Storie de Il
Gladiatore
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Storie ispirate dal film Il Gladiatore |
di Ilaria Dotti
182 D.C.
circa 4 mesi dopo la fine di:
"Il Gladiatore - un finale alternativo"
PROLOGO - TARDA NOTTE
Massimo Decimo Meridio si rigirò per l'ennesima volta nel tentativo di trovare
una posizione comoda. Tutto inutile: in qualsiasi modo si sistemasse la sua
schiena dolorante non gli dava tregua. Tanto valeva rassegnarsi, quella notte
aveva ben poche possibilità di prendere sonno. Si sedette sul letto e,
indossata di nuovo la tunica, andò alla finestra a contemplare il temporale
estivo che si stava abbattendo sulla campagna intorno a Trujillo. L'acqua era
la benvenuta visto che la stagione era stata molto secca, ma la violenza del
vento e della pioggia avrebbero potuto provocare dei danni.
"Anzi," pensò Massimo, mentre un sorriso gli increspava le labbra,
"almeno un danno l'hanno già provocato... alla mia schiena."
CAPITOLO I - POMERIGGIO
Il pomeriggio era iniziato benissimo, con una breve cavalcata su e giù per una
collina per raggiungere la proprietà di Lucilla. Il giovane Lucio aveva
ricevuto in dono per il suo decimo compleanno uno splendido puledro sauro, che
Massimo stava domando per lui. Quel giorno avrebbe dovuto essere il gran
giorno, con il primo tentativo di Lucio di cavalcare l'animale e il ragazzino
non stava più nella pelle per l'eccitazione.
Appena arrivato Lucio gli era corso incontro e lo aveva preso per una mano,
praticamente trascinandolo fino al piccolo tondino usato per la doma, mentre
Lucilla aveva osservato la scena con un sorriso divertito.
Massimo era messo subito al lavoro, notando le nuvole scure che si stavano
ammassando all'orizzonte, cominciando a lavorare il puledro alla corda, facendolo
trottare e galoppare in circolo e controllando che obbedisse prontamente ai
comandi che gli andava via via impartendo.
Lucio e Lucilla osservarono la scena appoggiati alla palizzata del recinto ma
mentre il bambino non aveva occhi che per il suo puledro, lo sguardo di Lucilla
raramente abbandonava il viso di Massimo e quando lo faceva, era solo per
soffermarsi sulle sue spalle, affascinata dai forti muscoli che vedeva al
lavoro sotto la leggera tunica marrone scuro da lui indossata.
Dopo una mezz'ora di lavoro alla corda, Massimo decise che fosse arrivato il
momento della verità. Fermò il puledro, gli si avvicinò e lo accarezzò.
"Lucio, portami la testiera, per favore." Il bambino, che non
aspettava altro, saltò giù dalla palizzata ed entrò nel recinto reggendo il
finimento.
Mentre stava regolando le fibbie, Massimo si accorse che si era sollevato un
forte vento e che il suo sibilare tra i rami stava agitando il puledro, che si
guardava attorno con occhi spiritati, mentre le sue orecchie si muovevano in
ogni direzione. Notando questo nervosismo Massimo incominciò a pensare che
forse sarebbe stato meglio rimandare l'esperimento e lo disse a Lucio.
L'espressione delusa che si dipinse sul volto del bambino gli fece stringere il
cuore e Massimo decise di optare per un compromesso. "Che ne dici se prima
lo monto un po' io così vedo come si comporta?" propose. Lucio avrebbe
voluto essere il primo a cavalcare il puledro, ma avendo capito che Massimo era
preoccupato per la sua sicurezza, annuì di buon grado.
Massimo accarezzò il puledro sul collo e sui fianchi, emettendo con le labbra
dei mormorii rassicuranti e quindi, con una mossa agile, gli saltò in groppa.
Il puledro reagì mettendosi a sgroppare energicamente, ma i suoi tentativi di
scrollarsi di dosso quel fastidioso peso si scontrarono contro la ferrea morsa
delle ginocchia di Massimo. Dopo alcuni minuti l'animale parve comprendere che
non c'era nulla da fare e si mise a trottare con diligenza, mentre Lucilla e
Lucio applaudivano ammirati.
