Storie de Il Gladiatore
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Storie ispirate dal film Il Gladiatore |
Forza e Onore
Seconda
parte : Zucchabar
183 D.C.
I
Massimo si deterse la fronte per l'ennesima volta mentre lui e i suoi uomini
percorrevano la strada polverosa ed infuocata che dal porto di
Abila - dove erano sbarcati tre giorni prima - conduceva alla città di
Zucchabar, che era situata molto all'interno, vicino al confine con la
Numidia.
Il generale si era dimenticato del caldo opprimente e della sabbia che sembrava
riuscire ad intrufolarsi ovunque, che avevano fatto da sfondo all'inizio della
sua 'carriera' di gladiatore. O forse, più precisamente, aveva voluto dimenticare quel posto, certo
che non ci avrebbe più tornato.
Tuttavia i ricordi tornarono a farsi vivi e Massimo si
ritrovò a pensare al suo primo arrivo nella provincia nordafricana. Allora, non
sapeva dove fosse finito e nemmeno gliene importava: era disperato, avendo
perso tutto quello che aveva di più importante nella vita, dai suoi cari alla sua libertà, e l'unica cosa che desiderava era morire e
farla finita con il suo dolore. Ora invece raggiungeva
Zucchabar da uomo libero e da rappresentante dell'imperatore ma il suo cuore
era egualmente pieno di disperazione... Che cosa sarebbe stato di lui se non
fosse riuscito a trovare Lucilla o se nel frattempo le fosse successo qualcosa?
Massimo scrollò la testa e scacciò via quei pensieri: non
poteva e non voleva nemmeno contemplare l'idea di una vita senza di lei.
Finalmente nel tardo pomeriggio del quarto giorno dallo sbarco, dopo una marcia
che li lasciò stanchi, sudati ed assetati, Massimo e la sua scorta raggiunsero
la città di Zucchabar, capoluogo dell'omonima provincia.
L'insediamento sorgeva in una valle circondata da basse colline che i sette
militari iniziarono a discendere lentamente, consci della stanchezza dei loro
cavalli.
All'improvviso Massimo arrestò Poseidon e girò la testa sulla sinistra: in
lontananza, a breve distanza dal centro abitato, si erigeva l'arena della città
e lui si accorse che c'erano dei combattimenti in corso.
Gli parve di poter udire il clangore delle armi che si scontravano e le urla
della folla eccitata. Per un attimo gli sembrò anche che nelle orecchie gli
riecheggiasse nuovamente il grido ripetuto di 'Ispanico' e Massimo scosse la testa per schiarirsi le idee. Odiava quel posto,
teatro di tante battaglie, eppure nello stesso tempo ne era
affascinato. Da tempo ormai, era giunto alla conclusione che l'essere stato
costretto a diventare un gladiatore fosse stato in un certo senso la sua
salvezza. Se fosse stato comprato per essere adibito a
qualche altro lavoro, con tutta probabilità si sarebbe ucciso o lasciato morire.
L'essere stato gettato nell'arena aveva invece fatto scattare in lui l'istinto
di conservazione, affinato da tutti gli anni passati nell'esercito, e per lui
era stato impossibile non reagire, era qualcosa di troppo radicato nella sua
natura e nel suo essere. E
così, non solo aveva trovato la forza per continuare a vivere - pur detestando
con tutto il cuore quello che era stato obbligato a fare - ma era anche
riuscito a portare a termine la sua vendetta, a ritrovare la sua libertà e a
ricostruirsi una vita.
Massimo fece un sorriso amaro e ricordò Proximo, il suo 'padrone-mentore'.
"Grazie, vecchio furfante, spero che tu sia felice nei Campi Elisi."
Massimo guardò i suoi compagni, che lo stavano fissando curiosi, ed indicò
l'arena. "E' lì che ho iniziato la mia carriera come gladiatore."
I sei soldati si lasciarono scappare parole di sorpresa e Claudio gli domandò preoccupato. "Ti senti bene, Generale?"
Massimo sorrise e rispose: "Sto bene, grazie. Mi ero solo perso nei
ricordi. Venite, andiamo a cercare una locanda per la notte e una stalla per i
cavalli. Abbiamo bisogno di riposarci e di bere; inizieremo le ricerche domani
mattina."
"Agli ordini, Generale," risposero i
legionari e il drappello tornò a discendere la collina.
II
La mattina seguente i sette militari si avventurarono nel cuore della città di
Zucchabar, dato che Massimo aveva deciso di iniziare le ricerche dal posto più
logico, il mercato degli schiavi.
Rivedere quel posto gli fece scorrere un brivido lungo la schiena, subito
soppresso. Il mercato era in piena attività ed una gran quantità di 'merce' era esposta, incatenata ad innumerevoli pali mentre
venditori e compratori discutevano animatamente sui prezzi.
Massimo e i suoi uomini si divisero in tre squadre e si separarono, andando
alla ricerca del mercante rapitore e di Lucilla.
Il Generale si aggirò per il mercato, accompagnato da Claudio e da un altro
soldato di nome Mario, facendo scorrere lo sguardo a destra e sinistra, dietro
ogni palo o telo, infilando la testa in tutte le tende. Assorto nella sua
ricerca sistematica non si accorse degli sguardi e dei bisbigli che la sua
presenza stava attirando: la sua figura imponente non poteva certo passare
inosservata, vestito come era nell'uniforme dell'esercito, e molte persone
notarono la rassomiglianza tra quell'alto ufficiale e un gladiatore che aveva
combattuto con estremo successo nell'arena cittadina, diventando un idolo della
folla con il soprannome di Ispanico.
Dopo quella
che a Massimo parve un'eternità egli riuscì a scorgere la sagoma del grasso
mercante che stava cercando: l'uomo era intento a conversare con un'altra
persona e non si accorse dell'arrivo dei soldati finché non si ritrovò sospinto
contro uno dei pali dove erano incatenati gli schiavi, con un pugnale premuto
contro la gola. A poca distanza dal suo naso poteva scorgere gli occhi
fiammeggianti e il viso contratto dall'ira dell'uomo
che aveva lasciato svenuto in una pozza di sangue in Hispania.
"Dov'è la donna?" sibilò Massimo. Non aveva bisogno di aggiungere
altro, era chiaro a quale donna si stesse riferendo.
"Non... non l' ho più con me... l' ho... l' ho venduta,"
balbettò il grassone.
"A chi?" chiese il Generale e non ricevendo risposta ripeté la
domanda. "A CHI?" Il mercante iniziò a tremare e con estremo disgusto
di Massimo si urinò addosso, ma non disse niente.
"L'ha venduta ad Alessandro Flavio Cassio,"
intervenne una voce alle sue spalle e Massimo ruotò su se stesso, senza mollare
la presa sul suo prigioniero. Il suo viso divenne ancora più furioso quando
riconobbe l'uomo che aveva parlato e che era trattenuto da Claudio e Mario: si
trattava del mercante nord africano che lo aveva catturato e venduto a Proximo.
Massimo era certo che non avrebbe mai dimenticato la sua faccia untuosa. Il
generale fece un cenno con la testa e Mario prese in consegna il grassone,
mentre lui si avvicinava al suo ex-padrone. "Ti ricordi di me?"
domandò e l'altro scosse la testa impaurito.
"Lo immaginavo, per te non ero altro che della merce, nemmeno troppo redditizia viste le mie condizioni di salute."
Massimo scostò la manica sinistra della sua tunica e mise in luce la brutta
cicatrice che gli sfregiava il braccio. "Te la ricordi questa?"
