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Il VENERDI DI REPUBBLICA 13 - 23 MAGGIO 2008 - fatti nostri DI GIORGIO BOCCA
Abbiamo cambiato allenatore. Come nel calcio

Oggi tutti gli esperti di politica sono alla ricerca della ragioni della sconfitta della sinistra. Ma non si tratta di "ragioni ragionevoli". Sì tratta piuttosto dei moti alterni della psicologia collettiva. Uno è la volubilità, la voglia di cambiare. Non sono stati gli errori del centrosinistra a causare la sconfitta, ma la facilità con cui l'uomo comune crede di poter superare le difficoltà cacciando i dirigenti di turno.

Esempio inconfutabile: le squadre di calcio. Sistematicamente, se la squadra non vince si cambia l'allenatore, che in una squadra, come sanno tutti, conta pochissimo. Gli errori, le manchevolezze, che in modo ossessivo la stampa berlusconiana ha attribuito ai Prodi, ai Visco, ai D'Alema, ai Veltroni sono errori in realtà usuali e largamente perdonabili: diciamo che questa dirigenza del centrosinistra è stata una delle più capaci e oneste della nostra storia politica, ma è stata bocciata a furor di voti per la volubilità degli elettori, per la loro sciocca speranza che cambiando l'allenatore cambi la squadra, cambino le difficoltà, cambi la capricciosità e la indisciplina degli italiani responsabili dei continui intoppi a ogni scelta di governo.

Quando ha governato, Berlusconi ha collezionato errori e gaffe gigantesche, e gli elettori italiani lo hanno premiato pur di cambiare allenatore, pur di trovare una soluzione facile, miracolistica.
La democrazia è il migliore dei sistemi politici possibili, non solo perché si oppone agli errori e agli appetiti degli uomini, ma anche perché sopporta le loro debolezze, la loro volubilità.

I romani avrebbero votato Alemanno perché i due sindaci di sinistra avrebbero dilapidato le finanze comunali con le Feste del cinema e per ospitare gli attori di Hollywood e non per riparare le buche nelle strade. Sciocchezze impudenti.
In questi anni Roma è tornata a essere una città viva, socialmente gioiosa.
La verità è che Berlusconi è uomo senza scrupoli, che conosce l'arte della diffamazione e ha i soldi per praticarla alla grande.
Il suo capolavoro è stato la sistematica demolizione di Romano Prodi, uno statista che l'Europa ha conosciuto e stimato, quotidianamente esposto agli insulti dei giornalisti servi del padrone.


Cosa succederà ora che abbiamo cambiato allenatore? Non la ripresa economica, che dipende dall'economia mondiale; non la pace sempre più lontana; non la sicurezza, che viene meno quando mancano i soldi e il lavoro. Un governo migliore? Ma non scherziamo, le facce sono quelle, gli amici dei mafiosi anche, più numerosi di prima, più inguardabili di prima.


LA STABILITA' DEI GOVERNI E' IL BENE ESSENZIALE il Popolo sa sciegliere:

- In Germania governo stabile dal 1933 al 1945

- In Italia dal 1923 al 1943!!



la repubblica - gio 10 aprile 2008

NIENTE PASTICCI CON QUESTA DESTRA
EZIO MAURO

L'attacco al Quirinale era previsto, ma non così presto, non con questa violenza impolitica, nemmeno con questa improvvisazione istituzionale e costituzionale. E invece ieri Berlusconi, quasi cedendo al crescendo di frenesia che scambia per politica, ha apertamente ipotizzato che la sua vittoria alle urne possa portare addirittura all'uscita di scena del capo dello Stato Giorgio Napolitano, costretto a dimettersi per conformarsi in fretta e furia al nuovo ordine, anzi alla nuova era.

Non eravamo ancora giunti fin qui, nel punto più basso della Repubblica, dove si confondono ambizioni e istituzioni, con il demiurgo che dà gli ordini e le massime cariche dello Stato che si devono adeguare.
Il Quirinale, di cui si è misurata nei fatti in questi anni travagliati la funzione di garanzia e di tutela della Costituzione, era rimasto fuori dagli appetiti di lottizzazione, inserito in un gioco istituzionale più alto, a cui si misuravano con rispetto anche le legittime ambizioni dei leader.
La cosa grave, è vedere un uomo che ambisce a guidare il Paese fissare per convenienza personale e calcolo privato la scadenza anticipata del settennato della massima magistratura, dopo nemmeno due anni dal suo inizio.
La cosa gravissima, è la meschinità impolitica della motivazione: la destra, ha detto il Cavaliere, potrebbe anche pensare di "dare" una Camera all'opposizione se il presidente della Repubblica "decidesse di dimettersi" per "fare un gesto nei confronti della nuova situazione italiana" che dovrebbe nascere da una vittoria del Popolo delle Libertà. Non sono dunque bastati due cicli da Premier del Paese, la doppia conquista di Palazzo Chigi, per trasformare il Capo della destra italiana in un uomo di Stato.

