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Sommario delle soluzioni

Il problema dei cappelli

Il problema del monaco tibetano

Il problema del signor Loga Ritmo

 

 

Il problema dei cappelli

Il n°3 ragiona in questo modo: “Se il n°1 avesse visto due cappelli neri avrebbe dedotto che il suo è bianco; ha quindi visto o due cappelli bianchi o un bianco ed un nero. Se il n°2 avesse visto sulla mia testa un cappello nero avrebbe dedotto che il suo è bianco, dall’impossibilità del n°1 di dedurre il colore del suo cappello; poiché anche il n°2 non è riuscito a dedurre il colore del suo cappello, posso concludere che il mio cappello è bianco”. Per gli altri due, invece, non c’è modo di stabilire il colore del proprio cappello.

Prima di proseguire nella lettura, prova a generalizzare il problema, se non l’hai già fatto.

Innanzi tutto una considerazione sulla disposizione dei cappelli: per poter indovinare il colore del proprio cappello (che può essere solo bianco!) una persona deve vedere davanti a sé solo cappelli neri (prova a fare qualche esempio con una disposizione qualunque di cappelli su un numero di 4 o 5 persone), dopo di che il tipo di ragionamento è analogo e si riferisce al tipo di configurazione che deve vedere la k-esima persona per potersi salvare. Se quindi il conduttore del gioco (colui che pone i cappelli sulle varie teste) vuole che solo l’ultimo possa stabilire il colore del suo cappello non deve mettere, da un certo punto in poi, solo cappelli neri.

Il tipo di ragionamento proposto sfrutta in fondo un’induzione sul finito e proprio per questo un’induzione particolare: l’ultimo della fila arriva a stabilire il colore del proprio cappello dal fatto che ciascuno di quelli che lo precedono non riesce a farlo. In sostanza la proprietà “Non conosco il colore del mio cappello” che vale per la prima persona della successione e se vale per la persona k-esima vale anche per la persona k+1-esima, vale per tutte tranne che per l’ultima persona della fila. D’altra parte il fatto di avere un numero finito di elementi impedisce che proprio tutti godano della stessa proprietà (se la fila fosse formata da infinite persone nessuno riuscirebbe a dedurre il colore del proprio cappello), rendendo anomalo proprio l’ultimo, l’unico cioè che non ha un successore che possa godere della sua stessa proprietà. In questo caso l’induzione sul finito presenta un’anomalia rispetto a quella ”normale”, se si pensa al principio d’induzione come ad una fila di buste ciascuna delle quali contenente l’istruzione “Apri la busta successiva, leggine l’ordine ed eseguilo” (il paragone è di Hugo Steinhaus). L’elemento senza successore non può avere questa possibilità per cui, per l’ultimo elemento l’istruzione (o se si vuole la proprietà) deve cambiare.

Un’ultima osservazione sul principio d’induzione. Al di là di questa anomalie, è possibile fare anche induzioni sul finito, quando la verifica ‘diretta’ di una proprietà (possibile, trattandosi di un numero limitato di elementi) risulta comunque scomoda o necessita di una generalizzazione. Questo inoltre farebbe pensare ad un contesto più “reale”, visto che la realtà è appunto “al finito”. Attento però a non confondere l’induzione matematica, frutto di un ragionamento (come nel caso del problema dei cappelli), con un’induzione empirica, frutto dell’osservazione di un’esperienza la cui ripetitività  per un certo numero di prove non garantisce, in assoluto, il successo all’ennesima prova. Per chiarirci, vediamo due esempi. L’affermazione “Il 10 gennaio 2100 sorgerà il sole” ha un’alta probabilità di verità, pensando al gran numero di albe passate che possano giustificare la verità di tale affermazione, anche se nulla toglie che una cometa gigante (come vuole la mitologia di Immanuel Velikovsky) faccia fermare la rotazione della Terra e rimanere il Sole ancora su Giberon. Più esplicita, sui rischi dell’induzione empirica, è questa storiella: un tacchino osservò che tutte le mattine un uomo gli portava il mangime. Cambiò la stagione e l’uomo continuò a portargli il mangime. Un giorno nevicò e ciò nonostante l’uomo gli portò il mangime. Dopo varie prove di questo tipo in diverse condizioni di tempo in cui l’uomo gli aveva portato il mangime, il tacchino concluse che l’uomo gli avrebbe sempre portato il mangime. Il giorno dopo l’uomo lo prese e gli tirò il collo.

