Storie de Il Gladiatore

Storie ispirate dal film Il Gladiatore (Gladiator, 2000)

 

 Forza e Onore

di Ilaria Dotti[1]

 Prima parte : Hispania
183 D.C.

I


"Allora madre, sei pronta?" chiese impaziente il piccolo Lucio affacciandosi sulla porta della camera da letto. "Massimo sarà qui molto presto!"
"Un momento ancora!" gli rispose Lucilla, sorridendo alla sua infantile impazienza. Si guardò allo specchio per l'ultima volta e diede gli ultimi ritocchi al suo abito, una tunica azzurra bordata con foglie di acanto argento, completata da una palla grigia e da orecchini in madreperla.
Mentre l'ancella terminava di acconciarle i capelli, Lucilla pensò alla giornata che stava per trascorrere e rivolse una breve preghiera agli dei affinché tutto andasse nel migliore dei modi. La visita a Merida, in occasione della grande fiera autunnale era un avvenimento che lei e Lucio avevano atteso con ansia, anche se per motivi diversi. Per suo figlio si trattava della prima occasione per tornare a visitare una grande città da quando avevano lasciato Roma quasi un anno prima, mentre Lucilla vedeva in quella gita la possibilità di trascorrere due giorni interi insieme a Massimo, lontano dalle loro fattorie e dalle mille incombenze che esse comportavano. La giovane donna sperava di trovare la forza per dire a Massimo che lei stava aspettando un figlio, il loro figlio. Lucilla si portò una mano al ventre ed accarezzò il suo bambino che, al contrario di Lucio, figlio delle esigenze politiche di Roma e di suo padre, era davvero un frutto dell'amore. Lei sapeva che Massimo l'amava e che voleva molto bene a Lucio, lo vedeva dal modo in cui parlava e giocava con lui, ma non aveva idea di come avrebbe reagito alla prospettiva di diventare padre un'altra volta. Loro due non avevano mai parlato di bambini e Lucilla sapeva che per Massimo la ferita provocata dalla brutale uccisione di sua moglie e di suo figlio era ancora aperta: in più di un'occasione l'aveva visto chino sulle tombe di Selene e Marco, immerso nelle preghiere.
Lucilla sospirò e pensò, "Prima o poi dovrò dirglielo, questa non è certo il genere di cosa che possa essere tenuta segreta in eterno....." 
La voce esasperata di Lucio la richiamò alla realtà, "Madre!! Massimo ha appena varcato il cancello!"
Lucilla sorrise e corse fuori dalla stanza, attraversando l'atrio per poi uscire in cortile, dove suo figlio l'accolse con un sospiro di sollievo ed uno sguardo ammirato. "Madre, sei bellissima!"
"Dici davvero?" gli domandò sorridendo e Lucio annuì più volte.
"Speriamo che anche Massimo sia della sua stessa opinione," disse a se stessa mentre l'oggetto delle sue riflessioni faceva il suo ingresso nel cortile alla guida di un carro tirato da una splendida pariglia di cavalli sauri.
L'ex generale arrestò gli animali e saltò giù dal veicolo mentre Lucio gli correva incontro felice. Massimo lo accolse arruffandogli affettuosamente i capelli "Come va Lucio?"
"Benissimo. Non vedo l'ora di essere alla fiera!"
L'uomo sorrise nel vedere il suo entusiasmo e disse: "Allora sali sul carro: prima partiamo e prima arriviamo." Il bambino non se lo fece ripetere due volte e in pochi secondi prese posto sul sedile posteriore.
Massimo si avvicinò a Lucilla e le si fermò di fronte, prendendole una mano e baciandogliela con delicatezza. 
"Sei una visione," le mormorò con voce roca guardandola fissa negli occhi e lei si sentì arrossire come un'adolescente.
"Anche tu non sei niente male," gli rispose, facendo scorrere lo sguardo su di lui, dal viso abbronzato con la barba ben tagliata, alle sue ampie spalle evidenziate da una tunica rosso vino e una toga bianca bordata di porpora, giù fino alle ginocchia e ai semplici sandali che calzava. Nell'insieme una figura forte, rassicurante, sobria. Massimo. Lucilla notò anche con piacere che la toga era tenuta ferma dalla fibula d'oro che lei gli aveva regalato in occasione del suo trentaseiesimo compleanno.
Massimo sorrise, contento di aver superato la sua ispezione, e i suoi occhi azzurri scintillarono.
"Vogliamo andare?" le disse offrendole il braccio, che lei accettò felice.
"Certamente, prima che Lucio perda del tutto la pazienza."
Massimo rise piano, l'aiutò a salire sul carro e poi fece altrettanto, riprendendo le redini ed incitando i cavalli.

