Diario di Giulia – Capitolo IV

L’alcova

Una volta all’interno della camera privata, Massimo mi mise giù e tirò i tendaggi, chiudendola. L’alcova era una delle piccole zone cortinate che Cassio ordinava sempre di collocare nella parte posteriore della tenda in cui aveva luogo una delle sue famose feste. Gli piaceva dire che si prendeva cura dei bisogni dei suoi amici… “di tutti i loro bisogni”, rimarcava enfaticamente… e questi cubicoli erano il suo tributo personale a coloro che, diversamente da lui, preferivano un po’ d’intimità quando si trattava di godere dei loro piaceri. Non che queste stanzette fossero molto riservate... Pesantemente cortinate da tutti e quattro i lati, le alcove preservavano da occhi indiscreti chi era all’interno, ma erano ben lungi dall’essere isolate acusticamente. Quella che Massimo aveva scelto a caso era scarsamente ammobiliata: solo un divano, un tavolino e una lampada ad olio la cui scarsa luce non raggiungeva gli angoli lontani. Con la tenda chiusa, eravamo quasi al buio.

Restare priva del calore del suo grande corpo muscoloso fu come uno schiaffo sul viso. Aprii gli occhi vacillando e mi morsi il labbro per evitare di emettere lamenti, a tal punto sentivo il bisogno delle sue braccia strette intorno a me e della sensazione di sollecitudine e sicurezza che in esse avevo trovato. Ma il generale Massimo sembrava aver completamente dimenticato la mia presenza, mentre tastava il tessuto della tenda ed i suoi occhi scrutavano l’alcova e quelle attigue, totalmente guerriero in quel momento, non più l’uomo che mi aveva baciata appassionatamente soltanto pochi minuti prima.

Quel cambiamento improvviso era sconcertante ma, visto sotto questa nuova luce, il generale Massimo sembrava ancor più magnifico di quando si era girato a guardarmi per la prima volta. C’era qualcosa di assolutamente mascolino, primitivo ed eccitante in lui; era come guardare uno splendido leone cacciare silenziosamente la preda o un maestoso stallone selvaggio sorvegliare il proprio territorio. Ironicamente, pensai che probabilmente non molte donne, certamente non sua moglie, lo avevano mai visto come lo stavo vedendo io in quel momento.

Sua moglie. Egli aveva ammesso il suo desiderio per me. Non che fosse necessario: sposato o no, il suo corpo traditore aveva parlato da sé. Tuttavia, egli aveva detto che intendeva restarle fedele, per quanto difficile potesse essere per lui... C’era qualcosa di sconvolgente in quel bell’uomo austero, tanto fieramente attaccato al suo senso morale, quanto alla sua lealtà ad un imperatore che si diceva fosse morto. Non c’era da stupirsi che Cassio avesse tanta paura di lui.

Il silenzio si prolungò fino a divenire insostenibile. Avevo bisogno che mi parlasse, che mi rassicurasse. Rassicurarmi di che cosa? Che si ricordava ancora che c’ero? Che il suo corpo stava ancora ammettendo quanto egli mi desiderasse? Che potevo essere trattata con gentilezza e non solamente usata e gettata via come la schiava e prostituta che ero?

- Massimo...

Mi zittì portandosi un dito alle labbra e rimase immobile, in ascolto, la testa leggermente inclinata di lato. Nella scarsa luce dorata, mantenni lo sguardo sul suo profilo mentre lui restava in ascolto per alcuni istanti, l’elegante naso un po’ largo, ma molto patrizio a dispetto delle sue umili origini.

Poi Massimo si rilassò visibilmente, mi prese la mano e mi trasse a sé, finché i miei seni gli sfiorarono il petto. I miei capezzoli divennero duri come piccole gemme e fuoco liquido sfrecciò da essi fino ai miei lombi e al ventre.
- Con molta calma, ora, dimmi quello che sai, - disse lui.

Riuscivo a malapena a respirare, figuriamoci a parlare. All’improvviso, mi sentii stranamente schiva e rimasi di fronte a lui con aria goffa, le mani lungo i fianchi, desiderosa di toccarlo ma timorosa di farlo. Non mi ero mai sentita così intimidita, nemmeno quando da bambina ero stata costretta ad assistere per la prima volta ad una delle orge di Cassio. Ero certa che Massimo potesse sentire i miei capezzoli induriti attraverso il tessuto sottile delle nostre tuniche e arrossii come se una vergine inesperta davanti al suo primo amante.

Massimo m’incitò di nuovo.
- Giulia, dimmi che cosa ti ha detto Marcello.

