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Proposte di legge, interrogazioni, mozioni e varie.     

 

 

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L' iter, in sette punti, della proposta di legge per l'istituzione del "Giorno del Ricordo": dalle prime discussioni del 2001 alla Legge 30 marzo 2004 n.92.

Altre iniziative (interrogazioni, mozioni e interpellanze varie).

 

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- La legge 30 marzo 2004 n.92.

- Clicca qui per scaricare il testo della Legge in formato PDF (richiede Acrobat Reader).

1) Discussione della P.d.L. Menia "Concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati" - Seduta n. 857 del 12/02/01.

2) Proposta di legge per l'istituzione del "Giorno della Memoria e della Testimonianza" del 12 febbraio 2003.

3) Il testo della proposta di legge che andrà in discussione alla Camera il prossimo 9 febbraio (inserito il 6 febbraio 2004).

4) Aggiornamento dell' 11 febbraio 2004: il testo di legge com'è stato approvato dalla Camera (disegno di legge n.2752).

5) Aggiornamento del 25 febbraio 2004: la 1^ Commissione Affari costituzionali, in sede referente (seduta n.374), ha stabilito il rinvio dell'esame del disegno di legge n. 2752.

6) Aggiornamento del 4 marzo 2004: la 1^ Commissione del Senato ha approvato l'istituzione del "Giorno del ricordo".

7) Aggiornamento del 18 aprile 2004: il testo di legge definitivo.

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  Altre iniziative.

 Ordine del giorno presentato a Reggio Emilia dai consiglieri provinciali di An. (31/01/2006).

 Mozione presentata a Carini (PA) dal Consigliere Monterosso in occasione della "Giornata del Ricordo" 2006 (19/01/'06).

 Interrogazione al Parlamento Europeo dell’ On. Romagnoli del M.S. – Fiamma Tric. (24/06/2005).

 Progetto di legge - n. 3481.

 Progetto di legge - n. 6724.

 La proposta di legge Tremaglia frenata alla Camera. (link esterno)

 Interpellanza dell' On. Menia (18/02/1999).

 Interpellanza dell' On. Menia (23/10/1997).

 Interrogazione dell' On. Malgieri (16/04/1997).

 Interrogazione dell' On. Alberto Maria Bosisio (02/10/1995).

 

 

 

L' iter, in sette punti, della proposta di legge per l'istituzione del "Giorno del Ricordo": dalle prime discussioni del 2001 alla Legge 30 marzo 2004 n.92.

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1) Discussione della P.d.L. Menia "Concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati" - Seduta n. 857 del 12.2.01