II


Il mercatus autunnale di Merida era uno degli avvenimenti più importanti nel calendario fieristico ispanico ed una gran quantità di persone si era riversata in città, chi per vendere, chi per comprare, chi semplicemente per curiosare tra le varie attrazioni. 
Massimo, Lucilla e Lucio facevano parte di questo gruppo. I tre passarono molte ore felici a passeggiare tra botteghe e tendoni, ammirando i vari prodotti in esposizione e assistendo agli spettacoli dei mangiatori di fuoco e dei giocolieri. Il piccolo Lucio era euforico ed entusiasta di muoversi in tutta quella confusione e di vedere così tante cose inusuali. Il bambino aveva sì vissuto a Roma per molti anni, ma come membro della famiglia imperiale non aveva mai potuto mescolarsi tra la folla e comportarsi come tutti i suoi coetanei, mentre ora ne aveva la possibilità. 

Nel tardo pomeriggio i venditori iniziarono a riporre le loro merci e Massimo, Lucilla e Lucio decisero di chiudere la giornata e di dirigersi verso la locanda dove avrebbero passato la notte. 
Mentre stavano camminando, l'attenzione di Massimo fu attratta da alcuni schiocchi di frusta e da delle grida che il suo orecchio riconobbe come di dolore e non certo di gioia. Suo malgrado sentì in sé la necessità di capire che cosa stesse succedendo e si diresse nella direzione da cui aveva sentito provenire le urla, giungendo in una zona della città che era stata trasformata in un mercato di schiavi. Massimo si arrestò di scatto mentre i suoi occhi prendevano visione di decine di esseri umani - uomini, donne e bambini, giovani e vecchi - incatenati a dei pali mentre altre persone li esaminavano come se si trattasse di bestiame.
Lucilla vide Massimo impallidire e gli posò una mano sul braccio, stringendolo appena, offrendogli il suo conforto: solo gli dei sapevano quali brutti ricordi stesse suscitando in lui quella vista. Massimo le aveva raccontato qualcosa di quello che gli era successo dopo che aveva trovato la sua famiglia massacrata e le aveva descritto l'orrore e la disperazione che aveva provato nel vedersi privato di tutto, anche della libertà.
Massimo sentì il lieve tocco di Lucilla e le rivolse un debole sorriso di gratitudine.
"Vieni," mormorò lei, "andiamo via." Lui si apprestò a seguirla quando un altro grido lo fece voltare di nuovo e i suoi occhi videro un uomo grasso picchiare duramente un povero vecchio magro e piagato.
L'ex generale si liberò dalla stretta di Lucilla e in pochi passi fu addosso al grassone, afferrando e bloccando il suo braccio prima che questi potesse assestare un altro colpo di frusta.
Il mercante si girò di scatto verso il suo aggressore e si ritrovò a fronteggiare due occhi azzurri pieni di rabbia.
"Non hai vergogna a trattare così un vecchio indifeso?" ringhiò Massimo.
L'altro uomo cercò di liberare il polso e disse: "Fatti gli affari tuoi," tentando poi di assestare un calcio al suo schiavo, che stava guardando al suo difensore con occhi pieni di speranza.
"Ti ho detto di smetterla," sibilò Massimo, la voce sempre più minacciosa.
Il mercante lo guardò e disse in tono di sfida. "Lo schiavo è mio e ne faccio ciò che voglio. Se proprio ci tieni tanto, compralo."
Massimo non batté ciglio e allentata la presa sul braccio del grassone chiese secco: "Quanto?"
L'altro fece un sorriso maligno e rispose: "Duecento sesterzi." Era una cifra spropositata per l'età e le condizioni dello schiavo ma Massimo non ebbe alcuna esitazione: tirò fuori il borsello che teneva fissato alla cintura sotto la toga e porse due aurei al mercante, che li afferrò avidamente.
"Liberalo dalle catene," ordinò Massimo, indicando il suo nuovo acquisto.
Il grassone fece un inchino sprezzante ed obbedì.
Mentre stava aspettando, Massimo sentì una mano fresca posarsi sul suo avambraccio e girando il viso incontrò gli occhi preoccupati di Lucilla.
"Tutto bene?" chiese lei con dolcezza.
Lui sorrise ed annuì. La giovane donna ricambiò il sorriso e i due rimasero per alcuni secondi persi l'uno nello sguardo dell'altra. Poi la voce del mercante si intromise, richiamandoli bruscamente alla realtà.
"Ehi, guarda qui che bellezza!" esclamò fissando in modo maleducato Lucilla, come se la stesse valutando alla stregua di una possibile mercanzia.
Lucilla gli rivolse un'occhiata sdegnata e fece per allontanarsi ma Massimo rimase fermo sul posto. 
"Che cosa hai detto?" sibilò.
Il mercante continuò. "Questa donna è un vero splendore; conosco un uomo a Zucchabar che pagherebbe una fortuna per averla. Se vuoi te lo presento e poi ci dividiamo i soldi..."
La rabbia fino a quel momento trattenuta ebbe il sopravvento e Massimo scattò: la sua mano volò alla gola del grassone e la strinse, togliendogli il respiro.
"Come osi insultare così una cittadina romana della più alta nobiltà?" gli disse furioso, con le narici che fremevano, il suo viso a pochi centimetri da quello del mercante. "Per me lei è più preziosa di tutti i tesori dell'impero."
Il suo prigioniero cercò di liberarsi dalla stretta che lo stava quasi soffocando e poi fece un cenno alle sue due guardie, che si avvicinarono minacciose.
Massimo lasciò andare il mercante, assestandogli un violento spintone che lo fece cadere a terra, e fronteggiò le guardie, scostando la toga e mettendo in evidenza la daga fissata alla cintura. Il suo sguardo duro e determinato faceva chiaramente intendere che non avrebbe avuto alcuna remora ad usarla.
Ancora una volta Lucilla gli posò una mano sul braccio e disse: "Vieni via, Massimo, non ne vale la pena." Lui si voltò a guardarla, e notò il suo viso pallido e preoccupato.
Massimo annuì rassicurandola e poi lanciò un'altra occhiata rabbiosa al mercante. "Non voglio più vederti."
Il grassone assentì spaventato e l'ex- generale si rilassò un poco, rivolgendosi al suo nuovo schiavo, che fino a quel momento era rimasto in disparte, vicino a Lucio. "Come ti chiami?" 
"Manlio, padrone," rispose il vecchio, chinando la testa.
"Ce la fai a camminare?"
Lo schiavo annuì e Massimo disse: "Andiamo allora." Mise un braccio intorno alla vita di Lucilla ed una mano sulla spalla di Lucio e li guidò fuori del mercato di schiavi, imitato da Manlio che li seguiva rispettoso ad alcuni passi di distanza.

