Storie de Il Gladiatore

Storie ispirate dal film Il Gladiatore (Gladiator, 2000)

 

 Forza e Onore

di Ilaria Dotti[1]

 Seconda parte : Zucchabar
183 D.C.

I


Massimo si deterse la fronte per l'ennesima volta mentre lui e i suoi uomini percorrevano la strada polverosa ed infuocata che dal porto di Abila - dove erano sbarcati tre giorni prima - conduceva alla città di Zucchabar, che era situata molto all'interno, vicino al confine con la Numidia. 
Il generale si era dimenticato del caldo opprimente e della sabbia che sembrava riuscire ad intrufolarsi ovunque, che avevano fatto da sfondo all'inizio della sua 'carriera' di gladiatore. O forse, più precisamente, aveva voluto dimenticare quel posto, certo che non ci avrebbe più tornato.
Tuttavia i ricordi tornarono a farsi vivi e Massimo si ritrovò a pensare al suo primo arrivo nella provincia nordafricana. Allora, non sapeva dove fosse finito e nemmeno gliene importava: era disperato, avendo perso tutto quello che aveva di più importante nella vita, dai suoi cari alla sua libertà, e l'unica cosa che desiderava era morire e farla finita con il suo dolore. Ora invece raggiungeva Zucchabar da uomo libero e da rappresentante dell'imperatore ma il suo cuore era egualmente pieno di disperazione... Che cosa sarebbe stato di lui se non fosse riuscito a trovare Lucilla o se nel frattempo le fosse successo qualcosa? Massimo scrollò la testa e scacciò via quei pensieri: non poteva e non voleva nemmeno contemplare l'idea di una vita senza di lei.

Finalmente nel tardo pomeriggio del quarto giorno dallo sbarco, dopo una marcia che li lasciò stanchi, sudati ed assetati, Massimo e la sua scorta raggiunsero la città di Zucchabar, capoluogo dell'omonima provincia.
L'insediamento sorgeva in una valle circondata da basse colline che i sette militari iniziarono a discendere lentamente, consci della stanchezza dei loro cavalli.
All'improvviso Massimo arrestò Poseidon e girò la testa sulla sinistra: in lontananza, a breve distanza dal centro abitato, si erigeva l'arena della città e lui si accorse che c'erano dei combattimenti in corso.
Gli parve di poter udire il clangore delle armi che si scontravano e le urla della folla eccitata. Per un attimo gli sembrò anche che nelle orecchie gli riecheggiasse nuovamente il grido ripetuto di 'Ispanico' e Massimo scosse la testa per schiarirsi le idee. Odiava quel posto, teatro di tante battaglie, eppure nello stesso tempo ne era affascinato. Da tempo ormai, era giunto alla conclusione che l'essere stato costretto a diventare un gladiatore fosse stato in un certo senso la sua salvezza. Se fosse stato comprato per essere adibito a qualche altro lavoro, con tutta probabilità si sarebbe ucciso o lasciato morire. L'essere stato gettato nell'arena aveva invece fatto scattare in lui l'istinto di conservazione, affinato da tutti gli anni passati nell'esercito, e per lui era stato impossibile non reagire, era qualcosa di troppo radicato nella sua natura e nel suo essere. E così, non solo aveva trovato la forza per continuare a vivere - pur detestando con tutto il cuore quello che era stato obbligato a fare - ma era anche riuscito a portare a termine la sua vendetta, a ritrovare la sua libertà e a ricostruirsi una vita.
Massimo fece un sorriso amaro e ricordò Proximo, il suo 'padrone-mentore'. "Grazie, vecchio furfante, spero che tu sia felice nei Campi Elisi."
Massimo guardò i suoi compagni, che lo stavano fissando curiosi, ed indicò l'arena. "E' lì che ho iniziato la mia carriera come gladiatore."
I sei soldati si lasciarono scappare parole di sorpresa e Claudio gli domandò preoccupato. "Ti senti bene, Generale?"
Massimo sorrise e rispose: "Sto bene, grazie. Mi ero solo perso nei ricordi. Venite, andiamo a cercare una locanda per la notte e una stalla per i cavalli. Abbiamo bisogno di riposarci e di bere; inizieremo le ricerche domani mattina."
"Agli ordini, Generale," risposero i legionari e il drappello tornò a discendere la collina.


II


La mattina seguente i sette militari si avventurarono nel cuore della città di Zucchabar, dato che Massimo aveva deciso di iniziare le ricerche dal posto più logico, il mercato degli schiavi.
Rivedere quel posto gli fece scorrere un brivido lungo la schiena, subito soppresso. Il mercato era in piena attività ed una gran quantità di 'merce' era esposta, incatenata ad innumerevoli pali mentre venditori e compratori discutevano animatamente sui prezzi.
Massimo e i suoi uomini si divisero in tre squadre e si separarono, andando alla ricerca del mercante rapitore e di Lucilla.
Il Generale si aggirò per il mercato, accompagnato da Claudio e da un altro soldato di nome Mario, facendo scorrere lo sguardo a destra e sinistra, dietro ogni palo o telo, infilando la testa in tutte le tende. Assorto nella sua ricerca sistematica non si accorse degli sguardi e dei bisbigli che la sua presenza stava attirando: la sua figura imponente non poteva certo passare inosservata, vestito come era nell'uniforme dell'esercito, e molte persone notarono la rassomiglianza tra quell'alto ufficiale e un gladiatore che aveva combattuto con estremo successo nell'arena cittadina, diventando un idolo della folla con il soprannome di Ispanico.

 

Dopo quella che a Massimo parve un'eternità egli riuscì a scorgere la sagoma del grasso mercante che stava cercando: l'uomo era intento a conversare con un'altra persona e non si accorse dell'arrivo dei soldati finché non si ritrovò sospinto contro uno dei pali dove erano incatenati gli schiavi, con un pugnale premuto contro la gola. A poca distanza dal suo naso poteva scorgere gli occhi fiammeggianti e il viso contratto dall'ira dell'uomo che aveva lasciato svenuto in una pozza di sangue in Hispania.
"Dov'è la donna?" sibilò Massimo. Non aveva bisogno di aggiungere altro, era chiaro a quale donna si stesse riferendo.
"Non... non l' ho più con me... l' ho... l' ho venduta," balbettò il grassone.
"A chi?" chiese il Generale e non ricevendo risposta ripeté la domanda. "A CHI?" Il mercante iniziò a tremare e con estremo disgusto di Massimo si urinò addosso, ma non disse niente.
"L'ha venduta ad Alessandro Flavio Cassio," intervenne una voce alle sue spalle e Massimo ruotò su se stesso, senza mollare la presa sul suo prigioniero. Il suo viso divenne ancora più furioso quando riconobbe l'uomo che aveva parlato e che era trattenuto da Claudio e Mario: si trattava del mercante nord africano che lo aveva catturato e venduto a Proximo. Massimo era certo che non avrebbe mai dimenticato la sua faccia untuosa. Il generale fece un cenno con la testa e Mario prese in consegna il grassone, mentre lui si avvicinava al suo ex-padrone. "Ti ricordi di me?" domandò e l'altro scosse la testa impaurito.
"Lo immaginavo, per te non ero altro che della merce, nemmeno troppo redditizia viste le mie condizioni di salute." Massimo scostò la manica sinistra della sua tunica e mise in luce la brutta cicatrice che gli sfregiava il braccio. "Te la ricordi questa?"
Il berbero
guardò la cicatrice e piccoli resti del tatuaggio SPQR che si trovavano sotto di essa e qualcosa scattò nella sua memoria: riconobbe nel generale che aveva davanti il 'disertore' che aveva catturato anni prima, ferito e febbricitante, durante una delle sue spedizioni in Hispania e che aveva poi venduto a Proximo come carne da macello. I suoi occhi si riempirono di terrore e Massimo fece un sorriso crudele. "Vedo che ti è tornata la memoria. Bene. Adesso dimmi dove posso trovare questo Alessandro."
"E' un nobile locale, molto ricco. Vive in una grande villa appena fuori città..."
"E' tutto?" il generale fece un minaccioso passo avanti e il berbero continuò. "Forse puoi trovarlo nell'arena... a lui.. a lui piacciono molto i combattimenti tra gladiatori..."
In quel momento fece in suo ingresso nel mercato un drappello di vigiles, richiamati dai commenti agitati dei presenti. Il loro capo marciò fino a Massimo e tuonò. "Che cosa sta succedendo?"
Il Generale si voltò verso di lui e subito il vigile cambiò atteggiamento. "Come posso esserti d'aiuto, signore?"
"Arresta questi due mercanti: sono colpevoli di aver rapito e ridotto in schiavitù due cittadini romani, tra cui la figlia del defunto Cesare Marco Aurelio."
"Cosa?" gracchiò il grassone, diventando se possibile ancora più pallido.
"Sì, lurido verme," gli sibilò in faccia Massimo, prendendolo per la gola, "quella donna è Annia Lucilla Vera e porta in grembo mio figlio. Prega che non succeda nulla a nessuno dei due o giuro che passerai il resto dei tuoi giorni nelle miniere di sale di Cartagine."
Detto questo lo lasciò andare e i vigiles lo presero in custodia, trascinandolo via insieme al suo collega berbero. Massimo e i suoi uomini invece non persero tempo e si diressero verso l'arena.