Il berbero guardò la cicatrice e piccoli resti del tatuaggio SPQR che si
trovavano sotto di essa e qualcosa scattò nella sua memoria: riconobbe nel
generale che aveva davanti il 'disertore' che aveva catturato anni prima,
ferito e febbricitante, durante una delle sue spedizioni in Hispania e che
aveva poi venduto a Proximo come carne da macello. I suoi occhi si riempirono
di terrore e Massimo fece un sorriso crudele. "Vedo che ti è tornata la
memoria. Bene. Adesso dimmi dove posso trovare questo Alessandro."
"E' un nobile locale, molto ricco. Vive in una grande
villa appena fuori città..."
"E' tutto?" il generale fece un minaccioso passo avanti e il berbero
continuò. "Forse puoi trovarlo nell'arena... a lui.. a lui piacciono molto
i combattimenti tra gladiatori..."
In quel momento fece in suo ingresso nel mercato un drappello di vigiles, richiamati dai commenti agitati
dei presenti. Il loro capo marciò fino a Massimo e tuonò. "Che cosa sta succedendo?"
Il Generale si voltò verso di lui e subito il vigile cambiò atteggiamento. "Come posso esserti d'aiuto,
signore?"
"Arresta questi due mercanti: sono colpevoli di aver rapito e ridotto in
schiavitù due cittadini romani, tra cui la figlia del defunto Cesare Marco
Aurelio."
"Cosa?" gracchiò il grassone, diventando se possibile
ancora più pallido.
"Sì, lurido verme," gli sibilò in faccia
Massimo, prendendolo per la gola, "quella donna è Annia Lucilla Vera e
porta in grembo mio figlio. Prega che non succeda nulla a nessuno dei due o giuro che passerai il resto dei tuoi giorni nelle miniere di
sale di Cartagine."
Detto questo lo lasciò andare e i vigiles
lo presero in custodia, trascinandolo via insieme al suo collega berbero.
Massimo e i suoi uomini invece non persero tempo e si diressero verso l'arena.
III
Lucilla teneva gli occhi fissi sull'anello di sabbia ai suoi piedi ma la sua mente era lontana, molto lontana da quel luogo di
sofferenza e morte. I suoi pensieri erano rivolti a Massimo e per l'ennesima
volta lei si interrogò sulle sue condizioni di salute.
"Dei, vi prego, non lasciate che gli accada nulla
e vegliate su di lui e su di Lucio..."
Il suo accompagnatore, l'uomo che era adesso il suo 'padrone' si intromise
nelle sue riflessioni domandandole: "Ti è piaciuto lo spettacolo, Augusta
Lucilla?"
La giovane donna lo fissò dritto negli occhi e rispose secca. "No."
"Beh, certo, sei abituata ai giochi di Roma ma vedrai che anche questi
miglioreranno con l'importazione di nuovi combattenti."
Lucilla non commentò e tornò a guardare altrove, riflettendo sul rompicapo
rappresentato dall'uomo seduto al suo fianco…
*****
Dopo un viaggio attraverso l'Hispania e l'Africa durante il
quale il suo rapitore l'aveva lasciata sostanzialmente tranquilla, se
non fosse per i suoi commenti crudeli riguardanti Massimo, Lucilla era stata
condotta al mercato degli schiavi e chiusa in una cella mentre il mercante era
andato a cercare il suo potenziale cliente.
Lucilla aveva atteso passeggiando avanti ed indietro come un leone in gabbia,
chiedendosi che cosa sarebbe stato meglio fare. Lottare? Annunciare a tutti la sua vera identità e promettere una ricompensa a
chi l'avesse riportata a casa?
Poco dopo il mercante era tornato e l'aveva fatta uscire dalla cella. Fuori
l'attendeva uno degli uomini più belli ed attraenti che lei avesse
mai visto: alto, muscoloso, dai lineamenti così puri da farlo assomigliare ad
una statua greca. L'uomo era vestito in modo estremamente raffinato, in seta e
broccati e Lucilla ne era rimasta suo malgrado
impressionata.
"Nobile Alessandro, ecco la donna ti cui ti ho parlato... Non trovi che sia una vera bellezza?"
"Sì, è molto attraente. Credo che sarebbe un'ottima addizione al mio harem," rispose Alessandro squadrandola da capo a piedi.
Lucilla si sentì pervadere dalla rabbia e si trattenne da esternarla mordendosi
il labbro inferiore. Tuttavia il suo potenziale padrone notò il suo sguardo e commentò. "Vedo che è anche piena di
fuoco. Bene, mi piace questo in una donna." Poi sorrise e si voltò verso
il mercante. "Quanto vuoi?"
"Beh per una creatura come questa, dotata di tanta eleganza e dalla pelle di alabastro credo che cinquantamila sesterzi siano una
cifra adeguata..." Il grassone si interruppe e
guardò il suo cliente per giudicarne la reazione.
Alessandro lo fissò a lungo con i suoi freddi occhi grigi e poi disse: "E
sia."
Lucilla lasciò andare il respiro che fino a quel momento aveva trattenuto.
Cinquantamila sesterzi! Era una cifra enorme! Se la situazione non fosse stata
tanto tragica, avrebbe anche potuto sentirsi lusingata che le fosse attribuito
un tale valore; tuttavia, l'enormità del prezzo era anche un fattore
favorevole: era infatti improbabile che le fosse fatto
del male visto quanto era stato pagato per lei.
Il suo nuovo 'padrone' sborsò il denaro richiesto e
poi ordinò al mercante di condurla alla sua villa, poiché egli desiderava
assistere ai giochi. "Ho comprato un nuovo lotto di schiavi Nubiani e voglio
vedere come se la caveranno contro i leoni,"
disse con un sorriso crudele.
"Come desideri, nobile Alessandro Flavio Cassio, sono
a tua completa disposizione." Alessandro annuì e poi si allontanò, dopo
aver lanciato un'altra occhiata d'approvazione a Lucilla.
Quella stessa sera Lucilla era stata 'invitata' a
cenare con Alessandro. Un servo le aveva portato dei
nuovi, eleganti vestiti da indossare mentre delle ancelle l'avevano aiutata a
lavarsi e pettinarsi. A Lucilla quella situazione sembrava molto strana: la
stanza che le era stata assegnata, nella splendida domus di Alessandro, ben lungi da sembrare un cubicolo da schiavi,
assomigliava ad una ricca camera degli ospiti, con pavimenti in
marmo ad affreschi alle pareti. La giovane donna era confusa e sperava che
durante la cena Alessandro le rivelasse che cosa intendeva fare di lei. Inoltre
altri interrogativi le ronzavano per la mente: perché mai un nobile ricco come
lui aveva deciso di vivere in una zona così disagiata dell'impero e perché il
suo nome, Alessandro Flavio Cassio, le risultava
familiare? Dove l'aveva già sentito?
Subito dopo il tramonto un servo l'aveva scortata
attraverso dei lunghi corridoi fino ad un'enorme sala da pranzo con il
pavimento ricoperto di mosaici e pareti decorate a stucco. Un ambiente
raffinatissimo degno di Roma e non certo di una cittadina sperduta nel deserto.
"Che te ne pare, Augusta Lucilla? I miei artisti
hanno fatto un ottimo lavoro, non trovi?" aveva
detto una voce alle sue spalle e lei era ruotata su se stessa in preda alla
sorpresa. "Come fai a sapere chi sono?"
Alessandro aveva sorriso ma non aveva risposto e le aveva fatto
cenno di accomodarsi a tavola. Una volta che si furono seduti l'una di fronte
all'altra e i servi ebbero iniziato a servire la cena, l'uomo aveva detto:
"Non ero certo che fossi tu: ho tirato ad
indovinare ma tu mi hai tolto ogni dubbio, Augusta."
"Come hai fatto a pensare a me? Ci siamo già incontrati da qualche
parte?" aveva chiesto Lucilla.