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Menia. Ne ha facoltà.
ROBERTO MENIA. Signor Presidente, colleghi, un grande vescovo di Trieste, Antonio Santin, nato a Rovigno d'Istria, s'inginocchiò sulla foiba di Basovizza, che all'epoca non era ancora chiusa e dettò un'epigrafe, che oggi campeggia sulla grande pietra che copre la foiba: «Onore e cristiana pietà a coloro che qui sono caduti. Il loro sacrificio ricordi agli uomini le vie della giustizia e dell'amore sulle quali fiorisce la vera pace». In quella stessa occasione, ebbe a dire: questa foiba è un grande calvario con il vertice sprofondato nelle viscere della terra.
Non voglio, signor Presidente, confondere, o mettere insieme in qualche modo, discorsi e questioni della politica dell'oggi, come ha fatto anche il relatore Maselli, con un principio che è del tutto diverso e che voglio affermare attraverso questo provvedimento. Mi limito, allora, a raccontare alcune storie di questo calvario. Lo faccio anche perché alcuni dei nomi e delle storie sono di padri o congiunti di persone che conosco da vicino, per i quali ho sentimenti di amicizia, amore, affetto: conosco tanti, per esempio, della famiglia Cossetto.
Norma Cossetto era una ragazza di 23-24 anni, di Santa Domenica di Visinada, in Istria, che nel 1943 girava con la sua bicicletta l'Istria, raccogliendo notizie sulla storia della sua terra, a cui voleva tanto bene. Si stava laureando ed aveva intitolato la sua tesi di laurea: «All'Istria rossa», perché rossa è la terra del centro dell'Istria, a causa della bauxite. Fu prelevata dai partigiani comunisti di Tito, portata nell'ex caserma dei carabinieri del suo paese, seviziata, martoriata, violentata da diciassette uomini: pianse per una notte intera, come raccontò una donna che abitava vicino e che andò a vedere, attraverso la finestra, da dove provenissero le grida e i lamenti. Fu infoibata la mattina dopo e sarebbe stata riesumata alcuni mesi dopo dagli uomini del maresciallo Arzarich, il capo dei vigili del fuoco di Pola, che si distinsero nei mesi seguenti all'ottobre 1943 in queste operazioni.
La prima grande ondata di infoibamenti, infatti, fu quella seguita all'8 settembre 1943, quando le bande partigiane comuniste iugoslave spadroneggiarono per circa due mesi all'interno dell'Istria: una volta tornata in qualche modo la normalità, dopo alcuni mesi, vi fu una serie di riesumazioni, soprattutto ad opera di speleologi e pompieri, su incarico delle autorità, per quanto era possibile ricostituire le autorità in quelle zone. Furono 600 gli istriani che, nei mesi seguenti all'ottobre 1943, furono riesumati dalle foibe e fu così possibile stabilire il numero (ma ne parleremo dopo) dei presunti assassinati in quei mesi. Norma Cossetto fu ritrovata martoriata, come dicevo, con legni conficcati nelle mammelle. Il padre di Norma, tra l'altro, che si trovava a Trieste, fu avvisato del fatto che la figlia era stata arrestata ed andò a chiedere notizie di quanto era accaduto; gli dissero di non preoccuparsi, che anzi era opportuno che si trattenesse anch'egli per un interrogatorio, ma fece la stessa fine della figlia.
Nel provvedimento abbiamo voluto associare agli infoibati anche altri uomini e donne periti in altro modo, ma evidentemente associabili: persone fucilate, annegate, lapidate. La storia di una lapidazione terribile, ad esempio, è quella che mi ha raccontato Nidia Cernecca un'esule di Gimino, che oggi vive a Verona: lei era una bambina di sei anni e un giorno vide comparire a casa sua un personaggio con una stella rossa sul berretto. Era Ivan Matika, uno degli imputati nel famoso «processo foibe» che si sta celebrando a Roma e che ha trovato mille ostacoli non solo da parte degli Stati di Slovenia e Croazia, che notoriamente hanno fatto pressioni decise nei confronti del nostro Governo e della nostra magistratura perché si lasciasse perdere, ma, come ha fatto ben capire il magistrato Pititto - che ha avuto il coraggio di attivare questo procedimento - da parte delle stesse autorità italiane e alti poteri italiani. Probabilmente, tra l'altro, il processo non porterà a nulla. Ivan Motika, il capo dei partigiani di Tito nell'Istria, che aveva eletto il castello di Montecuccoli - perla dell'arte italiana che si trova a Pisino, sopra la grande foiba, quella che ispirò Verne nel suo libro Viaggio al centro della terra - a grande prigione da dove dettava le sue sentenze di morte, si presentò in casa del Cernecca, che era un buon uomo che aiutava la gente del suo paese - era italiano - e lo prelevò per un interrogatorio. Sparì per un giorno e la gente del paese raccontò di averlo visto passare completamente incanutito nell'arco di una notte per le bastonate ricevute e con sulle spalle un sacco di pietre; fu portato nel bosco, gli fecero posare il sacco, scavare la sua tomba e fu lapidato. Non basta: siccome aveva due denti d'oro, ritennero opportuno tagliargli la testa e portarla a un meccanico di Canfanaro perché glieli estraesse.
In Istria non accadeva solo questo, i perseguitati non erano solo gli italiani, ma anche, ad esempio, i sacerdoti istriani. Vi sono alcune storie terribili e per alcuni di loro recentemente è stato istruito il processo di beatificazione. Ricordo, ad esempio, don Angelo Tarticchio, di Gallesano, vicino a Pola, che aveva trentasei anni e fu arrestato insieme ad altri trenta dei suoi parrocchiani, fu buttato nella foiba di Lindaro e quando fu riesumato lo trovarono completamente nudo, con una corona di spine conficcata sulla testa, i genitali tagliati e messi in bocca. Don Miro Bulesic venne sgozzato a Lanischie, era già il 1947, abbondantemente dopo la fine della guerra. Siccome aveva studiato a Roma ed era gesuita era falso come tutti i gesuiti; era pur vero che durante la guerra partigiana si era prodigato per salvare due partigiani croati arrestati dai tedeschi, ma se questi ultimi lo avevano ascoltato significava che era loro amico e quindi ritennero opportuno sgozzarlo.
Furono trentasette i sacerdoti ammazzati in Istria in quegli anni.
Posso raccontare di Fiume. Pochi in Italia oggi sanno che la città che viene chiamata Rijeka era la Fiume d'Italia, che aveva dato esempi magnifici, bellissimi di attaccamento all'Italia. Ricordo, ad esempio, l'ultimo vescovo di Fiume italiana, monsignor Camozzo, che morirà esule, il quale, all'atto di andarsene da Fiume, volle portare via le sue cose dalla sua chiesa, ma in particolare la bandiera. Tagliò in tre il tricolore italiano: con la parte verde avvolse un calice e lo mise in una valigia, avvolse un altro calice con la parte bianca e poi una bibbia con la parte rossa, mettendola in un'altra valigia.
A Fiume nei giorni immediatamente seguenti il 3 maggio 1945 scomparvero due senatori del Regno ai quali il Parlamento italiano non si è mai degnato, ad esempio, di fare un busto, mentre sono stati fatti busti di altre persone: mi riferisco, ad esempio, al «Migliore» - vi sarebbe parecchio da dire e da dubitare sul fatto che sia un padre della patria - che troneggia nei nostri corridoi.
Il senatore Icilio Bacci fu arrestato nei primi giorni del maggio del 1945 e scomparve; il senatore Riccardo Gigante fu arrestato, si sa che fu portato in un bosco e buttato in una fossa comune. Ma vi erano altri casi. A proposito di Fiume, potremmo raccontare, ad esempio, il caso di Angelo Adam, ebreo antifascista, deportato dai tedeschi a Dachau, che si salvò, tornò a Fiume e quando, nel dicembre del 1945, riprese la sua attività sindacale insieme agli italiani, giacché questo non andava un granché bene ai nuovi padroni, fu arrestato assieme alla moglie ed alla figlia, fu deportato e scomparve.
A Fiume si usava impiccare la gente ai ganci di macelleria. A Fiume fu ammazzato il custode dei giardini, che si chiamava Adolfo Landriani. Gli volevano far gridare: «viva Fiume jugoslava»; lui gridò: «viva Fiume italiana» ed allora gli spaccarono la testa contro la parete ed egli continuò a gridare, con voce sempre più flebile. A Fiume fecero scomparire - lo ammazzarono e lo buttarono poi tra le rovine del Molo Stocco - un ragazzino che si era arrampicato sul pennone di piazza Dante e aveva messo la bandiera italiana.
A Zara si usava annegare la gente. Molti di voi conosceranno, ad esempio, il vecchio Maraschino dei Luxardo, che era una perla di Zara italiana. I Luxardo, tra l'altro, hanno ricostruito a Torreglia, in provincia di Padova, la vecchia fabbrica del Maraschino, che all'epoca era un vanto italiano. Nicolò Luxardo fu prelevato nel 1944 dai partigiani, portato oltre gli scogli di Zara assieme alla moglie, annegato e poi buttato a fondo. Pensate che Luxardo fu poi processato nel 1945, un anno dopo, e nella sentenza si disse che, non avendo risposto all'invito di comparizione, poiché si era tenuto nascosto, veniva condannato all'impiccagione in contumacia e tutti i suoi beni venivano confiscati.
A proposito di Zara, per chi raccoglie i vecchi numeri della Domenica del Corriere, vi è un'illustrazione di questo giornale del 1944 che narra la storia del farmacista di Zara, Ticina, che fu ammazzato ed annegato insieme alla moglie, alla figlia, al fratello ed alla nipotina di sei anni, tutti con una pietra al collo. A Zara non c'erano le foibe e quindi era più facile ammazzare annegando.
Vi potrei raccontare di Trieste, anche in questo caso pensando a tanta gente che conosco. C'è, per esempio, una persona già anziana che ricorda spesso e mi racconta con le lacrime agli occhi di suo padre che fu buttato nell'abisso, nella foiba Plutone, insieme ad altri quaranta ragazzi, tutti italiani, che erano le guardie carcerarie di Trieste. Lo riconobbero anni dopo perché in mezzo alla poltiglia di ossa e di resti umani c'era un brandello della sua giacca - era il maresciallo Ernesto Mari di Civitavecchia - con il nome della sartoria di Civitavecchia. Da questo particolare capirono che si trattava di lui.
Chi viene a Trieste può vedere nell'atrio del carcere i nomi di tutte le guardie carcerarie scomparse tutte nei primi giorni del maggio 1945 quando i titini entrarono a Trieste. La stessa cosa avviene entrando nell'atrio della questura di Trieste dove furono prelevate tutte le ottanta guardie di pubblica sicurezza che finirono nelle foibe di Basovizza. Così accadde per novantasette finanzieri.
Penso che possa bastare. Perché ho raccontato tutte queste storie? Forse semplicemente perché volevo che rimanessero nelle pagine degli atti parlamentari e perché questi uomini e queste donne non hanno mai avuto dall'Italia un ricordo e allora modestamente, per quanto mi è stato possibile, ho voluto regalarglielo io questa sera. Il rappresentante del Governo appare molto «scocciato» da ciò che dico e mi dispiace per lui; anzi, non mi dispiace affatto, ritengo di aver fatto una cosa giusta. Lo ripeto, ho fatto questo per dare prima di tutto delle testimonianze, anche se poi qualcuno dirà che in fin dei conti ricostruire la storia vuol dire capire che quelle atrocità, quelle efferatezze erano quasi la giusta punizione di uomini e di donne che non avevano alcuna colpa se non quella di essere italiani.
Se l'Italia per cinquant'anni non ha avuto il coraggio di ricordarli e di dare loro una testimonianza, un riconoscimento, ritengo di avere fatto bene ad averne parlato. Gli imbarazzi della sinistra in questa vicenda sono pluridecennali ma è stato molto bello che, per esempio, il Presidente della Camera Violante (non dubito che egli mi darà modo e possibilità o lo darà al Parlamento di esaminare questo provvedimento non mettendolo al ventesimo posto nell'ordine del giorno di domani, ma in una posizione più avanzata se davvero ritiene giusto e doveroso che l'Italia a più di cinquant'anni da questi fatti dia un riconoscimento a quegli uomini e a quelle donne) abbia dichiarato: «Nella storia scritta dai vincitori una particolare condiscendenza fu usata per Tito. Le foibe furono un genocidio ma dovevano scomparire». Il senatore Pellegrino, sempre dei DS, nel 1997 dichiarò davanti alla Commissione stragi: «Le foibe sono eccidi di incredibile ferocia, non possono dividerci tra destra e sinistra. Con la verità bisogna fare i conti sempre».
Non dubito che a tutte queste belle cose seguano i fatti e quindi mi auguro che nelle poche settimane che rimangono prima della fine della legislatura questa proposta di legge diventi legge. È anche l'auspicio che mi ha fatto qualche settimana fa il Presidente del Consiglio e che mi ha fatto estremamente piacere.
Vogliamo dire qualche cosa di più, per esempio, sulla tragica contabilità dei morti delle foibe? Ho fatto dei casi ma erano pochi. È difficile stabilire un numero, ma è vero che c'è una letteratura in gran parte - lo dico tra virgolette - «underground» di uomini che hanno dedicato una vita intera a ricostruire quei fatti. È il caso, per esempio, di Luigi Papo: ho con me un poderoso volume che raccoglie diciassettemila nomi ed ha il titolo L'Albo d'oro della Venezia Giulia e della Dalmazia. Luigi Papo, che è stato prigioniero degli jugoslavi, nell'introduzione scrive: «Erano i giorni della mia prigionia nel campo di Prestrane. Feci a me stesso una promessa solenne: se fossi uscito vivo, avrei continuato a lottare per l'italianità delle nostre terre e dedicato ogni mio minuto libero al ricordo dei caduti. Ho mantenuto la promessa». A Luigi Papo mi legano anche sentimenti di amicizia e di affetto, perché ha veramente dedicato la sua vita a mantenere viva la testimonianza e a ricostruire la memoria.
Signor Presidente, mi spaventa vedere da vicino uomini e donne, esuli dall'Istria, che si portano dietro quelle vicende dolorose. Non credo che si debba vivere perennemente con il ricordo del dolore, ma non è neppure giusto che di tutto questo non resti nulla. Mi opprime e mi rattrista vedere che passano gli anni e le generazioni e, piano piano, scompaiono tasselli di storia. In tal modo scompaiono le storie tragiche che vi ho raccontato, anche se sono testimonianze e memorie che contengono una spiritualità che fa spavento: sono storie e memoria che debbono tornare a far parte dei miti unificanti della nazione.
Mi spaventa vedere che pian piano il vecchio dialetto di coloro che venivano da Cherso, da Lussino, da Pola e da Capodistria sta scomparendo; scompaiono le vecchie tradizioni e le storie e di tutto ciò all'Italia non resta quasi più nulla; eppure, quegli uomini e quelle donne hanno dato tanto e il loro sacrificio è stato, prima di tutto, un sacrificio di italianità.
Con la proposta di legge di mia iniziativa non chiedo nulla di più e nulla di meno di una semplice medaglietta: ovvero, il riconoscimento, a cinquant'anni di distanza, da parte dell'Italia (la loro patria) al loro sacrificio. Non si chiedono benefici economici o assegni; non si chiede nulla del genere, ma si chiede una semplice medaglietta che dimostri che l'Italia li ricorda. Quelle famiglie e quella gente non chiedono nulla di più.
Come dicevo, mi spaventa constatare che nell'Italia di oggi nessuno più conosce i nomi di quelle città o la storia di quelle terre. Come diceva il collega Niccolini, è normale leggere che con la fine della guerra l'Italia restituì l'Istria alla Jugoslavia: è una cosa inaudita! Non solo la Jugoslavia prima non esisteva (basterebbe aver studiato un po' di storia per saperlo), ma in quelle terre vi è stata una tradizione e una lingua italiana per secoli e millenni.
A proposito del numero delle vittime, vorrei precisare che il solo comando del Governo militare alleato di Trieste (come sapete, la città di Trieste fu amministrata dal Governo militare angloamericano fino al 1954) affermò di aver ricevuto 4.768 richieste in ordine a persone scomparse dopo il 1o maggio 1945: in particolare, 2.210 a Trieste, 1.160 a Gorizia e 998 a Pola. Radio Londra affermava che nel mese di maggio 1945 sono state deportati e non hanno fatto più ritorno a Trieste 2.600 civili. Il Comitato di liberazione nazionale inviò alla Conferenza di Parigi un memoriale nel quale si affermava che circa 12 mila giuliani furono prelevati e deportati.
Il sindaco di Trieste Gianni Bartoli, nel suo Martirologio delle genti adriatiche, riportò un elenco nominativo dei civili e militari scomparsi e uccisi a Trieste e nella Venezia Giulia. Erano 4.122 nomi, c'erano 21 ripetizioni, ne furono aggiunti poi altri 260. In totale, solo lì furono elencate 4.361 vittime: civili 2.916, guardia di finanza 242, polizia 309, carabinieri 94, guardie civiche, volontari della libertà e membri del CLN 51. È notorio, a questo proposito, che nelle foibe finirono anche parecchi uomini del Comitato di liberazione nazionale, perché le stragi delle foibe furono un disegno preordinato teso ad eliminare la componente italiana. Quello che è apparso inequivocabilmente sotto gli occhi di tutti in questi ultimi anni a proposito della macelleria balcanica che si è scatenata nelle terre della ex Jugoslavia è stato il principio della pulizia etnica, che gli italiani furono i primi a subire, circa cinquant'anni fa.
Non c'è dubbio che le stragi delle foibe che funestarono le terre giuliane dal 1943 al 1945 ed anche a guerra finita non furono, come afferma certa storiografia - partigiana in tutti i sensi -, la reazione, in fin dei conti giustificabile, delle popolazioni slave alle vessazioni subite dall'Italia e in particolare dal regime fascista. Le foibe furono invece la realizzazione brutale di un piano di snazionalizzazione, di pulizia etnica, di cultura italiana, di arte italiana, di lingua italiana, di tradizione italiana. Non è un caso, infatti, che in questo piano di sterminio della componente italiana la prima fase fu quella della scelta deliberata di massacrare tutto quello che poteva rappresentare istituzione o classe dirigente e quindi, in questo senso, Guardia di finanza, carabinieri, tutti quelli che avevano una divisa che in qualche modo rappresentasse l'Italia. Poi vi fu la caccia fanatica al professionista, al laureato, al maestro, al dirigente, che venivano regolarmente accusati di essere fascisti o borghesi o qualcosa del genere. A questa prima fase seguì quella del terrore generalizzato, che portò alla seconda fase, che fu devastante e drammatica; oltre, cioè, ai 12, 15, 17 o 20 mila morti infoibati, come dice Papo, vi fu l'esodo dei 350 o 380 mila italiani dall'Istria, da Fiume e dalla Dalmazia. Scrive il Pitamitz: «Città grandi e piccole, paesi e borghi si svuotarono letteralmente. Vi rimasero solo gli slavi, dove erano minoranza, e talvolta nemmeno loro. Furono infatti circa 10 mila gli istriani e croati che si trasferirono nella penisola conservando la cittadinanza italiana, mentre altri 40 mila emigrarono all'estero. Fiume italiana contava 66 mila abitanti, se ne andarono in 58 mila. Pola ne contava 40 mila, partirono in 36 mila. Più di 380 mila persone abbandonarono le loro case, la quasi totalità, anche se si continua a dire che se ne andarono solo quelli che avevano qualcosa da perdere, cioè i capitalisti, i borghesi, i fascisti: e come tali in Italia gli esuli furono accolti dai comunisti e dalla loro stampa, che li definì "criminali fascisti sfuggiti al giusto castigo". A Venezia, per i primi profughi da Pola, che arrivarono su una nave, ci furono sputi e fischi». È notorio, infatti, che quando Pola nell'arco di un mese si svuotò totalmente e fu portato via anche il feretro di Nazario Sauro, questo fu accolto dagli sputi a Venezia. È famosa, per esempio, la vicenda del treno dei profughi ai quali la Croce rossa doveva dare, alla stazione di Bologna, un po' di acqua e un po' di latte, che non fu fatto fermare.
Queste vicende fanno parte della storia, ma mi fermo qui, altrimenti andremmo magari a finire a parlare di qualcosa che non rientra in quello che ci siamo ripromessi di discutere questa sera.
Ripeto: tutti loro non hanno avuto un riconoscimento dall'Italia. Penso, anche se abbiamo poco tempo nel corso di questa legislatura, che abbiamo la possibilità «storica» di sanare questa grande ingiustizia. A questa gente che ha fatto un grande sacrificio, che ha subito un vero e proprio grande martirio di italianità e di libertà, l'Italia ha il dovere di dare un riconoscimento: una medaglietta che non costa nulla e che rappresenta, però, un grande e profondo significato morale e nazionale che non dubito vorremmo dare, a 50 e più anni da quei fatti, con il consenso e l'assenso di tutte le forze parlamentari, di tutti gli italiani di buona volontà.

