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sommario | |
Maria e la Trinità | |
Maria e i poeti maledetti |
Ave Maria |
MARIA, OSTENSORIO DELLA TRINITA.
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LA MARIOLOGIA TRINITARIA NELLA
LETTERATURA ITALIANA DEL NOVECENTO
Per sconfiggere la Morte e le Tenebre. Uomini, conoscete il suo
Cuore?. la Tuttabella a modellar le cose secondo l'Esemplare di suo Figlio [...]. Così il creato, ov'è più meraviglia, sorse per lei; e stelle e rose, e i cuori presero in lei a palpitar di
Dio sorse in luce d'amor per ogni nato [...]. E tu, la Pura, il Creatore
esprimi. marianamente per Gesù al Padre: perché, finito il tempo, giunga l'ora - assorbita in vittoria e guerra e morte - allor che il Padre ogni
lacrima asciughi:
albergo santo del Figlio,
virgineo ospizio della croce perché da patibolo infame che sedusse Eva? «Non temere, darai alla luce Gesù». «Tutto può Dio: di Spirito avrai il Suo Figlio». «Ecco. Sì».
Fulge la Croce.
eterno sospiro della stesso Iddio 1...]. Fanciulla radiosa del Cantico, «astata creatura» cui solo Iddio sfiorerà la bocca di sorgiva, nella valle dei Terebinti. cantando dell'anima tua dolcissimo, e ancora t'inonda come dolcissima luce, e lo Spirito di Lui che ti possiede e
feconda!... Caravella che porti il Signore regina e amante e madre, Egli torni a giocare... Andrai - così ti preghiamo - per l'Europa e l'Asia a deporre il tuo frutto dietro le alte mura [...]. Emigrerai pellegrina e subito gioia e unità delle cose, «Interrogatorio a Maria» Noi Ti chiamiamo, bisogno abbiamo. Vieni; speranza disarmata, cima altissima e innevata! Tu sai; siedo nella Sua casa, dentro la Trinità. La mia maternità una dolcezza, un lampo, come se in me scendesse oltre lo spazio, dell'Esistente, del Non-nato e della Sua eterna carità, In me che il Padre
perforava fecondandomi la Sua culla (p. 29). NO! Non battetelo più non stringete più sul capo la dura corona delle spine!
di pensieri d'Amore concisi in una Rosa. Di tempo e Tempo è la sua
sostanza, Dormi Fiore della terra,
Madre. lo zampillo dell'Amore eterno. Dormi, piccola, profusa di
Luce increata, custodito in eterno, perché eterno è l'Amore. Dormi nel profondo, nel libro degli occhi, nelle creature che in te
sospirano e vedono. «Digli che ho sete e secca è la
cisterna» Trentasett'anni, Vergine, è che vo stanco e cencioso come un vagabondo, lungo il torto viottolo del
mondo, segui, dall'alto, le intricate
péste, digli che m'apra le sue braccia sante. Digli che ho sete e secca è la cisterna, digli che ho fame ed ho per pane sassi; digli che, a notte, sugli incerti passi, mi si spegne, guizzando, la lanterna. Tuo Figlio, o Madre, è pane ed acqua e luce che pienamente illumina e
ristora; - Madre - Più non tramonta questa aurora Ma tornerò dal Padre e Tu rimani donna rimani ancora stella mattutina. alba serena Meriggio eterno, folgore. volto di Dio.
