Storie de Il
Gladiatore
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Storie ispirate dal film Il Gladiatore |
Un finale alternativo
di Ilaria Dotti
I
Massimo chiuse gli occhi e la sua
testa rotolò all'indietro sulla sabbia.
Invasa dal terrore, Lucilla gli posò una mano sul collo per sentire il battito
del cuore e con sollievo si accorse che era ancora vivo. Ma non lo sarebbe
stato ancora per molto se un medico non fosse intervenuto immediatamente.
"Quinto," urlò la donna al capo delle guardie pretoriane che stava in
piedi lì vicino, con un'espressione sgomenta sul viso. Al suono della sua voce
il soldato scattò e chiese: "Augusta Lucilla?"
"Cerca Ipparco e conducilo qui, immediatamente," rispose lei,
riferendosi al medico personale della famiglia imperiale, presente quel giorno
al Colosseo con il compito di assistere l'imperatore.
"Non è necessario, Augusta Lucilla," si intromise il senatore Gracco,
"Ipparco è già qui," e così dicendo spinse un ometto anziano al
centro dell'arena dove giaceva il corpo di Massimo.
Il medico si chinò e con l'aiuto di Lucilla liberò Massimo dall'armatura e lo
tastò con mani esperte e delicate, scoprendo la piccola, profonda ferita
causata dal pugnale di Commodo. Ipparco la esaminò, poi aprì la sua borsa e ne
estrasse un flacone pieno di una poltiglia verdastra. Il dottore ne spalmò un
po' all'interno ed attorno alla ferita e poi la fasciò con cura.
Quando ebbe terminato, Ipparco alzò la testa e fissò Lucilla, parlando con
schiettezza e sincerità.
"Sarò franco, Augusta: la ferita è molto profonda e già infetta e come
puoi vedere la febbre lo sta già divorando. Non credo che abbia molte
possibilità di cavarsela." Vedendo le lacrime salire agli occhi della
donna, l'uomo continuò. "Però possiamo sperare, dato che è forte e giovane
e io ti prometto che farò tutto quanto in mio potere per salvarlo. Ora dobbiamo
portarlo in un luogo caldo e pulito dove io gli somministrerò un decotto che
potrebbe aiutarlo a combattere l'infezione e la perdita di sangue."
Lucilla fece un debole sorriso e ordinò alle guardie di far avvicinare la
lettiga imperiale: avrebbe condotto Massimo a Palazzo e avrebbe vegliato su di
lui, assicurandosi che ricevesse le migliori cure possibili. Quando la lettiga
arrivò, il Generale vi fu sollevato con estrema delicatezza, mentre i
pretoriani e suoi compagni gladiatori formavano una scorta d'onore intorno ad
essa. In pochi minuti il convoglio si mise in marcia verso il Palatino, dove
sorgeva la residenza Imperiale e mentre usciva dall'arena Lucilla parve
accorgersi per la prima volta della folla che ancora gremiva gli spalti e che,
rimasta in religioso silenzio fino a quel momento, al passaggio della lettiga
si mise ad urlare "Massimo! Massimo! Massimo!"
Lucilla sorrise e poi si affrettò a seguire il convoglio.
II
Era a casa, nella sua fattoria
in Spagna.
Era estate: il cielo era sereno e i caldi raggi del sole gli accarezzavano le
spalle, mentre una leggera brezza gli scompigliava i capelli e faceva
ondeggiare il grano. Massimo sorrise ed allungò una mano per sfiorare le spighe
dorate e mature: quell'anno avrebbe avuto uno splendido raccolto.
Un movimento in lontananza attrasse la sua attenzione e Massimo strizzò gli
occhi contro il riverbero del sole per vedere di che cosa si trattasse. Il suo
sorriso divenne ancora più ampio nel vedere suo figlio che gli correva incontro
a piedi nudi e con le braccia spalancate.
"Papà, papà!!" urlava a squarciagola il piccolo Marco e Massimo
incominciò a muoversi nella sua direzione.
Il bambino era ormai a pochi metri e Massimo si chinò, pronto a ricevere il suo
abbraccio.
Poi si udì un'altra voce.
"Fermati Marco," era una voce di donna, dolce e nello stesso tempo
autorevole.
