 

- Ne sei sicura? - chiese Massimo. - Sarà pericoloso...

 

Lei guardò Massimo e sorrise.
- Non ti preoccupare, generale, - disse. - Non ti deluderò. - Silenziosamente, lasciò la stanza.

 

Non c’era altro da fare, se non aspettare fino a quando avesse potuto entrare in azione... o fino a che fossero venuti a cercarlo. Senza una parola, mi avvicinai ad uno dei miei bauli e presi una tunica di seta color lavanda ed un paio di sandali. Poi, mi girai verso Massimo.
- Riposati un po’, - dissi con calma. - Io sarò nella stanza accanto con Eugenia. - Massimo annuì e io lo lasciai.

 

Tra le molte tribolazioni che dobbiamo affrontare nella nostra vita, aspettare è una delle peggiori. Le ore passano lentamente, in modo tranquillo, ma la tensione dentro i quartieri delle schiave è quasi insopportabile. Solo esercitandoci possiamo mantenere una sembianza di normalità.
Avevamo disperato bisogno di sapere che cosa stava accadendo nell’accampamento, ma non potevamo rischiare di andare in giro a fare domande. Eliana ed Onora riuscirono ad uscire e tornarono con buone notizie: Cassio era andato a cavalcare con la sua scorta e le guardie non avevano ancora notato la scomparsa di Massimo.

 

Ma più tardi, quando Eugenia tornò dal suo incontro con Gallieno, sapemmo che eravamo nei guai.
- Le guardie non hanno dato l’allarme, ma ti stanno cercando, generale! - disse Eugenia. - L’ufficiale dice che sono riusciti a metter fuori combattimento due guardie e che le hanno sostituite con tuoi uomini, ma le altre due stanno venendo qui!

 

Massimo e io ci scambiammo un’occhiata.
- La stanza da bagno, - dissi e Massimo si ritirò lì mentre io conferivo con le donne. Poi, andai nel bagno e chiusi la porta.

 

- Sai nuotare?

 

Gli occhi di Massimo si spalancarono.
- Cosa? - chiese. - Certo che so nuotare! Sono un soldato! - sembrava offeso.

 

- Fortunato te! - risposi secca. - Io non sono capace! Se cadessi in un fiume o in uno stagno, annegherei! - Andai allo stipo e cominciai a rovistarvi.

 

- Che c’entra con Cassio?

 

Senza prestargli attenzione presi una boccetta ed una ciotola di petali freschi di rosa e andai alla vasca da bagno. Mettendo la ciotola sul bordo, versai nell’acqua l’olio della boccetta. Un profumo di rose riempì la stanza.
- Levati i vestiti! - gli ordinai in modo spiccio.

 

Ora Massimo non aveva solo un tono offeso, ma anche l’aria oltraggiata.
- Giulia, sei pazza? - domandò.

 

- No, generale, - ringhiai. - E non sto giocando ad ammaliarti, sto solo cercando di salvare quel tuo corpo da dio! Adesso, datti una mossa e levati i vestiti!

 

- Giulia, cosa…

 

Mi voltai a guardarlo con sguardo irato e duro.

- Nasconditi nella vasca da bagno, generale! Sott’acqua! Non ci puoi entrare tutto vestito. Adesso sbrigati! Devo nascondere i tuoi stivali, la tunica e la spada… E prega i tuoi dei preferiti che le guardie in arrivo siano ottuse!

 

Restò zitto per un momento, guardandomi come se non mi avesse mai vista prima. Poi, cominciò a slacciarsi gli stivali. Andai alla porta e chiamai Eugenia. Arrivò immediatamente, ma io le sbarrai l’entrata.
- Sto nascondendo il generale Massimo nella vasca da bagno. Devi nascondere i suoi abiti, gli stivali e la spada. Nascondeteveli addosso: non possiamo rischiare che le guardie frughino questo posto e li trovino. - Eugenia annuì. Mi voltai e scoprii Massimo accanto a me. Mi diede i suoi stivali e io li gettai nelle mani di Eugenia, ma quando allungai la mano per la sua spada lui scosse la testa facendo cenno di no.