(Ferdinando Castelli, Civiltà Cattolica, Aprile 2001) |
In quanto realizzazione di un’esigenza profonda dell’uomo, la bellezza, Maria è una presenza costante nella produzione letteraria di narratori, saggisti, poeti. Bellezza intesa sì in senso estetico, ma soprattutto in senso biblico e teologico. Madre della bellezza, ma anche dell’amore, della misericordia, Maria non è solo un richiamo universale; è rifugio e speranza per quanti avvertono sulla loro esistenza il peso del peccato, che è solitudine, smarrimento, perdizione. Ecco come poeti pagani e maledetti, da Villon a Lorenzo il Magnifico, da Goethe a Verlaine, Rimbaud, Wilde, D’Annunzio... si rivolgono a Maria e la invocano. Il messaggio che questi personaggi ci trasmettono è attuale per tutti. La produzione letteraria dei Paesi di estrazione cristiana è percorsa da una nota (quasi) ricorrente: la presenza di Maria, madre del Signore. In merito, lo studioso più attento e più appassionato è stato don Giuseppe De Luca (1898-1962). Il suo volume Mater Dei è una sorprendente raccolta di testi mariani che documentano tale presenza. Narratori, saggisti, soprattutto poeti: tutti trovano un aggancio per contemplare, cantare e invocare la Vergine. Come spiegare questa presenza? La risposta è semplice. Perché in Maria l’uomo trova la realizzazione di una sua esigenza profonda: l’esigenza cioè della Bellezza. Intendiamoci, non della bellezza intesa solo in senso estetico, ma in senso biblico e teologico: espressione del Bene, splendore del Vero. La bellezza estetica – armonia delle forme – è soltanto un aspetto della Bellezza. Così intesa, la Bellezza si è incarnata in Gesù Cristo, e si è resa sensibile al cuore, alla mente e agli occhi. Maria riflette suo Figlio in pienezza, quanto è possibile a una creatura: «Occorreva», scrive Gregorio Palamas, «che Colei che avrebbe partorito il più bello tra i figli dell’uomo, fosse Lei stessa di una meravigliosa bellezza». Perché bellezza creata, Maria è un richiamo per tutti, poiché tutti siamo fatti per la Bellezza e da essa irresistibilmente attratti. «Per natura», scrive s. Basilio, «gli uomini desiderano il bello». Creati a immagine e somiglianza di Dio, Bellezza increata, essi non possono non tendere alla sorgente del loro essere. Un’intuizione particolare sospinge molte anime verso la Madre del Signore: se è la madre della Bellezza, è anche la madre della misericordia, cioè dell’amore. E chi non ha bisogno di amore, di misericordia, di salvezza? Ecco perché Maria non soltanto è un richiamo universale, ma è un rifugio e una speranza per quanti avvertono sulla loro esistenza il peso del peccato, che è solitudine, smarrimento e perdizione. Per illustrare questa verità presenteremo alcuni poeti ritenuti "maledetti", pagani, disgraziati. François Villon, «grande poeta e non meno grande disgraziato». Così lo definisce don Giuseppe De Luca. La sua vita e la sua opera confermano la definizione. Sia come poeta sia come disgraziato domina il Quattrocento francese. Il poco che si conosce della sua vita riguarda le sue disavventure di scapestrato, nonostante avesse conseguito a Parigi (dove era nato, verso il 1430) il titolo di maître ès arts. Nella festa del Corpus Domini del 1455 uccise, in una rissa, un prete e fu costretto alla fuga. Graziato dal re, un anno dopo fece ritorno a Parigi che dovette presto lasciare per aver compiuto un furto di 500 scudi nel Collegio di Navarra, assieme a cinque compagni. Si condannò così a un’esistenza errabonda, scandita da numerosi misfatti e conseguenti prigionie. Condannato a morte nel 1462, ebbe la commutazione della pena con l’esilio. Di lui non si seppe più nulla. La sua opera poetica – Lais, Petit testament, Grand testament – rivela in lui uno spirito passionale, non di rado lambito da lucidità filosofica, di volta in volta beffardo, tragico, lirico e giocoso. Non è difficile però cogliere nel nostro poeta momenti nei quali le voci profonde dell’anima hanno il sopravvento sulla rievocazione delle proprie scapestrataggini: l’affetto per la madre, i rimorsi e i rimpianti per la vita passata, la nostalgia del bene, il ricorso alla Santa Vergine. In merito, famosa è la Ballade des pendus. Villon s’immagina impiccato, mentre ripete con i suoi compagni di forca: «Pregate Dio che ci voglia assolvere tutti». Riportiamo la Ballata per pregare nostra Signora, composta da Villon per sua madre, donna semplice e devota, nella quale egli trasfonde i propri sentimenti.