"Diciamo che tu mi ricordi molto una bambina con cui ho giocato tante
volte. Una bambina bellissima ed intelligentissima, a cui
piaceva molto ascoltare le storie che io le raccontavo..." Alessandro si
era interrotto e aveva spiato la sua reazione.
Lucilla lo aveva fissato dritto negli occhi mentre i ricordi della sua infanzia
erano tornati ad affiorare... Un bambino alto e magro che la prendeva
per mano mentre insieme esploravano i giardini del palazzo imperiale... lo
stesso bambino che le leggeva le favole di Fedro, quando veniva a trovarla
accompagnando suo padre Adriano... Adriano Cassio. Altre immagini la
sommersero: Adriano e Marco Aurelio che litigavano furiosamente in merito a
qualcosa che lei non poteva capire, le sue lacrime quando Alessandro le aveva
detto che non avrebbero più potuto giocare insieme perché avrebbe lasciato
Roma...
Lucilla aveva sorriso e aveva detto: "Anche tu mi rammenti qualcuno, un
ragazzino con cui amavo giocare ma che un giorno sparì dalla mia vita senza che
io ne sapessi la ragione... Tuttavia, mi rendo conto che non puoi essere tu,
perché il mio amico di infanzia era buono, gentile e
giusto e mai si sarebbe sognato di comprare poveri schiavi per buttarli
nell'arena a combattere contro delle belve."
Alessandro era parso colpito dalle sue parole e distogliendo lo sguardo le aveva
detto: "Forse quel ragazzo ha capito che i veri valori da seguire non sono
la gentilezza e la giustizia, ma la forza, l'ambizione, il potere. Forse ha
dovuto impararlo in fretta, dopo che la sua famiglia ha perso tutto, ricchezza,
prestigio, credibilità, tradita dalle persone che fino
a poco prima le erano state amiche."
Lucilla aveva aggrottato la fronte senza capire. Con il
passare degli anni e l'aumentare delle sue conoscenze nel campo della politica
lei era venuta a sapere dei contrasti tra suo padre ed Adriano Cassio sulla
gestione dell'impero, però non riusciva a vedere il nesso tra quelle liti e il
fatto che ora Alessandro vivesse in quel posto dimenticato dagli dei.
"Comunque," aveva continuato Alessandro
quando lei non aveva replicato, "presto quel ragazzo riconquisterà anche
il potere, dopo aver ritrovato la fama e la credibilità."
Lucilla aveva distolto lo sguardo. "Che cosa mi
sta dicendo? Ha forse in mente un colpo di stato?" aveva pensato mentre la
sua mente lavorava a ritmo serrato. "Mio padre è stato uno dei più grandi
imperatori della storia e se Alessandro viene a dire a me che sta progettando
qualche ribellione ciò può solo significare che il suo piano ha grandi
possibilità di riuscita e che è molto vicino a compiersi."
A quel punto Alessandro, intuendo i suoi pensieri e conscio
di aver detto più di quello che voleva, aveva fatto marcia indietro e aveva
aggiunto: "Tuttavia, questa è solo un'ipotesi riguardante il ragazzo di
cui stavamo parlando prima. Ad ogni modo, se io fossi nei suoi panni, avrei
rimpianto moltissimo la fine della mia amicizia con una donna di tale bellezza
ed intelligenza." Detto questo si era chinato sul tavolo e le aveva
sfiorato dolcemente una guancia con le dita, sopraffatto da un sentimento che
gli anni e la distanza non erano riusciti a spegnere
del tutto.
Lucilla era rimasta interdetta da quel gesto d'affetto ma prima che potesse
dire o fare qualcosa, Alessandro si era alzato da tavola e si era congedato da
lei piuttosto bruscamente.
*****
Lucilla tornò al presente quando Alessandro le annunciò che era arrivato il suo
turno di combattere nell'arena. La giovane donna era venuta a sapere dai servi
che il loro padrone amava testare la propria forza e la propria
abilità contro i migliori gladiatori e che lo faceva molto spesso, così, senza
mostrare particolare stupore o una qualsiasi altra emozione, accolse le sue
parole con un gesto del capo e lo guardò allontanarsi.
IV
Seduto sugli spalti dell'arena, Massimo vide l'uomo che supponeva essere
Alessandro Flavio Cassio lasciare il palco d'onore seguito da alcune delle sue
guardie e decise che quello fosse il momento adatto per agire e liberare
Lucilla.
Facendosi largo tra la folla, incurante degli sguardi incuriositi che gli altri
spettatori gli lanciavano, riconoscendo in lui l'imbattuto campione noto come
l'Ispanico, Massimo raggiunse il corridoio che portava al palco.
"Voi rimanete qui; non fate passare nessuno e tenete libero il passaggio," ordinò ai tre legionari che lo avevano seguito
mentre gli altri erano rimasti fuori dell'arena con i cavalli, pronti ad
un'eventuale fuga. I soldati annuirono e il Generale, sguainata la spada, entrò
nel palco.
Lucilla si voltò di scatto nel sentire il rumore alle sue spalle e il suo cuore si riempì di gioioso stupore quando vide di chi si
trattasse.
Le guardie che Alessandro aveva lasciato con lei si
avventarono su Massimo ed egli iniziò a parare i loro colpi. Il
Generale era superiore come forza e come abilità ma era intralciato dalle sedie
e dai mobili che aveva attorno a sé e dalla paura che Lucilla potesse essere
inavvertitamente colpita. Questo fece sì che lo
scontro si protraesse per più tempo di quanto sarebbe stato necessario a
Massimo per disporre dei suoi avversari in uno spazio meno angusto.
Alessandro estrasse la spada dal corpo del suo avversario e sollevò lo sguardo
per ricevere l'applauso della folla. Con un sorriso si voltò verso il palco per
giudicare la reazione di Lucilla, ma il suo compiacimento svanì quando si
accorse che la giovane donna, ben lungi dall'essere impressionata dalle sue
prodezze, dava invece la schiena al centro dell'arena e stava osservando
qualcosa che stava accadendo sul palco stesso. Egli vide che anche gli
spettatori seduti vicino al palco avevano distolto lo sguardo dall'anello in
sabbia per guardare di fianco a loro ed insospettito chiamò
le sue guardie e corse lungo i corridoi e su per le scale.
Sulla sua strada si pararono tre legionari che intimarono l'alt. Alessandro
fece un cenno ai suoi uomini e questi circondarono i soldati, costringendoli
alla resa. Il nobile proseguì verso il palco e quando lo
raggiunse vi trovò le sue guardie morte e Lucilla tra le braccia di un uomo che
indossava l'uniforme militare e la cui spada era sporca di sangue.
Lucilla si irrigidì quando vide Alessandro e Massimo
reagì sciogliendosi dal suo abbraccio e sospingendola dietro di sé, pronto a
farle da scudo con il proprio corpo.
Alessandro avanzò piano, tenendo d'occhio l'uomo con la spada: il modo in cui
egli aveva disposto delle sue guardie dimostrava chiaramente che si trattava di
un ottimo combattente.
Per alcuni minuti regnò un silenzio innaturale, poi Alessandro chiese.
"Chi sei?"
"Sono il Generale Massimo Decimo Meridio e sono qui per riportare a casa
l'Augusta Lucilla."
Alessandro spalancò gli occhi nel sentire il nome: aveva sentito parlare del
generale divenuto gladiatore che aveva sfidato e ucciso l'imperatore Commodo,
liberando Roma dalla tirannide e ne era rimasto molto
impressionato. Il nobile squadrò il famoso combattente e ne fu affascinato: Massimo
non era certo un gigante ma nel suo sguardo c'era qualcosa di particolare, un
carisma e una forza di volontà non comuni. Prendendo una decisione improvvisa
Alessandro tese la mano e disse: "E' veramente un piacere conoscerti,
Generale. Io sono Alessandro Flavio Flacco."