Poi, all'improvviso accadde tutto: un tuono in lontananza, uno stormo di
uccelli levatosi in volo di scatto e il puledro si impennò. Massimo fece quello
che andava fatto: si attaccò alla criniera e si chinò in avanti sul collo
dell'animale, scaricandovi tutto il proprio peso, per costringerlo a
riabbassare l'anteriore. Ma il puledro era inesperto e fece l'opposto di quanto
sperato: si alzò sempre di più sulla verticale fino a che non accadde
l'inevitabile e perse l'equilibrio rovesciandosi all'indietro, trascinando Massimo
nella sua caduta.
Massimo atterrò violentemente sulla schiena ma riuscì a rotolare lontano dal
cavallo caduto, evitando di rimanere sotto di esso o di essere colpito dagli
zoccoli. Cercò subito di rialzarsi ma una fitta lancinante alla schiena lo fece
crollare sulle ginocchia e lo costrinse a sdraiarsi nuovamente a terra.
Lucilla si precipitò da lui spaventata, poiché sapeva quanto delicata fosse la
sua schiena a causa dei postumi di una pugnalata inflittagli da suo fratello
Commodo, e lo toccò sulla spalla. "Che cosa ti senti?" gli chiese
mentre Lucio si affrettava a riprendere il puledro.
Massimo vide la sua preoccupazione e cercò di tranquillizzarla. "Credo di
essere tutto intero, mi sono solo alzato troppo in fretta. Vedi," disse
indicando le sue gambe, "riesco a muoverle perfettamente, significa che la
spina dorsale è a posto."
Lucilla annuì sollevata e lo aiutò a rialzarsi in piedi, stringendo le labbra
quando il suo viso contorcersi in una smorfia di dolore. "Credo di essermi
stirato qualche muscolo."
Camminando piano raggiunsero il limite del recinto. Lucio andò loro incontro a
testa bassa. "E' colpa mia, se non avessi insistito per cavalcare oggi,
tutto questo non sarebbe successo." Massimo scosse la testa e gli arruffò
i capelli. "Non è colpa di nessuno Lucio, è semplicemente successo. Adesso
riporta il puledro in scuderia e dagli una bella strigliata." Il bambino
si avviò e i due adulti lo seguirono.
Quando ebbero raggiunto le scuderie Massimo scrutò il cielo e disse: "E'
meglio che me ne vada, prima che Giove Pluvio si scateni."
"Ah no, mio caro," esclamò Lucilla, "tu non vai da nessuna
parte, non con quella schiena dolorante."
"Lucilla..." iniziò Massimo, la voce bassa in segno d'avvertimento ma
lei lo interruppe.
"Tu adesso entrerai in casa, ti siederai e io dirò ai servi di prepararti
un bagno caldo. Dopo di che ceneremo e tu passerai la notte qui," terminò
con un tono che non ammetteva repliche, per nulla intimorita dal suo sguardo
duro. Lei non aveva mai avuto paura di lui, nemmeno quando, quasi due anni
prima, confrontandosi con lui in una cella del Colosseo, Massimo l'aveva
afferrata alla gola, stringendo fino a farle mancare il respiro. Lei era
rimasta a fissarlo, intimamente convinta che, per quanto furibondo lui potesse
essere, non le avrebbe mai fatto del male, finché alla fine lui non aveva
allentato la morsa.
Massimo la guardò, notando quanto la sua aria decisa gli ricordasse quella di
suo padre, l'imperatore Marco Aurelio, ed esclamò: "Agli ordini,
generale!" poi scoppiò a ridere e lei si unì a lui.
CAPITOLO II - SERA
Quella
sera la cena si svolse in un atmosfera molto allegra mentre all'esterno si
scatenava l'inferno.
Era piacevole starsene in casa al riparo, mangiando e chiacchierando, mentre
fuori il vento, la pioggia, i tuoni e i lampi sembravano litigare e sbraitare
tra loro, facendo a gara a chi faceva più rumore.
Lucilla guardò Massimo, seduto a capo tavola, mentre parlava con Lucio e gli
spiegava alcune manovre militari utilizzando dei pezzi di pane per raffigurare
le centurie. Suo figlio ascoltava rapito e anche lei si perse nel suono di
quella voce profonda e pacata, ritrovandosi a pensare quanto giusta e
appropriata fosse la presenza di un uomo - di quell'uomo - nella loro vita. Per
l'ennesima volta si chiese se lei e Massimo sarebbero mai tornati ad essere
amanti. Da quando, col suo trasferimento in Spagna, avevano ripreso a
frequentarsi, lei e Massimo si erano scambiati alcuni baci e sguardi carichi
d'affetto, ma non era mai successo nulla. Solo una volta c'erano andati vicini...
