I CAMPI DI CONCENTRAMENTO PER CIVILI ED EBREI- 2a parte
L'INTERNAMENTO 2 giugno 1942, dal Comandante la II Armata (Jugoslavia), gen. Mario ROATTA: "In previsione future necessità Slovenia… giudico necessario che si predisponga campi di concentramento per 20.000 persone. Una parte capace complessivamente di 5.000 maschi adulti… Altra parte capace di 15.000 persone comprese donne e bambini, servirebbe per popolazioni da sgomberare da determinate zone a titolo precauzionale". |
Brani tratti da http://www.eclettico.org/israele/urbis/rudolf.htm …. Gli storici, evidentemente, di fronte alla tragedia dei LAGER, hanno ritenuto di poco conto (o, quantomeno, di non primaria importanza) l'approfondimento delle condizioni di vita nei campi di concentramento fascisti. Uomini e donne di ogni età (cittadini jugoslavi o allogeni della Venezia Giulia) vennero deportati ed internati in massa per ridurre drasticamente l'appoggio popolare al movimento partigiano jugoslavo. Strappati ai loro affetti ed alle loro case, essi subivano il sequestro dei loro beni e venivano sottoposti alla violenza preventiva e punitiva dello stato fascista. Col procedere della guerra l'internamento interessò un numero sempre più alto di persone ed in alcuni campi la mortalità per fame e per stenti superò percentualmente quella che si ebbe nei LAGER nazisti non di sterminio. La ricerca di sedi idonee per l'internamento sarebbe durata sino alla vigilia dell'entrata in guerra dell'Italia quando, in una circolare telegrafica inviata alle prefetture il 1 Giugno 1940, il Ministero dell'interno sintetizzò e ribadì tutte le norme predisposte negli anni precedenti assieme al Ministero della Guerra. Appena dichiarato lo stato di guerra si leggeva, tra l'altro, nella circolare dovranno essere arrestate e tradotte in carcere le persone pericolose sia italiane che straniere di qualsiasi razza, capaci di turbare l'ordine pubblico e commettere sabotaggi o attentati, nonché le persone italiane o straniere segnalate dai centri di controspionaggio per l'immediato arresto. L'8 Giugno 1940, a soli due giorni dall'entrata in guerra dell'Italia, un'altra circolare, la n. 442/12267, emanò le "prescrizioni per i campi di concentramento e le località di confino" dando così uno degli ultimi ritocchi alla macchina dell'internamento ormai pronta ad entrare in funzione. | ||
Alessandra Kersevan ex insegnante di scuola media in Friuli, ricercatrice all’Univ. di Trieste, ha pubblicato, con il contributo del Comune di Gonars (Ud), uno studio sul campo di concentramento fascista ricostruendo tutta la storia della "pulizia etnica all’italiana" in Slovenia e in Croazia. brani >>> |
Il campo di concentramento di Gonars, vicinissimo alle zone slovene, zone in cui era già iniziata la guerra di liberazione, fu uno dei luoghi in cui si svolse la grande tragedia di questi deportati. Venne istituito già nel dicembre del 1941, costituito da tre settori, circondato da filo spinato, controllato dai carabinieri e da circa 600 soldati con 36 ufficiali. All’arrivo i nuovi internati venivano denudati, "disinfestati", rapati a zero. Ma nonostante la pulizia quotidiana delle baracche tenuta dagli stessi internati, i parassiti si moltiplicavano. Essi si diffondevano in prevalenza addosso agli internati che, a causa dell’indebolimento fisico, giacevano sempre a letto e si lasciavano andare all’apatia. Il 25 febbraio 1943 ci sono a Gonars 5.343 internati di cui 1.643 bambini. Ci sono intere famiglie provenienti da Lubiana o dai campi di Arbe (Rab) o di Monigo (Treviso); due terzi croati e un terzo sloveni. Baracche strette e lunghe, da 80 a 130 prigionieri per baracca con stufe mal funzionanti, ma molti (specialmente uomini adulti) dormivano in tenda; igiene impossibile per mancanza di tutto; per quanto riguarda le donne incinte, l’80% dei nati erano morti. Mangiare del tutto insufficiente, minestrone mezzogiorno e sera, praticamente acqua, + 200 g di pane. "La gente è affamata. Ma forse è meglio dire che muore di fame", scriveva il salesiano padre Tomec, come risulta da una sua lettera in data 6 febbraio 1943. "Queste famiglie non hanno nessuno che possa mandargli i pacchi, perché le loro case sono state bruciate e i parenti sparpagliati.…Una grande maggioranza di internati è venuta da Arbe (Rab) e sono giunti già esausti, simili a scheletri. ... Dal 15 dicembre 1942 al 15 gennaio 1943 ne sono morti 161. In media muoiono 5 persone al giorno. Il maggiore medico Betti mi ha detto che in due mesi il 60% di questa gente morirà, se prima non vengono liberati. …Una scena triste viene offerta dalla baracca nella quale ci sono soltanto bambini orfani che hanno perso i genitori ad Arbe o a Gonars". "Dio ci guardi da qualche epidemia nel campo. Le persone cadrebbero una dopo l’altra come mosche." Nel monumento ossario del cimitero di Gonars sono sepolti 453 corpi.http://www.carnialibera1944.it/documenti/lagerfriuli.htm | ||