Massimo aggrottò la fronte e lo fissò con sospetto. "A che gioco stai
giocando?" pensò.
L'altro uomo parve leggergli nel pensiero ed aggiunse: "Ho sentito molto
parlare di te, e vorrei che tu fossi mio ospite a cena stasera, così potremo
parlare con più calma del nostro... problema," ed
indicò Lucilla con un cenno del capo.
"Problema?" ringhiò Massimo. "Qui non c'è nessun problema: tu
devi liberare l'Augusta Lucilla. Non c'è niente da discutere."
"Io non credo, Generale: i tuoi uomini sono tutti nelle mie mani e non
riuscirai mai ad uscire vivo da qui se decidessi di usare la violenza."
Massimo gli lanciò un'occhiata di sfida, pensando: "Io non ne sarei così
sicuro," ma la mano di Lucilla sul suo braccio lo
fermò prima che potesse dire o fare qualcosa. Si girò verso di lei ed incontrò il suo sguardo che lo implorava di acconsentire.
Massimo la rassicurò con un sorriso e voltatosi di nuovo verso Alessandro disse
seccamente. "E sia, ma non provare a fare scherzi."
Il nobile annuì soddisfatto e li guidò fuori dal palco
e dall'arena.
V
Massimo si immerse nell'acqua calda e profumata ed
emise un sospiro soddisfatto, dato che erano parecchi giorni che non riusciva a
fare un bagno decente. Mentre lavava via il sudore, la
sabbia e parte della tensione accumulata, si ritrovò a riflettere su Alessandro
Flavio Cassio e su cosa avesse in mente quell'uomo. Il Generale sperava di non
essersi cacciato in una trappola accettando quello strano invito.
Appena arrivati alla villa era stato separato dalla sua
scorta e condotto nella lussuosa dimora padronale, mentre i suoi uomini erano
stati fatti entrare in quelli che sembravano essere gli alloggi dei servi. Lui
aveva seguito il suo 'ospite' lungo un labirinto di
corridoi - cercando nel frattempo di memorizzare la strada - fino alla stanza
dove si trovava in quel momento. Alessandro gli aveva aperto la porta con un
sorriso e aveva detto: "Spero che la sistemazione sia di tuo gradimento,
Generale. Mi sono permesso di ordinare agli schiavi di prepararti un bagno
caldo. Se dovessi avere bisogno di qualche cosa
d'altro, non dovrai far altro che chiedere." Massimo aveva annuito e il
padrone di casa si era congedato. "A stasera,"
gli aveva detto prima di allontanarsi.
Massimo finì di risciacquarsi i capelli ed uscì dalla vasca di marmo,
avvolgendosi un telo intorno ai fianchi. Rientrato nella stanza da letto trovò
ad attenderlo un servo che gli porse una tunica verde bordata in oro. "Il
mio padrone mi ha ordinato di offrirti questi abiti puliti, domine, e poi di
accompagnarti in sala da pranzo." Massimo annuì e accettò il vestito, che
essendo in seta era molto più confortevole della sua uniforme in lana. Indossò
la tunica, si mise la cintura e si chiese se fosse il caso o meno di portare
con se la spada, scartando infine l'idea.
"Sono pronto," disse al servo e questi si
avviò alla porta, tenendola aperta per farlo passare e facendogli poi strada
per l'enorme villa.
*****
Quando Massimo fece il suo ingresso nel triclinium
Alessandro e Lucilla si voltarono verso di lui e la
giovane donna gli lanciò un'occhiata d'intesa, come a volerlo rassicurare che
tutto andava bene. Massimo le rispose annuendo impercettibilmente ed accettò
l'invito del padrone di casa di sedersi e prendere posto a tavola insieme a loro.
La cena si svolse in silenzio, con Massimo ed Alessandro intenti a studiarsi a
vicenda e Lucilla che tentava di tenere sotto controllo i
propri nervi e la propria pazienza.
Alla fine Massimo depose il tovagliolo e disse senza
tanti preamboli. "Che cosa vuoi?"
Alessandro sorrise nel sentire tale franchezza e rispose: "Vedo che sei un uomo che ama parlar chiaro, Generale e questo mi
piace. Io farò lo stesso. Lucilla è una donna eccezionale, dotata di una
bellezza e di un'intelligenza non comuni ed in questi pochi giorni ho imparato
ad apprezzarla moltissimo... Separarmi da lei sarebbe molto duro..."
"Che cosa vuoi?" ripeté Massimo, tenendo a
freno la sua collera.
"Centocinquantamila sesterzi," disse
Alessandro, ben sapendo di chiedere una somma difficilmente ottenibile.
"Cosa!?" esclamò Lucilla furibonda. "Ma è una cifra inaudita!"
"Tu dici, mia cara? A me sembra più che adeguata per riscattare la figlia
di un imperatore."
Il viso di Lucilla si fece livido per la rabbia ma prima che lei potesse
ribattere, Massimo disse: "Va bene. Ma devi darmi il tempo di vendere le
mie terre, la mia casa, il raccolto e tutto il bestiame; solo così sarò in
grado di racimolare abbastanza denaro."
Lucilla lo guardò scioccata. "Massimo, non puoi
fare una cosa del genere! La fattoria è la tua vita, appartiene alla tua
famiglia da generazioni... Non puoi sacrificarla per
me!"
Lui la guardò e le sorrise con dolcezza. "Tu sei la mia vita. Tu e i tuoi
bambini. Tutto il resto è aria e polvere." Gli occhi di Lucilla si
spalancarono nel sentire la parola 'bambini', e lui le fece
capire con un breve cenno del capo che aveva usato il plurale di proposito.
Alessandro osservò lo scambio d'occhiate e poi si schiarì la voce, richiamando
su di sé la loro attenzione.
"Naturalmente, Generale, quello che ho detto era
solo in via ipotetica perché io non ho alcun bisogno di denaro. Molti uomini
possono possedere centocinquantamila sesterzi ma Lucilla invece è unica, come tu ben sai, e io non sono sicuro di volermene
privare." Vedendo la collera montare nel suo ospite, si affrettò ad
aggiungere: "Tuttavia c'è qualcosa che io apprezzo più del denaro ed è il
coraggio."
Massimo aggrottò la fronte senza capire. "Spiegati meglio."
"Devi sapere che io ho sentito molto parlare di te, Generale, e delle tue
imprese nell'arena quando eri un gladiatore. Purtroppo non ho mai potuto
ammirarti quando eri qui a Zucchabar perché ero
lontano per affari, ma la folla ancora si ricorda di te e del tuo nome...
Ispanico, è così che ti chiamavano, non è vero?" Senza attendere risposta
Alessandro continuò. "Ti propongo una sfida: battiti contro di me domani. Se dovessi vincere, Lucilla sarà libera di tornare a casa
senza che tu sia costretto a vendere i tuoi possedimenti; se invece dovessi
perdere, avrai almeno l'assicurazione di saperla in buone mani, in un posto
dove sarà sempre trattata come la principessa che è."
Massimo riflettè brevemente e rispose: "E sia, accetto la tua sfida."
"No!" urlò terrorizzata Lucilla e si voltò verso Alessandro. "Ti
prego non farlo: vendendo i miei latifondi e le mie proprietà
a Roma sono sicura di poter racimolare almeno trecentomila sesterzi... sono
tuoi se rinunci all'incontro..."
Alessandro sollevò una mano e le accarezzò il viso con delicatezza. "Voi
due dovete amarvi molto, siete così pronti a sacrificarvi l'uno per l'altra...
Vorrei poterti accontentare, mia cara, ma ormai ho deciso: ho sempre desiderato
battermi con il famoso 'Ispanico' e ora che ne ho la
possibilità non me la farò scappare." Si interruppe
per un attimo e poi continuò. "Ora va nel tuo appartamento e lasciaci
soli: il Generale ed io dobbiamo discutere i dettagli della sfida e non voglio
che ciò ti sconvolga ulteriormente."