Massimo si rialzò in piedi e si voltò a guardare sua moglie con uno sguardo
interrogativo. La donna si avvicinò e si fermò affianco a Marco, posandogli un
braccio sulle spalle.
"Selene.." mormorò il Generale.
"Che cosa fai qui, Massimo? Non è ancora arrivato per te il momento di
tornare da noi."
"Ma io voglio stare con voi…" disse lui senza capire, continuando a
fissare sua moglie e suo figlio.
Selene fece un passo avanti, gli sfiorò la guancia con la mano e disse:
"Ti amo Massimo, ma non è ancora giunto per te il momento di
ricongiungerti a noi. Quando arriverà saremo qui ad aspettarti, ma ora è troppo
presto." La donna si interruppe e volse la testa di lato, come se stesse
ascoltando un qualche rumore lontano. Poi tornò a guardare suo marito, sorrise
e disse: "Ora va, c'è qualcuno che ti sta chiamando." E cosi dicendo,
gli volse le spalle, prese per mano Marco e cominciò ad allontanarsi.
"Selene! Marco!" urlò Massimo disperato alle due figure che stavano
diventando sempre più piccole. Suo figlio si voltò, gli fece un cenno di saluto
con la mano ma continuò a camminare.
Massimo provò ad inseguirli ma non riuscì a muovere un passo: era come se i
suoi piedi fossero incollati al terreno. Impotente vide i suoi cari farsi
sempre più lontani e sparire dal suo campo visivo.
Attorno a lui il paesaggio stava cambiando: il sole era scomparso e il vento si
era fatto più forte e freddo. Massimo rabbrividì e si avvide che stava
incominciando a piovere. Sollevò il viso per guardare il cielo e delle gocce di
pioggia gli caddero sulle labbra screpolate. Lui le raccolse con la lingua,
accorgendosi improvvisamente di avere una gran sete. Poi sentì una voce,
"Massimo? Massimo, ti prego, svegliati." Massimo aggrottò la fronte:
chi era che lo chiamava? Era una voce di donna, di questo era sicuro, come era
sicuro di conoscerla, ma non riusciva a ricordare di chi si trattasse.
"Beh," pensò tra sé e sé. "Tanto vale che vada a vedere di chi
si tratta visto che qui non c'è niente per me". E lanciata un' ultima
occhiata nostalgica alla sua casa, si voltò nella direzione da cui proveniva la
voce e cominciò a camminare.
III
La stanza era illuminata da
alcune lucerne che lanciavano bagliori dorati, creando giochi di luci e ombre
sui mobili e sulle due persone che vi si trovavano. Una di loro era seduta su
di una sedia e continuava ad intingere un panno bianco in un catino di ceramica
pieno di acqua fredda, per poi passarlo sul viso e sul petto dell'altro
occupante della stanza, l'uomo che giaceva sul letto, coperto di sudore e in
preda alla febbre.
Lucilla sentì qualcuno bussare alla porta e si girò in tempo per vedere entrare
Ipparco. Il medico la salutò con un cenno del capo e poi si diresse verso il
letto dove Massimo giaceva tranquillo. Ipparco gli prese il polso, gli sollevò
le palpebre per scrutargli le pupille e controllò che la fasciatura attorno ai
fianchi fosse ancora al suo posto. Poi annuì con la testa e si voltò verso
Lucilla.
La giovane donna gli lanciò un'occhiata ansiosa e il medico sorrise. "La
febbre sta calando e il polso si sta facendo più forte, segno che l'infezione è
stata vinta. Ora il pericolo più grave è la disidratazione: bisogna fargli bere
più acqua possibile. Adesso vado in cucina a preparare un altro decotto di erbe
per aiutarlo a recuperare le forze." E dopo un altro cenno di saluto, il
medico se ne andò.
Lucilla si voltò sollevata verso il ferito e gli passò una mano tra i capelli
sudati. "Massimo," mormorò con voce carica d'emozione, travolta da
sentimenti che minacciavano di sommergerla.
In quel momento Massimo scosse la testa violentemente mentre dalle labbra gli
uscirono grida disperate. "Selene! Marco!"