Queste considerazioni non devono però far rigettare, in assoluto, un metodo (quello appunto dell’induzione empirica) la cui utilità e i cui risultati hanno ampiamente confermato, anche in campo matematico, la legittimità di certe applicazioni: pensa ad esempio ai processi di estrapolazione tipici di certe indagini di mercato o di certe analisi statistiche, in cui, pur avendo a che fare con un insieme finito, problemi di costi impediscono un’indagine nominale. Tutto questo per dire dell’esigenza, come in tutte le cose, di guardare agli strumenti della matematica in modo critico quando li si applica, valutandone le potenzialità ed i limiti per evitare di far ‘loro dire’ cose che non le attengono.

 

Il problema del monaco tibetano.

I dati veramente essenziali per la risoluzione del problema sono i due orari, di partenza e d’arrivo; o meglio è essenziale che tali orari, sia per l’andata sia per il ritorno, coincidano. Una soluzione immediata si ottiene pensando che i monaci siano due, come se si sovrapponessero due filmati, di cui uno parte alle otto del mattino da casa e l’altro alla stessa ora dal monastero: è ovvio che, prima o poi devono incontrarsi se alle otto di sera devono essere nel posto da cui era partito l’altro. Un’altra soluzione, più formale, si ottiene considerando le funzioni s=f(t) e s=g(t) che forniscono, in funzione del tempo, la distanza del monaco ad esempio da casa sua rispettivamente all’andata e al ritorno. Tali funzioni sono definite sull’intervallo [8,20] e sono ivi continue. Inoltre f(8)=0, f(20)=34,6 km, g(8)=34,6 km e g(20)=0. Se consideriamo la funzione y=f(t)-g(t), puoi osservare che y(8)<0, mentre y(20)>0; per il teorema degli zeri (non costruttivo!) esiste un valore toÎ]8,20[ tale che f(to)-g(to)=0, cioè f(to)=g(to). Tale valore, però non è determinabile.

 

Il problema del signor Loga Ritmo.

Come accennato nel testo, in questo caso l’ambito semantico fornisce quelle condizioni che sembrano mancare per risolvere il problema. Innanzi tutto determiniamo il dominio della soluzione, individuato dalle terne di numeri che fattorizzano 36. Queste sono otto:

(1,1,36), (1,2,18), (1,3,12), (1,4,9), (1,6,6), (2,2,9), (2,3,6), (3,3,4).

Poiché i numeri civici su lati opposti di una via sono di diversa parità, la somma delle età dei figli è dispari e solo quattro tra le fattorizzazioni precedenti è formata da numeri la cui somma sia dispari: (1,2,18), (2,3,6), (1,6,6) e (2,2,9). Il fatto che ci sia un figlio maggiore esclude la terna (1,6,6), mentre l’asserzione che tale informazione basta esclude le terne (1,2,18) e (2,3,6). Quindi la soluzione è fornita dalla terna (2,2,9).

Osserva inoltre che anche l’informazione sulla somma delle età dispari poteva essere omessa: bastava affermare che, nota tale somma all’addetto (ad esempio, Loga Ritmo avrebbe potuto dire “La somma delle loro età coincide con la data, giorno del mese, odierna”), con l’informazione sul figlio maggiore era riuscito a trovare la soluzione. Se tale somma non fosse stata dispari, sarebbe stato impossibile, con i dati forniti, trovare l’età dei tre figli.

 

Problemi Vari di logica deduttiva

1) In questo caso occorre confrontare la terza colonna con la seconda negata. Anche in questo caso non si riesce a stabilire con chi si parla, ma si scopre che non c’è oro sull’isola.

2) Costruendo la tavola di verità della congiunzione delle due affermazioni ci si accorge che l’unico caso possibile è che siano entrambe vere, per cui l’interlocutore è un cavaliere.

3) Costruisci la tavola di verità della fbf (B®J)®B (con ovvio significato dei simboli) e considera le (due) righe in cui la fbf risulta vera. In entrambe queste righe, B risulta vera, mentre J risulta una volta vera ed una falsa. Quindi amo Betty, mentre nulla si può dire su Jane.

4) Costruisci la tavola di verità della fbf (BÚJ)Ù(B®J) e considera le righe in cui la fbf risulta vera. In entrambi i casi J risulta vera, mentre B una volta vera ed una falsa. Quindi amo Jane mentre nulla si può dire di Betty.

5) Considera la fbf C(a)®C(b) dove C(a) sta per ‘A è un cavaliere’ e C(b) per ‘B è un cavaliere’ e costruiscine la tavola di verità. Se A è un cavaliere, la fbf deve essere vera quando C(a) è vera, mentre deve essere falsa quando C(a) è falsa; questo secondo caso non si verifica mai, mentre per il primo si ha solo un’opportunità. Quindi A e B sono cavalieri.

6) Analogo al precedente; tutte le affermazioni che cominciano con “Se sono un cavaliere...” sono fatte effettivamente da un cavaliere e sono perciò vere, come pure il conseguente.