Sperando che l’oscurità che ci circondava fosse sufficiente a nascondere le mie guance accaldate, cercai di calmarmi, ricordando che eravamo in quell’alcova per parlare in privato e non per congiungere i nostri corpi, e che le nostre vite erano in grande pericolo.
- Manda un avvertimento che Cassio...

Improvvisamente, Massimo mi prese tra le braccia e mi tenne stretta contro di sé, spingendomi il viso nella propria spalla per soffocare le mie parole. Con il cuore che mi martellava dolorosamente e il sangue che mi ruggiva nelle orecchie, mi afferrai alle sue braccia per sostenermi.

- Zitta, - mi sussurrò all’orecchio.

Strinsi gli occhi e mi chiesi che cosa avesse udito. Poi lo udii anch’io... il rumore di una cortina che veniva chiusa nell’alcova a destra della nostra. Poi tutto fu di nuovo silenzio, tranne che per il suono del mio cuore martellante e dei miei rapidi respiri ansimanti contro il suo robusto collo.

Massimo rimase fermo e zitto, ma non c’era bisogno che dicesse alcunché, perché io sapevo ciò che lui sapeva. C’era qualcuno, nella stanza accanto alla nostra, e in silenzio stava ascoltando la nostra conversazione… o i suoni del nostro amplesso.

Massimo espirò lentamente e sussurrò.
- Svelta. Dimmi che cosa ti ha detto Marcello.

Io inspirai a fondo e ripetei il messaggio che mi era stato affidato dal tribuno anziano.

- Massimo, sei in grande pericolo. Cassio progetta di farti uccidere e di farlo sembrare un incidente. Crede che tu sia troppo potente e che l’esercito ti appoggerebbe contro di lui... Che perfino i suoi uomini lo farebbero.

- Quando?

- Non lo so. Presto.

- Continua.

- Marcello crede che il solo modo per fermare Cassio sia di ucciderlo. E’ disposto a farlo lui stesso, se tu lo proteggerai e gli offrirai l’immunità.

- Come pensa di ucciderlo?

- Cassio non sospetta che Marcello sia contro di lui. Permette a Marcello di avvicinarsi a lui fisicamente...

- Shhh... - Massimo serrò di nuovo la sua stretta e io seguii il suo sguardo per vedere cosa avesse notato. Nonostante l’oscurità, lo vidi: un lieve movimento della tenda e un piccolo raggio di luce di traverso sul pavimento. Poi, la luce scomparve. Chiunque ci stesse spiando, stava diventando curioso o impaziente.

Massimo chiuse gli occhi per un momento, come cercando di decidere il da farsi. Poi inspirò a fondo ed espirò lentamente, riaprendo gli occhi. Il suo braccio sinistro era strettamente avvolto intorno alle mie spalle, mentre la sua mano destra mi accarezzava distrattamente la nuca. Per un breve istante mi chiesi che cosa avrebbe risposto se gli avessi detto che, da quando ci eravamo incontrati, le sue mani avevano percorso il mio corpo più di una volta e come di propria volontà.

- Giulia, dobbiamo fare qualche rumore. Qualche... suono appassionato. - disse sottovoce.

Nonostante fossimo in pericolo, c’era qualcosa di deliziosamente assurdo nelle sue parole… e nello sforzo evidente che faceva per dirle. Non potei fare a meno di prenderlo un po’ in giro.
- Allora dovrai fare l’amore con me, Massimo.

- No. Ti ho detto...

- Sì, sì, stavo solo scherzando. Non ti preoccupare, so fingere. E’ qualcosa che faccio spesso, credimi. - Posai la testa sulla sua spalla e chiusi gli occhi, lasciando che il mio respiro si facesse più grave.

- Puoi ascoltarmi mentre lo fai?

La domanda era così candida che quasi mi fece ridere e mi chiesi brevemente con che genere di donna fosse sposato, da saper così poco di femmine… ma probabilmente sua moglie non aveva bisogno di fingere. Invece di dar voce alla mia domanda, annuii e sottolineai i miei respiri con qualche ansito.

Massimo continuò.
- Di’ a Marcello che avevo intenzione di tenere Cassio agli arresti fino all’arrivo di Marco Aurelio, ma non ho idea di quando questo avverrà, perciò il piano di uccidere Cassio è l’unico che abbia senso, adesso.

Io annuii di nuovo, eseguendo un bel gemito roco, profondo, di gola.

Il respiro dello stesso Massimo cominciò ad accelerare e io non riuscii ad evitare di sorridere… o di incoraggiarlo un pochino.

- Oh, generale, - gemetti. - Oh, fallo ancora.