Lucilla riconobbe i nomi e si rese conto che egli doveva essere caduto in preda
ad un incubo che riguardava la sua famiglia. Il suo corpo ferito prese a
dimenarsi e Lucilla lo spinse con fermezza sul letto tenendolo per le spalle,
così da evitare che potesse farsi del male. Dopo qualche secondo Massimo parve
tranquillizzarsi e lei gli passò il panno bagnato sul viso, facendo gocciolare
un po' d'acqua sulle sue labbra screpolate. Massimo leccò l'acqua con avidità e
vedendo quel gesto Lucilla prese a chiamarlo. "Massimo? Massimo, ti prego,
svegliati."
Le palpebre del ferito tremolarono per alcuni secondi e poi si aprirono
lentamente.
*****
Quando Massimo aprì gli occhi gli
occorsero alcuni minuti per mettere a fuoco l'ambiente intorno a sé. Il
generale girò debolmente la testa e una fitta dolorosa gli trafisse la schiena,
togliendogli il respiro.
"Shhh," sussurrò una voce. "Stai tranquillo." Lucilla entrò
nel suo campo visivo e lui la fissò, cercando di dire qualcosa ma non riuscì ad
emettere alcun suono. La donna immerse il panno nel catino e poi glielo posò
sulle labbra. Massimo lo succhiò e deglutì lentamente l'acqua.
"Va meglio adesso?" chiese Lucilla.
"Sì," rispose lui con un filo di voce, continuando a fissarla. Lei
lesse le domande nel suo sguardo e mormorò: "Ti ricordi che cosa è
successo?"
"No..."
"Commodo è morto, l'hai ucciso tu. Adesso ti trovi a Palazzo, perché sei
rimasto gravemente ferito, ma il medico ha detto che presto starai
bene."
"I miei uomini..." sussurrò Massimo.
"Se ti riferisci ai tuoi amici gladiatori, sono tutti liberi e stanno
bene. Se invece intendi i tuoi legionari stanziati ad Ostia, beh, non appena è
arrivata loro la notizia che tu eri vivo, hanno eliminato il loro comandante e
trecento di loro sono adesso accampati alle porte di Roma."
Massimo annuì lentamente, commosso dalla lealtà dei suoi soldati. Poi si
rammentò di un’ultima cosa. "Lucio?" mormorò.
"E' al sicuro e sta bene. Grazie a te," rispose la giovane donna con
le lacrime agli occhi.
Massimo tentò un debole sorriso, poi sentì le palpebre farsi più pesanti e
lentamente i suoi occhi si chiusero.
Lucilla vide che si era addormentato e chinatasi su di lui lo baciò dolcemente
sulle labbra e mormorò: "Dormi tranquillo, amore mio, nessuno lo ha
meritato più di te. E non preoccuparti, ci sono io qui a vegliare su di
te."
V
"Augusta Lucilla,"
disse il senatore Gracco, "dobbiamo agire in fretta: il tempo
stringe."
La donna lo fissò duramente e disse: "Che cosa vuoi dire, Senatore?"
"Roma è in fermento: la morte di Commodo ci ha liberato da un tiranno ma
ci sono decine di persone che bramano di prendere il suo posto. I pretoriani
vogliono offrire il trono a Elvio Pertinace, che ha promesso loro grandi
elargizioni di denaro."
"Pertinace?" esclamò Lucilla, "Ma è un inetto, non durerebbe un
anno al potere!"
"Questo lo so anche io, Lucilla, ma ci sono anche altri pretendenti,
senatori e cavalieri che si stanno organizzando e armando eserciti
privati."
"Che cosa proponi? Restaurare la Repubblica?"
"No, non è possibile. Per quanto mi sia penoso ammetterlo, i tempi non
sono ancora maturi per un cambiamento del genere. Senza un uomo forte al potere
scoppierà il caos."
"Allora cosa vuoi fare?"
"Vorrei far dichiarare Lucio imperatore e..." Gracco fu interrotto
dall'esclamazione esterrefatta di Lucilla.
"COSA?!"
"E' l'unico erede di Marco Aurelio e con te e il Generale Massimo come
reggenti, potremmo riportare la pace a Roma," il senatore si interruppe in
attesa di una reazione.