7) Concludi che l’autore ha preso un’insolazione: una tale affermazione non potrà mai essere fatta per quanto detto nella risposta precedente.

8) E’ equivalente a quella dell’esercizio precedente.

9) Indicato con C(a) ‘io (A) sono un cavaliere’, considera la tavola di verità della fbf C(b)®ØC(a) e cerca le righe in cui la fbf e C(a) sono entrambi veri o entrambi falsi. Si verifica solo il primo caso in corrispondenza del quale si osserva che B è un furfante (C(b) è falsa).

10) Equivalente alla frase dell’esercizio 5.

11) Costruisci la tavola di verità della fbf ØC(a)ÙC(b); devono coincidere i valori di verità della fbf con quelli di C(a). L’unico caso che si presenta porta a concludere che A e B sono furfanti.

12) Costruisci la tavola di verità di C(a)ÚC(b). Supponiamo che la domanda sia stata rivolta ad A (è indifferente). Se A risponde sì può essere un cavaliere (e B cavaliere o furfante) o un furfante (e B furfante). Queste eventualità corrispondono a tre righe della tavola di verità e comportano possibilità che impediscono di conoscere la risposta alla domanda. Poiché tale risposta è nota, A deve aver risposto ‘No’ e quindi A è un furfante e B un cavaliere (quarto caso della tavola di verità).

13) A è un furfante (un cavaliere non potrebbe mai fare un’affermazione così) e quindi non tutti sono furfanti. Se B fosse un furfante, allora sarebbero tutti furfanti (cosa esclusa in precedenza) o ci sarebbero due cavalieri (non tre, poiché A è un furfante, come detto). Ma allora B dovrebbe essere un cavaliere, contro l’ipotesi che sia un furfante. Quindi B è un cavaliere (l’unico) e C un furfante.

14) A è un furfante, come prima. B potrebbe essere un cavaliere o un furfante (verificalo!), ma C è senz’altro cavaliere (in entrambi i casi).

15) Le due frasi sono equivalenti, quindi A e B sono dello stesso tipo.

16) Costruisci la tavola di verità di B: C(a)®C(c) corrispondente all’affermazione di B. Occorre cercare una riga in cui C(a) e B assumono lo stesso valore (se A è un furfante anche B lo è). L’unico caso è quello in cui C(a) è vero e B è vera, per cui sono tutti e tre cavalieri.

17) Amo tutte e tre le ragazze. Infatti se non amassi Diana non amerei neppure Marzia (c) e quindi amerei Susanna (a). Ma se amo Susanna e non amo Diana allora amerei Marzia (b) e questo è assurdo. Quindi amo sia Diana che Marzia e per la premessa (d) amo anche Susanna.

Questa, al di là delle apparenze, non è una dimostrazione per assurdo. il presupposto da cui parte è che se ho una premessa disgiuntiva si deve verificare una delle due condizioni (in questo caso non è possibile che si verifichino entrambe): se non è possibile che se ne verifichi una, deve verificarsi l’altra. Fatta in modo formale la dimostrazione risulterebbe piuttosto complessa.

18) Come visto in precedenza tutte le frasi del tipo “se io sono un cavaliere...”sono vere e dette da cavalieri quindi C è un cavaliere. A e B sono quindi o entrambi cavalieri o entrambi furfanti. Nell’affermazione di B, qualunque cosa lui sia, occorre tenere presente che tra le persone sull’isola ci sei anche tu (che non sei né cavaliere né furfante). Se B è un furfante i cavalieri più i furfanti sono in numero dispari sull’isola (mente, quindi le persone presenti sono in numero pari; tolto tu ne rimangono un numero dispari); anche A mente, quindi i furfanti sono in numero dispari, per cui i cavalieri sono in numero pari. Alla stessa conclusione si perviene anche nel caso si suppongano A e B cavalieri (prova!) per cui sull’isola c’è dell’oro.

19) La negazione dell’affermazione del Pubblico Ministero è equivalente ad affermare che l’imputato è colpevole e non aveva complici. L’avvocato difensore, in seguito, dovette cambiare mestiere per mancanza di clienti.

20) Le premesse sono (indicando con C(x) la proposizione ‘x è colpevole’):

a) ØC(a)ÚC(b)®C(c)

b) ØC(a)®ØC(c)

Questo tipo di problema (ed il successivo) si presta ad una risoluzione di tipo formale, ma forse è meglio semplificarla, senza perdere di vista gli assiomi o le regole d’inferenza (anche derivate) utilizzate. Da a si deduce, utilizzando gli assiomi 1 e 7, ØC(a)®C(c) (e); da b ed e, utilizzando l’assioma 9, si deduce ØC(a)®C(c)ÙØC(c), da cui, dall’assioma 12, si deduce C(a) e questa è l’unica certezza.