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2) Proposta di legge per l'istituzione del "Giorno della Memoria e della Testimonianza" del 12 febbraio 2003.

Gianfranco Fini, due giorni fa, aveva assicurato l'impegno del governo per fare in modo che la tragedia degli esuli giuliano-dalmati fosse ricordata in modo degno, divenendo un momento unificante per tutta la Patria. Ieri Alleanza nazionale ha chiesto che la proposta di legge per l'istituzione del "Giorno della Memoria e della Testimonianza" in ricordo degli esuli giuliano-dalmati sia calendarizzata ed approvata in tempi brevi. L'obiettivo, ha spiegato il primo firmatario della Pdl Roberto Menia, è di celebrare il prossimo anno, il 10 febbraio, il Giorno della Memoria "con tutti i crismi dell'ufficialità".
La proposta, illustrata ieri in una conferenza stampa dal capogruppo di An alla Camera Ignazio La Russa, oltre allo stesso Menia, dal presidente della commissione Esteri di Montecitorio Gustavo Selva, dal deputato di An Giulio Conti e dal presidente della Provincia di Trieste Fabio Scoccimarro, è stata sottoscritta da tutti e 99 i parlamentari di An ed ha già ricevuto il sostegno di autorevoli esponenti dell'opposizione, come ha ricordato Menia, quali il capogruppo dei Ds alla Camera Luciano Violante ed il capogruppo della Margherita al Senato Willer Bordon, triestino.
"Speriamo - hanno auspicato Menia e La Russa - che altri parlamentari si uniscano a questa iniziativa". Nella primo articolo della proposta di legge si stabilisce che "la Repubblica italiana riconosce il giorno 10 febbraio, data del Trattalo di pace che nel 1947 sancì il distacco dalla Madrepatria delle terre d'Istria, Fiume e Dalmazia "Giorno nazionale della Memoria e della testimonianza", al fine di ricordare, di far conoscere e perpetuare la millenaria storia e presenza italica nelle stesse, nonché la tragedia delle migliaia di infoibati e dell'esodo di 350 mila italiani nel secondo dopoguerra". Nel secondo articolo si stabilisce invece che "in occasione del "Giorno nazionale della memoria e della Testimonianza" sono organizzate cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di
narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole". Menia ha voluto sottolineare il valore "morale, nazionale e storico" della proposta di legge depositata "simbolicamente" il 9 febbraio, il giorno prima della Giornata della Memoria celebrata dalle associazioni degli esuli giulianodalmati, e alla quale "per la prima volta - ha rilevato Menia - il governo ha ufficialmente partecipato".
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3) Il testo della proposta di legge che andrà in discussione alla Camera il prossimo 9 febbraio (inserito il 6 febbraio 2004).

Il testo che si presenta riprende quello che nella scorsa legislatura è stato approvato dalla Camera dei deputati. Il testo proposto tiene quindi, in larga parte, conto delle modifiche che la Commissione e successivamente l'Assemblea avevano apportato al testo originario presentato nella passata legislatura (atto Camera n. 1563).


Art. 1
1. Al coniuge superstite, ai figli, ai nipoti e, in loro mancanza, ai congiunti fino al sesto grado di coloro che, dall' 8 settembre 1943 al 10 febbraio 1947 in Istria, in Dalmazia o
nelle province dell'attuale confine orientale, sono stati soppressi e infoibati, nonché ai soggetti di cui al comma 2, è concessa, a domanda ed a titolo onorifico senza assegni, una apposita insegna metallica con relativo diploma nei limiti dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 5, comma 1.
2. Agli infoibati sono assimilati, a tutti gli effetti, gli scomparsi e quanti, nello stesso periodo e nelle stesse zone sono stati soppressi mediante annegamento, fucilazione, massacro, attentato, in qualsiasi modo perpetrati. Il riconoscimento può essere concesso anche ai congiunti dei cittadini italiani che persero la vita dopo il 10 febbraio 1947, ed entro l'anno 1950, qualora la morte sia sopravvenuta in conseguenza di torture, deportazione e prigionia, escludendo quelli che sono morti in combattimento.
3. Sono esclusi dal riconoscimento coloro che sono stati soppressi nei modi e nelle zone di cui ai commi 1 e 2 mentre facevano volontariamente parte di formazioni non a servizio dell'Italia.
Art. 2
1. Le domande, su carta libera, dirette alla Presidenza del Consiglio dei ministri, devono essere corredate da una dichiarazione sostitutiva di atto notorio con la descrizione del fatto, della località, della data in cui si sa o si ritiene sia avvenuta la soppressione o la scomparsa del congiunto, allegando ogni documento possibile, eventuali testimonianze, nonché riferimenti a studi, pubblicazioni e memorie sui fatti.
2. Le domande devono essere presentate entro il termine di dieci anni dalla data di entrata in vigore della presente legge. Dopo il completamento dei lavori della commissione di cui all'articolo 3, tutta la documentazione raccolta viene devoluta all'Archivio centrale dello Stato.
Art. 3
1. Presso la Presidenza del Consiglio dei ministri è costituita una commissione di nove membri, presieduta dal Presidente del Consiglio dei ministri o da persona da lui delegata, dai capi servizio degli uffici storici degli stati maggiori dell'Esercito, della Marina, dell'Aeronautica e dell'Arma dei Carabinieri, da due rappresentanti del comitato per
le onoranze ai caduti delle foibe, da un esperto designato dall'Istituto regionale per la cultura istriana di Trieste, da un esperto designato dalla Federazione delle associazioni
degli esuli dell'Istria, di Fiume e della Dalmazia, nonché da un funzionario del Ministero dell'Interno. (...)
Art. 4
1. L' insegna metallica ed il diploma a firma del Presidente della Repubblica sono consegnati annualmente con cerimonia collettiva.
2. La commissione di cui all'articolo 3 è insediata entro due mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge e procede immediatamente alla determinazione delle caratteristiche dell'insegna metallica in acciaio brunito e smalto, con la scritta "La Repubblica italiana ricorda", nonché del diploma.

L'emendamento.

Art. 1

1. La Repubblica riconosce il giorno 10 febbraio, quale «Giorno del Ricordo» al fine di ricordare la tragedia degli italiani uccisi nelle foibe e l'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra.

2. Nella giornata di cui al comma 1 sono previste iniziative per diffondere la conoscenza dei tragici eventi presso i giovani delle scuole di ogni ordine e grado. E altresì favorita la realizzazione di studi, convegni, incontri e dibattiti in modo da conservare la memoria di quelle vicende.

3. Il «Giorno del Ricordo» di cui al comma 1 è consi­derato solennità civile ai sensi dell'articolo 3 della legge 27 maggio 1949, n. 260. Esso non determina riduzione dell'orario di lavoro degli uffici pubblici, né, qualora cada in giorni feriali, costituisce giorno di vacanza o comporta riduzione di orario per le scuole di ogni ordine e grado, ai sensi degli articoli 2 e 3 della legge 5 marzo 1977 n. 54.

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4) Aggiornamento dell' 11 febbraio 2004: il testo di legge com'è stato approvato dalla Camera.

Art. 1.
1. La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale "Giorno del ricordo" al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale.
2. Nella giornata di cui al comma 1 sono previste iniziative per diffondere la conoscenza dei tragici eventi presso i giovani delle scuole di ogni ordine e grado. È altresì favorita, da parte di istituzioni ed enti, la realizzazione di studi, convegni, incontri e dibattiti in modo da conservare la memoria di quelle vicende. Tali iniziative sono, inoltre, volte a valorizzare il patrimonio culturale, storico, letterario e artistico degli italiani dell'Istria, di Fiume e delle coste dalmate, in particolare ponendo in rilievo il contributo degli stessi, negli anni trascorsi e negli anni presenti, allo sviluppo sociale e culturale del territorio della costa nord-orientale adriatica ed altresì a preservare le tradizioni delle comunità istriano-dalmate residenti nel territorio nazionale e all'estero.
3. Il "Giorno del ricordo" di cui al comma 1 è considerato solennità civile ai sensi dell'articolo 3 della legge 27 maggio 1949, n. 260. Esso non determina riduzioni dell'orario di lavoro degli uffici pubblici né, qualora cada in giorni feriali, costituisce giorno di vacanza o comporta riduzione di orario per le scuole di ogni ordine e grado, ai sensi degli articoli 2 e 3 della legge 5 marzo 1977, n. 54.
4. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Art. 2.
1. Sono riconosciuti il Museo della civiltà istriano-fiumano-dalmata, con sede a Trieste, e l'Archivio museo storico di Fiume, con sede a Roma. A tale fine, è concesso un finanziamento di 100.000 euro annui a decorrere dall'anno 2004 all'Istituto regionale per la cultura istriano-fiumano-dalmata (IRCI), e di 100.000 euro annui a decorrere dall'anno 2004 alla Società di studi fiumani.
2. All'onere derivante dall'attuazione del presente articolo, pari a 200.000 euro annui a decorrere dall'anno 2004, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2004-2006, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2004, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero. 
3. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
Art. 3.
1. Al coniuge superstite, ai figli, ai nipoti e, in loro mancanza, ai congiunti fino al sesto grado di coloro che, dall'8 settembre 1943 al 10 febbraio 1947 in Istria, in Dalmazia o nelle province dell'attuale confine orientale, sono stati soppressi e infoibati, nonché ai soggetti di cui al comma 2, è concessa, a domanda e a titolo onorifico senza assegni, una apposita insegna metallica con relativo diploma nei limiti dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 7, comma 1.
2. Agli infoibati sono assimilati, a tutti gli effetti, gli scomparsi e quanti, nello stesso periodo e nelle stesse zone, sono stati soppressi mediante annegamento, fucilazione, massacro, attentato, in qualsiasi modo perpetrati. Il riconoscimento può essere concesso anche ai congiunti dei cittadini italiani che persero la vita dopo il 10 febbraio 1947, ed entro l'anno 1950, qualora la morte sia sopravvenuta in conseguenza di torture, deportazione e prigionia, escludendo quelli che sono morti in combattimento.
3. Sono esclusi dal riconoscimento coloro che sono stati soppressi nei modi e nelle zone di cui ai commi 1 e 2 mentre facevano volontariamente parte di formazioni non a servizio dell'Italia.
Art. 4.
1. Le domande, su carta libera, dirette alla Presidenza del Consiglio dei ministri, devono essere corredate da una dichiarazione sostitutiva di atto notorio con la descrizione del fatto, della località, della data in cui si sa o si ritiene sia avvenuta la soppressione o la scomparsa del congiunto, allegando ogni documento possibile, eventuali testimonianze, nonché riferimenti a studi, pubblicazioni e memorie sui fatti.
2. Le domande devono essere presentate entro il termine di dieci anni dalla data di entrata in vigore della presente legge. Dopo il completamento dei lavori della commissione di cui all'articolo 5, tutta la documentazione raccolta viene devoluta all'Archivio centrale dello Stato. 
Art. 5.
1. Presso la Presidenza del Consiglio dei ministri è costituita una commissione di dieci membri, presieduta dal Presidente del Consiglio dei ministri o da persona da lui delegata, dai capi servizio degli uffici storici degli stati maggiori dell'Esercito, della Marina, dell'Aeronautica e dell'Arma dei Carabinieri, da due rappresentanti del comitato per le onoranze ai caduti delle foibe, da un esperto designato dall'Istituto regionale per la cultura istriano-fiumano-dalmata di Trieste, da un esperto designato dalla Federazione delle associazioni degli esuli dell'Istria, di Fiume e della Dalmazia, nonché da un funzionario del Ministero dell'interno. La partecipazione ai lavori della commissione avviene a titolo gratuito. La commissione esclude dal riconoscimento i congiunti delle vittime perite ai sensi dell'articolo 3 per le quali sia accertato, con sentenza, il compimento di delitti efferati contro la persona.
2. La commissione, nell'esame delle domande, può avvalersi delle testimonianze, scritte e orali, dei superstiti e dell'opera e del parere consultivo di esperti e studiosi, anche segnalati dalle associazioni degli esuli istriani, giuliani e dalmati, o scelti anche tra autori di pubblicazioni scientifiche sull'argomento.
Art. 6.
1. L'insegna metallica e il diploma a firma del Presidente della Repubblica sono consegnati annualmente con cerimonia collettiva.
2. La commissione di cui all'articolo 5 è insediata entro due mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge e procede immediatamente alla determinazione delle caratteristiche dell'insegna metallica in acciaio brunito e smalto, con la scritta "La Repubblica italiana ricorda", nonché del diploma.
3. Al personale di segreteria della commissione provvede la Presidenza del Consiglio dei ministri.
Art. 7.
1. Per l'attuazione dell'articolo 3, comma 1, è autorizzata la spesa di 172.508 euro per l'anno 2004. Al relativo onere si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2004-2006, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2004, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.
2. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
3. Dall'attuazione degli articoli 4, 5 e 6 non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