Mossi i fianchi contro di lui ed egli mi afferrò le natiche, cercando di bloccare i miei movimenti, ma io lo sentii diventar duro ed egli strappò via le mani come se avesse toccato braci incandescenti. Respirai il suo odore mascolino, muschiato, e gli baciai delicatamente la ruvida peluria del collo, prima di intensificare di nuovo il mio respiro… ma adesso avevo superato ogni finzione e per la prima volta nella mia vita la mia passione era reale, molto reale, un umido calore stillava tra le mie gambe. Appoggiandomi contro il corpo muscoloso di Massimo, fu molto facile immaginare che le sue mani strappavano la mia tunica cercando alla cieca la mia carne nuda, che le sue labbra e la lingua accarezzavano la mia pelle febbricitante. Fu molto facile immaginare la sua calda bocca marchiarmi a fuoco, schiacciando la mia in un violento bacio esigente, poi succhiando i miei seni come un neonato ingordo. Fu molto facile immaginare che le sue forti braccia mi sollevavano e mi sistemavano sopra i suoi fianchi, mentre lui penetrava il mio corpo, inguainando dentro di me fino in fondo l’erezione dura come roccia che stava premendo contro il mio ventre.

La mia mano destra scivolò dietro il suo collo e gli accarezzò la nuca e i corti capelli madidi, mentre quella sinistra afferrò il suo avambraccio, le mie unghie conficcate nei suoi muscoli robusti, mentre gli succhiavo e leccavo la pelle accesa del collo, i seni appiattiti contro il suo massiccio petto muscoloso.

- Giulia, di’ a Marcello di andare avanti col suo piano e che io gli darò l’appoggio di cui ha bisogno. Per farlo, tuttavia, dovrò essere nei paraggi quando entrerà in azione. E’ molto importante che a farlo sia lui... uno degli uomini di Cassio... per dimostrare agli altri... Giulia? Giulia? Mi hai sentito? - sussurrò Massimo, con una punta d’urgenza nella voce.

- Sì... - Udivo le nostre voci come in sogno, incapace di ritornare alla realtà, riluttante a tornare alla realtà. Il mio corpo prese il completo controllo e io mi arresi. Tra le braccia di Massimo dimenticai tutto: che ero una schiava, che ero una prostituta, che non avevo una vita mia ma che era il mio padrone a decidere di essa, che ero solo un fodero per l’altrui piacere, nata, cresciuta e addestrata per essere usata e gettata via. Dimenticai che avevo paura, che avevo avuto paura ogni giorno della mia vita. Dimenticai che ero sola, più sola di quanto fosse possibile essere. Dimenticai che soffrivo… corpo, anima e mente… ogni singolo giorno. Dimenticai che per me non c’era nulla… né speranza, né futuro, né felicità, né amore… e mi diedi completamente all’uomo contro il quale ero appoggiata. Quell’uomo che mi voleva quanto lo volevo io. Quell’uomo che testardamente rifiutava di accettare il suo stesso bisogno.

Mi scosse leggermente.
- Giulia, ascolta. Mi sorvegliano attentamente. Sarà difficile per me sfuggire ai miei guardiani, ma potrei tentare di scivolar fuori di notte, con l’aiuto di Claudio. - Gli baciai ancora il collo, leccando la fossetta dove il suo battito pulsava selvaggiamente quanto il mio e mossi i fianchi contro di lui, di nuovo, cercando disperatamente di aumentare la sensazione della sua durezza contro la mia morbidezza, cercando disperatamente di sentire la sua virilità contro la mia femminilità, cercando disperatamente di raggiungere l’elusivo prodigio che prometteva di cambiare tutto per sempre.

Massimo fece qualche respiro profondo, sforzandosi di non perdere il controllo. Era estremamente eccitato, sul punto di abbandonarsi alla stessa passione che stava divampando dentro di me come un incendio. Le sue mani si strinsero attorno a me, facendomi male. Poi, con un unico rapido movimento, mi sollevò e mi depose sul divano, che scricchiolò leggermente in segno di protesta. Per un istante, Massimo rimase in piedi accanto al divano, di fronte a me, ansimando, gli occhi blu ardenti come il fuoco che stava consumando anche lui. Gli tesi le braccia, implorandolo silenziosamente di venire a me, sopra di me, dentro di me. Aprii le cosce, implorandolo silenziosamente di prendermi… Egli bilanciò il proprio peso su una gamba e sollevò l’altra ma, invece di sdraiarsi sul divano, con delicatezza mise il ginocchio in alto tra le mie cosce divaricate. Mi allungai per attirarlo a me. Ero al di là di ogni vergogna, oltre ogni dignità, oltre qualunque cosa che non fosse il mio stesso bisogno, il bisogno che egli mi riempisse tutta, che irrompesse in me, spingendo con forza, profondamente, presto, dentro il mio corpo bramoso. Ma egli mi afferrò le mani, allontanandole da sé, facendo cenno di no con la testa.
 
