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Per quanto a lungo vivrò, non dimenticherò mai la
prima volta che lo vidi. Come ho detto, eravamo in Moesia, vicino al Mar Nero.
Quando dico "noi" parlo di me, e di Onora, Eugenia, Eunice, Arianna e
delle altre schiave portate là da Cassio per essere una volta di più utili
pegni nei suoi giochi di potere, la nostra carne la moneta corrente per pagare
l’appoggio degli ufficiali e dei politici di cui aveva estremo bisogno per
appagare la sua ambizione.
Durante gli anni trascorsi da quando ero stata mandata, per la prima volta, nel
letto di uno degli uomini che svolgeva un ruolo importante nei suoi intrighi,
l’ambizione di Cassio era aumentata considerevolmente. Per anni aveva tramato,
corrotto e cospirato per rafforzare la sua posizione nell’esercito e spargere
la sua influenza fra i politici, preparandosi pazientemente per la sua mossa
finale. E nell’estate del quattordicesimo anno del regno del divino imperatore
Cesare Marco Aurelio Antonino Augusto, Cassio fece un passo enorme,
autoproclamandosi imperatore sulla base della morte presunta dell’uomo che non aveva
stabilito una successione formale dopo la morte del fratello adottivo, ma aveva
invece lasciato un figlio minorenne, Lucio Commodo Antonino, e una figlia
vedova, Lucilla, che era stata sposata a Lucio Vero e aveva un figlio piccolo.
Nel corso degli anni, avevo sentito voci, pettegolezzi e, qua e là, frammenti
d’importanti informazioni sui piani di Cassio. Ma schiave e prostitute imparano
in fretta a mantenere i segreti propri e dei loro padroni ed io ero sia schiava
che prostituta e sapevo che era meglio non fare domande, così le tenni per me.
Ciò nonostante, ero preoccupata dalla decisione di Cassio di usurpare il trono;
anche se poco istruita, avevo abbastanza nozioni di storia romana e di politica
per sapere che egli non avrebbe potuto semplicemente marciare su Roma con le
sue legioni pensando di farsi incoronare senza alcuna resistenza. Stavamo per
andare incontro a seri guai e, quando i loro padroni sono nei guai, gli schiavi
la pagano cara.
Dopo l’autoproclamazione, rimanemmo in Moesia. L’accampamento fu rinforzato e
la legione fu messa in allerta. Cassio inviava corrieri in diverse parti
dell’impero e si aspettava l’appoggio di altri comandanti. Le sue spie lo
informarono che Roma era in tumulto, il Senato diviso tra quelli che volevano
dichiarare un nuovo imperatore - o lui o i loro stessi candidati - e quelli che
esigevano prudenza e volevano inviare messi diplomatici in Oriente per
confermare la morte presunta di Marco Aurelio, prima di prendere una decisione
sul futuro dell’impero. In altre parole, eravamo sull’orlo di una sanguinosa
guerra civile. Nel frattempo, la vita sembrava continuare come il solito, ma io
sapevo che Cassio si era prontamente sbarazzato di alcuni ufficiali - tra essi
due centurioni - che avevano rifiutato di giurargli fedeltà come nuovo
imperatore. Io, e le altre schiave femmine, rimanevamo nei nostri alloggi, che
erano confortevoli e avevano i loro bagni perché non ci era possibile
condividere quelli dei soldati, e ci tenevamo occupate con i nostri doveri.
C’erano domestiche che si occupavano di noi, schiave inferiori non abbastanza
belle per seguire i nostri passi, che pulivano e si prendevano cura dei nostri
abiti, pasti e bagni e che ci aiutavano a vestirci e a pettinarci. Dal nostro
arrivo in Moesia, chissà come, io ero diventata la signora dei quartieri delle
schiave ed ero colei che dava ordini e faceva in modo che tutto funzionasse.
Era me che chiamavano quando c’era un problema o qualcuno non si sentiva bene;
da me le altre donne venivano quando erano spaventate o preoccupate o afflitte.