Il mercante di schiavi li guardò allontanarsi e con uno sguardo pieno d'odio disse, rivolto alla schiena di Massimo. "Me la pagherai, bastardo, giuro che me la pagherai. I miei commenti sulla donna erano solo una provocazione ma dopo il modo in cui mi hai trattato diventeranno realtà. Ti prometto che rimpiangerai amaramente di avermi umiliato davanti a tutti."


III

Massimo e il suo gruppo bighellonarono ancora un po' per la fiera e l'ex generale ne approfittò per cercare di riacquistare la calma: erano passati quasi tre anni dall'ultima che aveva alzato con violenza la mano su di un altro essere umano e l'esperienza lo aveva scosso nel profondo.
Anche Lucilla era rimasta sconvolta dal suo comportamento e dall'odio nei suoi occhi. Solo in un'altra occasione aveva visto Massimo così furioso, quando lo aveva incontrato nelle celle del Colosseo dopo il suo primo trionfo nell'anfiteatro romano. Lucilla era cosciente del fatto che Massimo fosse capace di uccidere e avesse ucciso innumerevoli volte - in fondo era stato un militare per gran parte della sua vita ed un gladiatore per alcuni mesi - ma le era difficile riconciliare quella violenza con l'uomo tenero e gentile che l'aiutava a dirigere la fattoria di giorno e la faceva sognare di notte.