Lucilla lo guardò carica di risentimento e si alzò da tavola, non prima però di
aver scambiato un'occhiata con Massimo che la rassicurò con un sorriso pieno
d'amore.
Rinfrancata, la giovane donna si allontanò ed uscì dalla stanza.
VI
Non appena Lucilla sparì dalla vista Alessandro si
alzò da tavola e disse: "Generale, per favore vieni con me, vorrei mostrarti
qualcosa."
Massimo fece come gli era stato chiesto e seguì il padrone di casa in un'altra
stanza, più piccola della precedente, che sembrava essere una biblioteca o uno
studio, con parte delle pareti ricoperte da scaffali contenenti numerosi rotoli
di papiro.
Alessandro si avvicinò ad uno scaffale e ne trasse un grosso involto che,
srotolato sul tavolo, risultò essere una mappa
dell'impero romano, molto simile a quella che Marco Aurelio aveva mostrato a
Massimo l'ultima volta che si erano visti, il giorno della morte del grande
imperatore.
Il nobile contemplò la carta geografica per qualche secondo e poi domandò a
bruciapelo al suo ospite: "Che cosa ne pensi del modo in cui l'impero è
governato?"
Massimo scosse la testa e disse la verità. "La
politica non è mai stata il mio forte."
"Io credo che l'impero sia una maledizione per i popoli sottomessi a Roma.
Non è giusto che solo pochi eletti godano di tanti privilegi mentre nelle
province la gente paga il prezzo dei loro lussi e dei loro
vizi. Prendi l'Egitto, per esempio: produce moltissimo grano ma la maggior
parte di esso è destinato a Roma e alla penisola
italiana con il risultato che spesso non ce n'è abbastanza per la popolazione
locale."
Massimo lo guardò interrogativamente, come a domandargli "Dove vuoi
arrivare?" ed Alessandro continuò. "Sono anni ormai che vado
elaborando un piano per sconfiggere l'impero e smembrarlo in tanti piccoli
stati indipendenti. Ho raccolto denaro, ho creato ed addestrato un mio esercito
privato, ho stretto delle alleanze e ora, finalmente, sono pronto ad agire
anche perché riceverò aiuto nel cuore stesso dell'impero... Un senatore e suo
figlio generale sono pronti a fornirmi l'aiuto di cinquemila uomini da
aggiungere ai miei quattromila e..."
Massimo lo interruppe prima che potesse andare avanti.
"Perché mi dici tutto questo?"
"Generale, ti chiedo di unirti a me in questa grande
battaglia per la libertà. Se acconsentirai, Lucilla
sarà libera e tu non dovrai combattere nell'arena domani." Gli occhi di Alessandro fiammeggiarono entusiasti mentre fissava il
suo ospite.
Il Generale emise un sospiro e scosse la testa. "Non posso acconsentire.
Quello che mi chiedi è contrario a tutto quello per cui
ho vissuto e lottato per gran parte della mia vita."
"Come fai a rimanere fedele all'impero? Ad una tirannide che ti ha privato
della libertà e che ti ha massacrato la famiglia?"
"Non è stata Roma a farmi tutto ciò; è stato un uomo a
cui non è mai importato nulla dell'impero e quell'uomo adesso è
morto." Massimo fece una pausa e poi continuò. "Io riesco a capire il
tuo punto di vista nei confronti delle conquiste romane ma io ho contribuito a
molte di esse e so che non abbiamo portato solo morte
e distruzione. Abbiamo portato anche strade, istruzione, progresso e commercio.
Certo, essere privati della propria libertà non è piacevole - nessuno lo sa
meglio di me - ma se questo comporta un miglioramento della qualità della vita
e la protezione dai pericoli esterni, io non credo che sia così terribile.
Marco Aurelio ha sempre avuto a cuore il bene dei suoi sudditi - a loro andava
il suo primo pensiero la mattina appena sveglio e la sua ultima riflessione la
sera prima di addormentarsi - e sono sicuro che
Settimio Severo farà lo stesso."
Alessandro inchinò la testa. "Generale, apprezzo la tua franchezza e la tua onestà. Il mio unico rammarico è che tu non voglia
schierarti con me: saresti stato un ottimo alleato, un uomo su cui avrei potuto riporre la mia fiducia, perché so che non
avresti mai tradito la tua parola."
"E' per questo che non posso accettare la tua proposta. Le promesse per me
sono sacre. E adesso, se non vuoi scusarmi, vorrei
ritirarmi: domani sarà una giornata molto dura."
"Hai ragione, Generale e buonanotte."
"Buonanotte anche a te, nobile Alessandro."
Massimo camminò fino alla porta e poi si fermò, tornando a guardare il suo
ospite. "Posso permettermi di darti un consiglio?" L'altro annuì e
lui continuò. "Fossi in te mi chiederei perché quel senatore che mi hai
detto essere tuo alleato sia così interessato ad aiutarti. Se
Roma cade, tutto il suo potere e i suoi privilegi svaniranno. Ma forse lui non
vuole che l'impero cada, vuole solo che questo imperatore
venga scalzato dal trono... magari perché vuole prenderne il posto." Gli
lanciò un'ultima occhiata carica di significato e uscì dalla stanza.
*****
Non appena la porta si fu chiusa alle spalle di Massimo, una mano ingioiellata
scostò una tenda e il Senatore Gaio Cornelio Flaminio uscì dalla nicchia da
dove aveva ascoltato in segreto tutta la conversazione
tra Alessandro e il Generale.
Il senatore, un uomo magro e pallido dal naso prominente che lo faceva
somigliare ad un avvoltoio, si avvicinò ad Alessandro e sibilò furibondo:
"Dovevi proprio metterlo al corrente di tutti i nostri piani?! Ti avevo
detto di non farlo!"
L'altro uomo rispose calmo: "Se fossi riuscito a
portarlo dalla nostra parte sarebbe stato un alleato prezioso."
"Già, ma lui è stato molto chiaro, non ne vuol sapere. Non ci resta altro
da fare che ucciderlo, stanotte preferibilmente."
"No, non faremo niente del genere. Domani lo sfiderò nell'arena come
promesso. Vedi, Cornelio, io e il Generale avremo anche idee diverse in campo
politico ma entrambi riconosciamo l'importanza dell'onore... parola che sembra del tutto estranea al tuo vocabolario." Alessandro
lanciò un'occhiata truce al suo alleato.
"E se dovesse vincere? Lo sai, vero, che è molto
amico di Settimio Severo? E' stato lui a proporre il suo nome come possibile
Cesare dopo la morte di Commodo. Se gli permettiamo di uscire vivo da Zucchabar
andrà di corsa ad informare l'imperatore, stanne certo."
"Stai tranquillo, non uscirà vivo dall'arena, te lo posso
assicurare."
"Va bene," disse infine Cornelio, "sarà
come dici tu. Buonanotte." Detto questo girò sui tacchi e se ne andò.
*****
Mentre camminava lungo i corridoi di marmo diretto alla propria stanza il Senatore Cornelio decise che era arrivato il momento di
prendere la situazione nelle sue mani. Alessandro era convinto di poter battere
facilmente Massimo ma egli, che lo aveva visto combattere come gladiatore nel
Colosseo, non ne era così sicuro. Per lui la
possibilità che il Generale sopravvivesse all'incontro era tutt'altro che
remota. Toccava a lui prendere provvedimenti affinché ciò non accadesse. Non
poteva permettere che quell'uomo rovinasse i suoi piani, non ora che grazie a
quello sciocco idealista di Alessandro era ad un passo dalla realizzazione
della sua più grande ambizione, diventare Cesare! Già
poteva vedersi con indosso la porpora imperiale mentre
la folla lo acclamava con alte grida... No, niente e nessuno doveva frapporsi
tra lui e la residenza sul Palatino. Massimo Decimo Meridio doveva morire.