Lucilla rimase in silenzio, mentre la sua mente lavorava freneticamente. Suo
figlio, imperatore! Voleva davvero poggiare tutto quel peso sulle fragili
spalle di un bambino di appena otto anni? Aveva visto come il potere poteva
corrompere l'animo degli uomini, voleva davvero che Lucio corresse tutti quei
rischi?
Gracco intuì la sua esitazione e disse: "Non devi temere, Lucilla, con le
truppe di Massimo a vegliare su di lui, il tuo bambino sarà al sicuro."
"Non se ne parla nemmeno," disse una voce decisa alle loro spalle,
facendoli voltare di scatto.
Massimo era lì, appoggiato allo stipite della porta. Erano passati solo cinque
giorni dal suo tragico scontro con Commodo e il generale era ancora pallido e
debole. Ipparco gli aveva consigliato di rimanere a letto ma evidentemente lui
non gli aveva dato retta.
Zoppicando per via della ferita alla gamba destra, Massimo si avvicinò
lentamente a Gracco e Lucilla.
"Come ti senti?" chiese lei sollecita.
"Molto meglio, grazie," rispose lui, mentre il senatore lo fissava
intensamente.
"Generale, che cosa intendi dire con ‘Non se ne parla nemmeno’?" gli
chiese senza preamboli.
"Che non ho alcuna intenzione di rimanere a Roma. L'ho detto la prima
volta che ci siamo incontrati e lo ripeto adesso."
"Ma Roma ha bisogno di te, Generale. I pretendenti al potere si stanno scatenando
come avvoltoi sulle carogne e se non agiremo subito scoppierà una guerra
civile," si accalorò Gracco.
Ma Massimo scosse la testa. "Io non sono l'uomo adatto per guidare
l'impero. Sono solo un contadino."
"Non ti sminuire, Generale, sei un grande condottiero."
"A Roma non serve solo un condottiero, ma anche un politico e un
diplomatico, qualcuno che conosca i bisogni dell'impero e possa soddisfarli e
io non sono quell'uomo," rincarò Massimo con aria definitiva. Poi
all'improvviso il suo sguardo si illuminò e disse: "Tuttavia potrei
conoscere la persona adatta."
"Di chi si tratta?" chiese Gracco sospettoso mentre Lucilla lo guardò
con interesse.
"Del governatore militare della Pannonia, Lucio Settimio Severo."
"Quel provinciale africano?!" commentò con disprezzo il senatore.
"Non fare il difficile, Gracco: anch' io sono un provinciale, eppure poco
fa non ti sei fatto problemi ad offrirmi l'impero. Settimio Severo è un grande
comandante, amato dalle sue truppe e cosa ancora più importante, è un ottimo
diplomatico."
Massimo vide Gracco scambiare un'occhiata con Lucilla e capì che i due stavano
prendendo in considerazione la sua idea. Bene, forse ora l'avrebbero lasciato
in pace. L'unica cosa che voleva fare era andarsene da Roma e tornare alle sue
terre, a ricostruire la sua casa e a coltivare i suoi campi. Negli ultimi mesi,
non sapeva nemmeno lui esattamente quanti, aveva vissuto con un unico
proposito: uccidere Commodo e vendicare i suoi cari, intimamente convinto che
non sarebbe sopravvissuto al suo nemico. Ma lui era ancora vivo, era
sopravvissuto allo scontro finale e ora si sentiva stanco, svuotato, disgustato
da tutte le violenze che aveva dovuto sopportare e compiere e privo di
propositi, come una nave senza nocchiero. Quella situazione non gli piaceva per
niente e sapeva di dover reagire: gli dei avevano deciso che non fosse ancora
giunto per lui il tempo di riabbracciare sua moglie e suo figlio ed egli doveva
ora trovare il modo di dare un senso al resto della sua vita.
Lucilla lo guardò allontanarsi zoppicando e capì che niente e nessuno sarebbe
riuscito a fargli cambiare idea. Ed era giusto così: Roma non era posto per
lui. Il suo cuore era troppo onesto, troppo puro per quel mondo corrotto. La
donna si girò verso Gracco e disse: "Credo che sia il caso di inviare dei
messaggeri in Pannonia e convocare il Generale Severo qui a Roma: potremmo
presto aver bisogno di lui."