III 


Lucilla teneva gli occhi fissi sull'anello di sabbia ai suoi piedi ma la sua mente era lontana, molto lontana da quel luogo di sofferenza e morte. I suoi pensieri erano rivolti a Massimo e per l'ennesima volta lei si interrogò sulle sue condizioni di salute. "Dei, vi prego, non lasciate che gli accada nulla e vegliate su di lui e su di Lucio..."
Il suo accompagnatore, l'uomo che era adesso il suo 'padrone' si intromise nelle sue riflessioni domandandole: "Ti è piaciuto lo spettacolo, Augusta Lucilla?"
La giovane donna lo fissò dritto negli occhi e rispose secca. "No."
"Beh, certo, sei abituata ai giochi di Roma ma vedrai che anche questi miglioreranno con l'importazione di nuovi combattenti."
Lucilla non commentò e tornò a guardare altrove, riflettendo sul rompicapo rappresentato dall'uomo seduto al suo fianco…


*****


Dopo un viaggio attraverso l'Hispania e l'Africa durante il quale il suo rapitore l'aveva lasciata sostanzialmente tranquilla, se non fosse per i suoi commenti crudeli riguardanti Massimo, Lucilla era stata condotta al mercato degli schiavi e chiusa in una cella mentre il mercante era andato a cercare il suo potenziale cliente.
Lucilla aveva atteso passeggiando avanti ed indietro come un leone in gabbia, chiedendosi che cosa sarebbe stato meglio fare. Lottare? Annunciare a tutti la sua vera identità e promettere una ricompensa a chi l'avesse riportata a casa?
Poco dopo il mercante era tornato e l'aveva fatta uscire dalla cella. Fuori l'attendeva uno degli uomini più belli ed attraenti che lei avesse mai visto: alto, muscoloso, dai lineamenti così puri da farlo assomigliare ad una statua greca. L'uomo era vestito in modo estremamente raffinato, in seta e broccati e Lucilla ne era rimasta suo malgrado impressionata.
"Nobile Alessandro, ecco la donna ti cui ti ho parlato... Non trovi che sia una vera bellezza?" 
"Sì, è molto attraente. Credo che sarebbe un'ottima addizione al mio harem," rispose Alessandro squadrandola da capo a piedi.
Lucilla si sentì pervadere dalla rabbia e si trattenne da esternarla mordendosi il labbro inferiore. Tuttavia il suo potenziale padrone notò il suo sguardo e commentò. "Vedo che è anche piena di fuoco. Bene, mi piace questo in una donna." Poi sorrise e si voltò verso il mercante. "Quanto vuoi?"
"Beh per una creatura come questa, dotata di tanta eleganza e dalla pelle di alabastro credo che cinquantamila sesterzi siano una cifra adeguata..." Il grassone si interruppe e guardò il suo cliente per giudicarne la reazione.
Alessandro lo fissò a lungo con i suoi freddi occhi grigi e poi disse: "E sia."
Lucilla lasciò andare il respiro che fino a quel momento aveva trattenuto. Cinquantamila sesterzi! Era una cifra enorme! Se la situazione non fosse stata tanto tragica, avrebbe anche potuto sentirsi lusingata che le fosse attribuito un tale valore; tuttavia, l'enormità del prezzo era anche un fattore favorevole: era infatti improbabile che le fosse fatto del male visto quanto era stato pagato per lei.
Il suo nuovo 'padrone' sborsò il denaro richiesto e poi ordinò al mercante di condurla alla sua villa, poiché egli desiderava assistere ai giochi. "Ho comprato un nuovo lotto di schiavi Nubiani e voglio vedere come se la caveranno contro i leoni," disse con un sorriso crudele.
"Come desideri, nobile Alessandro Flavio Cassio, sono a tua completa disposizione." Alessandro annuì e poi si allontanò, dopo aver lanciato un'altra occhiata d'approvazione a Lucilla.

Quella stessa sera Lucilla era stata 'invitata' a cenare con Alessandro. Un servo le aveva portato dei nuovi, eleganti vestiti da indossare mentre delle ancelle l'avevano aiutata a lavarsi e pettinarsi. A Lucilla quella situazione sembrava molto strana: la stanza che le era stata assegnata, nella splendida domus di Alessandro, ben lungi da sembrare un cubicolo da schiavi, assomigliava ad una ricca camera degli ospiti, con pavimenti in marmo ad affreschi alle pareti. La giovane donna era confusa e sperava che durante la cena Alessandro le rivelasse che cosa intendeva fare di lei. Inoltre altri interrogativi le ronzavano per la mente: perché mai un nobile ricco come lui aveva deciso di vivere in una zona così disagiata dell'impero e perché il suo nome, Alessandro Flavio Cassio, le risultava familiare? Dove l'aveva già sentito?