Lucilla si abbandonò ai ricordi, ripensando a quel pomeriggio di due settimane
prima.
Erano andati insieme a fare una passeggiata a cavallo, una volta tanto senza
Lucio che era rimasto a casa a studiare. Dopo aver passato un’ora ad esaminare
i vigneti, decidendo quali cambiamenti apportare alle coltivazioni, avevano
raggiunto un piccolo stagno e avevano deciso di riposarsi un po'.
Scesi di sella si erano seduti su di un tronco d'albero caduto e avevano
osservato due scoiattoli che giocavano nell'erba. Poi Massimo le aveva preso la
mano, commentato benevolo che quella non era la mano di una contadina, e se
l'era portata alle labbra. Le cose erano progredite velocemente: un momento
prima lui le stava baciando la mano ed un attimo dopo erano una nelle braccia
dell'altro scambiandosi baci appassionati. Si erano sdraiati sull'erba soffice,
Massimo era rotolato sopra di lei e Lucilla, vedendo la sua eccitazione, aveva
creduto che il momento che aveva tanto sognato fosse infine arrivato. Poi però
all'improvviso, come tutto era iniziato, tutto era finito. Massimo si era
allontanato da lei, le aveva teso la mano per aiutarla ad alzarsi e si era
scusato, dicendo di non sapere che cosa gli fosse preso. Lucilla aveva cercato
di confortarlo, dicendogli che non c'era nulla per cui scusarsi, anzi, ma lui
l'aveva ignorata, aiutandola a risalire in sella, un'espressione tormentata sul
suo viso forte e allo stesso tempo dolce.
Nei tre giorni successivi non le aveva praticamente rivolto una parola,
evitando anche il suo sguardo. Poi tutto era ritornato alla normalità, ma
Lucilla continuava a chiedersi se sarebbero mai tornati veramente assieme e
quali demoni stessero tormentando l'animo di Massimo.
"Madre, possiamo giocare coi latrunculi[1]?"
chiese Lucio impaziente.
"Lucilla, stai bene?" aggiunse Massimo.
Lei scosse la testa per schiarirsi le idee. "Sì, sì, sto bene. Stavo solo
sognando ad occhi aperti. E' una serata così piacevole," mentì. "Che
cosa vogliamo fare adesso?" aggiunse con forzata allegria.
"Perché non giochiamo coi latrunculi?" Gli occhi di Massimo
brillavano divertiti poiché sapeva che lei non aveva ascoltato una sola parola
della sua conversazione con Lucio.
"Sì, certo, mi sembra una buona idea." Lucilla rispose con decisione.
Lasciarono il triclinio, dando così modo ai servitori di sgombrare la tavola, e
si recarono nell'adiacente tablinio. Il gioco andò avanti per circa un'ora, ma
quando alla fine divenne troppo difficile mantenere la concentrazione, decisero
di comune accordo di porre termine alla serata.
"Andiamo a letto. Massimo, la stanza degli ospiti è già pronta. E' la
prima porta a sinistra lungo il corridoio," disse Lucilla. Dopo
l'incidente vicino al tronco, non provò nemmeno a suggerire la possibilità che
potessero dormire insieme.
"Grazie di tutto. Buona notte Lucio, Lucilla." Massimo salutò
entrambi.
"Buona notte Massimo," risposero all'unisono madre e figlio, lo
sguardo fisso sulla schiena mentre si allontanava.
EPILOGO - TARDA NOTTE
Un leggero colpo alla porta
strappò Massimo alle sue riflessioni. "Avanti," disse lui, sicuro di
sapere di chi si trattasse.
Lucilla gli si avvicinò e contemplò con lui il temporale. "Come mai sei
ancora in piedi?" gli chiese.
"Potrei farti la stessa domanda."
"Sì, ma io l' ho chiesto per prima."
"Non riesco a dormire," rispose lui con semplicità.
"Hai paura dei tuoni?" chiese lei ironica.
Massimo sorrise: la vita in campagna, lontano dalle tensioni politiche di Roma
aveva fatto bene a Lucilla, che era tornata ad essere una donna allegra e
spigliata. "Non riesco a trovare una posizione comoda per la mia schiena.
Gli effetti benefici del bagno sono svaniti da tempo," commentò con una
smorfia.
