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I bravi

I bravi compaiono subito, all'inizio del romanzo. Due di loro aspettano Don Abbondio al bivio che spartisce la strada che lo conduce a casa dopo la passeggiata serale.
Sono tarchiati, hanno lo sguardo torvo, sono armati fino ai denti.
E', quella di questi sgherri, una categoria di persone che prospera, in un secolo in cui il governo è debole e capace soltanto di imporre tasse.
Essi sono al servizio dei potenti e dei signorotti, ed impongono la loro legge, la legge del più forte.
Sono pronti, i bravi, ad obbedire agli ordini più iniqui ed a seminare il terrore, senza, del resto, che ci sia chi possa opporsi.
Le grida governative non fanno che condannarli per aver ferito di schioppo e di coltello e ne auspicano l'eliminazione, ma a nulla valgono i provvedimenti, se la loro presenza è di aiuto ai signorotti per mantenere intatto il loro dominio e per svolgere gli incarichi più pericolosi.
I bravi descritti dal Manzoni sono sempre altezzosi e spavaldi, finchè sono i più forti, ma, quando temono, sono anch'essi vili e codardi.
Il Griso è l'uomo di fiducia di Don Rodrigo ed il primo dei suoi bravi.
A lui è ordinato di portare a compimento il rapimento di Lucia e su di lui cade la furia di Don Rodrigo quando la carrozza torna senza la ragazza.
Gode di una certa autorità sui suoi uomini, che sa ridurre alla calma quando, fatta irruzione in casa della Mondella, vengono sorpresi da Menico e poi dallo scampanio che dà l'allarme al paese per un'altra causa (le grida di Don Abbondio spaventato dal tentativo di matrimonio clandestino).
E' colto, però, da un attimo di debolezza quando il padrone gli ordina di andare a Monza, dove è ben conosciuto e ricercato dalla giustizia.
La codardia del Griso si evidenzia in uno negli ultimi capitoli del romanzo.
Egli torna a casa di notte, dopo un festino in compagnia di Don Rodrigo e dei suoi amici, e si accorge che il padrone sta poco bene. Già mettendolo a dormire, si tiene a debita distanza, ma più tardi, quando viene chiamato e pregato di recarsi con urgenza da un medico, per soccorrere Don Rodrigo che si è scoperto malato di peste, corre invece dai monatti.
Non contento, alla presenza del padrone febbricitante si fa aiutare da uno di questi a scassinare lo scrigno e trae dalla tasca del signorotto, che ormai ritiene spacciato, anche gli ultimi spiccioli.
Manzoni soggiunge, a solo commento del fatto, che egli sarebbe morto di peste il giorno dopo, mentre ancora era trasportato sul carro dei monatti.
Di altra natura è il Nibbio, il bravo di fiducia dell'Innominato.
Uomo truce, istintivo e votato al compimento di misfatti, ha delle caratteristiche del padrone, che, anche nel male, è persona fuori dal comune.
Questo Nibbio crudele ha compassione di Lucia e, trasportandola al castello, cerca di fare in modo che nella carrozza abbia a soffrire il meno possibile.
Non solo, ma riferisce al padrone di essere stato mosso a pietà dalla ragazza.
Un comportamento tanto umano e dei sentimenti così insoliti nel Nibbio inducono l'Innominato a ritenere che la ragazza che egli ha fatto rapire debba avere qualcosa di speciale e lo spingono a farle visita .