Subito dopo il tramonto un servo l'aveva scortata attraverso dei lunghi corridoi fino ad un'enorme sala da pranzo con il pavimento ricoperto di mosaici e pareti decorate a stucco. Un ambiente raffinatissimo degno di Roma e non certo di una cittadina sperduta nel deserto.
"Che te ne pare, Augusta Lucilla? I miei artisti hanno fatto un ottimo lavoro, non trovi?" aveva detto una voce alle sue spalle e lei era ruotata su se stessa in preda alla sorpresa. "Come fai a sapere chi sono?"
Alessandro aveva sorriso ma non aveva risposto e le aveva fatto cenno di accomodarsi a tavola. Una volta che si furono seduti l'una di fronte all'altra e i servi ebbero iniziato a servire la cena, l'uomo aveva detto: "Non ero certo che fossi tu: ho tirato ad indovinare ma tu mi hai tolto ogni dubbio, Augusta."
"Come hai fatto a pensare a me? Ci siamo già incontrati da qualche parte?" aveva chiesto Lucilla.
"Diciamo che tu mi ricordi molto una bambina con cui ho giocato tante volte. Una bambina bellissima ed intelligentissima, a cui piaceva molto ascoltare le storie che io le raccontavo..." Alessandro si era interrotto e aveva spiato la sua reazione.
Lucilla lo aveva fissato dritto negli occhi mentre i ricordi della sua infanzia erano tornati ad affiorare... Un bambino alto e magro che la prendeva per mano mentre insieme esploravano i giardini del palazzo imperiale... lo stesso bambino che le leggeva le favole di Fedro, quando veniva a trovarla accompagnando suo padre Adriano... Adriano Cassio. Altre immagini la sommersero: Adriano e Marco Aurelio che litigavano furiosamente in merito a qualcosa che lei non poteva capire, le sue lacrime quando Alessandro le aveva detto che non avrebbero più potuto giocare insieme perché avrebbe lasciato Roma...
Lucilla aveva sorriso e aveva detto: "Anche tu mi rammenti qualcuno, un ragazzino con cui amavo giocare ma che un giorno sparì dalla mia vita senza che io ne sapessi la ragione... Tuttavia, mi rendo conto che non puoi essere tu, perché il mio amico di infanzia era buono, gentile e giusto e mai si sarebbe sognato di comprare poveri schiavi per buttarli nell'arena a combattere contro delle belve."
Alessandro era parso colpito dalle sue parole e distogliendo lo sguardo le aveva detto: "Forse quel ragazzo ha capito che i veri valori da seguire non sono la gentilezza e la giustizia, ma la forza, l'ambizione, il potere. Forse ha dovuto impararlo in fretta, dopo che la sua famiglia ha perso tutto, ricchezza, prestigio, credibilità, tradita dalle persone che fino a poco prima le erano state amiche."
Lucilla aveva aggrottato la fronte senza capire. Con il passare degli anni e l'aumentare delle sue conoscenze nel campo della politica lei era venuta a sapere dei contrasti tra suo padre ed Adriano Cassio sulla gestione dell'impero, però non riusciva a vedere il nesso tra quelle liti e il fatto che ora Alessandro vivesse in quel posto dimenticato dagli dei. 
"Comunque," aveva continuato Alessandro quando lei non aveva replicato, "presto quel ragazzo riconquisterà anche il potere, dopo aver ritrovato la fama e la credibilità."
Lucilla aveva distolto lo sguardo. "Che cosa mi sta dicendo? Ha forse in mente un colpo di stato?" aveva pensato mentre la sua mente lavorava a ritmo serrato. "Mio padre è stato uno dei più grandi imperatori della storia e se Alessandro viene a dire a me che sta progettando qualche ribellione ciò può solo significare che il suo piano ha grandi possibilità di riuscita e che è molto vicino a compiersi."
A quel punto Alessandro, intuendo i suoi pensieri e conscio di aver detto più di quello che voleva, aveva fatto marcia indietro e aveva aggiunto: "Tuttavia, questa è solo un'ipotesi riguardante il ragazzo di cui stavamo parlando prima. Ad ogni modo, se io fossi nei suoi panni, avrei rimpianto moltissimo la fine della mia amicizia con una donna di tale bellezza ed intelligenza." Detto questo si era chinato sul tavolo e le aveva sfiorato dolcemente una guancia con le dita, sopraffatto da un sentimento che gli anni e la distanza non erano riusciti a spegnere del tutto.
Lucilla era rimasta interdetta da quel gesto d'affetto ma prima che potesse dire o fare qualcosa, Alessandro si era alzato da tavola e si era congedato da lei piuttosto bruscamente.


*****


Lucilla tornò al presente quando Alessandro le annunciò che era arrivato il suo turno di combattere nell'arena. La giovane donna era venuta a sapere dai servi che il loro padrone amava testare la propria forza e la propria abilità contro i migliori gladiatori e che lo faceva molto spesso, così, senza mostrare particolare stupore o una qualsiasi altra emozione, accolse le sue parole con un gesto del capo e lo guardò allontanarsi.


IV


Seduto sugli spalti dell'arena, Massimo vide l'uomo che supponeva essere Alessandro Flavio Cassio lasciare il palco d'onore seguito da alcune delle sue guardie e decise che quello fosse il momento adatto per agire e liberare Lucilla.
Facendosi largo tra la folla, incurante degli sguardi incuriositi che gli altri spettatori gli lanciavano, riconoscendo in lui l'imbattuto campione noto come l'Ispanico, Massimo raggiunse il corridoio che portava al palco.
"Voi rimanete qui; non fate passare nessuno e tenete libero il passaggio," ordinò ai tre legionari che lo avevano seguito mentre gli altri erano rimasti fuori dell'arena con i cavalli, pronti ad un'eventuale fuga. I soldati annuirono e il Generale, sguainata la spada, entrò nel palco.

Lucilla si voltò di scatto nel sentire il rumore alle sue spalle e il suo cuore si riempì di gioioso stupore quando vide di chi si trattasse.
Le guardie che Alessandro aveva lasciato con lei si avventarono su Massimo ed egli iniziò a parare i loro colpi. Il Generale era superiore come forza e come abilità ma era intralciato dalle sedie e dai mobili che aveva attorno a sé e dalla paura che Lucilla potesse essere inavvertitamente colpita. Questo fece sì che lo scontro si protraesse per più tempo di quanto sarebbe stato necessario a Massimo per disporre dei suoi avversari in uno spazio meno angusto.

Alessandro estrasse la spada dal corpo del suo avversario e sollevò lo sguardo per ricevere l'applauso della folla. Con un sorriso si voltò verso il palco per giudicare la reazione di Lucilla, ma il suo compiacimento svanì quando si accorse che la giovane donna, ben lungi dall'essere impressionata dalle sue prodezze, dava invece la schiena al centro dell'arena e stava osservando qualcosa che stava accadendo sul palco stesso. Egli vide che anche gli spettatori seduti vicino al palco avevano distolto lo sguardo dall'anello in sabbia per guardare di fianco a loro ed insospettito chiamò le sue guardie e corse lungo i corridoi e su per le scale. 
Sulla sua strada si pararono tre legionari che intimarono l'alt. Alessandro fece un cenno ai suoi uomini e questi circondarono i soldati, costringendoli alla resa. Il nobile proseguì verso il palco e quando lo raggiunse vi trovò le sue guardie morte e Lucilla tra le braccia di un uomo che indossava l'uniforme militare e la cui spada era sporca di sangue.

Lucilla si irrigidì quando vide Alessandro e Massimo reagì sciogliendosi dal suo abbraccio e sospingendola dietro di sé, pronto a farle da scudo con il proprio corpo.
Alessandro avanzò piano, tenendo d'occhio l'uomo con la spada: il modo in cui egli aveva disposto delle sue guardie dimostrava chiaramente che si trattava di un ottimo combattente.
Per alcuni minuti regnò un silenzio innaturale, poi Alessandro chiese. "Chi sei?"
"Sono il Generale Massimo Decimo Meridio e sono qui per riportare a casa l'Augusta Lucilla."
Alessandro spalancò gli occhi nel sentire il nome: aveva sentito parlare del generale divenuto gladiatore che aveva sfidato e ucciso l'imperatore Commodo, liberando Roma dalla tirannide e ne era rimasto molto impressionato. Il nobile squadrò il famoso combattente e ne fu affascinato: Massimo non era certo un gigante ma nel suo sguardo c'era qualcosa di particolare, un carisma e una forza di volontà non comuni. Prendendo una decisione improvvisa Alessandro tese la mano e disse: "E' veramente un piacere conoscerti, Generale. Io sono Alessandro Flavio Flacco."
Massimo aggrottò la fronte e lo fissò con sospetto. "A che gioco stai giocando?" pensò.
L'altro uomo parve leggergli nel pensiero ed aggiunse: "Ho sentito molto parlare di te, e vorrei che tu fossi mio ospite a cena stasera, così potremo parlare con più calma del nostro... problema," ed indicò Lucilla con un cenno del capo.
"Problema?" ringhiò Massimo. "Qui non c'è nessun problema: tu devi liberare l'Augusta Lucilla. Non c'è niente da discutere."
"Io non credo, Generale: i tuoi uomini sono tutti nelle mie mani e non riuscirai mai ad uscire vivo da qui se decidessi di usare la violenza."
Massimo gli lanciò un'occhiata di sfida, pensando: "Io non ne sarei così sicuro," ma la mano di Lucilla sul suo braccio lo fermò prima che potesse dire o fare qualcosa. Si girò verso di lei ed incontrò il suo sguardo che lo implorava di acconsentire. Massimo la rassicurò con un sorriso e voltatosi di nuovo verso Alessandro disse seccamente. "E sia, ma non provare a fare scherzi."
Il nobile annuì soddisfatto e li guidò fuori dal palco e dall'arena.