Dopo circa un'ora la comitiva raggiunse la locanda presso cui avrebbero pernottato e, lasciato Lucio nella sua stanza in compagnia di Manlio, Lucilla e Massimo rimasero soli per alcuni minuti.
Massimo vide che la giovane donna era ancora pallida e le si avvicinò, prendendo la sua mano e portandosela alle labbra. "Che cosa c'è?" le chiese dolcemente.
Lucilla lo fissò negli occhi, pronta a dirgli la verità: da tempo ormai aveva deciso che non gli avrebbe mai più mentito, le sue bugie le erano costate il suo amore molti anni prima e lei non voleva commettere di nuovo lo stesso errore. Gli prese le mani e rispose: "Non ero preparata ad un tale scoppio di violenza da parte tua."
Massimo annuì pensieroso. "Neanche io. Ma i mesi passati in schiavitù e tutto quello che ho passato prima di poter ritrovare la pace hanno reso impossibile per me accettare simili ingiustizie od insulti. Mi dispiace solo che questo ti abbia spaventata: ti prometto che in futuro cercherò di stare più calmo."
"No." Lucilla gli sfiorò una guancia con la punta delle dita. "Non devi giustificarti... Lo hai fatto a fin di bene ed in un certo senso è piacevole sentirsi protetti da te," concluse sorridendo.
Massimo le rispose fiero. "Lo sai che farei qualunque cosa per te e Lucio. Qualunque cosa."
Lucilla lo fissò con occhi improvvisamente pieni di lacrime e lo attirò a sé, abbracciandolo con forza e mormorando: "Lo so, Massimo, lo so, ma preghiamo insieme gli dei affinché tu non debba mai dimostrarmelo."
Rimasero l'uno nelle braccia dell'altra fino a quando l'oste non venne ad avvertirli che la cena era servita. Mano nella mano Massimo e Lucilla uscirono dalla loro stanza ed andarono a chiamare Lucio e Manlio.


IV


Il giorno seguente si misero in viaggio di buon’ora per rientrare a Trujillo. Massimo guidava il carro con Lucilla al suo fianco mentre Lucio e Manlio sedevano dietro di loro.
Lucilla era felice e contemplava il paesaggio attorno a lei con un mezzo sorriso sulle labbra. Lei e Massimo avevano passato una splendida notte d'amore e la sensazione di benessere era ancora vivissima dentro di lei. Peccato solo che non fosse riuscita a parlargli del bambino che portava in grembo... Gli eventi legati al loro incontro con il mercante di schiavi avevano già causato a Massimo abbastanza problemi e lei non aveva avuto il coraggio di sconvolgerlo ulteriormente."Però," ripromise a se stessa, "non appena saremo a casa glielo dirò; non ci saranno altre scuse."

A metà mattinata raggiunsero un tratto di strada che costeggiava un piccolo lago alla cui vista Lucio domandò eccitato: "Oh, madre, perché non ci fermiamo a fare un bagno? E' così caldo oggi." Lo sguardo del ragazzino si spostò implorante da Lucilla a Massimo, che rallentò i cavalli.
"Allora Lucilla, che cosa dici? Gli lasciamo fare l'ultimo bagno della stagione?"
Lucilla guardò il viso di suo figlio e sorrise indulgente. "Va bene."
"Evviva!" gridò entusiasta Lucio mentre Massimo guidava il carro fuori dalla strada, giù per un leggero dislivello, fino alla riva del lago.

Lucio si spogliò in un lampo e poi si voltò a guardare gli adulti. "Perché non venite anche voi?"
"Un'altra volta Lucio, quando avremo dei vestiti di ricambio," rispose sua madre e lo esortò ad entrare in acqua con un sorriso ed un cenno della mano. "Non andare troppo lontano."
Il bambino non perse tempo e si tuffò nelle limpide acque, mentre Lucilla, Massimo e Manlio si sedevano sulla riva a guardarlo.
L'ex generale si reclinò all'indietro appoggiandosi sui gomiti ed emise un sospiro soddisfatto. Girò la testa e guardò il profilo di Lucilla illuminato dai raggi del sole. "Dei, quanto la amo!" pensò, "Non vedo l'ora di chiederle di diventare mia moglie. Avrei voluto farlo ieri... se solo non avessimo avuto quella brutta esperienza con il mercante di schiavi... Ha rovinato completamente l'atmosfera di gioia."
Lucilla si voltò nella sua direzione e Massimo, accortosi che la stava fissando, fece un sorriso imbarazzato e tornò a guardare Lucio che sguazzava nell'acqua.

