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Per sentire meno la fatica spesso cantavano o chiacchieravano lanciandosi frasi scherzose. Ogni tanto si raddrizzavano per riposare un po' la schiena o per bere un sorso e quando 'a pannella era piena la vuotavano lasciandosi dietro una fila contorta di piccoli cumuli che alla fine, percorrendo a ritroso il cammino, raccoglievano e mettevano nel sacco. Nelle frazioni in quel periodo quasi davanti ad ogni casa c'erano, accumulati in bell'ordine perché la pioggia non bagnasse le spighe, i "mannélli" raccolti in tante ore di duro lavoro. All'epoca della trebbiatura il grano si portava da un contadino compiacente che lo faceva trebbiare o si contrattava con il mugnaio la quantità di farina da ricevere in cambio.

rugu sm. = rovo {morèche de rugu: more di rovo.
rugulìzio sm. = liquirizia sf. Es.: Da picculi giàmmo a comprà ó ru-gulizio su da Marì de Lillì: Da pic-coli andavamo a comprare la liqui-rizia nel negozio di Maria Lillini.
ruinà = rovinare
ruìna
sf. = rovina
rullu
sm. = rullo
rumà = ruminare
rumore
sm. = rumore

rumurùsu agg. = rumoroso
ruprì
= aprire
rùscine
sf. = ruggine
rùsciu
agg. = rosso {un peperó rusciu.
russà = russare
rùsticu
agg. = rustico {scontroso {èsse rusticu: essere scontroso.
ruttu
agg. = rotto
ruttùra
sf. = rottura
rùvidu, ruvedo
agg. = ruvido. Es.: U lenzólu è ruvidu: il lenzuolo è

ruvido. Ó panno è ruvedo: il panno è ruvido.
ruvùstu agg. = robusto
ruzzà = razzolare
ruzzu
agg. = rozzo
rùzzula
sf. = ruzzola
rvéde = rivedere
rvénne = rivendere
rvinì = tornare
{pr. rvièngo.
rvolé = rivolere

'A neve.
  Quando gli inverni erano veramente inverni ogni anno la neve era abbondante. Io non ricordo "u neó" (il nevone) del 1929 perché avevo solo tre anni, ma i Filottranesi più vecchi ne parlano ancora come di una cosa eccezionale. Resta il fatto comunque che le nevicate di oggi sono "un zucchero" in confronto a quelle di alcuni decenni fa che isolavano le frazioni dal paese e il paese dalle città vicine.
  La mattina, svegliandosi, si avvertiva un silenzio irreale. Durante la notte era nevicato, tutto era bianco e la neve continuava a scendere. Si capiva che ne sarebbe caduta molta.
Quando il tempo poi lo permetteva noi ci divertivamo a "giucà cóa slitta". Riempivamo un sacco di paglia e, mettendoci a cavalcioni, scivolavamo o ruzzolavamo lungo le discese o sui campi. Si faceva anche a "pallottate". Ricordo che un gioco che facevano i più grandi era quello "de passà 'e logge". Da Piazza Mazzini "lì i ferri", facevano a gara a chi, lanciando " 'na pallotta de neve", riusciva a farle superare il tetto sopra il loggiato e a farla cadere "suppe 'e scalette déa purticella" o "su piazza déa Chiesa Nòa".
  Fra una nevicata e l'altra, si usciva anche a "mette 'e trappole pe i passiri". " 'A trappola" era costituita da due ganasce di filo di ferro fatte a semicerchio che, una volta aperte e fissate, venivano trattenute da una molla che scattava richiudendole non appena si toccava. Si nascondeva sotto la neve lasciando scorgere solo un pezzetto di mollica di pane infilato in un gancio. Si spargeva attorno un po' di cenere che attirasse l'attenzione degli uccelli e il gioco era fatto. Bastava solo attendere. Prima o poi la preda arrivava, beccava la mollica di pane, la molla scattava e le ganasce si chiudevano sul collo del povero uccellino. Quando se ne erano presi abbastanza si cucinavano per condire la polenta. A volte, nel prepararla, la trappola ci si chiudeva sulle dita e faceva un male cane. Era la nostra punizione per ciò che stavamo facendo.   
  A Filottrano i punti più critici in caso di nevicate erano " 'a salita déa Torre" - la salita che da Ponte Musone porta all'attuale incrocio della statale verso Jesi con la strada per  S. Maria Nuova - così chiamata perché c'era una torre medievale, Monte Armato, " 'a Croce de Storico" e " 'a scuperta de Montoro" - un tratto di strada a qualche centinaio di metri da Montoro -. In questi punti "ce bufàa" e il vento formava cumuli a volte alti fino a due metri. Tutti i collegamenti erano interrotti. " 'A posta" (la corriera per Jesi) non passava più e si restava isolati per diversi giorni.
  A parte i disagi, quelle nevicate erano una manna per tanti operai e braccianti agricoli. Il Comune infatti in quelle occasioni ingaggiava spalatori per rendere agibili il Corso e le principali strade del paese e per "fa' 'a rotta" (aprire la strada) verso Jesi. Ce n'era uno che mentre lavorava diventava così rosso in viso da farci dire scherzosamente che "sciojéa 'a neve có 'a faccia".
  Chi voleva guadagnare qualche decina di lire (sei o sette lire erano la paga media giornaliera di un operaio) si presentava e veniva subito messo all'opera. Quindici o venti  spalatori, guidati da "u stradì" (il cantoniere), partivano da Filottrano, altrettanti da Jesi e dopo qualche giorno di duro lavoro si incontravano sulla Torre. Così si ripristinava il collegamento.
  Per le strade di campagna ci si affidava all'iniziativa dei contadini che, per non restare tagliati fuori per settimane, si arrangiavano costruendo " 'a  lupa". Con due pesanti assi di legno messe a V e zavorrate con sacchi di terra si fabbricavano una specie di spartineve, chiamato appunto "lupa", che trainato da uno o due paia di buoi apriva la strada ad uso di chi aveva assoluta necessità di spostarsi.
  Chi poteva fare a meno di uscire trascorreva le giornate nella stalla o rincantucciato accanto al fuoco.
Le donne sfaccendavano per casa portandosi appresso "u scallì".  La sera si andava a dormire presto, ma  prima di andare a letto, si metteva in camera "u focó" e sul letto "u prete cóa monnica".
  Non era un caso che nell'autunno successivo nascessero molti più bambini che negli altri periodi dell'anno.

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