 

- Massimo, la spada e la tunica! Adesso!

 

- Non lascerò la mia spada! Se mi trovano, almeno avrò la possibilità di morire combattendo!

 

- Se non ti sbrighi non avrai alcuna possibilità!

 

- No, - disse lui risoluto.

 

- Massimo, so che cosa fa una spada alla carne umana e non voglio che mi ferisca!

 

- Di che cosa stai parlando?

 

- Entrerò nella vasca da bagno con te, generale! E non voglio che il mio corpo venga ridotto a fettine!

 

- Tu cosa?!

 

Gli afferrai gli avambracci e cercai di scuoterlo... Avrei dovuto cercare di scuotere le colonne del tempio di Giove.
- Massimo, perquisiranno questo luogo! La nostra sola possibilità per farli uscire dalla stanza da bagno abbastanza in fretta perché tu possa non essere scoperto è che mi trovino mentre mi faccio il bagno. Adesso dammi la spada!

 

Dopo una breve esitazione, Massimo annuì e mormorando “Stai attenta,” mi diede la pericolosa arma, che io passai ad Eugenia mentre in fretta spiegavo alle altre donne cosa volevo che facessero quando fosse venuto il momento di segnalarmi che Massimo doveva mettersi sott’acqua. Poi mi voltai, solo per scoprire che Massimo era ancora vestito. Prima che potessi strillargli dietro, alzò una mano per zittirmi.

 

- Meno cose avranno da nascondere, meno rischieranno. Posso sopravvivere con una tunica bagnata, - disse con un vago sorriso e fu il mio turno di annuire.

 

Dopo qualche istruzione finale alle donne, chiusi la porta e andai ad un tavolo vicino, presi una coppia di pettini d’avorio e velocemente avvolsi i miei capelli lunghi fino alla vita. Massimo mi guardò con il misto di meraviglia e imbarazzo che tutti gli occhi degli uomini mostrano quando si tratta di guardare le donne che completano la magia della loro toletta. Poi, fissando i miei occhi su quelli di Massimo, aprii i fermagli delle spalline della mia tunica e la lasciai cadere sul pavimento, la seta color lavanda raccogliendosi ai miei piedi. Non indossavo una sottotunica, solo i miei succinti indumenti intimi, dei quali pure mi disfai, i miei occhi non lasciando mai i suoi.

 

Quando avevo sedici anni, poco prima di lasciare Roma, fui mandata dal figlio quattordicenne penosamente timido di un senatore, e mi fu ordinato di insegnargli come essere uomo, perché suo padre era preoccupato della sua virilità. Il ragazzo era dolce e vergognoso, dai modi gentili, e molto spaventato da me e dalla cosa. Mi guardava meravigliato mentre mi spogliavo, arrossendo imbarazzato, ma decisamente bramoso della donna di fronte a lui. Sebbene non fosse un ragazzino timido, ma un uomo, e molto virile, Massimo adesso aveva lo stesso sguardo del figlio di quel senatore. Vidi il generale romano sforzarsi di non spostare lo sguardo dal mio viso e permettergli di vagare per tutto il mio corpo nudo. E lo vidi fallire.

 

Sono snella ma tutta curve, la mia pelle bianca come latte e perfetta. Con i capelli raccolti, nulla offuscava la vista di Massimo. Per tutta la vita ero stata continuamente lodata per la mia bellezza, ma io non ne ero mai stata orgogliosa in modo speciale, perché era la mia bellezza che mi condannava ad una vita di prostituzione. Ero così abituata all’effetto che la mia bellezza aveva sugli uomini che al presente me ne accorgevo appena. Ma vederlo sul viso di Massimo era diverso. Completamente diverso. Ed eccitante.