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5) Aggiornamento del 25 febbraio 2004: la Commissione 1^ Affari costituzionali, in sede referente (seduta n.374), ha stabilito il rinvio dell'esame del disegno di legge n. 2752.

Per visitare il sito ufficiale del Senato e gli atti ufficiali clicca qui (link a sito esterno).

COMMISSIONE AFFARI COSTITUZIONALI (1a)  - MERCOLEDÌ 25 FEBBRAIO 2004 - 374a Seduta. Presidenza del Presidente - PASTORE 

Intervengono i sottosegretari di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri Brancher e Saporito. La seduta inizia alle ore 14,40. 

IN SEDE REFERENTE 

(2752) Deputato MENIA. - Istituzione del " Giorno del ricordo " in memoria delle vittime delle foibe dell' esodo giuliano - dalmata, delle vicende del confine orientale e concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati,approvato dalla Camera dei deputati 
(2189) STIFFONI ed altri. - Istituzione della " Giornata della memoria e dell' orgoglio dedicata agli esuli istriano - dalmati " 
(2743) BORDON. - Istituzione del " Giorno della memoria " dell' esodo degli istriani, fiumani e dalmati 
(Esame congiunto e rinvio) 

Il relatore MAGNALBO' (AN) illustra le iniziative legislative in titolo, volte a prevedere la concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati e a istituire una Giornata del ricordo delle vittime delle foibe. Propone di assumere il disegno di legge n. 2752 quale testo base dell’esame. 

Si tratta, a suo giudizio, di una delle più grandi vergogne del ‘900 che ha colpito una popolazione indebolita e affranta dal trasferimento della propria terra a una comunità diversa da quella di origine, in base al trattato di Parigi del febbraio 1947. In quella occasione circa 357 mila profughi abbandonarono le città istriane ma altre migliaia di persone rimaste nelle terre d’origine furono perseguite e torturate fino ad essere uccise nelle foibe. Dopo un lungo periodo storico in cui, a suo avviso, non si è voluto riconoscere onore e memoria, rendendo quelle vittime diverse rispetto a quelle di altri genocidi, con il provvedimento in titolo si tenta oggi di porre rimedio, riconoscendo il dolore estremo dei soggetti che subirono quelle violenze e dei loro familiari.
Si sofferma quindi in particolare, sul contenuto normativo del disegno di legge n. 2752. 
Esso, all’articolo 1, riconosce il 10 febbraio quale “Giorno del ricordo” e specifica che si tratta di solennità civile che non determina riduzioni nell’orario di lavoro né costituisce giorno di vacanza nelle scuole. 
L’articolo 2 concede un finanziamento all’Istituto regionale per la cultura istriano-fiumano-dalmata e alla società di studi fiumani e riconosce il Museo della civiltà istriano-fiumano-dalmata con sede a Trieste e l’Archivio Museo storico di Fiume con sede a Roma. 
L’articolo 3 riconosce ai parenti superstiti un'insegna onorifica a domanda, previa verifica dei requisiti da parte di una Commissione costituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. 
L’articolo 6 stabilisce che l’onorificenza è consegnata annualmente con cerimonia collettiva. Conclude auspicando la rapida approvazione del disegno di legge in titolo.

Il presidente PASTORE, considerato che il calendario dei lavori d'Assemblea prevede l'inizio dell'esame dei disegni di legge in titolo nella seduta antimeridiana del prossimo 4 marzo, propone di fissare sin d'ora il termine per la presentazione di eventuali emendamenti, che si intendono riferiti al disegno di legge n. 2752, assunto a base dell’esame, alle ore 18 di lunedì 1° marzo, ferma la possibilità di svolgere interventi nella discussione generale. 

La Commissione conviene. Il seguito dell’esame è quindi rinviato. Proseguirà: martedì 2 marzo alle ore 15.

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6) Aggiornamento del 4 marzo 2004: la 1^ Commissione del Senato ha approvato l'istituzione del "Giorno del ricordo".

Quella tragedia tutta italiana che furono, durante la seconda guerra mondiale, le foibe ed il conseguente esodo giuliano-dalmata ha compiuto un altro passo verso il riconoscimento nazionale. È stato infatti approvato ieri (3 marzo n.d.r.) dal Senato il disegno di legge n.2752, di iniziativa del deputato Menia, per l’istituzione del "Giorno del ricordo" in memoria delle vittime delle foibe dell'esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale e concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati.
Già approvato dalla Camera, il disegno di legge ha ottenuto il via libera della Commissione Affari Costituzionali, che ha conferito al relatore Magnalbò il mandato a riferire all'Assemblea per l'approvazione del disegno di legge n.2752, nel quale dovranno intendersi assorbite le altre iniziative legislative in titolo, con la richiesta di autorizzazione a svolgere una relazione orale. È stato dunque fissato ad oggi, giovedì 4 marzo, entro le 19, il termine ultimo per la presentazione di eventuali emendamenti.  La discussione riprenderà, quindi, la prossima settimana. I lavori sono infatti calendarizzati a martedì 9 marzo e mercoledì 10 marzo.

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7) Aggiornamento del 18 aprile 2004: il testo di legge definitivo.

Istituzione del "Giorno del ricordo" in memoria delle vittime delle foibe, dell'esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale e concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati.
Art. 1.
1. La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale "Giorno del ricordo" al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale.
2. Nella giornata di cui al comma 1 sono previste iniziative per diffondere la conoscenza dei tragici eventi presso i giovani delle scuole di ogni ordine e grado. È altresì favorita, da parte di istituzioni ed enti, la realizzazione di studi, convegni, incontri e dibattiti in modo da conservare la memoria di quelle vicende. 
Tali iniziative sono, inoltre, volte a valorizzare il patrimonio culturale, storico, letterario e artistico degli italiani dell'Istria, di Fiume e delle coste dalmate, in particolare ponendo in rilievo il contributo degli stessi, negli anni trascorsi e negli anni presenti, allo sviluppo sociale e culturale del territorio della costa nord-orientale adriatica ed altresì a preservare le tradizioni delle comunità istriano-dalmate residenti nel territorio nazionale e all'estero.
3. Il "Giorno del ricordo" di cui al comma 1 è considerato solennità civile ai sensi dell'articolo 3 della legge 27 maggio 1949, n. 260. Esso non determina riduzioni dell'orario di lavoro degli uffici pubblici nè, qualora cada in giorni feriali, costituisce giorno di vacanza o comporta riduzione di orario per le scuole di ogni ordine e grado, ai sensi degli articoli 2 e 3 della legge 5 marzo 1977, n. 54.
4. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.


Art. 2.
1. Sono riconosciuti il Museo della civiltà istriano-fiumano-dalmata, con sede a Trieste, e l'Archivio museo storico di Fiume, con sede a Roma. A tale fine, è concesso un finanziamento di 100.000 euro annui a decorrere dall'anno 2004 all'Istituto regionale per la cultura istriano-fiumano-dalmata (IRCI), e di 100.000 euro annui a decorrere dall'anno 2004 alla Società di studi fiumani.
2. All'onere derivante dall'attuazione del presente articolo, pari a 200 mila euro annui a decorrere dall'anno 2004, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2004-2006, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2004, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero. 
3. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.


Art. 3.
1. Al coniuge superstite, ai figli, ai nipoti e, in loro mancanza, ai congiunti fino al sesto grado di coloro che, dall'8 settembre 1943 al 10 febbraio 1947 in Istria, in Dalmazia o nelle province dell'attuale confine orientale, sono stati soppressi e infoibati, nonchè ai soggetti di cui al comma 2, è concessa, a domanda e a titolo onorifico senza assegni, una apposita insegna metallica con relativo diploma nei limiti dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 7, comma 1.
2. Agli infoibati sono assimilati, a tutti gli effetti, gli scomparsi e quanti, nello stesso periodo e nelle stesse zone, sono stati soppressi mediante annegamento, fucilazione, massacro, attentato, in qualsiasi modo perpetrati. 
Il riconoscimento può essere concesso anche ai congiunti dei cittadini italiani che persero la vita dopo il 10 febbraio 1947, ed entro l'anno 1950, qualora la morte sia sopravvenuta in conseguenza di torture, deportazione e prigionia, escludendo quelli che sono morti in combattimento.
3. Sono esclusi dal riconoscimento coloro che sono stati soppressi nei modi e nelle zone di cui ai commi 1 e 2 mentre facevano volontariamente parte di formazioni non a servizio dell'Italia.


Art. 4.
1. Le domande, su carta libera, dirette alla Presidenza del Consiglio dei ministri, devono essere corredate da una dichiarazione sostitutiva di atto notorio con la descrizione del fatto, della località, della data in cui si sa o si ritiene sia avvenuta la soppressione o la scomparsa del congiunto, allegando ogni documento possibile, eventuali testimonianze, nonché riferimenti a studi, pubblicazioni e memorie sui fatti.
2. Le domande devono essere presentate entro il termine di dieci anni dalla data di entrata in vigore della presente legge. Dopo il completamento dei lavori della commissione di cui all'articolo 5, tutta la documentazione raccolta viene devoluta all'Archivio centrale dello Stato.