21) Le premesse sono (utilizzando la notazione precedente):

a) C(a)®C(b)            

b) C(b)®C(c)ÚØC(a)

c) ØC(d)®C(a)ÙØC(c)

d) C(d)®C(a)

Dalla premessa c si deduce, utilizzando gli assiomi 3 e 7 che ØC(d)®C(a) (e); da e e da d, utilizzando gli assiomi 8 e 13, si deduce C(a), cioè che A è colpevole; da a per MP si deduce che B è colpevole. Da b si deduce che C è colpevole; da c, utilizzando la sua contronominale, si deduce che anche D è colpevole.

Osserva che in questo ragionamento non si è mai parlato di verità in quanto ci si è mossi sempre in un ambito sintattico.

22) Da a e c si deduce che non può essere A colpevole e B innocente, quindi dev’essere ØC(a)ÚC(b). Se C è colpevole, anche B lo è (dalla b e dalla c). Se C è innocente, indipendentemente dall’innocenza o colpevolezza di A, B sarebbe colpevole (se anche A fosse innocente la colpevolezza di B si dedurrebbe da d). Quindi B è sicuramente colpevole.

Quella proposta è una tipica dimostrazione per casi che hai già trovato in altri contesti matematici (ad esempio, quando devi dimostrare delle proprietà dei numeri naturali in cui occorre fare la distinzione tra numeri pari e numeri dispari).

23) Ovviamente la carta con il dorso blu (che deve essere dispari), ma anche il quattro di quadri (che deve avere il dorso rosso) in quanto l’affermazione fatta è equivalente a “Se una carta è pari ha il dorso rosso”. E’ del tutto inutile girare le altre carte.

24) Ovviamente Gongolo.

25) La coppia di frasi da cui partire è quella detta da C: poiché la seconda è falsa (per ipotesi una delle affermazioni di D è vera), la prima è vera. La seconda affermazione di A è falsa (se fosse vera, dovrebbe essere vera anche la prima, non essendo C un rospo), quindi la prima è vera. Se la seconda affermazione di D fosse vera, le due affermazioni di B sarebbero entrambe vere. Quindi c’è solo un rospo, che è A.

26) La conclusione è: “Io evito i canguri”. Ci si può arrivare considerando nell’ordine le seguenti proposizioni:

da a-e: tutti gli animali di questa casa uccidono i topi (m)

da m ed h: tutti gli animali di questa casa sono carnivori (n)

da n e d: tutti gli animali di questa casa vanno in giro di notte (o)

da o e f: tutti gli animali che mi appartengono vanno in giro di notte (p)

da p ed l: tutti gli animali che mi appartengono amano guardare la luna (q)

da q e b: ogni animale che mi appartiene è addomesticato (r)

da r e g: i canguri non mi appartengono (s)

da s e i: io detesto i canguri (t)

da t e c: io evito i canguri.

27) Basta dire una frase indecidibile, ad esempio “Io mento”. Un’altra possibilità, più raffinata, sarebbe quella di dire: “Sarò sacrificato al Dio della menzogna”, altra frase indecidibile.

28) E’ un problema che si risolve con una logica negativa. Dovresti prendere un’arancia, quella che hai scelto e chiedere che sia tagliata l’altra: se l’altra ha la polpa rossa (e l’ha senz’altro) allora potrai affermare che la tua ha la polpa bianca senza bisogno di tagliarla e senza smascherare lo stregone. E’ interessante osservare che tu non dimostri direttamente (e non potresti farlo!) che la tua arancia ha la polpa bianca, ma fai, di fatto, una dimostrazione per assurdo (se la mia non fosse bianca, dovrebbe esserlo l’altra; poiché l’altra non è bianca, allora lo è la mia). Non stupisce quindi che qualcuno contesti questa soluzione (forse non convince neppure te) poiché, dicono, non hai effettivamente dimostrato che la tua arancia ha la polpa bianca. L’obiezione è la stessa che gli intuizionisti muovono alla logica classica, con il conseguente rifiuto delle dimostrazioni per assurdo. Questo scetticismo dimostra come, in fondo, si sia più intuizionisti di quanto forse non si pensi. In una situazione come quella descritta dal problema c’è solo da augurarsi che la tribù segua una logica rigorosamente classica.

29) Le affermazioni di A e B possono essere entrambe vere, ma non entrambe false (la negazione di A, che si formalizza con la fbf $xD(x)ÙØ"xD(x) sarebbe "xØD(x)Ú"xD(x) cioè ”o tutti i politici sono disonesti o sono tutti onesti”, proposizione che risulta vera se fosse falsa l’affermazione di B); le affermazioni di A e C possono essere entrambe false (nel caso in cui tutti i politici siano onesti), ma non entrambe vere.