Il mio ruolo di guida non era passato inosservato da Cassio, che mi lodò perché
sapevo amministrare la sua piccola tenuta con tanta efficienza e ripeté che io
ero “la migliore che abbia mai allevato” sinceramente convinto che dovevo
essere grata di quelle parole. Come sempre, sorrisi dolcemente e andai avanti,
seppellendo nel mio cuore il pericoloso e sempre più crescente risentimento che
avevo cominciato a provare molto presto quando facevo la prostituta, ma che
avevo padroneggiato così bene che nessuno, a volte nemmeno io, se n’era
accorto. Era un bene che amministrare la tenuta mi tenesse occupata, perché i
giorni in Moesia erano lunghi e senza eventi degni di nota e l’inattività mi
avrebbe logorato i nervi, visto che non c’erano biblioteche per nutrire il mio
apprendimento e io avevo letto e riletto almeno un centinaio di volte i pochi
rotoli e pezzi di papiro che ero stata in grado di stipare tra i miei effetti
personali. Nelle lunghe, umide ore dell’estate locale, sarei diventata matta se
non avessi avuto a che fare con futili incombenze quali rifornirsi di sapone o
dirimere un litigio tra due donne esuberanti.
Ma sto uscendo dal seminato. Come ho detto, isolato nel suo accampamento vicino
al Mar Nero, Cassio attendeva l’arrivo dei suoi messaggeri che gli portavano
dispacci dai suoi amici e spie e si aspettava anche dei guai, perché era
abbastanza intelligente da capire che lui, anche se l’imperatore fosse davvero
morto, non sarebbe stato l’unico a cercare di usurpare il potere. E i guai
arrivarono prima di quanto si aspettasse, nella forma di un generale romano,
che arrivò ai cancelli sotto l’aquila dorata di Roma e sventolando i vessilli
della legione Felix III, cavalcando uno splendido stallone nero, circondato
dalla sua cavalleria.
Non lo vidi arrivare, ma udii l’eccitato cicaleccio delle donne e dei soldati.
E più tardi, quel pomeriggio, vennero due guardie per portarmi nella tenda di
Marcello. Egli era il tribuno anziano, il legato di Cassio, un uomo duro e
spietato sui quarantacinque anni, i grigi capelli tagliati cortissimi, a guisa
d’un elmo d’acciaio che coronasse dei lineamenti che sembravano scolpiti nel
granito. Non fui sorpresa dai suoi ordini, perché sebbene non fossi la sua
favorita tra le schiave, aveva pronto accesso su di noi grazie alla sua
posizione tra il seguito di Cassio ed essendo suo uomo fidato. Ciò che mi
sorprese fu che invece di portarmi a letto, volesse parlarmi. Disse che avrei
dovuto riferire un messaggio segretissimo e importante all’ufficiale in visita,
il generale Massimo Decimo Meridio. Costui era il potente Comandante degli
Eserciti del Nord, il generale prediletto di Marco Aurelio, e quella notte
Cassio avrebbe dato una delle sue famose feste, con il generale Massimo come
ospite d’onore.
Marcello disse che, durante la festa, avrei dovuto attirare il generale
Massimo, tenerlo lontano dalle altre donne e riferire il messaggio, che mi fece
ripetere fino a quando fu sicuro che lo avessi capito. Non aggiunse che era
anche sottinteso che facessi quanto dovuto per soddisfare il generale, non
importa quali fossero i suoi gusti ma, ovviamente, non era necessario. Invece,
egli mi sorprese ancora quando mi disse che se avessi fallito nella mia
missione, le nostre vite - la mia, la sua e quella dell’ufficiale in visita -
sarebbero state in serio pericolo. Aggiunse che il generale Massimo Decimo
Meridio non era nato nell’alto ceto romano come Cassio, ma era il figlio di un
umile agricoltore; adottato da una famiglia della classe senatoriale, come
l’imperatore Traiano, era salito al suo alto status sociale grazie ai suoi
meriti militari e al favore dell’imperatore, al quale era fieramente leale.