Lorenzo il Magnifico e Angelo Poliziano. Lorenzo de’ Medici (1449-92) fu detto "il Magnifico" sia perché, come signore di Firenze (dal 1469 alla sua morte, 1492), diede alla sua città un lungo periodo di pace e di benessere, sia perché mecenate e poeta di rilievo. Nella sua poesia «si concreta tutto il lassismo morale quattrocentesco. Nasce cioè l’immagine che sarà ripetuta all’infinito da tutti i poeti: quella della rosa che va colta prima che appassisca» (P. Bargellini, Pian dei Giullari, IV, 39). La giovinezza passa, la bellezza sfiorisce, le gioie svaniscono. «Tutto è effimero, tutto è transitorio. Sulle labbra del poeta delle laudi sacre, risona allora, quasi senza ch’egli lo voglia, la più triste esortazione della letteratura italiana: Chi vuol essere lieto sia;/ Di doman non c’è certezza». Non c’è certezza che i cieli di Dante e di Petrarca si siano abbassati e abbiano assunto i colori della terra. Di lui Machiavelli ha notato: «A considerare in quello (nel Magnifico) e la vita leggera e la grave, si vedeva in lui essere due persone diverse, quasi con impossibile congiunzione congiunte». Alla prima appartengono i licenziosi Canti carnascialeschi (tra cui la Canzone di Bacco), alla seconda le Laudi spirituali (tra cui Ciascun laudi te, Maria). Alla gioia bacchica della vita, velata di malinconia per la gioventù che fugge, si contrappone la visione della bellezza della Vergine. In lei fiorisce la speranza di non restare schiavi del peccato; la natura stessa, in Maria, è come rinata. È naturale pertanto lodare colei che ci riscatta dalla caducità e dalla miseria morale.
La laude continua, in ritmi popolari, rievocando i prodigi della Redenzione, operati da Dio innamorato della bellezza della Vergine. A metà della composizione, il poeta – rifacendosi al O felix culpa della liturgia – arriva a ringraziare il peccato originale perché ha reso necessaria la nascita di Cristo da una simile Vergine. «O felice la terribile/ Colpa antiqua e ’l primo errore,/ Poi che Dio fatto ha visibile/ Ed ha tanto Redentore!...». Sulla stessa linea del Magnifico si colloca il Poliziano (1454-94), poeta, anche lui, del momento che fugge, della vita che passa, della rosa che sfiorisce. Perfetto umanista, strutturò la mente e l’anima di classicismo; ciò gli permise di coprire di raffinati orpelli il vuoto del suo mondo. Come Lorenzo, anch’egli intravide nella Santa Vergine un rifugio per non restare preda dell’inquieto nimico che ci svia. Il pensiero della Madre, soccorritrice dei poverelli, riuscì a smantellare i fatui paludamenti del suo puro umanesimo.
Wolfgang von Goethe, poeta "pagano". Il grande, l’"olimpico" Wolfgang von Goethe (1749-1832) si è più volte definito "pagano". È stato, sempre, veramente tale? In molti suoi atteggiamenti di pensiero e di comportamento, sì; tuttavia due preghiere del suo Faust ce lo fanno vedere accanto a Dante: poeta mariano, anche lui. La prima è la preghiera di Margherita che, al colmo di una serie di sventure, reca dei fiori a un tabernacolo della Madonna addolorata.
L’infelice Margherita implora la Madonna per sé e per Faust. Muore in prigione, pregando. Mefistofele la crede condannata, ma una voce dall’alto la dice salva. Mefistofele allora cerca di impadronirsi almeno di Faust, ma Faust è chiamato da Margherita. Su questo richiamo finisce la prima parte del poema. La seconda parte si chiuderà non più in un duello tra Satana e l’Angelo, ma in una scena di paradiso, che richiama il Paradiso dantesco (c. XXXIII). Il "dottore mariano" si leva in estasi, tra il coro mistico, e rivolge alla Vergine una preghiera che richiama quella di Margherita. «Come per il candidato di Beatrice – nota don G. De Luca – parla Bernardo, così per Margherita e il suo candidato parla il dottore mariano. La Madonna si fa da presso, ed ecco salire a lei le preghiere dell’adultera, della samaritana, di Maria Egiziaca, infine di Margherita (nel nome della quale, più che la martire lontana, echeggia la vicina penitente di Cortona). Margherita supplica la Madonna di salvare Faust, e la Madonna lo salva. Al che il dottore mariano leva un inno, a cui fa eco il chorus mysticus. Si conclude così il grande poema».