VI
Una settimana dopo, scortato dai
suoi legionari, Massimo lasciò Roma per il porto di Ostia, dove lo attendeva la
nave che lo avrebbe ricondotto in Spagna. Il trasporto, armato a spese del
Senato, era il ringraziamento della città di Roma per averla liberata da un
tiranno pazzo e sanguinario, anche se era ancora da vedersi in quali mani
sarebbe finito lo scettro del potere. Per il momento nessuno aveva provato ad
impossessarsene con decisione, probabilmente in attesa di sapere da che parte
si sarebbe schierato Massimo, se si fosse schierato. Il generale era troppo
popolare, troppo amato, perché potesse essere eliminato o anche solo ignorato,
come dimostravano i trecento cavalieri che lo stavano accompagnando al porto.
Per fortuna però, quello che dal punto di vista di molti era solo un ostacolo
ai propri piani di grandezza, aveva deciso di rimuoversi spontaneamente dalla
scena. Aveva accettato solo una cospicua somma di denaro - ben misero
risarcimento per tutto il dolore causatogli da Commodo - offertagli da Lucilla
e il Senato come dono del popolo di Roma, con cui ricostruire la propria casa e
riprendere la sua vita da contadino.
*****
Fin dalle prime ore del mattino
un'enorme folla si era assiepata ai bordi della strada che da Roma conduceva a
Ostia: si trattava di contadini, artigiani, bottegai con le loro famiglie,
convenuti con l'unico desiderio di acclamare l'uomo che così coraggiosamente li
aveva liberati dal giogo della tirannia.
Massimo procedeva lentamente in mezzo a quelle due ali di folla per nulla
intimorita dai trecento soldati in alta uniforme che lo scortavano. Molte
persone riuscirono ad intrufolarsi tra i soldati e a raggiungere l'ex generale,
nella speranza di riuscire a sfiorargli una gamba o addirittura di stringergli
la mano. Per ognuno di loro Massimo ebbe parole gentili e di ringraziamento, ma
tutta quella devozione lo metteva a disagio, poiché lui non aveva ucciso
Commodo per il bene del popolo ma solo per una vendetta personale.
Giunto al porto, Massimo scese da cavallo, mentre i suoi soldati si schierarono
davanti a lui, per porgergli l'ultimo saluto. L'ex generale li passò in
rassegna come aveva quella fatale mattina nelle foreste della Germania, e per
tutti ebbe parole di elogio e di esortazione a compiere bene il proprio dovere
verso Roma. Poi si incamminò lungo il molo con i suoi pochi averi raccolti in
una sacca di cuoio gettata sulla spalla.
Era quasi arrivato alla nave quando scorse una figura familiare ferma vicino
alla passerella che collegava l'imbarcazione al molo. "Juba," esordì
sorridendo.
"Massimo," disse il Nubiano ricambiando il sorriso e dandogli una
pacca sulla schiena. "Mi fa piacere trovarti così in forma, amico mio:
quando ti hanno portato via temevo che non ti avrei rivisto mai più, almeno non
in questa vita. Sono anche venuto al Palazzo Imperiale, ma non mi hanno
lasciato avvicinare. -
"Che cosa fai qui?"
"La stessa cosa che fai tu: torno a casa. La mia nave parte tra venti
minuti."
Massimo annuì lentamente, percependo la felicità che permeava le parole del suo
amico: il Nubiano aveva qualcuno da cui tornare, una famiglia che lo avrebbe
accolto con gioia, un villaggio che lo avrebbe festeggiato, mentre lui avrebbe
trovato ad attenderlo solo un cumulo di rovine, campi bruciati, e ricordi
dolorosi. Sentendo dentro di sé una vampata di invidia che mal gli si addiceva,
distolse lo sguardo, voltando la testa verso il mare.
Juba si accorse del suo stato d'animo e continuò a fissarlo in silenzio, finché
i loro occhi non si incontrarono di nuovo. Allora mormorò: "Dai tempo al
tempo, Massimo. Ora che li hai vendicati, lascia che tua moglie e tuo figlio
riposino in pace. Non sprecare il resto della tua vita consumandoti nel dolore
e nel rimpianto: sono sicuro che loro non lo vorrebbero."