L'attacco li colse completamente impreparati.
Una freccia tagliò l'aria sibilando e colpì Massimo alla spalla sinistra, passandolo da parte a parte e conficcandosi nel terreno, di fatto bloccandolo al suolo. Massimo emise un gemito di dolore e Lucilla scattò in piedi guardandosi intorno atterrita, mentre altre frecce cadevano vicino a loro.
"Bene, bene, bene," disse una voce sarcastica alle loro spalle. "Vedo che non fai più il gradasso, brutto bastardo."
Massimo e Lucilla videro una sagoma stagliarsi contro il sole e riconobbero il grasso mercante di schiavi del giorno precedente. L'uomo prese rudemente Lucilla per le spalle e la spinse tra le braccia di una delle sue guardie che l'immobilizzò. "Legala e portala sul carro!"
"No!" urlò Massimo cercando di liberarsi dalla freccia, incurante del dolore.
Il grassone gli si avvicinò e gli assestò due violenti calci nelle costole. "Stai zitto e ringrazia gli dei che non ti ammazzo come un cane." Detto questo girò sui tacchi e si allontanò, gettando a terra il povero Manlio che aveva cercato di fermarlo.
Massimo vide i loro aggressori sparire tra gli alberi trascinando via Lucilla tra le grida disperate della donna e di Lucio poi il dolore lo inghiottì e lui perse i sensi.

*****


Massimo riprese conoscenza sentendosi sbattacchiare qua e là. La prima cosa che udì fu la voce supplichevole di Lucio che continuava a ripetere all'infinito. "Ti prego Massimo, svegliati. Ti prego Massimo, svegliati..."
Massimo aprì gli occhi e vide il volto bagnato di lacrime del bambino. I loro sguardi si incrociarono e Lucio sorrise sollevato. "Massimo!"
L'ex generale tentò di mettersi seduto e ci riuscì con l'aiuto del ragazzino, anche se il dolore alla spalla era lancinante. Guardandosi attorno si accorse di essere sul suo carro, che procedeva al galoppo guidato da Manlio, e a giudicare dal paesaggio dovevano già trovarsi molto vicini a Trujillo.
Manlio distolse per un attimo lo sguardo dalla strada e domandò: "Come ti senti, padrone?"
Massimo strinse i denti. "Sono stato meglio. Sei stato tu a togliere la freccia?"
Lo schiavo annuì. "Si, padrone, sono stato io. Ho cercato di fare meno danni possibile, ma sarebbe meglio che un medico ti visitasse al più presto."
"Grazie per quello che hai fatto per me, Manlio, e ti prego smettila di chiamarmi 'padrone'." Massimo tornò a coricarsi sotto gli occhi preoccupati di Lucio. Il bambino era terrorizzato a causa dell'attacco e del rapimento di sua madre e Massimo cercò di rassicurarlo. "La ritroverò Lucio, te lo prometto, anche se dovessi cercarla per tutto il mondo." Prese la mano del bambino, la strinse tra le sue e Lucio annuì: amava Massimo come un padre e sapeva che non l'avrebbe deluso.

V


Appena giunti alla fattoria, Massimo fu condotto in camera sua mentre uno dei servi correva a rintracciare un medico in città.
Una volta arrivato il dottore esaminò la ferita, la disinfettò e applicò attorno e dentro di essa un impasto di erbe, prima di bendarla accuratamente.
"Sei stato fortunato, Generale," disse al suo paziente quando ebbe finito. "La ferita era pulita e non c'è traccia di infezione. I muscoli sono rimasti danneggiati ma non è nulla che il tempo e il riposo non possano guarire."
Massimo annuì e provò a muovere il braccio: la fasciatura era robusta ma confortevole e l'impacco di erbe aveva lenito il dolore, cosicché la sua libertà di movimento non era intralciata oltremisura dall'infortunio. 