Alla preghiera del dottor mariano s’intreccia quella di Margherita.
La salvezza di Faust è assicurata, e il dottor mariano invita tutti a guardare in alto, donde viene la salvezza. Quindi esclama: «Sia ogni nostro valore più bello/ A te consacrato in servizio,/ Vergine, Madre, Regina,/ Dea, rimani propizia». Due "poeti maledetti": Paul Verlaine e Arthur Rimbaud. Anche i poeti "maledetti" hanno avuto il loro "momento azzurro" nel quale hanno invocato la Mater pietatis. Tra gli altri ricordiamo Paul Verlaine (1844-96). «Quella tempesta che fu la mia vita!», ha scritto di sé. Tempesta di avventure degradanti, d’incontri sordidi, di malattie fisiche e morali, ma anche di nostalgia di redenzione e di sforzi per scuotersi di dosso il fango. Devastante fu particolarmente la sua amicizia ambigua con Arthur Rimbaud, che si concluse con due anni di carcere. Nel silenzio della prigione Verlaine avvertì tutta la vergogna della sua vita, e si convertì, deciso a far riemergere il fuoco del suo battesimo dal "mucchio di cenere" del suo passato. E per un certo tempo restò fedele agli impegni della conversione. Ma le vecchie abitudini lo travolsero, e finì per rassegnarsi alla sua degradazione. Prima di morire, fece chiamare un confessore per ricevere il sacramento della riconciliazione. Come poeta è tra i più grandi dell’Ottocento francese, soprattutto per la semplicità delle sue liriche. In esse c’è la trasparenza dell’anima: l’anima di un fanciullo che contempla il mondo e ne canta le bellezze e le miserie, in versi cristallini, ricchi di risonanze e di armonia. Poeta sperdutosi nella degradazione morale, ma nostalgico di purezza e di Dio. Nella seconda parte della sua raccolta poetica più nota, Sagesse, c’è una lirica alla Madonna che resta tra le sue cose più belle. Ritrovata la fede della sua infanzia, il poeta si affida a Maria, convinto che solo lei può aiutarlo a procedere sui sentieri del bene.
L’incredulo Anatole France, in una famosa novella, descrive un "cattivo soggetto" che "componeva le più dolci canzoni del mondo". Viveva tra l’ospedale e una stanzuccia di locanda, in un vecchio povero quartiere parigino. Tra tutte le viuzze, «una era secondo il suo cuore, fiancheggiata di stamberghe e bugigattoli», perché «portava, sul cantone di una casa, una Madonna dietro una grata, in una nicchia azzurra». Fa tenerezza questa immagine di Paul Verlaine ("cattivo soggetto") che ama una straduccia ("era secondo il suo cuore") unicamente perché in essa c’era l’immagine della Madonna. Anche l’amico del nostro Verlaine, Arthur Rimbaud, "poeta maledetto", fautore di una "mistica selvaggia", ha composto una deliziosa lirica, in versi latini, alla Vergine, Il sangue e le lacrime. Alla Madre che piange perché il suo bambino si è fatto male con la sega del padre, Gesù dice: «"Perché piangi, madre che non sai? (...)/ Non è ancora venuto il tempo in cui dovrai piangere". E riprende il lavoro cominciato./ La madre rimane in silenzio./ Pallida, china il volto verso la terra./ Riflette a lungo,/ poi, volgendosi di nuovo verso il bambino, gli occhi tristi:/ "Dio sovrano, sia fatta la tua volontà"». Huysmans, Wilde e D’Annunzio. La poesia di Verlaine ci richiama alla mente la preghiera alla Madonna di un altro scrittore, J.-K. Huysmans (1848-1907), che ha trascinato quasi tutta la sua vita tra esperienze nefaste, attrazione per il satanismo, smarrimento e vuoto. Dopo la pubblicazione del suo famoso romanzo À rebours (Controcorrente, Alla deriva), Barbey d’Aurevilly gli ripetè quanto aveva scritto a Baudelaire a proposito dei Fleurs du mal: dopo un libro del genere «non le resta che la bocca di una pistola o i piedi della croce». Huysmans scelse i piedi della croce: lo spettacolo di una "messa nera", cui aveva preso parte, e i vari riti satanici lo avevano sconvolto nel profondo. Convertito, rimase fedele agli impegni cristiani e morì santamente. Nel romanzo La cathédrale il protagonista Durtal (sotto cui si nasconde lo stesso Huysmans) così prega la Madonna:
Quando un’anima si rivolge in questi termini alla Mater pietatis è difficile che resti incatenata al male fino alla morte. Oscar Wilde (1854-1900), scrittore "scandaloso" tanto da meritarsi il carcere, ha subito, sì, l’incanto della Vergine, ma in lui l’elemento estetico ha il sopravvento sull’elemento religioso. In una poesia descrive il suo stupore dinanzi a un dipinto dell’Annunziazione di una chiesa fiorentina:
In un altro sonetto contempla la Vergine, una fanciulla liliale, non fatta per la pena di questo mondo.
Il timore – la paura – di Dio non ha permesso a Oscar Wilde d’invocare la Madonna, come l’ha invocata il "disperato" Durtal. Così è rimasto impigliato nel suo estro. Forse D’Annunzio (1863-1938) è stato il solo poeta d’Italia che abbia osato bestemmiare la Madonna. Negli ultimi versi di Maia egli prevede con gioia e desiderio che «la croce del Galileo/ Di rosse chiome gittata/ Sarà nelle oscure favisse/ Del Campidoglio, e finito/ nel mondo il suo segno per sempre». Allora – continua la lirica – anche la Madonna scomparirà dinnanzi a Venere. Vogliamo credere che l’"Immaginifico" abbia scritto questa lirica in un momento in cui soccombeva alle pose e alle escandescenze verbali. In momenti più sereni ha composto, sulla Madonna, versi di tutt’altro tenore. Nelle Laudi c’è la preghiera alla Madonna, Per i marinai d’Italia morti in Cina:
Anche Pasolini... Anche il povero Pasolini (1922-1975), dalla vita così torbida e drammatica, ha avvertito il fascino della Vergine. Le liriche della raccolta L’usignolo della Chiesa Cattolica, acerbe e sfrontatamente leggere, rivelano l’ossessione di riconciliarsi con la propria "diversità". A tale scopo il poeta ha voltato le spalle alla religione dei padri, deciso a vivere come «un fanciullo ignoto a Dio». La contemplazione del corpo di Cristo sulla croce rende più acuti i suoi vaneggiamenti. Nelle due liriche dedicate alla Madonna –L’annunciazione e Litania – i toni aspri si stemperano e si addolciscono.
Ai suoi figli – anche a quelli curvi sotto il fardello della miseria umana – la "Madre" si presenta sempre nella sua bellezza e innocenza di fanciulla. Alla richiesta dell’angelo di ascoltare la voce dei figli, lei risponde che pei figli vergini lei sarà vergine. L’espressione è ambigua, ma il senso di candore e d’innocenza, diffuso dalla "Madre", illumina gli sfondi. Un messaggio straordinariamente attuale per tutti. È stato detto che l’uomo è un angelo decaduto che si ricorda dell’Eden. Maria è l’Eden incarnato. Perciò i poeti, che più degli altri avvertono la nostalgia della Patria, sono particolarmente sensibili al ricordo e alla presenza di lei. Anzi, quanto più il polverume dell’esilio annebbia il loro sguardo e appesantisce la loro anima, tanto più sentono la nostalgia della Patria perduta e il bisogno d’invocare colei nella cui bellezza e purezza ritrovano le zone più preziose di sé stessi. È, questo, il messaggio che ci trasmettono i poeti da noi ricordati. ( Civiltà Cattolica, maggio 1999, Ferdinando Castelli) |
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