"Tu parli troppo," rispose brusco Massimo, ma Juba sapeva che non era
arrabbiato e che le sue parole non erano cadute nel vuoto. Rimasero in silenzio
ancora per qualche istante poi il Nubiano disse: "Devo andare."
Massimo lo attirò in un forte abbraccio e disse: "Ave atque vale,
Juba, e buona fortuna."
"Buona fortuna a te, amico mio," e dopo un'ultima stretta di mano, si
voltò e se ne andò.
Massimo lo guardò allontanarsi, perso nei suoi pensieri, finché una voce non lo
riportò alla realtà.
"Allora Generale, che ne dici di levare l'ancora e fare rotta per
l'Hispania?" Si voltò di scatto verso la nave ed un'espressione di stupore
gli si dipinse sul volto. "Valerio! Che cosa fai lì sopra?"
L' ex comandante della fanteria si appoggiò al parapetto della nave e disse:
"Generale, non mi dire che ti sei dimenticato che io sono un
marinaio!?" esclamò fintamente offeso. "Non dopo avermi preso in giro
per dieci anni! Il marinaio che comanda le truppe di terra!"
"Certo che no!" rispose Massimo salendo a bordo e salutando il
robusto soldato, che come lui era di origine iberica.
Valerio scrutò il mare con occhi esperti e disse: "Il vento ci è propizio,
Generale: issiamo queste vele ed andiamo a casa."
"Sì," annuì Massimo. "Andiamo a casa."
EPILOGO - 18 MESI DOPO
Il sole splendeva benigno sulla
campagna nei pressi di Trujillo. Gli animali brucavano tranquilli, gli alberi erano
carichi di frutti, i campi di grano erano dorati e quasi pronti per la
mietitura e sui crinali gli ulivi e le viti crescevano forti e rigogliosi.
Dall'alto di una collina, in groppa al suo cavallo preferito, Massimo fece
scorrere lo sguardo sulle sue terre e per la prima volta in tanto tempo si
sentì in pace con se stesso e con il mondo.
Osservò i suoi contadini intenti nelle più svariate attività e si ritrovò a
riflettere su quanto la sua esperienza come gladiatore avesse cambiato il suo
modo di vedere la vita. Prima di cadere prigioniero, aveva sempre pensato alla
schiavitù come a qualcosa di naturale, scontato e necessario. Ora, la sola idea
che un uomo potesse possederne un altro ed avere su di lui diritto di vita o di
morte, gli dava il voltastomaco. I suoi contadini erano tutti liberti, schiavi
da lui acquistati al mercato e subito liberati, per poi assumerli poi come
operai salariati. Tra loro c'erano uomini, donne e bambini, tutti gran
lavoratori ed estremamente leali. Non poteva permettersi di pagarli molto, ma i
campi e il bestiame davano loro di che vivere più che dignitosamente.
Il suo cavallo, un giovane stallone appena domato, diede segni di impazienza,
scotendo la testa e muovendo qualche passo. Massimo lo accarezzò sul collo e
disse: "Hai ragione, amico mio, è ora di rientrare." Un leggero tocco
coi talloni e i due trottarono via.
Stavano percorrendo il viale alberato che conduceva alla sua casa quando scorse
un uomo che correva nella sua direzione. Massimo aggrottò la fronte
riconoscendo uno dei suoi contadini, poi arrestò il cavallo e chiese: "Che
cosa c'è, Fabio?"
L'uomo gli rispose col fiato corto. "Signore, ci sono degli ospiti."
"Ospiti?"
"Sì, domine: una signora dell'alta società con la sua dama di
compagnia e quattro altri servitori."
Massimo rimase un attimo interdetto: non aspettava nessuno e ormai da mesi non
riceveva più le visite inaspettate da parte di notabili e popolani curiosi. Ad
ogni modo non aveva senso stare a perder tempo, per cui spronò il cavallo al
galoppo e si diresse verso la villa.