A quattro giorni dal voto, Berlusconi trascina il presidente della Repubblica (salvo poi, come ormai sempre, correggersi) nella battaglia elettorale, come se l'urgenza di prendere il suo posto ascendendo al Quirinale facesse premio su prudenze politiche, doveri istituzionali, galateo costituzionale.
La lotta in corso tra destra e sinistra non è per la conquista del governo, come avviene ovunque in Occidente, ma per l'ascesa al potere supremo e incontrollato. Tanto che la vittoria di Berlusconi determina da sola, nel destino della Patria redenta, uno scarto d'epoca e una nuova gerarchia delle istituzioni:
che possono soltanto conformarsi alla moderna presa dello Stato. E ancora e sempre, in questo senso, una concezione tecnicamente rivoluzionaria, che fa ogni volta ricominciare la storia dall'anno zero di ogni nuovo avvento berlusconiano. Se Berlusconi vince, dunque, non c'è un nuovo governo come ovunque in democrazia, ma "una nuova situazione italiana", perché la vittoria - la riconquista - disegna un nuovo ordine, secondo un'interpretazione schiettamente populista della lotta politica, del confronto tra i partiti, del libero gioco tra maggioranza e opposizione.

Di più: il destino personale del Cavaliere scandisce il destino delle istituzioni, fissa i tempi degli organi costituzionali, rompe e riordina la continuità repubblicana. La biografia del leader offerta come moderna ideologia della destra.

Ma a questo punto, c'è ancora qualcosa da dire, e non solo a Berlusconi. Chi sosteneva che destra e sinistra in Italia sono uguali, che Pd e Pdl hanno lo stesso programma e lo stesso linguaggio, che dunque Veltrusconi è la soluzione obbligata e perfetta per risolvere i problemi italiani, oggi improvvisamente tace. È bastato che i sondaggi - unica religione riconosciuta nel paganesimo vagamente idolatra di Berlusconi - rendessero incerto l'esito della contesa, almeno al Senato, e soprattutto mostrassero l'erosione del distacco che la destra aveva accumulato qualche mese fa, per far risuonare la vera lingua del Cavaliere, il suo dizionario politico, la cultura profonda che lo domina.

In due giorni, Berlusconi ha chiesto la perizia, psichiatrica per i magistrati che indagano, si è rifiutato di sottoscrivere un patto bipartisan di lealtà repubblicana, ha accusato di comunismo il suo avversario, ha denunciato brogli elettorali prossimi venturi, fino all'attacco al Quirinale e alla denuncia della "mancanza di un regime di piena democrazia nel nostro Paese" perché la sinistra "occupa" tutto.

Mentre il suo amico più fidato, Costruttore di Forza Italia - Dell'Utri - ha annunciato che la destra dopo la vittoria riscriverà i libri di storia per espellere la Resistenza, e ha indicato agli elettori plaudenti la fulgida figura dello stalliere mafioso Mangano, definendola (con l'esplicito consenso del leader) un "eroe" perché "condannato in primo grado all'ergastolo"non ha fatto dichiarazioni "contro di me e Berlusconi". Poco importa che i magistrati inquirenti lavorassero in nome del popolo italiano, e al servizio della Repubblica.

Questa "destra reale" che si è infine palesata, non è una novità, ma una costante del quindicennio. La novità è che qualcuno lo dimentichi, ipotizzando le "larghe intese" tra Veltroni e Berlusconi come esito auspicabile del voto. A vantaggio di chi? Non certo del Paese e del quadro repubblicano, che vedrebbe insediato e garantito dal concorso della sinistra il populismo come progetto politico per la nazione, così come vedrebbe il conflitto d'interessi sanato per collusione ed elusione, le leggi ad personam rivalutate come strumento propedeutico alla nuova era consociativa. Proviamo a dire le cose come stanno, o come dovrebbero stare in una normale democrazia dell'alternanza.

1) Chi vince, governa. Non importa quanto grande, o minimo, sia lo scarto. Oggi siamo di fronte ad un bipartitismo che si contende la guida del governo, più altri attori politici. Se Berlusconi prevale, formerà il suo gabinetto, qualunque sia la difficoltà di costruire e reggere una maggioranza governante, e la stessa cosa dovrà fare Veltroni in caso di vittoria. Chi perde, va all'opposizione, possibilmente senza denunciare brogli (come fa il Cavaliere ogni volta che è sconfitto) e preparando la rivincita.