Una volta congedato il medico, Massimo si cambiò gli abiti, indossando dei vestiti robusti ed adatti ad un lungo viaggio; poi prese tutto il denaro che aveva in casa e lo mise nel borsello fissato alla cintura.
Fatto questo aprì l'arca che teneva ai piedi del letto e ne estrasse un involto di stoffa, che dispiegò mettendo a nudo la sua vecchia spada, l'arma dall'elsa in osso e oro con cui aveva combattuto e vinto centinaia di battaglie quando era un generale dell'impero e che Quinto gli aveva restituito prima che lui lasciasse Roma per l'Hispania. Massimo la impugnò e provò un paio di affondi, rimanendo soddisfatto della condizione del suo tono muscolare, poi fissò anche essa alla cintura ed uscì dalla stanza.

Prima di partire alla ricerca di Lucilla, Massimo andò a salutare e a rassicurare Lucio, che lo attendeva in compagnia della sua balia, un'anziana ancella che era accorsa su sua richiesta dalla villa di Lucilla.
Il bambino guardò la sua spalla e chiese. "Come stai?"
"Va molto meglio, grazie.Vedi come muovo bene il braccio?"
"Vai a cercare mia madre?"
"Sì."
"Voglio venire con te!" 
"No," disse Massimo risoluto, "tu rimarrai qui ad aspettarci. Questa sarà un'impresa dura e pericolosa e io avrò bisogno di tutta la mia concentrazione e di sapere che almeno tu sei tranquillo e al sicuro. Riesci a capire?" Massimo si era chinato e stava fissando il bambino dritto negli occhi.
Lucio annuì più volte con il labbro inferiore che gli tremava e abbracciò Massimo. Quindi, dopo un'ultima occhiata, scappò via di corsa, prima di mettersi a piangere. Massimo lo guardò allontanarsi con il cuore gonfio di dolore.
"Domine?" si intromise esitante la vecchia ancella che egli sapeva avere allevato anche Lucilla.
"Sì?" le domandò gentilmente.
"Riporta a casa la mia signora, ti prego."
"Farò tutto quanto è in mio potere per trovarla."
"Speriamo che non le facciano del male e che non la stanchino troppo... nelle sue condizioni potrebbe essere molto pericoloso."
Massimo aggrottò la fronte. "Nelle sue condizioni? Che cosa significa?"
L'ancella lo guardò sorpresa. "La mia signora non ti ha detto niente? Aveva detto che lo avrebbe fatto durante la gita..."
"Detto cosa?" esclamò Massimo esasperato, trattenendosi a stento dal prenderla per le spalle e scrollarla.
"La mia signora aspetta un bambino, domine."
"Cosa?!" sussurrò lui con un filo di voce.
"Sì; è ancora presto ma ci sono tutti i segni. La mia signora ne è così felice..."
Massimo allungò una mano e l'appoggiò al muro mentre la stanza prendeva a girare intorno a lui. "Un bambino," pensò. "Lucilla aspetta un bambino. Il mio bambino." Chiuse gli occhi e fece alcuni respiri profondi: se voleva essere d'aiuto a Lucilla e a suo figlio doveva avere la mente lucida e non doveva farsi travolgere dall'emozione. Massimo si impose la calma e quando infine riaprì gli occhi il suo volto era l'immagine della freddezza e della determinazione. Avrebbe ritrovato Lucilla anche a costo di giungere fino alle porte dell'Ade.
Fece un cenno di saluto alla nutrice e marciò fuori dalla casa e nel cortile dove lo attendeva il suo cavallo preferito, Poseidon, già sellato e preparato per un lungo viaggio.
Massimo salutò i suoi contadini, affidò la fattoria nelle mani di Cornelio, il suo fidato sovrintendente e poi balzò in groppa a Poseidon, allontanandosi a tutta velocità in una nuvola di polvere.