Quando arrivò al cortile antistante la casa notò immediatamente il carro di
ottima fattura che vi sostava. Scese di sella, affidò il cavallo allo stalliere
ed entrò. Nell'atrio gli venne subito incontro Flaminia, la sua cuoca che muovendo
le braccia agitata, gli disse di aver fatto accomodare la signora nel grande
triclinio. Lui la rassicurò dicendo che aveva fatto benissimo e poi la congedò.
Massimo entrò nell'ampia sala dove lui e i suoi uomini erano soliti cenare, si
guardò intorno e vide la donna. Lei gli dava le spalle, persa nei suoi
pensieri, ma lui la riconobbe subito e il suo cuore iniziò a battere
velocemente.
"Augusta Lucilla," la salutò emozionato.
Lei si voltò di scatto e scotendo la testa mormorò: "Solo Lucilla
ora." Poi sorrise e gli si avvicinò.
"Massimo, che piacere rivederti: ti trovo in ottima forma." Era vero:
lui era abbronzato, i capelli e la barba ben tagliati erano schiariti dal sole
e i suoi occhi chiari sprizzavano voglia di vivere. Sembrava perfino più
giovane di come lei se lo ricordava, molto più simile al ragazzo che aveva
amato tanti anni prima... e che ancora amava.
Anche Massimo la osservò attentamente mentre prendeva le sue mani e se ne
portava una alle labbra. Lucilla sembrava invecchiata dall'ultima volta che
l'aveva vista, ma ai suoi occhi era bellissima come sempre. Sulla sua fronte e
sul viso erano evidenti i segni della preoccupazione e della fatica e lui si
domandò che cosa potesse averli causati. "A cosa devo il piacere della tua
visita?"
Lei si scostò da lui senza rispondere e, evitando il suo sguardo, si mise a
gironzolare per la stanza, sfiorando gli schienali delle sedie con la punta
delle dita, e prendendo in mano alcuni soprammobili per poi rimetterli subito
al loro posto. Massimo la osservò per alcuni minuti: era evidente che lei
desiderava parlargli e lui cercò di renderle le cose più facili. "Ti va di
camminare un po'?" le chiese.
Lucilla fece un cenno d'assenso con la testa, e lo seguì all'esterno.
Camminarono in giardino, fianco a fianco, in silenzio finché non arrivarono ad
un piccolo quadrato di terra recintato da pietre dove, ricoperte da fiori
multicolori, potevano essere scorti due semplici monumenti funebri. Lucilla li
contemplò per alcuni istanti prima di mormorare: "Tua moglie e tuo figlio,
vero?"
"Sì," annuì lui.
Il silenzio scese di nuovo tra loro e guardando il volto di Lucilla, Massimo si
accorse che la donna stava combattendo una battaglia interiore con se stessa.
Alla fine parve prendere una decisione, si voltò verso di lui e disse:
"Non mi sono mai scusata con te per averti tradito rivelando i tuoi piani
a Comodo," e così dicendo, abbassò la testa, cercando di evitare il suo
sguardo.
Massimo le si fece più vicino e le sollevò il mento con dita delicate.
"Non era necessario. L'hai fatto per tuo figlio, qualsiasi madre avrebbe
fatto lo stesso," la rassicurò comprensivo.
Lei gli sorrise grata e disse: "E' a causa di Lucio se sono
qua."
"Come?" domandò Massimo perplesso.
Lucilla lo prese sottobraccio. "Vieni camminiamo ancora un poco... Hai
seguito gli sviluppi della crisi politica a Roma?"
Lui scrollò le spalle. "Le notizie qui arrivano lentamente e non sempre
esatte; comunque so che i pretoriani avevano proclamato imperatore Elvio
Pertinace, ma che è rimasto ucciso dopo solo tre mesi di regno."
"Infatti; ora l'imperatore è Lucio Settimio Severo, l'uomo che tu mi avevi
consigliato di chiamare," commentò Lucilla stringendogli il braccio.
"Che cosa ne pensi?"
"Penso che tu avessi ragione quando mi hai parlato di lui. E' un ottimo diplomatico,
ha il controllo di gran parte dell'esercito e credo che potrebbe diventare un
buon sovrano. Tuttavia nella capitale ci sono ancora delle sacche di
resistenza, persone che non hanno ancora seppellito le proprie ambizioni o che
non vedono di buon occhio un imperatore provinciale. E' per questo che me ne
sono andata."