2) La responsabilità politica ed istituzionale davanti alla palese urgenza di alcune riforme (prima fra tutte la legge elettorale, ma anche i regolamenti delle due assemblee elettive, il bicameralismo perfetto, la riduzione del numero di deputati e senatori va garantita a pari titolo da maggioranza e opposizione.
Ma questa responsabilità si esercita sul piano parlamentare, non su quello del governo. Come dice la lezione della Costituente, ci si confronta anche duramente per mezza giornata dai ruoli divisi e distinti di chi governa e chi si oppone, e per l'altra mezza giornata si collabora in Parlamento cercando di ridare efficienza e funzionalità alle istituzioni conte riforme necessarie.

3) In caso di pareggio, perché chi prevale in una Camera non è riuscito a prevalere nell'altra, si apre uno schema di gioco inedito. Ma in questo caso non è a Berlusconi, alla sua presunta mano tesa, all'improvvisa e necessitata sua buona volontà che il Pd dovrà rispondere. Ma ad un altro soggetto: il Capo dello Stato, che diventa arbitro di una partita senza vincitori, e dunque esplora - nella sua responsabilità non di parte - le soluzioni più utili per sbloccare con le riforme un sistema inceppato e improduttivo, in modo da portare il Paese alle urne con uno schema che consenta agli elettori di decidere davvero, e permetta la governabilità.

Sono tre punti chiari e semplici. Il Paese ha bisogno di chiarezza, di scelte nitide, di responsabilità distinguibili e precise. Ha bisogno, come ogni democrazia normale, che ci sia una destra e una sinistra. Chi punta a confonderle, ha già accettato un destino berlusconiano per l'Italia, che può ancora farne a meno.



pian di neve - corno Bianco


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08 marzo 2008 - da corriere.it - Mastella: "E adesso chi mi ripagherà?"

"Il mio calvario giudiziario e politico è nato a Catanzaro con il processo mediatico su giornali e tv"

- "Dopo questa richiesta di archiviazione, mi chiedo chi mi ripagherà del male che mi è stato fatto".

Il giorno dopo della notizia della richiesta di archiviazione della sua posizione di quella Prodi nell'inchiesta "Why Not", Clemente Mastella diffonde un comunicato con un amaro sfogo.

"Nacque a Catanzaro con l'inchiesta 'Why Not' il mio calvario giudiziario e politico - commenta Mastella - con una grancassa mediatica sui giornali e soprattutto con trasmissioni televisive, che attinsero a quelle vicende in modo costante e cattivo per farmi apparire davanti agli italiani per quello che non sono".

"Oggi - prosegue l'ex ministro della Giustizia che ha deciso di non ricandidarsi in queste elezioni - viene chiesta l'archiviazione del procedimento nei miei confronti che salda il conto solo con la mia dignità che rimane alta e ferma.
Dichiarai all'epoca, per fatti che mi erano del tutto estranei, la mia innocenza. Così come continuo a dichiararla per tutto quello che giudiziariamente da allora in poi mi sta toccando. Non ci fu verso perchè si era deciso che dovevo essere umiliato, lapidato, cacciato dalla scena politica e istituzionale".

"Dopo questa richiesta di archiviazione - prosegue la nota - mi chiedo chi mi ripagherà del male che mi è stato fatto. Un male costruito senza alcun riguardo per fatti che non c'erano. Nonostante tutto voglio dichiarare che la giustizia comunque c'è e che in essa bisogna avere fiducia, e che ci sono in Italia tantissimi magistrati onesti e seri che svolgono le loro funzioni tra indicibili difficoltà"

Dopo quanto detto in parlamento almeno quest'ultima dichiarazione poteva risparmiarcela !!!

Veramente io rimango del parere che se c'è qualcuno che dovrebbe essere ripagato (da Mastella - ed altri) è il paese Italia, ed in modo particolare la metà che votò l'unione.

Mi auguro che permangano le condizioni per cui Mastella ritenga non opportuno candidarsi almeno per le prossime dieci legislature!!


da IL VENERDI DI REPUBBLICA del 18 APRlLE 2008 pag. 13

Bossi, Lombardo e quei riti da feste strapaesane

DI GIORGIO BOCCA

Ristampate le schede elettorali, ha gridato Bossi, o il Nord imbraccerà i fucili.
"Ma è solo una metafora" ha commentato Berlusconi, "i fucili non ci sono, e poi Bossi è ammalato".

Sempre un gran signore, Silvio. Quando Bossi parla dei fucili che non ha, non è fascista o razzista, è solo volgare, che forse è peggio; e i suoi lumbard che giurano a Pontida con armature e spade non sono i nuovi nazisti, sono gli eterni plebei, che forse è peggio, i quali vivono, come tutti, in un tempo drammatico e lo scambiano per una festa del santo patrono. Vivono in un tempo in cui gli uomini cercano con angoscia un varco verso il futuro, il mitico passaggio a nord-ovest, i grandi spazi che hanno perso.

li mondo è diventato stretto, superaffollato, le sue acque sono sporche, l'aria irrespirabile, stiamo tutti in questa barca che affonda, in questo granello di sabbia che va per l'universo, aspettando che al Big Bang della creazione succeda quello della distruzione. E il senatur raccoglie i suoi fedeli, e invece che sulla Luna o su Marte, li fa salire sul Carroccio, che nessuno ha ancora capito come si muovesse e quale carro armato fosse.