V


Massimo si immerse nell'acqua calda e profumata ed emise un sospiro soddisfatto, dato che erano parecchi giorni che non riusciva a fare un bagno decente. Mentre lavava via il sudore, la sabbia e parte della tensione accumulata, si ritrovò a riflettere su Alessandro Flavio Cassio e su cosa avesse in mente quell'uomo. Il Generale sperava di non essersi cacciato in una trappola accettando quello strano invito.
Appena arrivati alla villa era stato separato dalla sua scorta e condotto nella lussuosa dimora padronale, mentre i suoi uomini erano stati fatti entrare in quelli che sembravano essere gli alloggi dei servi. Lui aveva seguito il suo 'ospite' lungo un labirinto di corridoi - cercando nel frattempo di memorizzare la strada - fino alla stanza dove si trovava in quel momento. Alessandro gli aveva aperto la porta con un sorriso e aveva detto: "Spero che la sistemazione sia di tuo gradimento, Generale. Mi sono permesso di ordinare agli schiavi di prepararti un bagno caldo. Se dovessi avere bisogno di qualche cosa d'altro, non dovrai far altro che chiedere." Massimo aveva annuito e il padrone di casa si era congedato. "A stasera," gli aveva detto prima di allontanarsi.
Massimo finì di risciacquarsi i capelli ed uscì dalla vasca di marmo, avvolgendosi un telo intorno ai fianchi. Rientrato nella stanza da letto trovò ad attenderlo un servo che gli porse una tunica verde bordata in oro. "Il mio padrone mi ha ordinato di offrirti questi abiti puliti, domine, e poi di accompagnarti in sala da pranzo." Massimo annuì e accettò il vestito, che essendo in seta era molto più confortevole della sua uniforme in lana. Indossò la tunica, si mise la cintura e si chiese se fosse il caso o meno di portare con se la spada, scartando infine l'idea.
"Sono pronto," disse al servo e questi si avviò alla porta, tenendola aperta per farlo passare e facendogli poi strada per l'enorme villa.


*****


Quando Massimo fece il suo ingresso nel triclinium Alessandro e Lucilla si voltarono verso di lui e la giovane donna gli lanciò un'occhiata d'intesa, come a volerlo rassicurare che tutto andava bene. Massimo le rispose annuendo impercettibilmente ed accettò l'invito del padrone di casa di sedersi e prendere posto a tavola insieme a loro.

La cena si svolse in silenzio, con Massimo ed Alessandro intenti a studiarsi a vicenda e Lucilla che tentava di tenere sotto controllo i propri nervi e la propria pazienza.
Alla fine Massimo depose il tovagliolo e disse senza tanti preamboli. "Che cosa vuoi?"
Alessandro sorrise nel sentire tale franchezza e rispose: "Vedo che sei un uomo che ama parlar chiaro, Generale e questo mi piace. Io farò lo stesso. Lucilla è una donna eccezionale, dotata di una bellezza e di un'intelligenza non comuni ed in questi pochi giorni ho imparato ad apprezzarla moltissimo... Separarmi da lei sarebbe molto duro..."
"Che cosa vuoi?" ripeté Massimo, tenendo a freno la sua collera.
"Centocinquantamila sesterzi," disse Alessandro, ben sapendo di chiedere una somma difficilmente ottenibile.
"Cosa!?" esclamò Lucilla furibonda. "Ma è una cifra inaudita!"
"Tu dici, mia cara? A me sembra più che adeguata per riscattare la figlia di un imperatore."
Il viso di Lucilla si fece livido per la rabbia ma prima che lei potesse ribattere, Massimo disse: "Va bene. Ma devi darmi il tempo di vendere le mie terre, la mia casa, il raccolto e tutto il bestiame; solo così sarò in grado di racimolare abbastanza denaro."
Lucilla lo guardò scioccata. "Massimo, non puoi fare una cosa del genere! La fattoria è la tua vita, appartiene alla tua famiglia da generazioni... Non puoi sacrificarla per me!"
Lui la guardò e le sorrise con dolcezza. "Tu sei la mia vita. Tu e i tuoi bambini. Tutto il resto è aria e polvere." Gli occhi di Lucilla si spalancarono nel sentire la parola 'bambini', e lui le fece capire con un breve cenno del capo che aveva usato il plurale di proposito.
Alessandro osservò lo scambio d'occhiate e poi si schiarì la voce, richiamando su di sé la loro attenzione. 
"Naturalmente, Generale, quello che ho detto era solo in via ipotetica perché io non ho alcun bisogno di denaro. Molti uomini possono possedere centocinquantamila sesterzi ma Lucilla invece è unica, come tu ben sai, e io non sono sicuro di volermene privare." Vedendo la collera montare nel suo ospite, si affrettò ad aggiungere: "Tuttavia c'è qualcosa che io apprezzo più del denaro ed è il coraggio."
Massimo aggrottò la fronte senza capire. "Spiegati meglio."
"Devi sapere che io ho sentito molto parlare di te, Generale, e delle tue imprese nell'arena quando eri un gladiatore. Purtroppo non ho mai potuto ammirarti quando eri qui a Zucchabar perché ero lontano per affari, ma la folla ancora si ricorda di te e del tuo nome... Ispanico, è così che ti chiamavano, non è vero?" Senza attendere risposta Alessandro continuò. "Ti propongo una sfida: battiti contro di me domani. Se dovessi vincere, Lucilla sarà libera di tornare a casa senza che tu sia costretto a vendere i tuoi possedimenti; se invece dovessi perdere, avrai almeno l'assicurazione di saperla in buone mani, in un posto dove sarà sempre trattata come la principessa che è."
Massimo riflettè brevemente e rispose: "E sia, accetto la tua sfida."
"No!" urlò terrorizzata Lucilla e si voltò verso Alessandro. "Ti prego non farlo: vendendo i miei latifondi e le mie proprietà a Roma sono sicura di poter racimolare almeno trecentomila sesterzi... sono tuoi se rinunci all'incontro..."
Alessandro sollevò una mano e le accarezzò il viso con delicatezza. "Voi due dovete amarvi molto, siete così pronti a sacrificarvi l'uno per l'altra... Vorrei poterti accontentare, mia cara, ma ormai ho deciso: ho sempre desiderato battermi con il famoso 'Ispanico' e ora che ne ho la possibilità non me la farò scappare." Si interruppe per un attimo e poi continuò. "Ora va nel tuo appartamento e lasciaci soli: il Generale ed io dobbiamo discutere i dettagli della sfida e non voglio che ciò ti sconvolga ulteriormente."
Lucilla lo guardò carica di risentimento e si alzò da tavola, non prima però di aver scambiato un'occhiata con Massimo che la rassicurò con un sorriso pieno d'amore. 
Rinfrancata, la giovane donna si allontanò ed uscì dalla stanza.