Art. 5.
1. Presso la Presidenza del Consiglio dei ministri è costituita una commissione di dieci membri, presieduta dal Presidente del Consiglio dei ministri o da persona da lui delegata, e composta dai capi servizio degli uffici storici degli stati maggiori dell'Esercito, della Marina, dell'Aeronautica e dell'Arma dei Carabinieri, da due rappresentanti del comitato per le onoranze ai caduti delle foibe, da un esperto designato dall'Istituto regionale per la cultura istriano-fiumano-dalmata di Trieste, da un esperto designato dalla Federazione delle associazioni degli esuli dell'Istria, di Fiume e della Dalmazia, nonchè da un funzionario del Ministero dell'interno. La partecipazione ai lavori della commissione avviene a titolo gratuito. 
La commissione esclude dal riconoscimento i congiunti delle vittime perite ai sensi dell'articolo 3 per le quali sia accertato, con sentenza, il compimento di delitti efferati contro la persona.
2. La commissione, nell'esame delle domande, può avvalersi delle testimonianze, scritte e orali, dei superstiti e dell'opera e del parere consultivo di esperti e studiosi, anche segnalati dalle associazioni degli esuli istriani, giuliani e dalmati, o scelti anche tra autori di pubblicazioni scientifiche sull'argomento.


Art. 6.
1. L'insegna metallica e il diploma a firma del Presidente della Repubblica sono consegnati annualmente con cerimonia collettiva.
2. La commissione di cui all'articolo 5 è insediata entro due mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge e procede immediatamente alla determinazione delle caratteristiche dell'insegna metallica in acciaio brunito e smalto, con la scritta "La Repubblica italiana ricorda", nonché del diploma.
3. Al personale di segreteria della commissione provvede la Presidenza del Consiglio dei ministri.


Art. 7.
1. Per l'attuazione dell'articolo 3, comma 1, è autorizzata la spesa di 172.508 euro per l'anno 2004. Al relativo onere si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2004-2006, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2004, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.
2. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
3. Dall'attuazione degli articoli 4, 5 e 6 non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. 

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Altre iniziative (interrogazioni, mozioni e interpellanze varie).

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- Ordine del giorno presentato a Reggio Emilia dai consiglieri provinciali di An. (31/01/2006).

I consiglieri provinciali di Alleanza Nazionale Leopoldo Barbieri Manodori e Giuseppe Pagliani hanno presentato un ordine del giorno nel quale ricordano che "il Parlamento italiano ha istituito il 10 febbraio quale "Giorno del ricordo" al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe. Nella stessa giornata sono previste, per legge, iniziative per diffondere la conoscenza dei tragici eventi presso i giovani delle scuole di ogni ordine e grado ed è altresì favorita, da parte di istituzioni ed enti, la realizzazione di studi, convegni, incontri e dibattiti in modo da conservare la memoria di quelle vicende". I consiglieri Barbieri Manodori e Pagliani chiedono dunque alla Provincia di "celebrare adeguatamente la ricorrenza del 10 febbraio attraverso iniziative mirate" e "ad illuminare l’intera facciata di Palazzo Ducale, sede della Provincia, con luci tricolori in segno di partecipazione dell’Ente alle celebrazioni". Chiedono anche la convocazione di "una seduta straordinaria del Consiglio provinciale per la trattazione, come unico punto all’ordine del giorno, della richiesta di intitolazione di una via, una piazza, una scuola, un teatro o altro edificio pubblico significativo, ai martiri delle foibe e agli esuli di Istria, Fiume e Dalmazia".

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- Mozione presentata a Carini (PA) dal Consigliere Monterosso in occasione della "Giornata del Ricordo" 2006 (19/01/'06)

Per visualizzare il documento clicca qui, si aprirà un file pdf (visibile tramite Acrobat Reader)

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- Interrogazione al Parlamento Europeo presentata dall’On. Luca Romagnoli del Movimento Sociale – Fiamma Tricolore venerdì 24 giugno.
Ecco il testo completo della interrogazione:

“In Europa durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale si sono verificati esodi di popolazioni autoctone forzate all'abbandono di terre e proprietà; tra queste le popolazioni dei territori di Istria, Fiume e Dalmazia.

In questi territori, da oltre sessanta anni, è in atto una sistematica rimozione di quanto è riconducibile alla presenza italiana, financo le tombe.
Si interrogano il Consiglio e la Commissione:
- quali iniziative sono state programmate per la restituzione dei beni nazionalizzati dalla Jugoslavia e mai restituiti da Slovenia e Croazia o, in alternativa, per la liquidazione dell’indennizzo equo e definitivo da parte dell’Italia?
- in che modo è previsto il riconoscimento da parte di Slovenia e Croazia della violazione dei diritti umani nei confronti degli esuli?
- in quale modo si prevede di salvaguardare il patrimonio culturale, storico, linguistico italiano nei territori ceduti alla ex-Jugoslavia?
- come si prevede di intervenire per salvaguardare la rimozione delle tombe italiane nei cimiteri di Istria, Fiume e Dalmazia?
- quando verrà istituita la “Giornata dei Diritti degli Esuli” da celebrarsi solennemente, ogni anno, in tutte le Nazioni della U.E.?
- se non ritengano pregiudizievole all'eventuale inizio delle trattative d'adesione della Croazia all'UE, la risoluzione di quanto sopra.
- se non ritengano che la Slovenia, paese membro dell'UE, debba, alla luce dei trattati comunitari formalmente accettati, aderire a quanto sopra.”

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- Progetto di legge 3481  


Onorevoli Colleghi! - Una nazione come la nostra ha la necessità di organizzare la sua vita intorno a valori unanimemente condivisi, al contrario essa sarà preda di periodiche convulsioni difficilmente controllabili e gestibili. La condivisione dei valori civili non può che fondarsi sull'acquisizione della verità dei fatti che circa cinquant'anni fa divisero brutalmente gli italiani. Al di là degli specifici episodi di guerra, ed in particolare di quelli verificatisi tra il 1943 ed il 1945, dopo la fine delle ostilità si registrarono barbari eccidi motivati dal furore ideologico dell'epoca sui quali ancora non sono stati compiuti i doverosi accertamenti al fine di individuare con chiarezza le responsabilità morali, se non quelle materiali, di quei crimini. L'Italia non può portarsi dietro il pesante fardello dell'oblio, mentre dai settori più sensibili dell'opinione pubblica e della classe politica s'invoca una pacificazione reale e non di "maniera" tra gli italiani. Continuare ad ignorare i frutti avvelenati della guerra civile non aiuta a compiere significativi passi avanti sulla via della concordia e lascia nelle generazioni future il dubbio che la nostra Patria attuale sia l'eredità di una sola parte di italiani. Noi, come rappresentanti della nazione, abbiamo il dovere di provvedere ad illuminare gli angoli più bui della nostra storia collettiva, con gli strumenti consentiti dalle leggi, perché venga ristabilita la verità nell'interesse esclusivo degli italiani di domani ed in ossequio alla memoria di chi venne falciato dall'odio in anni terribili e tumultuosi. Nel 1990 l'ex-partigiano Otello Montanari chiese a gran voce che si facesse luce sui crimini avvenuti subito dopo il 25 aprile 1945: fatti di sangue commessi in gran parte da comunisti non soltanto nel cosiddetto "triangolo della morte" tra Campagnola, Correggio, San Martino in Rio, nell'Emilia, ma in tutta l'Italia del nord. Non è stato possibile conoscere il numero esatto degli assassinati, quasi mai l'identità degli esecutori e dei mandanti. I non molti processi celebrati non hanno mai dato risposte adeguate. Le inchieste degli organi di polizia sono sempre state ostacolate. E, anche coloro che furono raggiunti dalla giustizia, hanno poi usufruito, in numerosi casi, dell'amnistia di Togliatti o di provvedimenti di grazia come quello di cui è stato beneficiario, da parte del Presidente Pertini, il partigiano "rosso" Mario Toffanin, comandante della banda che il 7 febbraio 1945 compì la strage di Malga Porzus, uccidendo 17 partigiani bianchi della "Osoppo", tra i quali Guido Alberto Pasolini, detto Ermes, fratello del noto scrittore e poeta. Per quanto riguarda la tragedia delle foibe, non possiamo dimenticare, onorevoli colleghi, che le cosiddette "stragi dimenticate" ebbero inizio a Fiume, in Istria, nella Venezia Giulia e in Dalmazia già durante la seconda guerra mondiale. Dalla fine del 1943 sino a tutto il 1947 in questi territori che, proprio cinquant'anni fa con il diktat (eufemisticamente definito "Trattato di pace") furono ceduti alla Jugoslavia, si scatenò, con odio e violenza, la caccia all'italiano o a chi, anche solo potenzialmente, poteva apparire contrario all'annessione e alla conseguente slavizzazione forzosa. Degli eccidi, in tutti questi anni, si è saputo poco. Nulla sui libri di scuola, quasi nulla è emerso a livello giudiziario. La cultura ufficiale si è disinteressata totalmente di questa e altre atrocità commesse dai titini. Già nell'autunno del 1943 in Istria i partigiani jugoslavi utilizzarono le foibe per gettarvi dentro uomini e donne, spesso ancora vivi, legati l'uno all'altro per i polsi con del filo di ferro, che avevano la sola colpa di essere e di sentirsi italiani. In Dalmazia vennero usati altri mezzi per far scomparire gli avversari, come l'affogamento (talvolta anche di massa) nelle acque dell'Adriatico. Nel Quarnaro assassinii, torture, sparizioni furono, dal maggio 1945, all'ordine del giorno. A Fiume vennero uccisi (e ancora oggi non si conoscono ufficialmente i luoghi di sepoltura) due senatori del regno, Bacci e Gigante; furono torturati ex-legionari dannunziani (ricordiamo Adolfo Landriani); centinaia di carabinieri, finanzieri e poliziotti sparirono letteralmente nel nulla. Dopo la fine della guerra, nel maggio 1945, i marò della X^ Mas del battaglione "Gabriele D'Annunzio" che si trovavano tra Fiume e Laurana furono addirittura tagliati a pezzi. E altrettanto accadde agli uomini della X^ di stanza a Pola, a Lussinpiccolo e in altre località istriane. Il terrore scese così, come una nube nera, offuscando pietà, verità e giustizia su tutto il territorio dell'Istria e del Quarnaro. A Trieste, durante il breve periodo dell'occupazione jugoslava, le foibe di Basovizza e Monrupino, si riempirono di corpi di italiani e di italiane, di soldati tedeschi e perfino di militari australiani facenti parte del corpo d'occupazione. Solo recentemente la magistratura italiana ha dato l'avvio alla fase istruttoria contro assassini che vivono tranquillamente in Croazia e in Slovenia, spesso beneficiari di pensioni concesse loro dallo Stato italiano per mezzo dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS). Il tribunale del riesame di Roma, occupandosi degli eccidi delle foibe titine, nel non escludere a priori il delitto di genocidio, è ricorso a tale configurazione per poter punire i responsabili di delitti tanto atroci, i più gravi previsti dal nostro codice penale. Dopo il capitolo delle foibe si va già aprendo quello dei campi di prigionia allestiti in Italia dagli alleati, in particolare quelli di Coltano e Taranto, mentre prendono sempre più corpo racconti di avvenimenti consumati in violazione della Convenzione di Ginevra sui prigionieri di guerra ed in dispregio dell'inalienabile diritto alla tutela ed alla dignità dei singoli soggetti. Le motivazioni del tribunale dell'Aja per l'arresto dei leader serbi, Karadzic e Mladic, configuranti il genocidio e la pulizia etnica, delineano quanto già ricordato nella Venezia Giulia e in Dalmazia tra il 1943 ed il 1947.
La Commissione parlamentare di inchiesta bicamerale che con questa proposta di legge si chiede di istituire, dovrebbe avere il preciso scopo di realizzare completi e rigorosi accertamenti sui capitoli più inquietanti ed oscuri della storia italiana degli ultimi cinquant'anni; non per fare ciò che i tribunali della Repubblica non hanno saputo o potuto fare, ma per restituire ai morti la giustizia che è stata loro negata, attraverso l'impegno di un libero Parlamento ad approfondire le ragioni dei crimini commessi mezzo secolo fa e, possibilmente, trovare le risposte alle domande che da tempo l'opinione pubblica si pone.
La rimozione nuoce al rinsaldarsi delle motivazioni identitarie della nazione. L'Italia ha bisogno di ricordare per potersi ridefinire come comunità. E' questo lo scopo ultimo cui tende la presente proposta di legge il cui spirito non è quello di cercare postume ed inutili vendette, ma di contribuire alla creazione di nuovi legami nazionali nel quadro di una pacificazione fondata sulla verità.
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- Progetto di legge 6724


Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge si prefigge un obiettivo semplice e significativo, ovvero la concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati.
E' un atto di civile memoria. La Repubblica italiana si fa carico di tutte le memorie e dunque considera un proprio dovere attestare tale memoria attraverso il riconoscimento ufficiale dei congiunti delle vittime. Così un capitolo del nostro passato che a lungo non ha trovato spazio nella memoria storica degli italiani può essere ricordato.
Chi sono gli infoibati?
Letteralmente, gli inumati nelle foibe; storicamente, i caduti, dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, di due successive ondate di violenza operate dal movimento di liberazione jugoslavo nel settembre-ottobre del 1943 e nel maggio-giugno del 1945, particolarmente contro gli italiani della Venezia Giulia. Caduti, i cui corpi furono gettati nelle foibe. Cosa sono le foibe?
Voragini, cavità profonde di origine carsica presenti in tutto il territorio che va dalla zona del Carso goriziano e triestino alla Corniola interna e all'Istria.
Esse sono state usate, dunque, come luoghi di esecuzioni sommarie e perciò stesso sono divenute simbolo di violenza e morte. In questa sede non siamo chiamati ad un'esegesi storica, a indicare le categorie, i motivi, i caratteri dei progetti dell'esercito vincitore, né gli atti dell'esercito italiano di occupazione. Il numero complessivo delle vittime della prima ondata, corrispondente al primo momento di passaggio violento di potere, è stimato in circa cinque-seicento. In questo caso il computo è agevolato dalle fonti storiche che riportano azioni volte a circoscrivere tali fatti. Il numero delle vittime della seconda ondata, anch'essa corrispondente al secondo momento di passaggio violento di potere, è più difficilmente quantificabile; il metodo di computo non può fare riferimento ad oggettive constatazioni e rischia di essere rispondente più a valutazioni di convenienza interpretativa di parte che a oggettive delimitazioni degli avvenimenti. Ecco perchè più che azzardare un numero, si può più correttamente fare una stima che tenendo conto sia di ricerche sia di consultazione di elenchi di scomparsi può attestarsi attorno ad alcune migliaia di persone. Si comprende bene da queste volutamente scarne valutazioni la necessità di un approfondimento storico nelle dovute sedi, di un dibattito storiografico in grado di tendere a linee meno divaricanti su punti controversi.
A noi interessa, però, in una complessiva riconsiderazione di tutti gli aspetti della nostra storia nazionale, anche di quelli che sono stati trascurati ingiustamente, che un particolare periodo del nostro passato contraddistinto da alcuni avvenimenti sia ricordato. Sia ricordato proprio perchè, riprendendo il fine della presente proposta di legge, la Repubblica si fa carico di tutte le memorie.

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- Interpellanza dell' On. Menia del 18 febbraio 1999.

(Processo relativo alle foibe).

PRESIDENTE. Passiamo all’interpellanza Menia n. 2-01625. L’onorevole Menia ha facoltà di illustrarla.

ROBERTO MENIA. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, la mia interpellanza, di alcuni giorni fa, non tiene conto di quanto è accaduto ieri, per cui ritengo opportuno aggiungere qualcosa quanto già è scritto, dopo aver inquadrato la questione. Alcuni anni fa, a seguito di una denuncia presentata alla procura di Roma sulla base di un articolo comparso su Il Secolo d’Italia, organo di Alleanza Nazionale, intitolato “Ma non dimentichiamo gli infoibati“, venivano raccontati i fatti avvenuti cinquant’anni fa, nei giorni crudi della fine della seconda guerra mondiale ed anche successivi alla fine della guerra. Si tratta di quel grande genocidio della comunità italiana che avvenne tra Trieste, Gorizia, l’Istria, Fiume e Zara: fatti terribili, perché  si ritiene siano stati 20 mila gli infoibati, includendo tra questi anche quelli fucilati, impiccati ai ganci da macelleria o annegati nel mare di Zara. Le foibe furono il triste prodromo del grande esodo di 350 mila italiani da quelle terre. Monsignor Santin, di Rovigno d’Istria e grande vescovo di Trieste, definì le foibe “calvari con il vertice sprofondato nelle viscere della terra “. Di queste vicende la magistratura non si era mai occupata, la storiografia ufficiale aveva ben pensato di nasconderle ed esigenze politiche di vario stampo avevano fatto sì che per cinquant’anni su questo capitolo si stendesse un colpevole velo di silenzio. Ora, come dicevo, è stata avviata un’indagine giudiziaria. In particolare, sono state indicate tre persone, tra i tanti, troppi assassini di italiani. Si tratta prima di tutto di Ivan Motika, chiamato “il boia di Pisino“: Pisino d’Istria, che diede i natali a Fabio Filzi, impiccato nel castello del Buonconsiglio insieme a Cesare Battisti; Pisino d’Istria, con il grande castello di Montecuccoli, che era diventato sede del tribunale del popolo in cui operava, per l’appunto, il Motika. A Pisino d’Istria c’è la grande foiba, quella che ispirò Verne nel Viaggio al centro della terra: luoghi di memorie di cose che stanno passando, il che fa tristezza. L’Italia non ricorda più, e la coscienza e la memoria italiana non conoscono più queste cose. Ivan Motika è morto nel corso degli ultimi mesi per cui si è sottratto a questo tipo di giurisdizione, ce ne è un’altra ben più alta! Lo stesso accadde ad Avianka Margetich, moglie del famigerato Zuti, “il giallo“, il capo dell’OZNA la polizia segreta titina di Fiume, il quale è ancora vivo. Oscar Piskulic, detto Zuti, è responsabile dell’uccisione di centinaia di italiani, a Fiume. In un’intervista di qualche anno fa si vantava delle sue azioni dicendo: “Rifarei assolutamente le stesse cose. Non ho infoibato nessuno perché le foibe a Fiume non c’erano, stanno in Istria. Ne ho fucilati, ma fucilati ce ne sono in tutte le guerre e da tutte le parti”! Ma come successe tutto questo e “perché ci comportammo così? Bisogna sapere che proprio alcuni italiani, a Fiume, - e ne conosco almeno cinque - pur essendo iscritti al partito fascista erano dei nostri informatori. Sulla base delle loro informazioni sapevamo chi e in quale modo appartenesse alle organizzazioni fasciste e dunque era giusto eliminarli”. Diceva poi: “Ce n’era uno, un poliziotto ben informato che ancora oggi vive in Italia ma non posso farne il nome”. Ho fatto questa citazione perché “parliamo di poliziotti, di Fiume, ed allora bisogna sapere che il dottor Amato, capo della questura di Fiume, venne fucilato il 16 giungo 1945, a guerra finita, nel campo di Grobnico, insieme ai seguenti agenti di pubblica sicurezza: Atzori Francesco, Avallone Raffaele, Azzaro Salvatore, Bartolomeo Salvatore, Blanchet Gennaro, Bolognini Dino, Bruno Luigi, Bufalini Augusto, Castriota Cosimo, Chiavelli Amelio, Cipolla Salvatore, Cirillo Guglielmo, Coniglio Filippo, Conti Giovannino, Corbo Giuseppe, Cozzella Luigi, De Benedetto Ernesto, Delle Fontane Giuseppe, Di Giacomo Salvatore, Ferrara Giovanni, Fiorentini Antonio, Frongia Giuseppe, Lanzardi Ettore, Grillo Edoardo, Grossetti Domenico, Innocenti Ettore, Laruccia Vito Mario, Lazzarini Angelo, Lenzi Ezechiele, Manno Barnaba, Marsala Gaetano, Melosu Ignazio, Minerva Matteo, Murgolo Giuseppe, Nesti Giovanni, Nicoletti Tullio,Nicotra Mario, Olivieri Antonino, Panattoni Secondo, Pirrello Antonio, Pissi Edoardo, Puglisi Antonino, Ranni Antonio, Riccio Aquino, Romagnuolo Fernando, Rosati Filippo, Rutigliano Tommaso, Salvatore Antonio, Santamaria Nicola, Sarcina Luigi, Scafetta Luigi, Sforza Giovanbattista, Sperduti Francesco, Lamantini Fabio, Valente Guido, Vendegna Mario, Verducci Vincenzo, Zamo Umberto, Zanini Bruno e Zito Mario. Sono questi gli agenti che in quanto italiani subirono le “belle” imprese del partigiano. Quest’ultimo diceva che in fin dei conti aveva provveduto soltanto a far fucilare dei fascisti. Peccato che fece anche rapire (e poi fatto sparire) da casa Angelo Adam, sopravvissuto a Dachau, oppure Adolfo Landriani, il guardiano dei giardinetti di Fiume (gli spaccarono la testa contro il soffitto della caserma perché volevano gridasse: “viva Fiume in Jugoslavia”, egli invece gridò : “viva l’Italia” e allora gli spaccarono la testa), oppure ancora Giuseppe Librio, un ragazzino che si arrampicò sul pennone di Piazza Dante per rimettere la bandiera italiana (fu finito con un colpo alla nuca da questo stesso personaggio e buttato nel molo Stocco). Vorrei capire quale differenza ci sia tra questo ed altri boia. Ricordo che un ministro della Repubblica prese personalmente delle decisioni che magari sotto il profilo giuridico potevano essere contestabili. Mi chiedo in coscienza se esista o meno un doppiopesismo per vicende che, in fin dei conti, hanno evidentemente lo stesso disvalore morale. Come è andato questo processo? Dapprima di fronte alla richiesta di rinvio a giudizio del PM Pititto, il giudice, il GIP Macchia, che si disse simpatizzasse per “Soccorso rosso”, sostenne che non vi era giurisdizione italiana perché “trattavasi di fatti accaduti fuori dal territorio italiano”. Questo giudice o non conosce la storia o non conosce la geografia perché, fino a prova contraria, Fiume rimase a far parte del territorio italiano fino alla conclusione del trattato di pace del 1947. La Cassazione gli ha dato torto e siamo poi giunti allo stop improvviso di ieri su un fatto formale, e cioè su una firma non apposta dal GIP ma dalla sua cancelleria. Ciò è avvenuto nel quadro che ricordavo nella mia interpellanza. Il portavoce del ministro degli esteri croato ha sostenuto che Piskulic non può essere processato, tanto meno in Italia, ed ha affermato: “Siamo dell’avviso che simili vicende non contribuiscano a migliorare i rapporti bilaterali tra Italia e Croazia”. Io mi chiedo perché ciò accada: non abbiamo di fronte la Iugoslavia comunista ma, almeno in teoria, uno Stato democratico uscito da quell’esperienza. Prosegue poi il portavoce croato: “Vorrei, inoltre, ribadire che la Costituzione del nostro paese non permette ad un tribunale straniero l’estradizione di un cittadino croato. E’ dunque inutile insistere con questo processo che richiama alla mente fatti di cinquanta e più anni fa che andrebbero consegnati esclusivamente alla storia. Abbiamo, comunque, le assicurazioni di Roma che il Governo italiano non è promotore, né appoggia simili processi e, d’altro canto, sappiamo che il magistrato Pititto è membro dell’opposizione di destra”. Ho ritenuto di interpellare il Governo per capire se tutto ciò sia vero. Purtroppo, ho il sospetto che lo sia per il fatto che questo processo non ha avuto i clamori di altri e che, in fin dei conti, ci si è fatto capire che non fosse politicamente corretto e opportuno svolgerlo perché “i buoni rapporti con l’altra sponda dell’Adriatico valgono pure qualcosa”. Ma vi è un organo ufficiale dello Stato croato che afferma queste cose e il Governo italiano non mi risulta - ora sentirò la risposta del sottosegretario - lo abbia smentito. Le cose sono andate così: ieri questo processo, di fatto, si è chiuso su una squallida questione da Azzeccagarbugli che a me fa sorgere il sospetto sia stata preparata ad arte e che, comunque, lascia legittimamente aperti tutti i dubbi che ho sollevato. Attendo di sapere dal Governo cosa pensi, se abbia - come ho evidenziato nella mia interpellanza - chiesto ragioni alla controparte croata al riguardo e se veramente ciò che è stato affermato corrisponda alle intenzioni del Governo. Mi affido dunque alla vostra responsabilità  politica, ma vorrei dire prima di tutto morale, ed attendo la risposta del Governo. Ho voluto illustrare il senso della mia interpellanza diversamente da quanto di solito accade; mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per gli affari esteri ha facoltà di rispondere.