Quando nacque la Lega le riconobbi il merito di aver spazzato via i vecchi partiti come un fiume in piena, Milano ebbe un buon sindaco della Lega, Formentini, e dei buoni assessori. Ma lì si è fermata, invece di ridar vita e vigore alla grande cultura lombarda, si è accontentata di sopravvivere, di coltivare miti e riti strapaesani, di coltivare fantasiose civiltà celtiche.

La Lega è inaffondabile? Bossi è un politico che vede chiaro nel futuro? Il grande difetto di Bossi è di credere di essere furbo, furbo come Bertoldo. Crede di poter mettersi in tasca anche il Cavaliere di Arcore, "Berluskaiser", come lo chiamò. Ma è un rischio mortale.

Silvio conosce una sola regola: la sua, quella del padrone. Si è risentito anche con Murdoch, colpevole di fare gli affari televisivi suoi, cioè di fargli concorrenza. Classico liberista all'italiana, che non sopporta rivali.
L'accordo tra Bossi e Berlusconi non durerà a lungo, le amichevoli cene del sabato sera finiranno, dati i personaggi, in una lite chiassosa e sbracata.

Dispiace per il nuovo e il buono che la Lega aveva portato. Rispetto alla Lega, il nuovo autonomismo, quello siciliano di Lombardo, non ci deluderà. Ha già fallito in partenza.



I giornalisti italiani muti come Vittorio Mangano

DI CURZIO MALTESE

Ora che le elezioni sono passate è venuto il momento di togliersi qualche macigno dalla scarpa. La questione dei brogli, anzitutto. In Italia abbiamo assistito per la quinta volta consecutiva a un gigantesco broglio, il più grave nella storia delle democrazie degli ultimi decenni. Non i brogli mai provati della sinistra nel segreto delle urne, ma quello visibile a tutti di un'informazione asservita in gran parte a uno dei due contendenti.

Una prova, fra le mille. Giovedì scorso Berlusconi ha pronunciato una frase che avrebbe segnato la fine della carriera di qualsiasi leader democratico occidentale. Ha definito "eroe" il capo mafloso Vittorio Mangano, suo ex fattore, e ha spiegato di considerarlo tale perché non ha detto nulla su di lui e su Dell'Utri ai magistrati. Ora, un leader politico che definisce "eroe" un mafioso acclarato sarà pure una notizia. Non di destra o di sinistra: una notizia. Non era mai accaduto in nessun altro Paese.

Infatti la frase di Berlusconi ha fatto il giro del mondo, ma non dell'Italia. I telegiornali non ne hanno parlato, e fin qui siamo abituati. Ma neppure i giornali nazionali, indipendenti, di destra odi sinistra, vi hanno fatto cenno. Con l'unica eccezione di Repubblica e di un passaggio di un'intervista ad Anna Finocchiaro sull'Unità. Soltanto Repubblica ha fatto la cosa ovvia, normale, per uno che fa la nostra professione. Ha riportato la sbalorditiva frase e ha informato i lettori su chi poi era Vittorio Mangano. Non come la pensa questo o quell'opinionista su Mangano, ma chi era, che cosa ha fatto. Come ha vissuto, da pupillo di Stefano Bontade e capo mandamento di Palermo centro. Come è morto, nel carcere di Pisa nel 2000, sotto il peso di due ergastoli per triplice omicidio, più le condanne precedenti per traffico di droga, nel maxiprocesso istruito da Falcone e Borsellino, e prima ancora per associazione mafiosa nel processo Spatola.

Questo era Vittorio Mangano, ma è rimasto muto su Berlusconi e Dell'Utri e dunque è un eroe.
Sono eroi anche i giornalisti italiani, muti anche loro. Pronti alla censura, a fin di bene. 11 bene, s'intende, del primo editore nazionale. L'Italia è rassegnata a un'informazione come questa.
La destra, la sinistra e perfino l'antipolitica. Beppe Grillo organizza un Vaffa Day in cui risolverà i problemi dell'informazione con l'abolizione del finanziamento pubblico ai giornali di partito e dell'Ordine dei giornalisti. Sono d'accordo. Ma sostenere che siano questi i problemi della libertà di stampa suona come la battuta di Benigni in Johnn~v Stecchino: "La vergogna di Palermo, agli occhi del mondo, è una sola: il traffico".


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Last updated 27.5.2008