VI


Non appena Lucilla sparì dalla vista Alessandro si alzò da tavola e disse: "Generale, per favore vieni con me, vorrei mostrarti qualcosa."
Massimo fece come gli era stato chiesto e seguì il padrone di casa in un'altra stanza, più piccola della precedente, che sembrava essere una biblioteca o uno studio, con parte delle pareti ricoperte da scaffali contenenti numerosi rotoli di papiro.
Alessandro si avvicinò ad uno scaffale e ne trasse un grosso involto che, srotolato sul tavolo, risultò essere una mappa dell'impero romano, molto simile a quella che Marco Aurelio aveva mostrato a Massimo l'ultima volta che si erano visti, il giorno della morte del grande imperatore.
Il nobile contemplò la carta geografica per qualche secondo e poi domandò a bruciapelo al suo ospite: "Che cosa ne pensi del modo in cui l'impero è governato?"
Massimo scosse la testa e disse la verità. "La politica non è mai stata il mio forte."
"Io credo che l'impero sia una maledizione per i popoli sottomessi a Roma. Non è giusto che solo pochi eletti godano di tanti privilegi mentre nelle province la gente paga il prezzo dei loro lussi e dei loro vizi. Prendi l'Egitto, per esempio: produce moltissimo grano ma la maggior parte di esso è destinato a Roma e alla penisola italiana con il risultato che spesso non ce n'è abbastanza per la popolazione locale." 
Massimo lo guardò interrogativamente, come a domandargli "Dove vuoi arrivare?" ed Alessandro continuò. "Sono anni ormai che vado elaborando un piano per sconfiggere l'impero e smembrarlo in tanti piccoli stati indipendenti. Ho raccolto denaro, ho creato ed addestrato un mio esercito privato, ho stretto delle alleanze e ora, finalmente, sono pronto ad agire anche perché riceverò aiuto nel cuore stesso dell'impero... Un senatore e suo figlio generale sono pronti a fornirmi l'aiuto di cinquemila uomini da aggiungere ai miei quattromila e..."
Massimo lo interruppe prima che potesse andare avanti. "Perché mi dici tutto questo?"
"Generale, ti chiedo di unirti a me in questa grande battaglia per la libertà. Se acconsentirai, Lucilla sarà libera e tu non dovrai combattere nell'arena domani." Gli occhi di Alessandro fiammeggiarono entusiasti mentre fissava il suo ospite.
Il Generale emise un sospiro e scosse la testa. "Non posso acconsentire. Quello che mi chiedi è contrario a tutto quello per cui ho vissuto e lottato per gran parte della mia vita."
"Come fai a rimanere fedele all'impero? Ad una tirannide che ti ha privato della libertà e che ti ha massacrato la famiglia?"
"Non è stata Roma a farmi tutto ciò; è stato un uomo a cui non è mai importato nulla dell'impero e quell'uomo adesso è morto." Massimo fece una pausa e poi continuò. "Io riesco a capire il tuo punto di vista nei confronti delle conquiste romane ma io ho contribuito a molte di esse e so che non abbiamo portato solo morte e distruzione. Abbiamo portato anche strade, istruzione, progresso e commercio. Certo, essere privati della propria libertà non è piacevole - nessuno lo sa meglio di me - ma se questo comporta un miglioramento della qualità della vita e la protezione dai pericoli esterni, io non credo che sia così terribile. Marco Aurelio ha sempre avuto a cuore il bene dei suoi sudditi - a loro andava il suo primo pensiero la mattina appena sveglio e la sua ultima riflessione la sera prima di addormentarsi - e sono sicuro che Settimio Severo farà lo stesso."
Alessandro inchinò la testa. "Generale, apprezzo la tua franchezza e la tua onestà. Il mio unico rammarico è che tu non voglia schierarti con me: saresti stato un ottimo alleato, un uomo su cui avrei potuto riporre la mia fiducia, perché so che non avresti mai tradito la tua parola."
"E' per questo che non posso accettare la tua proposta. Le promesse per me sono sacre. E adesso, se non vuoi scusarmi, vorrei ritirarmi: domani sarà una giornata molto dura."
"Hai ragione, Generale e buonanotte."
"Buonanotte anche a te, nobile Alessandro."
Massimo camminò fino alla porta e poi si fermò, tornando a guardare il suo ospite. "Posso permettermi di darti un consiglio?" L'altro annuì e lui continuò. "Fossi in te mi chiederei perché quel senatore che mi hai detto essere tuo alleato sia così interessato ad aiutarti. Se Roma cade, tutto il suo potere e i suoi privilegi svaniranno. Ma forse lui non vuole che l'impero cada, vuole solo che questo imperatore venga scalzato dal trono... magari perché vuole prenderne il posto." Gli lanciò un'ultima occhiata carica di significato e uscì dalla stanza.


*****


Non appena la porta si fu chiusa alle spalle di Massimo, una mano ingioiellata scostò una tenda e il Senatore Gaio Cornelio Flaminio uscì dalla nicchia da dove aveva ascoltato in segreto tutta la conversazione tra Alessandro e il Generale.
Il senatore, un uomo magro e pallido dal naso prominente che lo faceva somigliare ad un avvoltoio, si avvicinò ad Alessandro e sibilò furibondo: "Dovevi proprio metterlo al corrente di tutti i nostri piani?! Ti avevo detto di non farlo!"
L'altro uomo rispose calmo: "Se fossi riuscito a portarlo dalla nostra parte sarebbe stato un alleato prezioso."
"Già, ma lui è stato molto chiaro, non ne vuol sapere. Non ci resta altro da fare che ucciderlo, stanotte preferibilmente."
"No, non faremo niente del genere. Domani lo sfiderò nell'arena come promesso. Vedi, Cornelio, io e il Generale avremo anche idee diverse in campo politico ma entrambi riconosciamo l'importanza dell'onore... parola che sembra del tutto estranea al tuo vocabolario." Alessandro lanciò un'occhiata truce al suo alleato.
"E se dovesse vincere? Lo sai, vero, che è molto amico di Settimio Severo? E' stato lui a proporre il suo nome come possibile Cesare dopo la morte di Commodo. Se gli permettiamo di uscire vivo da Zucchabar andrà di corsa ad informare l'imperatore, stanne certo."
"Stai tranquillo, non uscirà vivo dall'arena, te lo posso assicurare."
"Va bene," disse infine Cornelio, "sarà come dici tu. Buonanotte." Detto questo girò sui tacchi e se ne andò.


*****


Mentre camminava lungo i corridoi di marmo diretto alla propria stanza il Senatore Cornelio decise che era arrivato il momento di prendere la situazione nelle sue mani. Alessandro era convinto di poter battere facilmente Massimo ma egli, che lo aveva visto combattere come gladiatore nel Colosseo, non ne era così sicuro. Per lui la possibilità che il Generale sopravvivesse all'incontro era tutt'altro che remota. Toccava a lui prendere provvedimenti affinché ciò non accadesse. Non poteva permettere che quell'uomo rovinasse i suoi piani, non ora che grazie a quello sciocco idealista di Alessandro era ad un passo dalla realizzazione della sua più grande ambizione, diventare Cesare! Già poteva vedersi con indosso la porpora imperiale mentre la folla lo acclamava con alte grida... No, niente e nessuno doveva frapporsi tra lui e la residenza sul Palatino. Massimo Decimo Meridio doveva morire.