Massimo la guardò senza capire e lesse la paura nel suo sguardo. Lucilla
continuò: "Poco tempo fa mi è giunta notizia di un'ennesima congiura
contro Severo, solo che questa volta i cospiratori volevano mettere sul trono
Lucio, il mio Lucio. Non potevo permettere che una voce del genere venisse
riferita da altri all'imperatore e così sono andata a parlargli di persona e
gliel'ho detto io stessa. Poi gli ho giurato eterna lealtà e ho chiesto il
permesso di lasciare Roma per allontanare mio figlio dai pericoli e lui ha
acconsentito. Mi ha detto di avere avuto molta ammirazione per mio padre e mi
ha chiesto dove avrei voluto andare. Io gli ho accennato alla Spagna e con mia
grande sorpresa lui mi ha fatto dono di alcune terre aldilà di quelle
colline," e le indicò con la mano. "Per cui, Massimo, si può dire che
ora siamo vicini di casa," concluse sorridendo.
Lui ricambiò il sorriso e le disse. "Benvenuta a Trujillo, vicina."
Si guardarono negli occhi teneramente e lei aggiunse: "Dovrai aiutarmi con
i miei poderi, perché io non so niente di campi, sementi e
raccolti."
"Sarà un piacere consigliarti."
Ripresero a camminare, ma all'improvviso Lucilla si arrestò, il viso di nuovo
serio.
Massimo le toccò una spalla e chiese dolcemente: "Che cosa c'è?"
Lei lo fissò e poi mormorò: "Vorrei chiedere il tuo aiuto anche per
un'altra cosa, ma non so se..." la sua voce si spense.
"Dimmi," la incoraggiò lui.
"Lucio," disse lei velocemente, "Lucio ha bisogno di un uomo che
gli faccia da guida, da punto di riferimento. Ha bisogno di qualcuno che gli
spieghi come funziona davvero la vita, ha bisogno di qualcuno che gli faccia da
p..." Lucilla si interruppe prima di dire troppo ma Massimo non ebbe dubbi
nel completare la frase con la parola giusta, 'padre'. In preda ad una forte
emozione girò la testa e si voltò a guardare le tombe di Marco e Selene. Una
leggera brezza gli scompigliò i capelli e il sibilo del vento tra i rami degli
alberi parve portare con sé la risposta alla sua muta domanda.
"Acconsenti, Massimo, hai ancora tanto amore dentro di te. Non lo
sprecare."
Un ampio sorriso gli si dipinse lentamente sul volto e nel vederlo il cuore di
Lucilla fece le capriole.
"Sarò onorato di aiutare Lucio a crescere, se lui me lo
permetterà."
"Se te lo permetterà?! Ma vuoi scherzare? Durante tutto il viaggio non ha
fatto altro che dire ‘Massimo qui, Massimo lì’. Oggi ho dovuto letteralmente
chiuderlo a chiave in camera sua per riuscire a parlarti da sola!"
"Davvero?"
"Certo! Non ti ha mai dimenticato, nemmeno per un attimo."
"Neanche io l'ho mai dimenticato." Si guardarono negli occhi e, vinto
da un impulso irresistibile, Massimo chinò la testa e le diede un bacio.
Lucilla gli gettò le braccia al collo, lo tenne stretto a sé e quello che era
cominciato come un bacio fraterno divenne molto ma molto di più. Quando si
staccarono lentamente l'uno dall'altra lei sussurrò: "Credi che ci sia
qualche speranza per noi?"
Lui la guardò teneramente e rispose: "Non lo so, però possiamo fare un
passo alla volta e vedere insieme come andranno le cose." Lucilla annuì e
lui continuò: "Adesso rientriamo in casa e poi andiamo a liberare Lucio:
stasera sarete miei ospiti a cena."
Massimo porse il braccio a Lucilla, lei lo prese gioiosamente ed insieme si
avviarono a passo lesto lungo il viale, accompagnati dal canto delle cicale e
dal profumo dei fiori.
Continua con Temporale estivo