"Oh," mormorò lei tornando seria. "Vuoi che te ne faccia
preparare un altro?" Ma prima che lui potesse rispondere lei continuò:
"No, so io quel che ci vuole: un bel massaggio," e dal suo tono
Massimo capì che intendeva effettuarlo lei stessa.
"Non credo che sia una buona idea..."
"E' un ottima idea, invece, e non preoccuparti, ho imparato a fare i
massaggi da dei veri esperti. Adesso sdraiati sul letto e togliti la
tunica."
"Lucilla, non è necessario...."
"Sì che lo è, hai mai visto fare dei massaggi con indosso i vestiti?"
Vedendo la sua espressione ostinata lei lo provocò. "Non mi dirai che hai
paura, vero?"
"Sì, ho paura," pensò lui, "paura di quello che
potrebbe succedere." Massimo rimase in silenzio e, capendo che lei non
se ne sarebbe andata, non finché non avesse ottenuto ciò che voleva, decise di
cedere. L'idea di un massaggio era fantastica... quanto al resto, avrebbe
lasciato decidere agli dei.
Un lampo di trionfo misto ad eccitazione attraversò lo sguardo di Lucilla
quando vide Massimo dirigersi verso il letto. Lui si sfilò la tunica e si
sdraiò a pancia sotto, con indosso solo la fascia inguinale. Lei si avvicinò,
si sedette sul bordo del letto e chiese: "Dove ti fa male?"
"In alto, in mezzo alle spalle," mormorò lui appoggiando la guancia
sul braccio.
Con mani che tremavano un poco Lucilla incominciò il massaggio, felice di poter
finalmente toccare quelle ampie spalle che tanto amava, ma dopo pochi minuti si
accorse che seduta in quel modo non riusciva ad applicare abbastanza pressione
e decise di compiere un'azione spavalda.
"Adesso non sconvolgerti," avvertì Massimo e prima che lui potesse
chiederle perché mai avrebbe dovuto sconvolgersi, lei lo scavalcò e si sedette
sui suoi fianchi. Massimo spalancò gli occhi per lo stupore ma quando cercò di
voltare la testa per guardare, una fitta improvvisa lo costrinse a desistere.
Lucilla fu piacevolmente sorpresa dalla sua mancanza di resistenza e prese a
massaggiargli le spalle con vigore. Rimasero in silenzio per parecchi minuti e
mentre i muscoli contratti cominciarono a sciogliersi sotto le sue dita
esperte, Lucilla si accorse di due fatti: per prima cosa, il respiro di Massimo
si era fatto più laborioso e per seconda, ogni qualvolta lei si chinava in
avanti per massaggiare con più energia i muscoli del collo e le sue natiche si
sollevavano dai suoi fianchi, la schiena di lui si inarcava nel tentativo di
mantenere il contatto. Quando questi due fatti le penetrarono la mente Lucilla,
che fino a quel momento era stata così spavalda, non seppe più come
comportarsi. Doveva continuare? Doveva smettere? Massimo era consapevole di
quello che stava facendo? Le sue mani si fermarono mentre lei cercava di
prendere una decisione.
La voce di Massimo si intromise nei suoi pensieri. "Lucilla alzati un
attimo, per favore."
Lei si sollevò pensando: "Ecco, adesso mi manderà via," ma con
sua gioia lui non fece altro che girarsi e mettersi supino, e poi, mettendole
le mani sui fianchi la fece di nuovo sedere su di sé. Un brivido le corse lungo
la schiena quando sentì il suo desiderio. Abbassò lo sguardo e i loro occhi si
incontrarono. Studiò la faccia di lui e vide il conflitto di emozioni che gli stava
agitando l'anima. Lucilla continuò a fissarlo e lo vide chiudere gli occhi e
sospirare. L'azione la riempì di angoscia. "Massimo, amore mio, non
fare così. Se non c'è futuro per noi, dimmelo. Io capirò e ti lascerò andare.
Ma non tirarti indietro come hai fatto vicino al tronco, non sarei in grado di
sopportarlo," pensò mentre il silenzio si protraeva per quella che le
sembrò un'eternità. Alla fine Lucilla non ce la fece più ed abbassò la testa,
vinta dalla tristezza.
"Massimo, non fare l'idiota. Stai ancora piangendo per i tuoi cari,
nonostante loro ti abbiano mostrato quanto siano felici nei Campi Elisi e ti
abbiano detto che il tuo momento non è ancora arrivato. Tuttavia ti senti in
colpa e così facendo fai soffrire una donna che non ti ha dato che amore…
Perché deve essere così? Hai ancora molto da offrire, se solo lo desideri. Devi
deciderti."