 

Stando in piedi nuda di fronte a lui mi sentivo orgogliosa. Orgogliosa quanto può esserlo una donna. Mi sentivo bella, davvero bella. E potente. Perché il suo sguardo acceso non era di semplice lussuria, ma quello di un maschio che riconosce una femmina e quindi ciò che lo rende maschio. Era un tributo alla mia femminilità, perché mi stava guardando come una donna, una donna vera, completa, e non un pezzo di carne modellato in modo mirabile per essere concupito, usato e gettato da parte. Invece, i suoi occhi mi carezzarono e io mi sentii calda, deliziosamente calda, quasi mi avesse presa tra le braccia e mi stesse amando teneramente. Teneramente come avevo sempre desiderato essere amata. Teneramente come mai nessun uomo mi aveva amata.

 

- Dopo di te, generale.

 

Massimo trasalì e poi annuì, andò alla vasca ed entrò nell’acqua. Si girò verso di me e tese le mani. Come in sogno, gli andai incontro a piedi nudi e per un breve, fugace momento mi sentii come una sposa vergine che andava al letto di nozze. Massimo prese la mia mano nella sua e gentilmente mi aiutò ad entrare nella vasca, ma quando mi girai per guardarlo, i miei seni nudi gli sfiorarono leggermente l’avambraccio. Il fuoco divampò dal punto di contatto e si sparse lungo il mio corpo. Lo udii trattenere il fiato e le sue dita si strinsero attorno alle mie, lo stesso fuoco ardendo nei suoi occhi. Il mondo e i suoi pericoli svanirono e per un breve, fuggevole momento ci fummo solo noi due. Fu solo un battito, ma sembrò durare per sempre. Solo un battito e fu tutto finito. Muovendoci all’unisono, ancora tenendoci per mano, ancora guardandoci negli occhi, ci inginocchiammo uno di fronte all’altra nella vasca da bagno. L’acqua era deliziosamente calda, l’olio profumato trasformandola in seta liquida, la fragranza di rose forte e sensuale.

 

Sebbene fosse una vasca grande, non c’era abbastanza spazio perché entrambi stessimo comodi, non che la comodità fosse una priorità. Mi sedetti e piegai le ginocchia per accomodarmi meglio. Egli cercò di allontanarsi, ma non c’era posto dove andare e mi guardò con aria di scusa mentre i nostri corpi si toccavano sotto l’acqua.

 

- Per quanto riesci a rimanere sotto? - chiesi, per distoglierci dal mutuo contatto che ci turbava.

 

- Abbastanza a lungo, - disse con un sorrisino contorto. - Essere un buon nuotatore mi ha fatto guadagnare il mio posto nell’esercito quando avevo quattordici anni: quasi attraversai il Danubio.

 

- Bene, - dissi. - Quando le donne daranno l’allarme, tu vai sotto e io verserò i petali di rosa nell’acqua per oscurare la superficie. Ci sarà un putiferio e io uscirò dalla vasca. Non farci caso, solo rimani nascosto e non afferrarmi: devo essere in grado di uscire rapidamente o sospetteranno. Ti tireremo fuori quando se ne saranno andati.

 

Massimo annuì e si sforzò di nuovo di accomodare la sua grossa figura. Sembrava non ci fosse modo di evitare che i nostri corpi si toccassero e quando Massimo cercò di evitare di scivolare sul marmo bagnato, le sue dita mi graffiarono le gambe.

 

- Scusa, - mormorò mentre cercava senza successo di allontanarsi da me.

 

Scusa?

 

Nessuno mi aveva detto “Scusa” da quando il figlio quattordicenne di quel senatore era diventato uomo tra le mie braccia. E ora il più grande generale di Roma mi stava dicendo che gli dispiaceva avermi toccata accidentalmente. Che non aveva voluto mancarmi di rispetto, mancare di rispetto a una puttana nuda che era stata talmente eccitata dal suo comportamento e talmente trasportata dal proprio eccitamento che aveva senza vergogna implorato di essere presa da lui e aveva raggiunto l’orgasmo malgrado il rifiuto di lui di farlo. Avevo voglia di ridere. Avevo voglia di piangere. Avevo voglia di prendere Massimo tra le mie braccia, premergli la testa contro i miei seni e carezzargliela, come avevo accarezzato quella del ragazzo… ma sapevo che erano arrivate le guardie perché udii gli strilli delle donne insultarle mentre entravano nei nostri quartieri. Udii i nostri letti che venivano capovolti e i nostri armadietti strappati dalle pareti e fatti a pezzi al suolo. Mi tesi e mi rannicchiai più in basso nella larga vasca, le ginocchia piegate al petto, i miei occhi fissi su Massimo. Il rumore divenne più forte e le guardie più vicine, nonostante gli sforzi di tenerle a bada. Mi morsi le labbra e annuii a Massimo. Egli prese un respiro profondo e s’immerse, e io versai in fretta i petali di rosa sulla superficie dell’acqua.