VII
Una figura vestita di nero entrò silenziosamente nella stanza
buia recando una lucerna e si avvicinò in punta di piedi all'uomo addormentato
di cui riusciva ad intravedere la sagoma nel letto. Ancora pochi passi e
lo avrebbe raggiunto. La figura
allungò un braccio verso di lui e...
Prima ancora che riuscisse a completare il gesto due mani scattarono fulminee
da sotto le coperte e l'intruso si sentì afferrare per la tunica mentre la lama
di un pugnale premette contro la sua gola.
"Che sei?" ringhiò Massimo.
"Sono io, Lucilla!" rispose lei con voce tremante, avvicinando la
lucerna al suo viso.
Massimo la lasciò andare subito, mettendosi a sedere sul letto. "Per gli
dei, Lucilla, non farlo mai più, avrei potuto ucciderti!" Detto questo
prese la lampada dalla sua mano e la posò sul comodino, vicino al suo pugnale
ed allargate le braccia disse dolcemente: "Vieni
qui."
Lucilla obbedì all'istante cercando rifugio nel suo abbraccio. Rimasero così
per alcuni minuti, il viso di lei premuto contro il suo petto, mentre lui le
accarezzava la schiena.
Quando la donna si fu calmata Massimo chiese: "Che cosa fai qui?"
Lucilla si scostò un poco da lui e rispose: "Sono
venuta a prenderti. Ho convinto uno dei servi a lasciare aperta una delle porte
di servizio sul retro della villa. Possiamo scappare
subito insieme e..."
Massimo la interruppe posandole le dita sulle labbra.
"Non possiamo farlo."
"Perché no?"
"Perché ho dato la mia parola e perché i miei
uomini sono prigionieri. Non posso e non voglio abbandonarli."
"Potremmo liberarli noi..."
"No, Lucilla, ho da dato la mia parola,"
ripeté Massimo. "E poi non sono un codardo."
"Non ho mai pensato che tu lo fossi, ma vale la
pena di rischiare la vita per mantenere una promessa?" Lucilla aveva le
lacrime agli occhi.
"Lucilla, tu sai che io ho sempre cercato di vivere con onore e dignità.
Questi valori mi furono inculcati nella mente da mio padre e nel cuore da Marco
Aurelio. Perfino quando ero uno schiavo senza la libertà di decidere ho cercato
di rimanervi fedele e ci sono riuscito, nei limiti del possibile. E ora che sono di nuovo libero e posso scegliere, non vedo
altra possibile via d'uscita. Mi dispiace solo che questo ti causi dolore, ma
non posso farne a meno."
"Nemmeno se dovesse costarti la vita?"
"Io non ho paura per me stesso... tu sei tutto ciò che mi
importa. Se provassimo a fuggire, tu potresti rimanere ferita o uccisa e
io non me lo perdonerei mai. Invece
così, se anche dovesse succedermi qualcosa, tu sarai salva e... e potrai avere
altre occasioni per fuggire." Massimo aveva parlato con pacatezza ma nei
suoi occhi era visibile il suo timore.
"Massimo, io non voglio vederti morire nell'arena!" singhiozzò
Lucilla, stringendosi di nuovo a lui, con ben vivo nella mente il ricordo del
suo duello con Commodo.
Massimo la prese delicatamente per le spalle e disse:
"Guardami Lucilla ed ascoltami bene: non mi succederà nulla, capito? Non
può succedermi nulla, non ora. Voglio vedere nascere e crescere il nostro
bambino e nessuno me lo impedirà." Il suo tono
era così sicuro e i suoi occhi così determinati che
Lucilla si lasciò trascinare dalla sua convinzione. Si asciugò le lacrime,
annuì e poi domandò, "Come fai a sapere del bambino?"
"Me lo ha detto Plotina, era preoccupata che potesse accaderti
qualcosa."
Lucilla sorrise nel sentire nominare la sua vecchia nutrice e tornò a guardare
gli occhi di Massimo che la stava fissando con severità. "Perché non me l' hai detto?"
Lei distolse lo sguardo. "Non... non sapevo come
avresti reagito. Non abbiamo mai discusso l'argomento e... e..."
Massimo le sollevò il mento con un dito e mormorò: "Non hai idea di quante
volte io abbia sperato che accadesse."
Lucilla lo fissò sorpresa. "Cosa?"
Massimo annuì sorridendo. "Lo desideravo tanto ma non sapevo come avresti
reagito tu."
Si guardarono negli occhi in silenzio per alcuni istanti, poi Massimo scese dal
letto ed inginocchiatosi ai piedi di lei le prese la mano dicendo: "Quando
questa storia sarà finita, mi farai il grande onore di diventare mia moglie,
Annia Lucilla Vera?"
Lucilla scivolò giù dal letto sul pavimento in fronte a lui e gli posò l'altra mano sul viso. "Sarò io ad essere
onorata di averti come marito, Massimo Decimo Meridio."
In un attimo furono l'una nelle braccia dell'altro, intenti a baciarsi con
passione. Dopo un po' Massimo si scostò da Lucilla e le disse a malincuore:
"Adesso torna nella tua stanza, è più prudente."
Lei scosse la testa. "No, voglio restarti vicina stanotte. Ti prego."
Massimo annuì - nemmeno lui voleva che si separassero - e l'attirò di nuovo tra
le sue braccia.
Lucilla gli ricoprì il petto nudo con numerosi baci, prestando particolare
attenzione alla sua spalla ferita, finché Massimo non la fermò.
Lei gli lanciò un'occhiata interrogativa e lui sorrise. "Credo
che staremo più comodi sul letto."
Lucilla si guardò attorno e parve accorgersi solo in quel momento che erano
ancora inginocchiati sul pavimento della stanza. Massimo l'aiutò ad
alzarsi e poi la sospinse con delicatezza all'indietro sul giaciglio,
sdraiandosi al suo fianco ed attirandola a sé. Nel giro di pochi secondi il
mondo esterno, con tutti i suoi problemi e i suoi
pericoli, cessò di esistere mentre loro due si abbandonarono al loro amore.
VIII
Il giorno seguente Massimo e i suoi uomini seguirono Alessandro e Lucilla
nell'arena di Zucchabar, mentre le guardie del nobile li tenevano
sottocontrollo e mantenevano lontani i curiosi.
Il Generale aveva concordato con Alessandro che i suoi legionari non avrebbero dovuto essere toccati e che anche in caso di sua
sconfitta sarebbe stato concesso loro di rientrare a Roma.
Appena arrivati al piccolo anfiteatro Alessandro scortò Lucilla al palco
d'onore e poi andò dall'organizzatore dei giochi, l'editor, per annunciargli che ci sarebbe stato un fuori programma.
L'uomo strabuzzò gli occhi nel sentire il nome dell'avversario di Alessandro e corse subito ad avvertire gli allibratori e
ad organizzare le scommesse.
*****
Massimo attendeva il momento di entrare in azione negli stessi corridoi
polverosi dove aveva sostato decine di volte quando era un gladiatore. Si chinò
a terra, raccolse un pugno di sabbia e se la strofinò tra le mani. Era pronto a
combattere. La sua mente era concentrata sul compito davanti a lui e la sua
determinazione era visibile nei suoi occhi azzurri. Quest'oggi non avrebbe combattuto né per Roma, né per
l'imperatore: avrebbe combattuto per se stesso, per Lucilla e per la loro
felicità. A ben pensarci quella era la battaglia più importante della sua vita.