VII


Una figura vestita di nero entrò silenziosamente nella stanza buia recando una lucerna e si avvicinò in punta di piedi all'uomo addormentato di cui riusciva ad intravedere la sagoma nel letto. Ancora pochi passi e lo avrebbe raggiunto. La figura allungò un braccio verso di lui e...
Prima ancora che riuscisse a completare il gesto due mani scattarono fulminee da sotto le coperte e l'intruso si sentì afferrare per la tunica mentre la lama di un pugnale premette contro la sua gola.

"Che sei?" ringhiò Massimo.
"Sono io, Lucilla!" rispose lei con voce tremante, avvicinando la lucerna al suo viso.
Massimo la lasciò andare subito, mettendosi a sedere sul letto. "Per gli dei, Lucilla, non farlo mai più, avrei potuto ucciderti!" Detto questo prese la lampada dalla sua mano e la posò sul comodino, vicino al suo pugnale ed allargate le braccia disse dolcemente: "Vieni qui."
Lucilla obbedì all'istante cercando rifugio nel suo abbraccio. Rimasero così per alcuni minuti, il viso di lei premuto contro il suo petto, mentre lui le accarezzava la schiena.
Quando la donna si fu calmata Massimo chiese: "Che cosa fai qui?"
Lucilla si scostò un poco da lui e rispose: "Sono venuta a prenderti. Ho convinto uno dei servi a lasciare aperta una delle porte di servizio sul retro della villa. Possiamo scappare subito insieme e..."
Massimo la interruppe posandole le dita sulle labbra. "Non possiamo farlo."
"Perché no?"
"Perché ho dato la mia parola e perché i miei uomini sono prigionieri. Non posso e non voglio abbandonarli."
"Potremmo liberarli noi..."
"No, Lucilla, ho da dato la mia parola," ripeté Massimo. "E poi non sono un codardo."
"Non ho mai pensato che tu lo fossi, ma vale la pena di rischiare la vita per mantenere una promessa?" Lucilla aveva le lacrime agli occhi.
"Lucilla, tu sai che io ho sempre cercato di vivere con onore e dignità. Questi valori mi furono inculcati nella mente da mio padre e nel cuore da Marco Aurelio. Perfino quando ero uno schiavo senza la libertà di decidere ho cercato di rimanervi fedele e ci sono riuscito, nei limiti del possibile. E ora che sono di nuovo libero e posso scegliere, non vedo altra possibile via d'uscita. Mi dispiace solo che questo ti causi dolore, ma non posso farne a meno." 
"Nemmeno se dovesse costarti la vita?"
"Io non ho paura per me stesso... tu sei tutto ciò che mi importa. Se provassimo a fuggire, tu potresti rimanere ferita o uccisa e io non me lo perdonerei mai. Invece così, se anche dovesse succedermi qualcosa, tu sarai salva e... e potrai avere altre occasioni per fuggire." Massimo aveva parlato con pacatezza ma nei suoi occhi era visibile il suo timore.
"Massimo, io non voglio vederti morire nell'arena!" singhiozzò Lucilla, stringendosi di nuovo a lui, con ben vivo nella mente il ricordo del suo duello con Commodo.
Massimo la prese delicatamente per le spalle e disse: "Guardami Lucilla ed ascoltami bene: non mi succederà nulla, capito? Non può succedermi nulla, non ora. Voglio vedere nascere e crescere il nostro bambino e nessuno me lo impedirà." Il suo tono era così sicuro e i suoi occhi così determinati che Lucilla si lasciò trascinare dalla sua convinzione. Si asciugò le lacrime, annuì e poi domandò, "Come fai a sapere del bambino?"
"Me lo ha detto Plotina, era preoccupata che potesse accaderti qualcosa."
Lucilla sorrise nel sentire nominare la sua vecchia nutrice e tornò a guardare gli occhi di Massimo che la stava fissando con severità. "Perché non me l' hai detto?"
Lei distolse lo sguardo. "Non... non sapevo come avresti reagito. Non abbiamo mai discusso l'argomento e... e..."
Massimo le sollevò il mento con un dito e mormorò: "Non hai idea di quante volte io abbia sperato che accadesse."
Lucilla lo fissò sorpresa. "Cosa?"
Massimo annuì sorridendo. "Lo desideravo tanto ma non sapevo come avresti reagito tu."
Si guardarono negli occhi in silenzio per alcuni istanti, poi Massimo scese dal letto ed inginocchiatosi ai piedi di lei le prese la mano dicendo: "Quando questa storia sarà finita, mi farai il grande onore di diventare mia moglie, Annia Lucilla Vera?"
Lucilla scivolò giù dal letto sul pavimento in fronte a lui e gli posò l'altra mano sul viso. "Sarò io ad essere onorata di averti come marito, Massimo Decimo Meridio."
In un attimo furono l'una nelle braccia dell'altro, intenti a baciarsi con passione. Dopo un po' Massimo si scostò da Lucilla e le disse a malincuore: "Adesso torna nella tua stanza, è più prudente."
Lei scosse la testa. "No, voglio restarti vicina stanotte. Ti prego."
Massimo annuì - nemmeno lui voleva che si separassero - e l'attirò di nuovo tra le sue braccia.
Lucilla gli ricoprì il petto nudo con numerosi baci, prestando particolare attenzione alla sua spalla ferita, finché Massimo non la fermò.
Lei gli lanciò un'occhiata interrogativa e lui sorrise. "Credo che staremo più comodi sul letto."
Lucilla si guardò attorno e parve accorgersi solo in quel momento che erano ancora inginocchiati sul pavimento della stanza.
Massimo l'aiutò ad alzarsi e poi la sospinse con delicatezza all'indietro sul giaciglio, sdraiandosi al suo fianco ed attirandola a sé. Nel giro di pochi secondi il mondo esterno, con tutti i suoi problemi e i suoi pericoli, cessò di esistere mentre loro due si abbandonarono al loro amore.


VIII


Il giorno seguente Massimo e i suoi uomini seguirono Alessandro e Lucilla nell'arena di Zucchabar, mentre le guardie del nobile li tenevano sottocontrollo e mantenevano lontani i curiosi.
Il Generale aveva concordato con Alessandro che i suoi legionari non avrebbero dovuto essere toccati e che anche in caso di sua sconfitta sarebbe stato concesso loro di rientrare a Roma.
Appena arrivati al piccolo anfiteatro Alessandro scortò Lucilla al palco d'onore e poi andò dall'organizzatore dei giochi, l'editor, per annunciargli che ci sarebbe stato un fuori programma. L'uomo strabuzzò gli occhi nel sentire il nome dell'avversario di Alessandro e corse subito ad avvertire gli allibratori e ad organizzare le scommesse.