Marcello aggiunse anche, con un sorrisino che non raggiunse il suo sguardo, che
il generale non era un uomo sofisticato e probabilmente sarebbe rimasto
scandalizzato dalla dissolutezza di quella serata, ma si fidava della mia
abilità per il compimento della missione. Sebbene in passato mi fosse stato
ordinato di consegnare messaggi o far cadere alcune informazioni nelle orecchie
di un uomo segnalatomi, la cosa era estremamente insolita. Marcello era molto
vicino a Cassio, lo aveva aiutato a sbarazzarsi di quegli ufficiali che gli si
erano opposti e, soprattutto, i contenuti del messaggio erano davvero
sconcertanti… Pensai che forse Marcello sapesse ben più sulla presunta morte
dell’imperatore, stesse diventando apprensivo riguardo il proprio ruolo giocato
nei piani di Cassio e volesse entrare nelle grazie del potente generale. In
ogni caso, la cosa significava problemi. Grossi problemi. Il genere di problemi
che avevo imparato tanto attentamente ad evitare.
Mi preparai per la serata con gran cura. Mi profumai il corpo e i capelli
lunghi fino in vita - i capelli che ora porto avvolti in una crocchia come si
addice ad una rispettabile donna sposata - con l’essenza di mirra che amavo
tanto, e indossai una delle mie tuniche più fini, fatta di seta e ricamata
d’oro ma, come sempre, evitai il pesante trucco molto caro alle altre donne.
Mentre mi preparavo, feci scivolare una mano sotto uno dei miei seni e toccai
il mio tesoro segreto. Era uno stiletto d’argento che avevo rubato prima di
uscire dalla casa del senatore che si era preso la mia verginità, quando la
cieca ira che più tardi avevo imparato a padroneggiare con tanta cura eruppe
per un momento e mi portò a pensare di accoltellare il prossimo uomo che avesse
cercato di toccarmi oppure me stessa, pur di evitare il tocco di un altro uomo.
Ma in qualche modo mi ero indurita come l’acciaio e avevo continuato a vivere.
Nondimeno, avevo tenuto lo stiletto nascosto tra i miei effetti personali per
tutti quegli anni e di quando in quando sentivo l’impellente bisogno di
toccarlo, di sentirne il peso nella mia mano, di trarre conforto da quel freddo
pezzo di metallo lucente. Era come se sapessi che prima o poi l’avrei usato.
Restava da capire chi ci sarebbe stato a ricevere l’estremità della lama.
Giunsi alla tenda dove l’orgia stava avendo luogo, prima che arrivasse il
generale, e Marcello immediatamente mi reclamò. Essendo l’ufficiale di rango
più elevato dopo Cassio ed il generale Massimo, nessuno osò portarmi via.
Marcello mi tenne nelle sue braccia finché fu il momento di seguire Massimo e
mi mandò verso di lui con una leggera spinta.
Chiaramente a disagio nei confronti dell’orgia, come Marcello aveva previsto,
l’austero soldato ispanico stava per lasciare la tenda e io lo acchiappai
quando stava per sollevare la cortina trasparente sospesa vicino all’ingresso.
- Generale? - lo chiamai da dietro. - Non ti piace la festa?
Egli si voltò brevemente verso di me.
- No, - disse cominciando a voltarsi, ma con una prontezza nata da anni di
rapporti con gli uomini, gli afferrai il braccio e lo tirai indietro.
Il generale Massimo era una spanna circa più alto di me e di una decina d’anni
più anziano, il che significava che aveva quasi una trentina d’anni, un’età
molto giovane per un uomo del suo alto grado. Era un uomo robusto, vigoroso, la
pelle abbronzata tesa sopra i muscoli saldi delle braccia e delle gambe,
irrobustiti da una vita trascorsa a cavallo e a fare il soldato. Il suo torace
era coperto da una corazza di cuoio decorato, ma esso pure ostentava la stessa
promessa. I capelli erano scuri e tagliati cortissimi, come si addiceva ad un
militare romano e la sua barba accuratamente spuntata copriva il mento fermo e
incorniciava la bocca magnificamente scolpita, una bocca leggermente femminea e
un poco fuori posto in un volto così virile, ma che in qualche modo contribuiva
ad accrescere ancor di più la bellezza dei suoi lineamenti. Ma ciò che più mi
stregò e mi mandò brividi lungo la schiena furono i suoi scintillanti occhi
azzurri e il rombo veemente della sua voce
profonda.