 

Le guardie irruppero dalla porta contorcendosi per sfuggire alle grinfie delle donne che le inseguivano. Non potei far a meno di ammirare la loro interpretazione mentre graffiavano le loro facce, strappando vestiti e capelli, e tirando calci nei loro stinchi. Quando una guardia raggiunse la vasca da bagno, mi coprii i seni con le mani e arrabbiata ordinai:
- Fuori di qui, zoticone! Non vedi che sto facendo il bagno?

 

- Dov'è lui? - urlò la guardia, uno sguardo furioso sulla faccia.

 

Curiosamente, non mi sentivo impaurita, ma euforica. Potente. Invincibile.
- Dov'è chi? - chiesi con voce fredda e dura, i miei alluci che toccavano i capelli di Massimo.

 

- Il generale Massimo! Era con te la scorsa notte ed ora se n’è andato!

 

- Idiota! - gli urlai. - Mi hai scortato tu stesso fin qui la scorsa notte, ed è lampante che lui non c’era, con me!

 

L’uomo balzò su di me, afferrandomi il braccio e mi trascinò via dall’acqua, rivoletti che si riversavano giù dal mio corpo nudo mentre petali di rosa s’incollavano alla mia pelle scintillante. Eugenia, Onora e le altre immediatamente si interposero tra me e la vasca, avvolgendomi in un grande telo morbido, guardando minacciose le guardie.

 

- Ebbene? Mi hai strappata al mio bagno. E adesso? - urlai con tutto il fiato. - Vuoi che ti mostri di nuovo i nostri quartieri, guardia? Per provarti ancora una volta che il generale Massimo non è qui?

 

Per un attimo, il soldato rimase fermo lì, esitando, così io gli afferrai il braccio e lo spinsi verso i quartieri dormitori. Non sapevo quanto tempo fosse trascorso, ma ero certa che dovesse sembrare un’eternità ad un uomo sott’acqua.

 

Sfortunamente, la guardia sembrava aver ritrovato le sue facoltà mentali.

 

- Non così in fretta, - disse guardandosi intorno nella stanza da bagno. Nonostante il lusso, era una stanza piccola ed era evidente  che non ci fosse dove poter nascondere un uomo, ma lui trafisse comunque i tendaggi e sparse ovunque le pile di teli per asciugarsi, prima di permettermi di condurlo fuori. Obbligarmi a non guardarmi indietro mentre uscivamo dalla stanza fu una delle cose più difficili che avessi mai fatto. La maggior parte delle donne e l’altra guardia ci seguirono, ma Eugenia, Onora, Furnillia e Arianna in silenzio rimasero indietro e con la coda dell’occhio le vidi chiudere la porta.

 

Io rimasi con le guardie mentre perquisivano di nuovo le nostre stanze da letto. Erano come impazzite e sfogarono la loro frustrazione sulle nostre cose, rovesciando i nostri vestiti, trafiggendo i cuscini e rompendo vasetti di profumo e unguento. Rimasi freddamente distaccata mentre continuavano con la loro distruzione, e indicai a una terrorizzata Rufa di portarmi una veste. Quando fu chiaro che non avevano trovato alcun indizio della presenza di Massimo o nei paraggi, si volsero verso di me.
- E adesso cosa c’è, soldati? - chiesi con voce fredda e dura. Vidi l’intento omicida nei loro occhi e anche le altre donne lo videro.Mi circondarono protettive. - Fareste meglio a pensarci bene, - dissi con la stessa voce dura e con lo stesso distacco. - Sono una proprietà del generale Cassio, una proprietà di molto valore… A proposito, anche tutto questo è sua proprietà… - Con la mano indicai ciò che restava dei nostri quartieri. La guardia più vicina a me strinse le labbra, poi girò sui talloni e uscì, seguita da vicino dal suo compagno. Con un sospiro, mi indossai in fretta la veste e corsi nella stanza da bagno.