UMBERTO RANIERI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, i quesiti degli onorevoli interpellanti riguardano una pagina tragica della nostra storia recente. La vicenda delle foibe ci riporta all’incrocio tra la fine della seconda guerra mondiale e l’inizio della guerra fredda, quando si sovrapposero diversi tipi di conflitto: la guerra tra Stati, il conflitto civile, il conflitto politico e il conflitto etnico. Fu in questo quadro che si verificarono gli episodi di tortura e di assassinio testimoniati dalle foibe. Si trattò di gravissimi atti di ferocia che colpirono civili che non si erano macchiati di alcuna colpa, se non quella di appartenere ad una certa comunità nazionale: erano italiani. La storia ha già emesso, su questo tormentato passaggio, il suo giudizio circa le responsabilità. E’ utile che su questa pagina barbara della nostra storia del novecento proceda, in ogni caso, il lavoro degli storici. Del resto, sono ormai molti anni che è in corso una ricerca con la quale ci si propone di ricostruire questo tragico passaggio della storia italiana nel contesto in cui si svolse e in tutti i suoi aspetti.

GUSTAVO SELVA. Anche dei magistrati !

PRESIDENTE. Ascoltiamo la risposta, successivamente si replicherà.

UMBERTO RANIERI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Farò cenno anche ai magistrati. Tale ricerca deve essere agevolata e procedere in tutti i modi, garantendo pieno e libero accesso alle fonti, alla documentazione relativa alla vicenda. Questa è la nostra valutazione di fondo. Per quanto attiene all’interpellanza in oggetto, si fa riferimento al processo attualmente in corso dinanzi alla prima corte d’assise di Roma per le imputazioni di omicidio pluriaggravato contro il cittadino croato Oskar Piskulic. Gli onorevoli interpellanti citano dichiarazioni che sarebbero attribuite al portavoce del Ministero degli affari esteri croato Trkanjec da alcuni quotidiani, tra i quali in particolare “Il Piccolo”. Secondo tali dichiarazioni il Governo italiano avrebbe dato assicurazioni al Governo croato circa la propria opposizione al processo in corso. Su questa base gli onorevoli interroganti chiedono se quelle affermazioni risultino confermate, se effettivamente vi sia una posizione ostile del Governo italiano in merito al processo in corso, se e quali provvedimenti siano stati adottati dal Governo per smentire le dichiarazioni del portavoce del Ministero degli esteri croato. Nel rispondere ai quesiti degli interpellanti è necessaria una premessa, anche se scontata. L’Italia è uno Stato di diritto nel quale vige la separazione tra il potere esecutivo e quello giudiziario. Per dettato costituzionale il Governo non interviene in sfere che sono di esclusiva competenza della magistratura, come l’iniziativa giudiziaria contro singoli imputati. E’ quindi ovvio che non c’è affatto, né ci potrebbe essere in alcun modo una posizione ostile del Governo italiano in merito al processo in corso presso la prima corte d’assise di Roma. Tutto ciò è perfettamente noto, tra l’altro, al Governo della Croazia. Il nostro auspicio quindi è che il processo riprenda, vada avanti e si appurino le responsabilità di tutti coloro che si sono macchiati di crimini. In ogni caso il Governo ha ritenuto utile verificare le notizie apparse su “Il Piccolo”. L’ultima occasione in cui il portavoce del Ministero degli affari esteri croato Zeliko Trkanjec ha fatto pubblicamente riferimento al processo in corso a Roma è stata alla metà dello scorso gennaio in una intervista rilasciata al quotidiano croato “Novyj List”, che si stampa a Fiume e che tradizionalmente è molto vicino alla comunità italiana che vive in quella città. Nell’intervista egli ha affermato che la questione del processo a Oskar Piskulic riguarda esclusivamente gli organi giudiziari italiani e croati, senza alcun coinvolgimento dei nostri rispettivi Governi. Questo è il quadro. Il Governo italiano si muove nel solco della tradizione democratica del nostro paese, una tradizione in cui credo si riconosca l’intero Parlamento italiano e i democratici non sono usi a distinguere tra chi si è macchiato di crimini contro l’umanità di una parte o di un’altra: chi si è macchiato di quei crimini è da condannare come nemico del genere umano e della libertà . Questa è l’ispirazione di fondo con cui il Governo guarda alla vicenda oggetto dell’interpellanza.

PRESIDENTE. L’onorevole Menia ha facoltà di replicare.

ROBERTO MENIA. Non posso dichiararmi soddisfatto della risposta perché se, da un lato, il sottosegretario ha fatto dichiarazioni di principio che non possono che essere parte del patrimonio di ognuno di noi, dall’altro ha ritenuto di glissare su questioni precise che venivano poste. La premessa nella risposta del Governo è che il giudizio è già emerso dalla storia e che sarà utile il lavoro degli storici. Il Governo, poi, non si oppone, dato il principio della separazione dei poteri. Tutto questo suscita l’impressione di un atteggiamento tipicamente pilatesco, quasi a dire: proceda pure la giustizia, ma restiamone fuori quanto più possibile, come se la questione non ci riguardasse. Ricordavo prima che un ministro di grazia e giustizia agì in maniera molto pesante per sottolineare l’atteggiamento del Governo su un fatto esecrabile e condannabile quanto quello oggi ricordato. Il Governo non risponde su questioni precise. Mi dovete spiegare perché è credibile l’intervista al Novyj List e non quella a Il Piccolo di Trieste. Voi non rispondete quando vi domando se avete chiesto conto a questo signore e al Governo croato dell’affermazione che vi sarebbero le assicurazioni di Roma che il processo finirà presto. E’ questo quel che è accaduto ? E’ possibile che vi sia l’ingerenza intollerabile di un Governo straniero che giudica, a proposito di separazione, l’operato di un magistrato, sostenendo che è “membro dell’opposizione di destra” ? A tutto ciò non avete risposto; una volta di più avete tenuto l’atteggiamento di chi si lava le mani. Penso, quindi, che con tale doppiopesismo, con tale ignavia di fondo, il Governo italiano in qualche modo abbia contribuito a far sì che ieri accadesse ciò che è accaduto, e cioè che ancora una volta la giustizia sia stata, come quegli sventurati, infoibata. In questo senso, esprimo tutta la mia rabbia, il mio profondo disgusto, da figlio di generazioni di quelle terre, perché questa Italia, a cui vogliamo tanto bene, ci fa troppo penare e troppo piangere, perché quest’Italia è davvero troppo lontana da chi, forse, le vuole troppo bene (applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale).

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- Interpellanza dell'On. Menia del 23 ottobre 1997.

(Richiesta di estradizione di Oskar Piskulic).

PRESIDENTE. Cominciamo con l'interpellanza Selva n. 2-00165. L'onorevole Menia, cofirmatario dell'interpellanza, ha facoltà di illustrarla.

ROBERTO MENIA. Rinuncio ad illustrarla, signor Presidente, e mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la giustizia ha facoltà di rispondere.

ANTONINO MIRONE. Sottosegretario di Stato per la giustizia.

Gli interpellanti, premesso che presso la procura della Repubblica di Roma pende il procedimento contro il cittadino straniero Oskar Piskulic in relazione ai reati di genocidio perpetrati dai cosiddetti partigiani di Tito negli anni 1943-1947, domandano se il Governo intenda richiedere l'estradizione del suddetto. A norma dell'articolo 720, comma 1, del codice di procedura penale, il ministro di grazia e giustizia è competente a domandare allo Stato estero l'estradizione di un imputato o di un condannato solo ove nei confronti dello stesso debba essere eseguito un provvedimento restrittivo della libertà  personale emesso dall'autorità giudiziaria. Poiché ad oggi non risulta essere stato emesso nei confronti del Piskulic alcun provvedimento di questo tipo, non si pone allo stato il problema della sua estradizione.

PRESIDENTE. Suaviter et breviter! L'onorevole Menia ha facoltà di replicare per l'interpellanza Selva n. 2-00165, di cui è cofirmatario.