Prima di poter dar voce alla mia supplica, egli premette un poco contro la mia carne turgida e io raggiunsi il culmine. Brutalmente. Fui colta del tutto di sorpresa. Sei anni di prostituzione un giorno dopo l’altro non mi avevano preparata a quello. Affondai le unghie nelle sue mani, arcuai la schiena e gridai.

- Massimo! - Il mio corpo fu percorso da uno spasmo dopo l’altro, la sensazione così acuta, così intensa che era piacere e dolore insieme e io non sapevo dove finiva l’uno e iniziava l’altro. Sapevo soltanto che volevo che continuasse, ancora, ancora.

Ricaddi sul divano, completamente prosciugata, esausta, il corpo ricoperto di sudore. Non mi resi conto di quando le mie mani allentarono la stretta sulle sue, o quando egli spostò il ginocchio o lasciò il mio fianco per andare in silenzio alla tenda che era la porta della stanzetta, tirandola leggermente e sbirciando fuori.

Quando tornai in me, egli stava ancora sorvegliando le stanze vicine. Il suo profilo si stagliava contro la luce dorata. Mentre con la mano spostavo i capelli appiccicati al mio viso, il mio sguardo cadde sul suo braccio sinistro. La lampada tremolò e io notai il piccolo tatuaggio sul suo bicipite, l’SPQR che conoscevo bene, le quattro lettere simbolo della sua promessa di servire Roma. Il mio sguardo gli percorse il braccio fino alla mano sinistra, dove trovai quel che stavo cercando… e avevo paura di trovare e guardare: l’anello d’argento che era il simbolo della sua promessa alla donna che possedeva il suo cuore, il suo corpo e la sua fedeltà. La donna che, sicuramente, era giunta vergine al suo letto e gli aveva dato dei figli per perpetuare il suo fiero nome. Sospirai gravemente, il peso della realtà che si abbatteva sul mio corpo ammaccato.
- Sei uno strano uomo.

Mi accorsi che avevo dato voce ai miei pensieri quando egli lasciò cadere la tenda e si voltò verso di me. Massimo incrociò le braccia e permise al suo corpo di rilassarsi un po’. Improvvisamente sembrava estremamente stanco, stanco come lo ero io.
- Sul serio? Come mai? - chiese sottovoce, la sua voce ancor più eccitante nel calore dell’oscurità e negli strascichi emozionali.

Rotolai su di un fianco per sistemarmi la tunica e coprirmi le gambe, prima di spiegare:
- Sei l’unico uomo che abbia mai conosciuto che non sia interessato unicamente al proprio piacere. - Lo guardai, il rilievo della sua eccitazione chiaramente delineato attraverso il tessuto della sua tunica. Non potei fare a meno di sorridere maliziosamente. - La pagherai per questo, sai?

Egli si passò la mano sugli occhi, poi intorno alla nuca, un gesto così spontaneo che dovetti far forza su me stessa per non attraversare la stanza e prenderlo tra le braccia e confortarlo come se fosse un bambino esausto.

- Lo so. Spero soltanto di non dover salire a cavallo domani, - disse con voce rauca.

Ridacchiai, consapevole che entrambi eravamo a disagio e turbati, reticenti ad ammettere ciò che c’era nei nostri cuori e nelle nostre menti.

Il mio tono divenne molto serio.
- Invidio tua moglie. E’ una donna molto fortunata.

Massimo sorrise.
- Mi piace pensarlo.

- Spero che ne sia degna.

- Lo è. Le ho promesso... - la voce gli mancò, improvvisamente consapevole che stava parlando di qualcosa di molto personale e privato con una donna che aveva appena avuto un orgasmo grazie a lui, se non sotto il suo corpo.

Non volevo sapere. Non volevo sapere di lei, di lui, di loro. Non volevo soffrire, solo afferrarmi al calore e alla passione che avevo appena provato. Ma avevo anche bisogno di sentire la sua voce, la sua bella voce profonda. Volevo custodire gelosamente nella mia memoria quell’appassionato tumulto, perché mi confortasse nelle solitarie disperate notti a venire.

- Avete dei figli?

Sorrise di nuovo, quel suo sorriso dolce e fanciullesco, e di colpo fu come se fosse stato sgravato del peso di troppe responsabilità e preoccupazioni.
- Un maschietto di due anni, - disse. - Si chiama Marco.