"Chi ha parlato?" si domandò Massimo, aprendo gli occhi. Era
sicuro di aver udito qualcuno, la voce era così distinta, come se fosse nella
stanza con lui.
Era sul punto di ignorarla, considerandola solo uno scherzo della sua
immaginazione, quando la sentì di nuovo, "DEVI DECIDERTI!" gli
urlò nelle orecchie.
Massimo guardò Lucilla e sentì le lacrime salirgli agli occhi nel vedere la sua
espressione desolata, "Tu meriti di più di questo," pensò. "Molto
di più."
Allungò una mano e le sollevò il mento con delicatezza. "Guardami."
sussurrò. Gli occhi di Lucilla continuarono testardamente a rimanere abbassati.
Lui deglutì e quindi mormorò con voce roca: "Se mi vuoi, io sono
qui."
Lucilla sollevò gli occhi, e gli rispose con un sorriso radioso, prima di
chinarsi in avanti e baciarlo.
Massimo la strinse a sé con forza ed insieme si abbandonarono alla passione...
Molto dopo, un uomo ed una donna esausti e molto felici si accoccolarono
insieme sotto le coperte. Lucilla aveva il viso premuto nell'incavo tra la
spalla e il collo di Massimo mentre lui le accarezzava pigramente la schiena.
"Ti senti bene?" mormorò lei.
"Uhm, uhm," annuì lui con la testa.
"Posso chiederti una cosa?"
"Certo."
"Perché ti sei fermato due settimane fa, vicino allo stagno?"
"Avevo paura..." sussurrò lui così piano che lei fece fatica a
sentirlo.
Sollevò la testa e lo guardò negli occhi. "Paura? E di cosa?"
Massimo parve cercare le parole giuste. "Ti ricordi che cosa accadde tanti
anni fa, dopo che facemmo l'amore?" le chiese improvvisamente serio.
Lei scrollò la testa, troppo tesa per parlare.
"La nostra relazione iniziò a deteriorarsi, tu incominciasti ad
allontanarti da me come se... come se avessi ottenuto quello che desideravi da
me e io non ti servissi più..." Massimo distolse lo sguardo.
Lucilla rabbrividì ricordando quel periodo. Quello che Massimo stava dicendo
era vero: dopo essere diventati amanti lei aveva incominciato ad allontanarsi da
lui, erroneamente convinta di aver ottenuto da quel giovane soldato,
affascinante come pochi ma di umile origine, tutto quello che lui poteva darle,
ed aveva accettato la corte del nobile Lucio Vero. Solo dopo, quando ormai era
troppo tardi per poter rimediare aveva capito di aver commesso il più grave
errore della sua vita.
"Hai avuto paura che potesse succedere di nuovo..." comprese lei,
sentendosi in colpa per averlo ferito così profondamente.
"Sì..."
"Non accadrà più Massimo, te lo prometto. Quella ragazzina sciocca ha
imparato bene la lezione e non ripeterà gli stessi errori."
"Lo spero tanto perché non so se sarei in grado di sopportarlo." Lui
voltò la testa e la sua voce si spense.
"Massimo?" lo chiamò piano, sentendolo tremare tra le sue braccia.
Lui tornò a guardarla e lei vide che aveva le lacrime agli occhi. "Ho già
perso una famiglia, non potrei sopportare di perderne un'altra."
Lucilla capì che si riferiva a lei e Lucio e sentì le lacrime salirle agli
occhi. Gli prese il viso tra le mani, accarezzandogli gli zigomi con i pollici,
e lo fissò intensamente. "Non ci perderai."
"Come fai a prometterlo?" sembrava un bambino bisognoso di
rassicurazioni.
Lei continuò a fissarlo. "Se potessi prometterti l'eternità lo farei
subito, ma non posso. Nessuno in questo mondo può farlo. Però posso giurarti
che non ti lascerò mai di mia spontanea volontà. E' sufficiente per te?"
"Sì," sussurrò lui sorridendo. "Non ho mai conosciuto nessuno
con la tua forza di volontà."
Lucilla ricambiò il sorriso, poi si baciarono a lungo, dolcemente, come per
suggellare la promessa. Quindi lei si risistemò tra le sue braccia, posandogli
la testa sul petto e lui la strinse a sé, poggiandole la guancia sui
capelli.
Poco dopo, placata la tempesta nei loro cuori, si addormentarono sereni.