ROBERTO MENIA. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, è sconcertante come con estrema facilità e brevità vengano sempre risolte questioni sulle quali è provato e dimostrato che la giustizia italiana - e in questo caso anche il ministro della giustizia - agisce con un  sostanziale doppiopesismo. Ricordo - ed è un fatto che abbiamo citato nell'interpellanza - che ben diversamente si procedette quando, a seguito della sentenza di scarcerazione nei confronti dell'assassino Priebke, fu lo stesso ministro di grazia e giustizia Flick ad arrogarsi il potere, che io non credo la Costituzione gli concedesse (sulla materia si discusse parecchio), di procedere al riarresto del detto Priebke. Lasciatemi dire qualche cosa di più. I fatti che citiamo si riferiscono al signor Oskar Piskulic, detto Zuti, capo della polizia segreta di Tito nella città di Fiume, ed al suo compagno Ivan Motika, che si era autonominato presidente del tribunale .del popolo e che agiva in quel di Pisino e nel circondario. Ricordo che Pisino era una città italianissima, che diede i natali, per esempio, a Fabio Filzi, una delle figure più belle della nostra grande guerra. Ebbene, costoro, negli anni successivi al 1943 e soprattutto nel 1945 e dopo tale anno (perché proseguirono la loro attività ben oltre la fine delle ostilità ), si resero responsabili di assassini ai danni di cittadini italiani, di uomini e donne che avevano la sola e unica qualità di essere, per l'appunto, tali. Ho sotto gli occhi un'ordinanza del GIP di Roma, che tra l'altro rigetta la richiesta del pubblico ministero Pititto di procedere all'applicazione di misure cautelari nei confronti di Piskulic e Motika. Tale ordinanza prende atto che lo stesso pubblico ministero " di fronte alle risultanze acquisite, pur valutate all'ombra del lunghissimo tempo intercorso, chiaramente indicavano come migliaia di persone fossero state uccise non in nome di un ideale o per ragioni di guerra contro il nemico, ma solo perché erano cittadini italiani. L'odio contro gli italiani aveva causato la morte di donne e di bambini. Le vittime predestinate, strappate ai loro affetti, erano state legate l'una all'altra con il filo di ferro, condotte sull'orlo della foiba e abbattute, non sempre tutte, perché era sufficiente colpirne alcune e il loro peso avrebbe tirato giù nel fondo vivi gli altri ". Questi erano i fatti all'ordine del giorno in quegli anni a Trieste, nelle zone dell'Istria e del Carnaro, a Fiume, in Dalmazia e a Zara, dove gli italiani venivano annegati. Intorno a queste vicende vi è stato obiettivamente, in questi ultimi anni, un minimo di autocritica, anche da parte delle autorità italiane. Ricordo che l'ex Presidente della Repubblica, Cossiga, nel novembre 1991 venne ad inginocchiarsi (era la prima volta che un Presidente della Repubblica compiva un simile gesto) sulla foiba di Basovizza, dove riposano insepolti 2000-2500 italiani, si presume a cubatura, perché in questo modo si è deciso di stimare in tale numero le vittime. Cossiga, inginocchiatosi, chiese scusa pubblicamente a quegli italiani, perché fino ad allora la classe politica italiana non aveva avuto il coraggio di inginocchiarsi, di chiedere loro scusa e di rendere atto del loro sacrificio. Ricordo inoltre che il Presidente della Camera, Violante, intervenne anche in quest'aula per rivolgere moralmente a tutti gli italiani la domanda se sia possibile riscrivere una storia comune per tutti e se sia giusto che la storia e la giustizia dividano ancora i morti in morti buoni e morti cattivi, in morti di " serie A " e morti di " serie B ". Dovete spiegarmi, colleghi, quale differenza c'e ` tra l'assassino Priebke e l'assassino Motika o l'assassino Piskulic. Dovete spiegarmi quale differenza c'è tra i morti delle Fosse ardeatine e i morti infoibati! Vi racconterò alcuni episodi legati a questi personaggi. A Fiume, Piskulic fece scomparire illustri uomini, per esempio il senatore del regno Riccardo Gigante. Chi di voi abbia visitato il Vittoriale degli italiani sa che in cima c'è l'arca vuota di Riccardo Gigante, che assieme a D'Annunzio fu uno dei costruttori dell'epopea fiumana, comunque un grande italiano di Fiume. A Fiume avvennero altri fatti che sono imputabili direttamente al Piskulic, fatti per i quali la giustizia italiana non ha evidentemente ritenuto di usare la stessa mano ferma che è stata usata in situazioni analoghe. Ci sono storie per le quali l'Italia non ha mai ritenuto di dare una medaglia o un riconoscimento. C'è la storia bellissima di un giovane ragazzo, il diciannovenne Giuseppe Librio, che il 3 maggio 1945 si arrampicò sul pennone di Piazza Dante, dove sventolava sempre la bandiera italiana, che era stata sostituita con quella degli occupatori iugoslavi, e vi ripose la bandiera italiana. Egli venne prelevato dalla polizia segreta di Piskulic, che lo fece trovare accoltellato e fatto a pezzi nel vicino molo del porto. Potrei raccontare la storia di Adolfo Landriani - era il custode dei giardini di piazza Verdi, lo chiamavano " il maresciallino " perché era piccolo - che viene prelevato dalla polizia di Piskulic e portato in caserma; cominciano a sbattergli la testa sul muro per fargli gridare " Viva Fiume iugoslava ", ma con il filo di voce che gli rimane grida " Viva Fiume italiana e viva l'Italia " e muore gridando " Viva l'Italia ". Oppure posso raccontarvi del compagno di Piskulic, Motika, che si era autoinvestito della carica di tribunale del popolo e decideva della vita di italiani nel castello di Montecuccoli, che tra l'altro é una bellissima opera d'arte tutta italiana. Quello stesso Ivan Motiva che fa rapire dai suoi Giuseppe Cernecca, un impiegato comunale di Gimmino d'Istria la cui sola colpa era quella di essere italiano; lo riempiono di bastonate e lo portano in un bosco facendolo passare attraverso il paese e facendogli portare un sacco pieno di pietre. Lo portano nel bosco, lo lapidano con le stesse pietre che gli avevano fatto portare, poi gli tagliano la testa e la portano da un orafo di Campanaro, un paese lì  vicino, per fargli prelevare i denti d'oro. Anche questa una bella impresa di questi signori. Per questi signori l'autorità giudiziaria italiana, in particolare il GIP Macchia, ha sostenuto di non poter aderire alla richiesta di emanazione di misure cautelari perché troppo anziani. Ebbene, io mi chiedo quale differenza vi sia tra l'ottantaquattrenne Erik Priebke ed il settantaseienne Oscar Piskulic o l'ottantaseienne Ivan Motika. Lo stesso giudice ha sostenuto che vi sia carenza di giurisdizione italiana, ma questo giudice o non conosce la storia e la geografia e non sa che l'Istria fino al trattato di pace faceva parte del territorio nazionale italiano, oppure non conosce la giustizia che amministra perché si tratta comunque di reati di genocidio compiuti ai danni di cittadini italiani. Tutto questo dimostra in modo evidente che vi è un doppiopesismo dietro il quale il Governo si nasconde. Si nasconde e se ne lava le mani. Si nasconde in maniera squallida, viscida. Sono personalmente indignato dalla risposta data anche questa mattina, laddove il Governo afferma che, posto che non esiste un provvedimento restrittivo della libertà  personale, non può intervenire. Noto che anche su Priebke non vi era alcun provvedimento in tal senso, anzi vi era stata addirittura la sentenza di scarcerazione da parte del tribunale militare di Roma, eppure il Governo – il ministro di grazia e giustizia in persona - in quell'occasione si è sostituito ai giudici. Mi dovete spiegare con quale coscienza, con quale animo, con quale senso della giustizia morale - voi che rappresentate la giustizia in Italia, voi con il vostro ministero che rappresenta la grazia e la giustizia in Italia - andate a casa tranquilli di avere fatto il vostro dovere. Una volta di più avete sbagliato e siete moralmente colpevoli di fronte agli italiani (applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale)!

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- Interrogazione dell' On. Malgieri del 16 aprile 1997.

Al Ministro della pubblica istruzione. 

- Premesso chenel Vocabolario della lingua parlata in Italia di Carlo Salinari, ad uso dei licei, a pagina 454 dell'edizione 1967 (che non risulta aggiornata), alla voce «foiba» si legge questa singolare definizione: «dolina con sottosuolo cavernoso e indica particolarmente le fosse del Carso nelle quali, durante la guerra 1940-1945, furono gettati i corpi delle vittime della rappresaglia nazista»; secondo il Vocabolario di Salinari, i carnefici degli Italiani sarebbero stati i nazisti e non i partigiani comunisti, in particolare «titini», che utilizzarono, come tutti dovrebbero sapere, quegli anfratti naturali carsici per gettarvi, ancora vive, le vittime di una criminale e mostruosa «pulizia etnica»; appare all'interrogante preoccupante e sconcertante che tale vocabolario sia ancora in circolazione su tutto il territorio nazionale in questa versione e che l'editore non ritenga necessaria una verifica delle voci; sarebbe altresì opportuna una verifica dell'uso di tale vocabolario nelle scuole e nelle biblioteche pubbliche -: 
- se non ritenga che l'opera di falsificazione della storia del Novecento, di cui l'episodio in parola non è che uno dei molti esempi, debba avere fine, rivedendo i testi scolastici ed ammettendo in commercio soltanto quelli che diano garanzie di obiettività nel rappresentare in particolare gli eventi di questo secolo.

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- Interrogazione dell' On. Alberto Maria Bosisio del 2 ottobre 1995.

Interrogazione con risposta scritta al Presidente del consiglio dei Ministri; al ministro del Lavoro e della Previdenza sociale; al Ministro degli Affari esteri e Italiani nel mondo.

- Premesso che: 

a)  recentemente, sulla stampa nazionale sono apparse notizie riguardanti pensioni erogate dall'Inps ai cittadini della ex Jugoslavia per un ammontare 3.500 miliardi di lire italiane, corrispondenti a circa 45.000 pensioni, concesse a cittadini stranieri che nella stragrande maggioranza dei casi non hanno mai contribuito al fondo sociale italiano;
b)  tali pensioni sono state e continuano ad essere erogate in virtù di convenzioni internazionali con una entità politica (la Jugoslavia,appunto),che ormai non esiste più;
secondo le affermazioni di un ex funzionario dell'Inps, riportate dai giornali, tali pensioni venivano concesse con la massima facilità (anche per una sola settimana di lavoro in Italia o un giorno di servizio militare),perché avallate da organizzazioni sindacali interessate a percepire dal Ministero del Lavoro quote di trattenute su tali pensioni, oltre che le quote di iscrizione al sindacato stesso da parte di questi cittadini stranieri;
c)  circa 20.000 dei 50.000 tesserati alla CGIL nel 1993, risultavano essere residenti in Slovenia e Croazia;
d)  tra i beneficiati, regolarmente registrati nei tabulati Inps,compaiono criminali di guerra e arcinoti boia e massacratori di Italiani a seconda guerra mondiale già finita ,quali: Ciro Raner, capo del più feroce campo di concentramento slavo per Italiani a Borovnica e oggi residente sotto il nome di Ferligoi Daurin in una villa sopra Pirano; Mario Toffanin detto Giacca, detto il boia di Porzius ,condannato all' ergastolo per aver trucidato diciassette partigiani ,solo perché Italiani; Ivan Motika che, secondo lo storico Marco Pirina impartiva gli ordini di genocidio a Pisino.
-Considerato che: la pensione è stata rifiutata in casi talmente eclatanti da infangare ogni dichiarazione di solidarietà, umanità e giustizia fatti da qualsiasi Stato civile a Silvana Bergliaffa,nata a Pisino nel 1940,adottata da una famiglia croata nel 1947 a seguito della distruzione della sua famiglia avvenuta nel 1945 ad opera dei partigiani di Tito (rifiuto motivato dal fatto di non aver optato per l'Italia all'età di sette anni!),
- l'interrogante chiede di sapere: se quanto sopra esposto e riportato dalla stampa corrisponde a verità; in caso affermativo se il Governo, il Ministero del Lavoro e quello degli Affari esteri non ritengano di dover intervenire immediatamente nelle rispettive, opportune sedi, al fine di interrompere ogni indebito flusso di denaro dalle disastrate casse dell'Inps,che danneggerebbe milioni di lavoratori italiani i quali vedono ridimensionate le proprie aspettative, nonostante un'intera vita di lavoro e di regolari contribuzioni al fondo sociale italiano.

 

 

--- Fine ---