*****


Massimo attendeva il momento di entrare in azione negli stessi corridoi polverosi dove aveva sostato decine di volte quando era un gladiatore. Si chinò a terra, raccolse un pugno di sabbia e se la strofinò tra le mani. Era pronto a combattere. La sua mente era concentrata sul compito davanti a lui e la sua determinazione era visibile nei suoi occhi azzurri. Quest'oggi non avrebbe combattuto né per Roma, né per l'imperatore: avrebbe combattuto per se stesso, per Lucilla e per la loro felicità. A ben pensarci quella era la battaglia più importante della sua vita.
Finalmente l'attesa ebbe termine e l'editor, richiamata l'attenzione della folla, annunciò: "Popolo di Zucchabar, oggi assisterete ad uno spettacolo come non ne avete mai visto un altro eguale, uno spettacolo degno di Roma e del Colosseo. Oggi vedrete la sfida tra il nobile Alessandro Flavio Flacco - di cui è ben noto il valore - e il Generale Massimo Decimo Meridio, l'uomo che ha liberato l'impero dal tiranno Commodo e di cui molti di voi ricorderanno la bravura, poiché il Generale altri non è che l'Ispanico, l'unico gladiatore rimasto imbattuto nella storia dei giochi, qui a Zucchabar come a Roma!"
I cancelli si aprirono e Massimo entrò nell'arena, accompagnato dalle grida della folla entusiasta. "Ispanico! Ispanico! Ispanico!" 
Mentre avanzava nella sabbia, il Generale si guardò intorno e il tempo parve fermarsi e tornare indietro... Era di nuovo uno schiavo, costretto a combattere per divertire la folla, era solo carne da macello... Massimo scacciò rabbiosamente quei pensieri e si concentrò sul suo avversario, che stava camminando verso di lui provenendo dalla direzione opposta, salutato anche lui dal boato della folla.
I due contendenti si fermarono a pochi metri l'uno dall'altro e Alessandro sorrise. "Hai visto quanti ammiratori hai, Generale? L'eco della tua vittoria sul tiranno Commodo è arrivata fino a qui... Pensaci, sei ancora in tempo, sei sicuro di non volerti unire a me nella mia battaglia per la libertà?"
Massimo annuì. "Sono sicuro. Io ho sì eliminato Commodo ma l' ho fatto perché stava distruggendo Roma e tutto il lavoro che suo padre aveva fatto per il bene del suo popolo. Ho ucciso Commodo perché Marco Aurelio mi aveva chiesto di proteggere Roma alla sua morte e io ho esaudito il suo desiderio."
"Quindi oggi combatti contro di me perché sono una minaccia per Roma?"
"No, oggi combatto per onore e per amore, le due cose più importanti nella mia vita. Il destino dell'impero lo lascio nelle mani dei politici."
Alessandro scosse la testa e disse. "Sia come vuoi." Fece un cenno con la mano ed alcune guardie entrarono nell'arena recando dei sostegni in legno a cui erano fissati vari tipi di armi. Massimo aggrottò la fronte ed il nobile spiegò, "Come ben sai, questa è una sfida all'ultimo sangue e per renderla più interessante ho escogitato questo sistema: se durante lo scontro uno di noi due dovesse rimanere disarmato potrà avvicinarsi a questi sostegni e prendere un'altra arma... sempre che, naturalmente, l'altro glielo permetta! Ora vieni e scegli le armi che preferisci."
Il Generale esaminò le varie possibilità ed alla fine optò per un gladio ed uno scudo rotondo: la sua spalla sinistra era ancora troppo dolorante per poter maneggiare un'altra spada. Alessandro scelse invece un gladio e una mazza ferrata.
I due avversari si portarono al centro dell'arena e si salutarono.
"Che vinca il più forte," disse Alessandro.
"Forza e onore," replicò Massimo con un piccolo inchino.
Un silenzio innaturale che era calato sugli spalti mentre tutti attendevano l'inizio del duello fu rotto da un boato quando Alessandro alzò il braccio e si scagliò su Massimo e la folla cominciò a gridare eccitata dalla prospettiva di vedere il sangue scorrere a fiumi.


IX


Fu subito chiaro che i due avversari erano ben assortiti: Alessandro era più alto, grosso e potente di Massimo, ma il Generale era più agile ed esperto.
La folla incitava a gran voce i combattenti ma tra gli spettatori c'erano almeno due persone che non si stavano affatto divertendo: Lucilla e il Senatore Cornelio. La giovane era terrorizzata dall'idea di vedere Massimo fatto a pezzi davanti ai suoi occhi. Lucilla sapeva che la sua spalla sinistra non era ancora guarita - lei stessa l'aveva bendata quella mattina - e temeva che i muscoli potessero cedere sotto il peso dello scudo e la forza dei colpi assestati da Alessandro.
Quanto al Senatore, la sua preoccupazione era che il Generale potesse uscire vivo dallo scontro e mandare all'aria tutti i suoi piani. Alessandro era sicuro di vincere ma se così non fosse stato toccava a lui, Cornelio, fare in modo che Massimo non ripetesse ad anima viva quello che aveva udito in biblioteca, la sua vita e quella di suo figlio dipendevano da quello.
Cornelio raggiunse una delle guardie di Alessandro che presidiavano gli ingressi dell'anello in sabbia e la chiamò: "Guardia!"
"Signore?"
"Alessandro mi ha dato un messaggio per te: ti ordina di colpire il suo avversario con una freccia se le cose dovessero mettersi male per lui durante il combattimento."
La guardia aggrottò la fronte, perplessa. Il suo padrone non era mai stato un codardo e non era nel suo stile far uccidere a tradimento.
Cornelio vide la sua esitazione e disse furioso: "Osi dubitare della parola di un senatore di Roma?"
L'altro scosse la testa spaventato. "No, signore. Farò come hai detto tu, signore."
"Bene," approvò il senatore con un sorriso malvagio.