 

Trovai Massimo ancora nella vasca, in ginocchio, ansimante, la fronte premuta contro gli avambracci poggiati sul bordo, Eugenia e Onora accanto a lui. Gli avevano messo un telo sui capelli bagnati e un altro drappeggiato attorno alle spalle. Mi precipitai da lui e mi accovacciai al suo fianco, togliendo il telo e strofinandogli dolcemente la testa mentre mormoravo:
- Sei salvo, Massimo. Ce l’abbiamo fatta. Sei salvo, mio… - Mi bloccai appena in tempo per non chiamarlo “mio amore” ma non avevo bisogno di guardare il suo volto per sapere che aveva udito le mie parole esattamente come se le avessi pronunciate davvero. Parole che non avevo mai usato prima. Parole che più non ho usato, da quel giorno. Gli misi le mani sotto le ascelle, reggendolo mentre si alzava, l’acqua che si rovesciava a cascata dalla sua tunica bagnata fradicia, riempiendo di pozzanghere il pavimento di mattonelle rosse. Una dozzina di mani si tesero verso di lui per aiutarlo e Arianna gli porse un panno inzuppato nell’acqua pulita, che egli con gratitudine si premette sugli occhi, ancora inginocchiato nella vasca, la tunica modellata intorno al suo corpo muscoloso, rosei petali appiccicati alla tunica color rosso vino.

 

Massimo odorava di lana bagnata e rose e quando aprì gli occhi essi erano arrossati. Scavalcò il bordo della vasca, facendo attenzione a non scivolare sul pavimento, mi guardò e sorrise con quella sua aria da ragazzino.
- I miei ringraziamenti, mia signora, per avermi permesso di prender parte al tuo bagno, ma la prossima volta usa una mano più leggera con gli oli profumati. Fanno bruciare gli occhi come fiamme! - Non potei trattenermi dal sorridere di rimando mentre le altre soffocavano le loro risatine, tutte loro ammirando sfacciatamente la sua figura virile.

 

- Se ne sono andati? - chiese lui.

 

La stanza era una foresta di donne bellissime che circondavano un uomo bellissimo, bagnato. Tutte le teste femminili si chinarono all’unisono in una risposta affermativa.

 

- Grazie, mie signore. Sarete presto donne libere. - Si rivolse a me, tutta la giocosità svanita e dimenticata, di nuovo un generale da capo a piedi. - Giulia, vestiti e vieni con me... indossa qualcosa di seducente. - Detto questo e chiaramente congedandomi, strizzò quanta più acqua possibile dalla propria tunica, infilò gli stivali e prese la spada. Un  attimo dopo, Eliana si precipitò nella stanza ridendo.
- Ho visto quei soldati che se ne andavano, - ridacchiò. - Erano bianchi come lenzuola e sapete dove andavano?

 

- Dove? - chiesero le donne contemporaneamente.

 

- Di corsa fuori dell’accampamento. Ci giurerei! Hanno attraversato il cancello principale e hanno cominciato a correre verso i boschi dall’altra parte. Li ho visti!

 

Sollevate, le belle schiave che circondavano Massimo scoppiarono a ridere e lo stesso generale non riuscì a trattenere un sorriso di trionfo. Nessuno notò che io non stavo ridendo. Al contrario, stavo cercando di farmi forte contro l’ondata di amarezza e risentimento che mi aveva travolta quando avevo udito Massimo ordinarmi di vestirmi adeguatamene per recitare il mio ruolo… quello della puttana. Mi morsi le labbra e mi voltai. Ancora senza essere notata, lasciai la stanza da bagno trattenendo tenacemente le lacrime.

 

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