Finalmente l'attesa ebbe termine e l'editor,
richiamata l'attenzione della folla, annunciò: "Popolo di Zucchabar, oggi
assisterete ad uno spettacolo come non ne avete mai
visto un altro eguale, uno spettacolo degno di Roma e del Colosseo. Oggi
vedrete la sfida tra il nobile Alessandro Flavio Flacco - di cui è ben noto il
valore - e il Generale Massimo Decimo Meridio, l'uomo che ha liberato l'impero
dal tiranno Commodo e di cui molti di voi ricorderanno la bravura, poiché il
Generale altri non è che l'Ispanico, l'unico
gladiatore rimasto imbattuto nella storia dei giochi, qui a Zucchabar come a
Roma!"
I cancelli si aprirono e Massimo entrò nell'arena, accompagnato dalle grida
della folla entusiasta. "Ispanico! Ispanico! Ispanico!"
Mentre avanzava nella sabbia, il Generale si guardò intorno e il tempo parve
fermarsi e tornare indietro... Era di nuovo uno schiavo, costretto a combattere
per divertire la folla, era solo carne da macello...
Massimo scacciò rabbiosamente quei pensieri e si concentrò sul suo avversario,
che stava camminando verso di lui provenendo dalla direzione opposta, salutato
anche lui dal boato della folla.
I due contendenti si fermarono a pochi metri l'uno dall'altro e Alessandro sorrise. "Hai visto quanti ammiratori hai, Generale?
L'eco della tua vittoria sul tiranno Commodo è arrivata fino a qui... Pensaci,
sei ancora in tempo, sei sicuro di non volerti unire a me nella mia battaglia
per la libertà?"
Massimo annuì. "Sono sicuro. Io ho sì eliminato
Commodo ma l' ho fatto perché stava distruggendo Roma
e tutto il lavoro che suo padre aveva fatto per il bene del suo popolo. Ho
ucciso Commodo perché Marco Aurelio mi aveva chiesto di proteggere Roma alla
sua morte e io ho esaudito il suo desiderio."
"Quindi oggi combatti contro di me perché sono
una minaccia per Roma?"
"No, oggi combatto per onore e per amore, le due cose più importanti nella
mia vita. Il destino dell'impero lo lascio nelle mani
dei politici."
Alessandro scosse la testa e disse. "Sia come
vuoi." Fece un cenno con la mano ed alcune guardie entrarono nell'arena
recando dei sostegni in legno a cui erano fissati vari
tipi di armi. Massimo aggrottò la fronte ed il nobile spiegò, "Come ben
sai, questa è una sfida all'ultimo sangue e per renderla più interessante ho
escogitato questo sistema: se durante lo scontro uno di noi due dovesse
rimanere disarmato potrà avvicinarsi a questi sostegni e prendere
un'altra arma... sempre che, naturalmente, l'altro glielo permetta! Ora vieni e
scegli le armi che preferisci."
Il Generale esaminò le varie possibilità ed alla fine
optò per un gladio ed uno scudo rotondo: la sua spalla sinistra era ancora
troppo dolorante per poter maneggiare un'altra spada. Alessandro scelse invece
un gladio e una mazza ferrata.
I due avversari si portarono al centro dell'arena e si salutarono.
"Che vinca il più forte," disse Alessandro.
"Forza e onore," replicò Massimo con un piccolo inchino.
Un silenzio innaturale che era calato sugli spalti mentre
tutti attendevano l'inizio del duello fu rotto da un boato quando Alessandro
alzò il braccio e si scagliò su Massimo e la folla cominciò a gridare eccitata
dalla prospettiva di vedere il sangue scorrere a fiumi.
IX
Fu subito chiaro che i due avversari erano ben assortiti: Alessandro era più
alto, grosso e potente di Massimo, ma il Generale era più agile ed esperto.
La folla incitava a gran voce i combattenti ma tra gli spettatori c'erano
almeno due persone che non si stavano affatto
divertendo: Lucilla e il Senatore Cornelio. La giovane era terrorizzata
dall'idea di vedere Massimo fatto a pezzi davanti ai suoi occhi. Lucilla sapeva
che la sua spalla sinistra non era ancora guarita - lei stessa l'aveva bendata
quella mattina - e temeva che i muscoli potessero cedere sotto il peso dello
scudo e la forza dei colpi assestati da Alessandro.
Quanto al Senatore, la sua preoccupazione era che il Generale potesse uscire
vivo dallo scontro e mandare all'aria tutti i suoi
piani. Alessandro era sicuro di vincere ma se così non fosse stato toccava a
lui, Cornelio, fare in modo che Massimo non ripetesse ad anima viva quello che
aveva udito in biblioteca, la sua vita e quella di suo
figlio dipendevano da quello.
Cornelio raggiunse una delle guardie di Alessandro che
presidiavano gli ingressi dell'anello in sabbia e la chiamò: "Guardia!"
"Signore?"
"Alessandro mi ha dato un messaggio per te: ti ordina di colpire il suo
avversario con una freccia se le cose dovessero mettersi male per lui durante
il combattimento."
La guardia aggrottò la fronte, perplessa. Il suo padrone non era mai stato un
codardo e non era nel suo stile far uccidere a tradimento.
Cornelio vide la sua esitazione e disse furioso: "Osi dubitare della
parola di un senatore di Roma?"
L'altro scosse la testa spaventato. "No, signore.
Farò come hai detto tu, signore."
"Bene," approvò il senatore con un sorriso
malvagio.
*****
Nell'arena il duello continuava a ritmo serrato, senza che nessuno dei due
avversari desse segni di cedimento o al contrario dimostrasse una palese
superiorità sull'altro. Tuttavia il braccio sinistro di Massimo stava iniziando
ad avere dei problemi: i muscoli gli facevano male e ogni volta che la spada o
la mazza cadevano sullo scudo, la sua spalla era in preda ad atroci fitte di
dolore. Il Generale cercò di non pensarci ma stava diventando sempre più difficile
maneggiare lo scudo con sufficiente velocità per parare i colpi di Alessandro.
Alessandro alzò la mazza ferrata per colpire un'ennesima volta e Massimo reagì
in un lampo: usando tutte le sue forze sollevò lo scudo e colpì con esso la mano del nobile, rompendogli le dita.
Alessandro emise un gemito di dolore e lasciò cadere l'arma, tra le urla
eccitate della folla. Massimo però non poté godere a lungo di
quell'attimo di superiorità perché lo sforzo compiuto era stato troppo grande
per la sua spalla: la ferita si era riaperta ed egli avvertì il sangue
inzuppare la benda e la tunica e colargli lungo il braccio. Consapevole
che lo scudo era ormai diventato inutile, lo lasciò cadere nella sabbia.
La folla interpretò quel gesto come il desiderio di voler
equilibrare di nuovo i valori in campo - dato che ora entrambi i contendenti
erano armati solo di spade - per far durare di più il combattimento, ma Lucilla
tremò nel vedere il modo in cui Massimo teneva il braccio sinistro premuto
contro il fianco.
Ci fu un attimo di pausa in cui i due uomini ripresero fiato e Massimo ne approfittò per lanciare una breve occhiata in direzione
di Lucilla. Nonostante la sua vista fosse ostacolata
dal sole e dal sudore che gli colava negli occhi, egli notò il suo viso pallido
e preoccupato e questo gli diede un ulteriore stimolo per vincere il dolore e
battere il suo avversario. La vita della giovane donna e del loro bambino erano
nelle sue mani e lui non poteva permettersi di fallire. Attinse a tutte le sue
energie e si scagliò su Alessandro, sorprendendolo con la furia e l'impeto
delle sue bordate. Il nobile prese ad indietreggiare sotto la pioggia di colpi,
riuscendo a mala pena a difendersi, finché, all'improvviso non inciampò sullo
scudo lasciato a terra da Massimo e cadde pesantemente nella sabbia. Il
Generale gli fu subito addosso, posandogli un piede sulla mano che impugnava la
spada - costringendolo ad allentare la presa - e premendogli la punta del gladio alla gola.