Sfruttando il mio momento, premetti i seni contro la sua corazza
mentre la mia mano s’insinuava intorno al suo collo e le mie labbra riuscivano
a sfiorargli il collo.
- Ho
un messaggio per te, generale, - dissi e indietreggiai sorridendo
all’espressione trasalita del generale.
Egli
mi guardò negli occhi e poi il suo sguardo bruciante errò sul mio viso e sul
mio corpo. Ero abituata a uomini che mi guardavano con manifesta lussuria, ma
la sua non fu un’occhiata libidinosa: era uno sguardo di meraviglia, quello di
un uomo che si ritrova a corto di parole. In un’altra situazione, e con un
altro uomo, sarebbe stato l’inizio di un’agevole seduzione ma, all’opposto, fu
l’inizio di molte scoperte, sia su di lui che su me stessa, scoperte che mi
avrebbero cambiato la vita per sempre e indotta alla fine a scrivere questo
diario. Sorrisi di nuovo e sussurrai:
-
Vieni a sederti, generale. Ho notato che non hai toccato cibo. Più tardi
potremo rimanere più appartati.
Lui
rifiutò di muoversi.
- Come
ti chiami? - chiese, il suo latino perfetto nonostante fosse nato nelle
province e di umili origini.
-
Giulia.
-
Giulia, - ripeté. La sua voce profonda inviava un brivido dopo l’altro giù per
la mia schiena e quasi mi faceva dimenticare perché ero lì e che cosa ci si
attendeva da me.
- Sì,
- dissi premendomi ancora contro di lui, il calore del suo corpo che mi
avvolgeva come il più soffice dei mantelli. Gli tenni fermo il viso con una
mano mentre gli leccavo l’orecchio e gli mordicchiavo il lobo, prima di
sussurrare: - Generale
Massimo, per favore, collabora. E’ pericoloso per entrambi. Ho un messaggio dal
tribuno Marcello.
Il generale avvolse il suo braccio intorno alla mia vita e appoggiò la mano
destra sul mio fianco tenendomi stretta al suo forte corpo muscoloso. Strofinò
il viso sul mio collo e chiese:
- Qual è?
- Alto, magro, capelli e barba grigi, vicino al tavolo di cibo nel mezzo. - Non
riuscivo quasi a parlare, la lieve carezza della sua barba e le sue labbra
sulla mia pelle mi facevano sentire in preda alle vertigini come il tocco di un
uomo non aveva mai fatto prima.
Guardò attentamente nella direzione che avevo indicato mentre la sua mano mi
accarezzava il fianco come di propria volontà. Sembrò soddisfatto di quel che
vide perché disse:
- Va bene, Giulia, ascolterò quel che hai da dirmi.
In qualche modo stare tra le sue braccia sembrava così naturale, quasi
conoscessi il suo corpo da anni. Non era come se stessi seducendo uno
sconosciuto, ma stessi riunendomi ad un amante di lunga data. Feci scivolare le
mie labbra lungo il suo collo caldo e sulla sua guancia barbuta e catturai la
sua bocca in un rapido bacio, prima di mordicchiargli il labbro inferiore e di
percorrerglielo con la mia lingua.
- Non possiamo mostrarci impegnati a conversare, generale, o tutti e due
finiremo appesi a delle croci, - gli alitai nella bocca.
Lo presi per mano per condurlo via dalla porta, ma il generale Massimo mi fece
roteare di nuovo nelle sue braccia e, prima che potessi prevedere cosa stava
per fare, mi baciò appassionatamente sulla bocca. A quei tempi, ero solita
evitare di essere baciata per quanto mi fosse possibile, ed ero grata quando
anche gli uomini che servivo preferivano non farlo, la falsa tenerezza dei loro
baci molto più dolorosa dell’egoistica libidine che ero obbligata a sopportare.