*****


Nell'arena il duello continuava a ritmo serrato, senza che nessuno dei due avversari desse segni di cedimento o al contrario dimostrasse una palese superiorità sull'altro. Tuttavia il braccio sinistro di Massimo stava iniziando ad avere dei problemi: i muscoli gli facevano male e ogni volta che la spada o la mazza cadevano sullo scudo, la sua spalla era in preda ad atroci fitte di dolore. Il Generale cercò di non pensarci ma stava diventando sempre più difficile maneggiare lo scudo con sufficiente velocità per parare i colpi di Alessandro.
Alessandro alzò la mazza ferrata per colpire un'ennesima volta e Massimo reagì in un lampo: usando tutte le sue forze sollevò lo scudo e colpì con esso la mano del nobile, rompendogli le dita.
Alessandro emise un gemito di dolore e lasciò cadere l'arma, tra le urla eccitate della folla. Massimo però non poté godere a lungo di quell'attimo di superiorità perché lo sforzo compiuto era stato troppo grande per la sua spalla: la ferita si era riaperta ed egli avvertì il sangue inzuppare la benda e la tunica e colargli lungo il braccio. Consapevole che lo scudo era ormai diventato inutile, lo lasciò cadere nella sabbia.
La folla interpretò quel gesto come il desiderio di voler equilibrare di nuovo i valori in campo - dato che ora entrambi i contendenti erano armati solo di spade - per far durare di più il combattimento, ma Lucilla tremò nel vedere il modo in cui Massimo teneva il braccio sinistro premuto contro il fianco.
Ci fu un attimo di pausa in cui i due uomini ripresero fiato e Massimo ne approfittò per lanciare una breve occhiata in direzione di Lucilla. Nonostante la sua vista fosse ostacolata dal sole e dal sudore che gli colava negli occhi, egli notò il suo viso pallido e preoccupato e questo gli diede un ulteriore stimolo per vincere il dolore e battere il suo avversario. La vita della giovane donna e del loro bambino erano nelle sue mani e lui non poteva permettersi di fallire. Attinse a tutte le sue energie e si scagliò su Alessandro, sorprendendolo con la furia e l'impeto delle sue bordate. Il nobile prese ad indietreggiare sotto la pioggia di colpi, riuscendo a mala pena a difendersi, finché, all'improvviso non inciampò sullo scudo lasciato a terra da Massimo e cadde pesantemente nella sabbia. Il Generale gli fu subito addosso, posandogli un piede sulla mano che impugnava la spada - costringendolo ad allentare la presa - e premendogli la punta del gladio alla gola.
La folla si lasciò andare ad un boato e il grido di 'Ispanico' prese a riecheggiare dagli spalti.
Allora come anni prima, Massimo non prestò alcuna attenzione alle grida ma si concentrò su di Alessandro, che respirava a fatica e lo stava guardando con occhi pieni di rammarico ma non di paura.
Massimo lasciò cadere la sua spada e tra lo stupore degli spettatori e dello stesso Alessandro, offrì il braccio al suo avversario per aiutarlo ad alzarsi.
"Perché lo fai?" chiese il nobile.
"Un mio amico mi ha sempre detto che non c'è onore ad uccidere un grande guerriero già battuto... e che non c'è vergogna ad accettare una sconfitta quando si è consapevoli di aver dato il meglio di sé."
Alessandro annuì ed afferrò la mano che gli veniva porta. Si era appena rimesso in piedi quando, alle spalle di Massimo, vide una delle sue guardie incoccare una freccia e lasciarla partire. Alessandro non ci pensò un attimo e con un violento spintone allontanò Massimo dalla traiettoria del dardo. Lui però non riuscì a fare altrettanto e venne colpito in pieno petto.
"No!" urlò la guardia quando si rese conto di ciò che aveva fatto. L'uomo si voltò furibondo verso il Senatore Cornelio, che l'aveva incitato a scoccare la freccia anche se Massimo stava offrendo la mano ad Alessandro e sembrava quindi intenzionato a risparmiargli la vita.
Non appena Cornelio si avvide che il suo piano era fallito, cercò di allontanarsi e fuggire ma la guardia non glielo permise ed armato un'altra volta il suo arco, lo uccise trafiggendolo al collo.
Nell'arena la sabbia sotto il corpo di Alessandro si tinse di rosso mentre la sua vita si spegneva lentamente. Massimo si inginocchiò al suo fianco e sollevò la testa del ferito sulle sue cosce: sapeva di non poter far nulla per salvarlo ma almeno avrebbe potuto rendere la sua morte meno dolorosa.
Alessandro lo fissò negli occhi e rantolò. "Generale, dimmi chi è l'uomo che ti ha insegnato la frase che mi dicesti prima?"
"Marco
Aurelio."
Alessandro fece un sorriso amaro e mormorò: "Avrei dovuto saperlo." Cominciò a tossire e dalla sua bocca uscì un rivolo di sangue.
Massimo gli strinse la mano con forza e disse: "Grazie di avermi salvato la vita. Non lo dimenticherò."
Alessandro tentò un altro sorriso. "E' stato un piacere conoscerti, Generale... mi dispiace solo che sia finita così... in un'altra vita... avremmo potuto anche... essere amici."
Massimo annuì e vide gli occhi di Alessandro diventare vitrei mentre il suo cuore smetteva di battere. Il Generale chinò la testa e adagiò il corpo sulla sabbia, chiudendogli le palpebre con le dita. Poi si alzò e si guardò intorno. I suoi soldati lo raggiunsero di corsa e gli offrirono le loro congratulazioni ma egli non vi prestò molta attenzione, intento come era a camminare incontro a Lucilla, che stava correndo verso di lui. Quando furono abbastanza vicini si abbracciarono e caddero in ginocchio sulla sabbia dell'arena, intenti solo ad assorbire il calore e il profumo l'uno dell'altra, incuranti di tutto e di tutti.


EPILOGO


Massimo e Lucio scesero di sella ed affidarono i loro cavalli nelle mani degli stallieri. Avevano passato il pomeriggio a sovrintendere la raccolta delle olive ed erano entrambi stanchi ed affamati.
L'uomo e il ragazzo entrarono in casa e subito un servitore andò loro incontro con una bacinella di acqua pulita e dei teli di lino.
"Dov'è la signora?" domandò Massimo lavandosi le mani.
"E' nel cortile interno, domine."
"Grazie."

Massimo attraversò l'atrio ed uscì all'aperto, cercando sua moglie.
La vide subito: stava camminando lungo il perimetro del giardino, vicino ai numerosi vasi pieni di fiori multicolori. Ogni tanto si fermava per permettere al bambino che teneva tra le braccia di guardare meglio qualche pianta. Massimo sorrise nel vedere come quelle piccole mani tentavano di afferrare i fiori e si avvicinò a loro.
Lucilla lo sentì arrivare e si voltò verso di lui con un sorriso radioso sulle labbra. "Come è andata la giornata?" gli chiese.
"Benissimo, quest'anno avremo un ottimo raccolto." Massimo le diede un bacio sulla guancia e poi allungò le braccia per prendere suo figlio. Quando lo ebbe stretto al petto mormorò. "E tu piccolo Massimo, che cosa hai fatto di bello oggi?" Il bambino spalancò i suoi occhi azzurri, così simili a quelli di suo padre, e cercò di prendere le sue dita per portarsele alla bocca. Massimo lo lasciò fare, mentre Lucilla commentava. "Oh, anche lui ha avuto una bella giornata, con tanto di bagnetto e lungo pisolino pomeridiano."
In quel mentre Lucio li raggiunse e salutata la madre rivolse tutta la sua attenzione a suo fratello, chiedendo di poterlo prendere in braccio. Subito dopo la nascita di Massimo iunior, Lucio aveva avuto paura che Massimo non gli avrebbe più voluto bene, ora che aveva un figlio tutto suo ma il Generale lo aveva tranquillizzato subito, dicendogli che lo amava e che nel suo cuore lui avrebbe sempre avuto un posto speciale. Così rassicurato, Lucio si era affezionato al neonato e aveva preso molto sul serio il suo ruolo di fratello maggiore, arrivando perfino ad imparare come cambiare il bambino.
Massimo mise un braccio attorno alla vita di Lucilla e l'attirò contro il suo petto, mentre insieme contemplavano Lucio camminare con in braccio il suo fratellino.
"Sei felice?" chiese Lucilla accarezzando l'avambraccio di suo marito.
"Certo che lo sono, perché me lo domandi?"
"Ma, non so... Forse perché desidero che tu me lo dimostri ancora una volta..." la voce di Lucilla divenne un sussurro sensuale.
Massimo fece un sorriso malizioso e rispose con voce roca: "Ce la fai ad aspettare fino a dopo cena o te lo devo dimostrare adesso?"
"Massimo!" esclamò lei con voce fintamente oltraggiata dandogli una leggera sberla sul braccio. "Ci sono i bambini!"
"E allora?"
"E allora credo che sia meglio aspettare che vadano a letto, non vorrei essere interrotta sul più bello..."
"Hai ragione," rispose Massimo baciandole la tempia mentre il cuoco annunciava che la cena era pronta.
"Andiamo," esortò Lucilla facendo cenno a Lucio di seguirla. "Prima finiamo di mangiare, prima i bambini andranno a letto, e prima noi potremo dedicarci ad altre... attività."
Massimo li guardò entrare in casa ma lui rimase in giardino a contemplare il tramonto. Dei, come era bello essere così allegri e privi di preoccupazioni! Sembrava che alla fine, dopo tante sofferenze e tanto dolore il Fato avesse deciso di pareggiare i conti, concedendo a tutti loro la pace e la felicità tanto desiderata. Le sue riflessioni durarono poco. "Allora vieni?" lo interruppe Lucilla.
"Sei così impaziente?"
"Certo. Come al solito."
Massimo scosse la testa divertito e seguì la sua famiglia all'interno della villa, il cuore pieno d'anticipazione per quello che sarebbe successo dopo cena.

 

FINE

 

 

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Forza e Onore (Prima parte)

 

 

 

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Diario di Giulia - Parte seconda

 



[1] Da un’idea di Ilaria Dotti e Giusy Trisolini.