La folla si lasciò andare ad un boato e il grido di 'Ispanico'
prese a riecheggiare dagli spalti.
Allora come anni prima, Massimo non prestò alcuna
attenzione alle grida ma si concentrò su di Alessandro, che respirava a fatica
e lo stava guardando con occhi pieni di rammarico ma non di paura.
Massimo lasciò cadere la sua spada e tra lo stupore degli spettatori e dello
stesso Alessandro, offrì il braccio al suo avversario per aiutarlo ad alzarsi.
"Perché lo fai?" chiese il nobile.
"Un mio amico mi ha sempre detto che non c'è onore ad uccidere un grande guerriero già battuto... e che non c'è vergogna ad
accettare una sconfitta quando si è consapevoli di aver dato il meglio di
sé."
Alessandro annuì ed afferrò la mano che gli veniva porta. Si era appena rimesso
in piedi quando, alle spalle di Massimo, vide una delle sue guardie incoccare
una freccia e lasciarla partire. Alessandro non ci pensò un attimo e con un
violento spintone allontanò Massimo dalla traiettoria del dardo. Lui però non
riuscì a fare altrettanto e venne colpito in pieno
petto.
"No!" urlò la guardia quando si rese conto di ciò che aveva fatto.
L'uomo si voltò furibondo verso il Senatore Cornelio,
che l'aveva incitato a scoccare la freccia anche se Massimo stava offrendo la
mano ad Alessandro e sembrava quindi intenzionato a risparmiargli la vita.
Non appena Cornelio si avvide che il suo piano era fallito, cercò di
allontanarsi e fuggire ma la guardia non glielo permise ed armato un'altra
volta il suo arco, lo uccise trafiggendolo al collo.
Nell'arena la sabbia sotto il corpo di Alessandro si
tinse di rosso mentre la sua vita si spegneva lentamente. Massimo si inginocchiò al suo fianco e sollevò la testa del ferito
sulle sue cosce: sapeva di non poter far nulla per salvarlo ma almeno avrebbe
potuto rendere la sua morte meno dolorosa.
Alessandro lo fissò negli occhi e rantolò. "Generale, dimmi chi è l'uomo
che ti ha insegnato la frase che mi dicesti prima?"
"Marco Aurelio."
Alessandro fece un sorriso amaro e mormorò: "Avrei dovuto saperlo."
Cominciò a tossire e dalla sua bocca uscì un rivolo di sangue.
Massimo gli strinse la mano con forza e disse: "Grazie di avermi salvato
la vita. Non lo dimenticherò."
Alessandro tentò un altro sorriso. "E' stato un piacere conoscerti,
Generale... mi dispiace solo che sia finita così... in un'altra vita... avremmo
potuto anche... essere amici."
Massimo annuì e vide gli occhi di Alessandro diventare
vitrei mentre il suo cuore smetteva di battere. Il Generale chinò la testa e
adagiò il corpo sulla sabbia, chiudendogli le palpebre con le dita. Poi si alzò
e si guardò intorno. I suoi soldati lo raggiunsero di corsa e gli offrirono le
loro congratulazioni ma egli non vi prestò molta attenzione, intento come era a camminare incontro a Lucilla, che stava correndo
verso di lui. Quando furono abbastanza vicini si
abbracciarono e caddero in ginocchio sulla sabbia dell'arena, intenti solo ad
assorbire il calore e il profumo l'uno dell'altra, incuranti di tutto e di
tutti.
EPILOGO
Massimo e Lucio scesero di sella ed affidarono i loro
cavalli nelle mani degli stallieri. Avevano passato il pomeriggio a
sovrintendere la raccolta delle olive ed erano entrambi stanchi ed affamati.
L'uomo e il ragazzo entrarono in casa e subito un servitore andò loro incontro
con una bacinella di acqua pulita e dei teli di lino.
"Dov'è la signora?" domandò Massimo
lavandosi le mani.
"E' nel cortile interno, domine."
"Grazie."
Massimo attraversò l'atrio ed uscì all'aperto, cercando sua moglie.
La vide subito: stava camminando lungo il perimetro del giardino, vicino ai
numerosi vasi pieni di fiori multicolori. Ogni tanto si fermava per permettere
al bambino che teneva tra le braccia di guardare meglio qualche pianta. Massimo
sorrise nel vedere come quelle piccole mani tentavano di afferrare i fiori e si
avvicinò a loro.
Lucilla lo sentì arrivare e si voltò verso di lui con un sorriso radioso sulle
labbra. "Come è andata la giornata?" gli chiese.
"Benissimo, quest'anno avremo un ottimo raccolto." Massimo le diede
un bacio sulla guancia e poi allungò le braccia per prendere suo figlio. Quando lo ebbe stretto al petto mormorò. "E tu piccolo
Massimo, che cosa hai fatto di bello oggi?" Il
bambino spalancò i suoi occhi azzurri, così simili a quelli di suo padre, e
cercò di prendere le sue dita per portarsele alla bocca. Massimo lo lasciò
fare, mentre Lucilla commentava. "Oh, anche lui ha avuto una bella
giornata, con tanto di bagnetto e lungo pisolino pomeridiano."
In quel mentre Lucio li raggiunse e salutata la madre rivolse tutta la sua
attenzione a suo fratello, chiedendo di poterlo
prendere in braccio. Subito dopo la nascita di Massimo iunior, Lucio aveva avuto paura che Massimo non gli avrebbe più
voluto bene, ora che aveva un figlio tutto suo ma il Generale lo aveva
tranquillizzato subito, dicendogli che lo amava e che
nel suo cuore lui avrebbe sempre avuto un posto speciale. Così rassicurato,
Lucio si era affezionato al neonato e aveva preso molto sul serio il suo ruolo
di fratello maggiore, arrivando perfino ad imparare come cambiare il bambino.
Massimo mise un braccio attorno alla vita di Lucilla e l'attirò contro il suo
petto, mentre insieme contemplavano Lucio camminare
con in braccio il suo fratellino.
"Sei felice?" chiese Lucilla accarezzando l'avambraccio di suo
marito.
"Certo che lo sono, perché me lo domandi?"
"Ma, non so... Forse perché desidero che tu me lo dimostri ancora una
volta..." la voce di Lucilla divenne un sussurro
sensuale.
Massimo fece un sorriso malizioso e rispose con voce roca: "Ce la fai ad
aspettare fino a dopo cena o te lo devo dimostrare adesso?"
"Massimo!" esclamò lei con voce fintamente oltraggiata dandogli una
leggera sberla sul braccio. "Ci sono i
bambini!"
"E allora?"
"E allora credo che sia meglio aspettare che vadano a letto, non vorrei
essere interrotta sul più bello..."
"Hai ragione," rispose Massimo baciandole la
tempia mentre il cuoco annunciava che la cena era pronta.
"Andiamo," esortò Lucilla facendo cenno a
Lucio di seguirla. "Prima finiamo di mangiare, prima i bambini andranno a
letto, e prima noi potremo dedicarci ad altre... attività."
Massimo li guardò entrare in casa ma lui rimase in giardino a contemplare il
tramonto. Dei, come era bello essere così allegri e
privi di preoccupazioni! Sembrava che alla fine, dopo tante sofferenze e tanto
dolore il Fato avesse deciso di pareggiare i conti,
concedendo a tutti loro la pace e la felicità tanto desiderata. Le sue
riflessioni durarono poco. "Allora vieni?" lo interruppe Lucilla.
"Sei così impaziente?"
"Certo. Come al solito."
Massimo scosse la testa divertito e seguì la sua
famiglia all'interno della villa, il cuore pieno d'anticipazione per quello che
sarebbe successo dopo cena.
FINE