Ma i suoi baci erano caldi e lievi e sapevano di vino speziato e del suo aroma
mascolino. Il suo bacio non era nulla che avessi mai sperimentato prima, il
bacio di un uomo capace di grande passione ma anche di dolce tenerezza, uno di
quegli uomini rari che non si accoppiano, ma fanno l’amore con le donne con le
quali scelgono di unirsi. E anche il suo bacio provava che non era abituato a
quelle come me, perché non faceva distinzione tra una prostituta che era anche
schiava e una donna rispettabile che avrebbe potuto amare. Fu quella commovente
innocenza proveniente da un tal fiero guerriero che accese nel mio cuore la
scintilla che presto sarebbe divenuta un divampante incendio e mi avrebbe
cambiata per sempre. Lasciando andare la mia bocca, il generale sussurrò:
- Come si chiama l’uomo che ha preso contatto con Marcello?
Io ero senza fiato e riuscii appena a pronunciare il nome che Marcello mi aveva
detto.
- Claudio, - risposi, il cuore che mi martellava tanto da essere sorpresa che
lui non lo udisse.
Il generale Massimo infilò le dita tra i miei capelli e mi baciò la fronte, poi
gli occhi, le guance e le labbra.
- Fai strada, Giulia. Tutt’a un tratto mi sento di nuovo affamato. - La sua
grande mano callosa racchiuse il mio viso mentre mi sorrideva, i luminosi occhi
azzurri dello stesso colore delle calde acque del mare, un mare nel quale
volevo lasciarmi andare per sempre. Afferrai i suoi robusti avambracci,
timorosa che le gambe non mi reggessero, incapace com’ero di parlare o
muovermi. Egli mi accarezzò i capelli e continuò a sorridere e io sentii
dissolversi le mie paure sul messaggio e sul complotto e restituii con
franchezza il sorriso a Massimo. Era come se, stando tra le sue braccia, niente
e nessuno potesse farmi del male.
Mano nella mano ci avvicinammo ai tavoli e mentre io mi tenevo occupata a
scegliere il cibo, egli restò con gli ufficiali. Lo vidi stringere nella
propria la mano di Marcello e scambiare col tribuno anziano ciò che sembravano
convenevoli, ma io sospettavo fossero informazioni attinenti il misterioso
messaggio che dovevo ancora consegnare. Lasciai al generale il tempo sufficiente
per parlare con Marcello, prima di tornare da lui.
- Eccoti, generale, un piccolo assaggio di tutte le cose più buone. Il cuoco
personale dell’imperatore è eccellente, - dissi con dolcezza raggiungendolo.
- Divertiti, generale. - Marcello fece un breve inchino mentre io prendevo di
nuovo la mano di Massimo e lo guidavo verso un divano libero nella sala
principale. Egli rimase pazientemente al mio fianco mentre io preparavo un
tavolino e una lampada e sprimacciavo dei cuscini, ammucchiandoli perché lui ci
si appoggiasse contro. Quando cominciò a sedersi, io lo fermai.
- Generale, quella corazza sembra così calda e rigida. Perché non lasci che ti
aiuti a toglierla? – dissi.
Egli obbedientemente sollevò le braccia permettendomi di slacciare le fibbie e
io sorrisi dentro di me, perché il suo era l’atteggiamento di un uomo non
abituato ad essere toccato da una donna. Ero certa che avesse un servitore
maschio ad aiutarlo e non riuscivo ad immaginarlo indossare tuniche di seta
come amava Cassio o farsi un bagno profumato come faceva Cassio. Non appena
tolta, posai la corazza sul pavimento e feci un passo indietro per ammirarlo
meglio. Il generale Massimo ora indossava una semplice tunica rosso-vino di
lana leggera che gli copriva a stento le ampie spalle e arrivava a metà coscia,
stretta in vita da una larga cintura di pelle. Le sue gambe muscolose erano
nude, tranne che per gli stivali con stringhe che gli coprivano i polpacci e io
dovetti trattenermi dal toccarlo.
- Fa molto caldo qui, generale. Non saresti più comodo con i sandali? Posso
trovarne...
Egli m’interruppe.
- Sono abituato agli stivali. Vanno benissimo, - tagliò corto. Era chiaro che
non era un uomo abituato al lusso, ma soddisfatto delle scarse comodità di un
accampamento militare.