VI


Massimo e Poseidon galoppavano veloci lungo la strada che conduceva a Malaga, la grande città di mare dove Massimo sperava di riuscire a trovare un passaggio su qualche mercantile. Erano passati due giorni dal rapimento di Lucilla e Massimo non vedeva l'ora di arrivare in Africa anche se l'idea di rimettere piede a Zucchabar non gli piaceva per niente. Tuttavia non aveva scelta: il nome di quella città era l'unica traccia che aveva... sempre che il mercante non avesse mentito. Massimo scacciò risolutamente quel pensiero dalla sua mente e si concentrò sulla strada che aveva davanti.
All'orizzonte vide avanzare dalla direzione opposta una grossa colonna di uomini a cavallo che riconobbe subito come soldati romani. Massimo guidò il suo stallone fuori dalla strada lastricata e in mezzo ai campi, in maniera da poter proseguire senza essere rallentato dall'esercito in marcia.
Aveva già passato alcune file di cavalieri quando un urlo lo fece voltare di scatto. "Generale Massimo!"
Massimo si girò in tempo per vedere un soldato lasciare la colonna e raggiungerlo nel campo.
"Generale!" ripeté il legionario e Massimo riconobbe in lui uno dei suoi centurioni in Germania. "Claudio!" esclamò felice di rivedere una faccia familiare.
"Dove vai così di fretta, signore?"
"E' una cosa troppo lunga da spiegare, Claudio, e non posso perdere tempo. Mi dispiace."
"Che cosa sta succedendo?" tuonò un'altra voce e i due vecchi commilitoni si voltarono a guardare chi avesse parlato. Si trattava di un uomo alto e massiccio, dai capelli neri e dalla pelle scura. Egli indossava una semplice uniforme da generale dell'esercito ma Massimo non ebbe problemi a riconoscerlo. Scese velocemente da cavallo e si inchinò. "Cesare," disse con rispetto.
Lucio Settimio Severo alzò una mano, ordinando l'alt alla colonna, e poi raggiunse Massimo e Claudio nel campo attiguo alla strada. L'imperatore smontò dalla sella e si avvicinò a Massimo. "Alzati, Massimo, alzati."
Lui obbedì e fissò negli occhi il nuovo Cesare: lo conosceva da molto tempo, da quando, entrambi giovanissimi, avevano servito insieme in Pannonia. "Cesare," ripeté ancora.
Settimio Severo sorrise nel vedere il suo vecchio compagno d'armi e chiese. "Dove stai andando?"
Massimo decise di dire la verità e raccontò tutto quello che era successo.
Settimio Severo fremette di rabbia nell'apprendere l'accaduto. "Farò in modo che questo mercante paghi fino in fondo questo vile atto... rapire una cittadina romana, la figlia del grande Marco Aurelio! E' un'onta che va lavata nel sangue!" Massimo annuì ma non fece commenti: il suo unico desiderio era quello di riprendere al più presto il cammino. L'imperatore continuò: "Stai andando a Malaga per imbarcarti?"
"Sì, Cesare."
"Bene, allora ti darò una mano. In quel porto sono attraccate le navi della marina che mi hanno condotto in Hispania da Roma. Ti scriverò una lettera da presentare ad uno dei comandanti, così non dovrai aspettare la partenza di qualche nave mercantile."
"Ti ringrazio infinitamente, Cesare."
"Non è necessario. Anzi, dovrei essere io a ringraziarti per la posizione che ora occupo. L'Augusta Lucilla mi disse che fosti tu ad indicare il mio nome come possibile candidato al trono." 
Massimo scosse la testa come a sminuire il suo operato ma Lucio Settimio Severo insistette. "Oh sì, amico mio, è tutto merito tuo e per questo non solo avrai a disposizione le mie navi ma anche una scorta armata: sei legionari verranno con te, Generale."
Massimo spalancò gli occhi. "Generale?"
L'imperatore sorrise ed annuì. "Certo. Tu andrai a Zucchabar come mio rappresentante ufficiale, investito della mia autorità, e se non ti vedrò tornare entro quindici giorni manderò un paio di centurie a cercarti. Attilio," il sovrano si voltò verso la colonna di legionari in attesa, "porta qui una tunica e un'armatura per il Generale!"
In pochi minuti Massimo si cambiò d'abito ed indossò per la prima volta in quasi quattro anni la familiare uniforme dell'esercito di Roma. Dopodiché si congedò dall'imperatore, che gli aveva consegnato numerose lettere di presentazione scritte in fretta e furia dai suoi scribi, e rimontato in sella si allontanò al galoppo verso Malaga, accompagnato da Claudio e da altri cinque legionari, orgogliosissimi di poter servire sotto il grande Generale Massimo, l'eroe di Vindobona e del Colosseo.

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[1] Da un’idea di Ilaria Dotti e Giusy Trisolini.