- In onore dell’imperatore?

- Sì.

Mi alzai dal divano e mi avvicinai a lui lentamente, fermandomi poco prima che egli fosse a distanza di contatto.

- Devi avere una grande ammirazione per l’imperatore.

- Sì. E’ come un padre per me. Persi mio padre quando ero piccolo.

Stavo raggiungendo in fretta il limite della mia resistenza, il tumulto dentro di me impossibile da padroneggiare. Mi sentivo esausta ma irrequieta. Mi sentivo appagata ma irrimediabilmente insoddisfatta. Mi sentivo accaldata eppure rabbrividii. Lo stavo per perdere e non c’era niente che potessi fare per trattenerlo. Sospirai profondamente e lacrime pungenti, brucianti mi offuscarono gli occhi. Sapevo la risposta, sapevo che stavo per soffrire ma non riuscii a fermarmi. Lo guardai negli occhi, la voce esitante.
- Quello che mi hai fatto... era solo perché dovevi?

Massimo non rispose. Invece, disse:
- Giulia, troverai qualcuno, un giorno. Qualcuno molto speciale.

Mi si strinse la gola. La mia voce suonò strozzata alle mie stesse orecchie mentre lottavo contro le lacrime.
- Massimo, io sono una schiava.

- Quando Cassio sarà morto avrai la tua libertà. Te la sei guadagnata, e anche le altre donne, - disse dolcemente.

Libertà? Non sapeva che non ne potevo nemmeno afferrare il significato? Non capiva che la libertà non significava nulla per me in quel momento, perché ero divenuta una schiava d’altro genere? Che cosa poteva significare per me la libertà, ora che avevo perso il mio cuore per un uomo che non solo non mi amava, ma amava talmente un’altra donna da negare a noi due quel poco che avremmo potuto avere, nonostante mi desiderasse quanto io desideravo lui?

Sembrava in attesa della mia risposta. Mi corazzai contro la sofferenza.

- C’è un solo te, però. E tu sei impegnato, - dissi.

- Giulia, non ho visto mia moglie una sola volta in due anni. Essere sposata ad un uomo nella mia posizione ha dei terribili inconvenienti. Olivia fa dei sacrifici incredibili...

Olivia.

L’aveva detto e io mi sentii come se mi avesse schiaffeggiata. L’anziano senatore mi aveva schiaffeggiata quando, nonostante fossi schiava e addestrata, il mio corpo dodicenne si era ribellato al soggiogamento. Mi aveva schiaffeggiata. Con forza. Più di una volta. Eppure, quelle percosse fisiche non erano peggio del suono del nome di sua moglie.

- Olivia, - ripetei.

Massimo strinse le labbra e distolse lo sguardo, chiaramente a disagio per aver pronunciato il nome della moglie in mia presenza. Poi, ansiosamente riportò la conversazione sul piano in corso.

- Giulia... ricordi quello che ti ho detto di riferire a Marcello?

- Sì.

- Che cosa?

Chiusi gli occhi. Era finita.

Deglutii a fatica e ripetei il messaggio, ancora una volta non ero altro che uno strumento usato dagli uomini.
- Che tu lo appoggerai e che devi essere là quando... sarà fatto... ma sei attentamente sorvegliato. Presumo che tu voglia che lui ti dica quando, dove e come accadrà.

- Sì. E dev’essere molto presto.

- Deve mandare un messaggio tramite Claudio? - chiesi.

- Sarebbe il modo più sicuro.

All’improvviso, il pericolo era molto reale e l’idea che morisse per mano di Cassio mi colpì con la forza di una dura mazzata. Tesi le mani verso di lui.
- Massimo, per favore, sii prudente. La tua vita è in grande pericolo. Ricordatelo, - implorai. Egli non si mosse né rispose. Lasciai ricadere le mani lungo i fianchi.

Annuì.
- Devo andare. Sei stata brava, Giulia. Marcello è stato saggio a sceglierti. - Poi, s’affrettò a tirare di lato la tenda e la lasciò ricadere dietro di sé, avanzando nella sala principale senza guardarsi indietro, lasciandomi sola nell’oscurità, la stessa oscurità che aveva avvolto la mia prima e unica resa ad un uomo.

Mi sedetti sul divano e mi abbracciai, come facevo quando ero bambina, il suo odore muschiato che mi riempiva le narici, la mia carne ancora gonfia e palpitante. Chiusi gli occhi e strinsi le braccia, cercando di catturare ancora il calore del suo corpo.

Fallii miseramente. Seppellii il viso nelle mani e piansi come non avevo mai pianto prima.

 

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