- Come desideri. - Mi sedetti dietro di lui su uno sgabello e gli offrii un
calice di vino, ben conscia che le altre donne mi stavano guardando con invidia
e che il generale mi stava studiando da vicino mentre giocava con i miei
capelli. Gli imboccai piccoli pezzi di cibo ed egli mi baciò le dita prima che
le ritraessi. Percorse con le mani le mie braccia, e io sorrisi, cercando di
nascondere il tumulto che le sue carezze mi stavano scatenando dentro.
- Da dove vieni, Giulia? - chiese a bassa voce.
- Sono nata a Roma, - risposi continuando ad imboccarlo.
- Sei una schiava?
Annuii evitando il suo sguardo. Chissà perché, fino a quel momento, essere
schiava era stato naturale per me quanto avere i capelli color rame. Ma
ammettere il mio stato di schiavitù davanti a quell’uomo mi sconvolgeva in un
modo che non avrei mai creduto possibile. All’improvviso, mi sentivo sporca
come non mi ero più sentita da quando avevo lasciato il letto di
quell’attempato senatore sei anni prima.
- Com’è accaduto?
- Sono nata schiava, signore. Non so chi siano i miei genitori. - Mi chinai in
avanti e lo baciai, un lungo bacio indugiante, non solo perché avevo bisogno di
sentire di nuovo le sue labbra, ma anche per costringerlo al silenzio.
Sussurrai: - Fai troppe domande, - ma lui insisté.
- Quanti anni hai?
- Non ne sono certa. Circa diciassette, credo.
Il generale Massimo sorseggiò il vino e sospirò mentre mi studiava attentamente
con i suoi penetranti occhi azzurri e io mi sentii sempre più a disagio sotto
il suo sguardo, perché sapevo quello che stava pensando: che a dispetto dalla
mia elegante tunica e del mio costoso profumo, non ero altro che una schiava e
una puttana, una donna molto inferiore a lui, perché lui aveva l’aspetto di un
uomo onorevole che non aveva mai imposto le sue attenzioni ad una femmina
schiava come facevano molti, o macchiato la propria reputazione prendendo una
puttana, per quanto bella o raffinata fosse.
Sebbene mostrassi le spalle a Marcello, riuscivo a sentire il suo freddo
sguardo truce e penetrante che seguiva ogni movimento mio e del generale
Massimo. E sebbene Cassio sembrasse scrupolosamente occupato in giochi d’amore
con Onora, sapevo bene ed ero sicura che anche lui ci stesse sorvegliando. I
loro sguardi fissi mi ricordarono che ero in pericolo. E anche lui.
Cercando disperatamente di metter fine a quella situazione incerta e riportarlo
su un terreno familiare che conoscevo, e anche per cancellare i sospetti sul
nostro comportamento, feci scivolare la mano sulla sua muscolosa coscia villosa
e sotto l’orlo della tunica, cercando la carne virile che sapevo bene come
stimolare e compiacere.
- Non ti sto facendo felice, -
sussurrai, ma con la velocità di un fulmine egli afferrò il polso per fermarmi,
raschiandomi la pelle con i calli delle sue dita e risvegliando una sensazione
sconcertante che mi percorse dal polso ai seni e giù fino al ventre. - Per
favore, generale. Capiranno che qualcosa non va, - bisbigliai pressante. - Di
solito sono molto brava a soddisfare gli uomini.
Egli allentò la presa, ma non mi lasciò andare il polso.
- Sono sposato, - disse con calma.
Sposato.
Era sposato.
Il mio istinto non mi aveva ingannata; non era soltanto un uomo virtuoso, ma
anche irreprensibile. In qualche modo, a quel punto, presa tra grave pericolo e
tumultuose emozioni che non avevo mai provato prima, la cosa non aveva
importanza. Il tempo avrebbe provato che avrei dovuto essere più saggia.
- Come la metà degli uomini che si trovano qui. Cassio è sposato, - sussurrai
in risposta, lo sguardo silenziosamente implorante.
Egli sospirò di nuovo.
- Vieni qui, - disse tirandomi sopra di sé. Misi le gambe a cavalcioni del suo
forte corpo muscoloso, i seni premuti contro il suo petto. Una mano mi
carezzava la schiena poi, di nuovo come di propria volontà, scese e fece lo
stesso con le natiche. Con l’altra, mi girò il viso contro il suo collo e il
suo respiro caldo mi accarezzò l’orecchio mentre bisbigliava. - Giulia, non
intendo rischiare la tua vita. Ma devi capire questo: ho promesso a mia moglie
di rimanerle fedele e manterrò la promessa, non importa quanto possa essere
difficile per me, non importa quanto io ti desideri. Adesso baciami, poi
andremo in una di quelle stanze sul retro dove conversare non è così rischioso.
Egli girò il viso di lato e catturò di nuovo la mia bocca, la sua lingua che
audacemente esigeva l’accesso alla mia bocca e la esplorò in profondità quando
mi arresi. Il bacio fece vorticare i miei sensi, un calore bruciante avvolse il
mio corpo. Gli afferrai i bicipiti come un uomo che sta per affogare afferra un
pezzo di legno e quando lui cercò di metter fine al bacio, io non glielo
permisi e serrai la mia bocca sulla sua. Volevo che continuasse a baciarmi per
sempre, che le sue labbra e la sua bocca devastassero le difese che avevo
eretto dopo una vita di schiavitù e prostituzione. Il calore e la durezza del
suo corpo erano la prova evidente che egli era ben lungi dall’essere
impassibile. Era eccitato… e lo ero anch’io, eccitata come non ero mai stata.
Eccitata come pensavo non sarei mai stata. Quando ritrassi la lingua dalla sua
bocca, stavamo ansimando entrambi ed egli chiuse gli occhi, lottando per
rendere stabile il respiro. Gli baciai dolcemente le palpebre e mormorai:
- Massimo, - la voce roca di desiderio.
Lui aprì gli occhi di colpo.
- Non chiamarmi così, - ringhiò, ancora ansimante.
La sua voce profonda era eccitante.
- Perché no?
- E’ troppo... troppo... familiare.
Non riuscii a trattenermi e scoppiai a ridere al candore della sua risposta. La
mia risata non era mai stata così spensierata.
- Massimo, sono sdraiata sopra di te. Non c’è quasi nulla a dividere i nostri
corpi, e tu pensi che chiamarti per nome sia troppo familiare? - Lo baciai di
nuovo e, poiché non rispondeva alla mia domanda, approfittai del suo silenzio
per rannicchiarmi contro il suo torace. Sorrisi dentro di me con aria saputa
quando udii il suo cuore battere forte quanto il mio e quando avvolse intorno a
me le sue forti braccia e mi tenne stretta, fu il mio turno di sospirare.
- Massimo, - mormorai contro il suo petto. - Questo nome ti si adatta. Così
forte. Ma così gentile. - Giacqui immobile per qualche istante, prima di
sostenermi per guardare il suo bel viso, arruffandogli con le dita i folti
capelli scuri. All’improvviso, mi sentii molto giovane e spensierata e libera.
Mi sentii pulita. Mi sentii come se avessi potuto ridere e giocare e sognare…
come se avessi potuto amare ed essere amata. - Gli uomini non sono gentili
spesso con me, Massimo. Non ricordo di esser mai stata tenuta tra le braccia,
prima.
Con mia sorpresa, Massimo ringhiò.
- Tu sei una delle cose che intendo far pagare a caro prezzo a Cassio.
Detto questo, mi fece rotolare di lato e mi afferrò prima che cadessi dal
divano, facendomi scivolare un braccio sotto le ginocchia e l’altro sotto le
braccia. Mi sollevò come se non pesassi nulla e mi strinse contro il suo ampio
petto, mentre andava verso una stanzetta cortinata posta sul retro della tenda,
scavalcando o scalciando da parte qualsiasi cosa intralciasse il suo cammino.
Io avvolsi le braccia intorno al suo collo, premetti la testa contro la sua
spalla e chiusi gli occhi, assaporando per la prima volta in vita mia la
sensazione di sentirmi al sicuro e confortata e benvoluta.