Per la fame, il freddo, gli insetti, le malattie, la mortalità diventa elevatissima, in particolare per bambini e vecchi. 15 dicembre 1942, Grazioli: "... mi riferiscono che in questi giorni stanno ritornando degli internati dai campi di concentramento, specialmente da Rab. Il I medico provinciale... ha costatato che tutti senza eccezioni, mostrano sintomi del più grave deperimento e di esaurimento, e cioè: dimagramento patologico, completa scomparsa del tessuto grasso nella cavità degli occhi, pressione bassa, grave atrofia muscolare, gambe gonfie con accumulo di acqua, peggioramento della vista (retinite), incapacità di trattenere il cibo, vomito, diarree o grave stipsi, disturbi funzionali, auto intossicazione con febbre." Il comandante di allora del’ XI corpo d'armata, il criminale di guerra Gastone Gambara, risponde "è comprensibile e giusto che il campo di concentramento non sia un campo di ingrassamento. Una persona ammalata è una persona che ci lascia in pace". |
I primi campi di concentramento sorsero ad Arbe (isola di Rab) e
ne seguirono altri - a cui ci riferiremo in seguito ed a Gonars in Venezia
Giulia. Nel luglio 1942, momento massimo della deportazione, sono allestiti
nuovi campi a Monigo Tv. (2.500 persone); a Chiesanuova di Padova (2.500, fra
i quali 1.000 bambini); a Renicci, Visco, Pietrifica, Tavernette, Brescia,
Chieti, ecc. Coi primi tentativi di guerra partigiana in Slovenia (solo una
provincia era amministrata formalmente dagli Italiani), si scatena la
repressione con retate che nel giro di un anno, dall’autunno del 41 a quello
del 42, non portano ad un nulla di fatto se non ad eccidi diffusi e
deportazioni (vedi foto). I deportati sono stipati in piccole, vecchie tende
militari, scarsamente o per nulla impermeabili, su paglia già usata, con una
leggera coperta: il tutto pieno di pidocchi e cimici. Molti sono stati
rastrellati mentre lavoravano nei campi in estate, sono semi nudi e nulla
viene dato loro per coprirsi. Condizioni bestiali, in particolare per
l'autunno e l'inverno: pioggia, neve, con la gelida bora imperversante. Alla
fine del 1942 il sottosegretario all’Interno Buffarini dа notizia al Duce che
“50.000 elementi sloveni” sono stati internati in Italia. Nell’autunno 1942 la
diocesi di Lubiana fa arrivare alla Santa Sede un documento dal tono molto
preoccupato, che chiedeva interventi per evitare che i campi “diventino
accampamenti di morte e di sterminio”. Più volte la Chiesa cattolica
interviene a favore degli internati cattolici sloveni di Gonars. I vescovi di
Lubiana, Rozman, (ma di Rozman e Stepinac circolano ben differenti giudizi
sulla loro pulizia etnica ortodossa) di Gorizia, Margotti, e di Krk, Srebnic,
sollecitano un’iniziativa della Santa Sede. Il vescovo di Krk, monsignor
Srebnic, il 5 agosto 1943 in una lettera al Papa parlerà di più di “1.200
internati morti”. Il segretario di Stato cardinale Luigi Maglione, invia a
Gonars il nunzio apostolico Borgoncini-Duca, il quale però non riesce a capire
le reali condizioni di vita e scrive che “il vitto non manca e l’acqua è
abbondante”. Altre testimonianze raccolte da Alessandra Kersevan sono assai
diverse. Il segretario dell’arcivescovo di Zagabria Stepinac, don Lackovic,
nel ’43 denuncia alla Croce Rossa italiana che a “Gonars si trovano oltre
4.000 croati (in questo caso si difende il croato in quanto cattolico), in
maggioranza donne e bambine che soffrono molto e muoiono in gran numero”. Il
salesiano padre Tomec descrive al Comitato di assistenza di Gorizia la
terribile situazione di Gonars in una lunga relazione: “La gente muore di
fame. La minestra è acqua nella quale nuotano due chicchi di riso e due
maccheroni”. E chiede la possibilità di inviare pacchi di viveri ai
prigionieri. Il 27 marzo 1943 il prefetto di Udine impone all’Autorità
ecclesiastica di bloccare i pacchi per evitare che “aiuti siano prodigati a
una razza siffatta che non ha mai nutrito, né nutre, sentimenti favorevoli
all’Italia”. E a Lubiana Grazioli ordina di “far cessare ogni assistenza in
favore degli internati”.
http://pinerolo-cultura.sail.it/gouthier/134campiitaliani.htm
Sotto e al link galleria di foto con immagini crude da vedere in presenza di un adulto. Non si garantisce che le immagini delle stragi siano sempre di matrice italiana e non faide interetniche locali, usate a sproposito e qui in parte dichiarate. Mischiati alle camicie nere italiane si vedono comunque sempre miliziani civili. I curatori del testo quando definiscono fascisti i soldati non si riferiscono alle CCNN, ma a tutto l'esercito. L'errore più grave degli italiani è stato accondiscendere e scendere al livello di ferocia di queste guerre religiose tribali. Questo andazzo si è comunque replicato anche in tempi recenti, nelle ultime guerre balcaniche, quando a Srebrenica in Bosnia sono stati uccisi 7.500 civili sotto gli sguardi divertiti dei soldati olandesi incaricati della protezione. Balkenende, primo ministro olandese, è persona stimata in Europa, nel suo paese e in Italia: fu anche il primo ad alzarsi, spalleggiato da Prodi, per condannare i russi dopo la strage della scuola in Ossezia. Sicuramente per Balkenende 400 russi valgono più di 7.500 bosniaci. E per Prodi ?http://muceniskapot.nuovaalabarda.org/galleria-ita-5.php |
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L'ARMADIO DELLA VERGOGNA ? dagli atti parlamentari ... Solo successivamente, però, dopo un’esplicita richiesta britannica (27 settembre 1946) e dopo essere stato informato che la Jugoslavia aveva richiesto con una nota ufficiale alla Commissione Alleata la consegna dei criminali di guerra italiani (14 ottobre 1946), il governo di Roma iniziò a rendere noti i nominativi delle persone che, su indicazione della Commissione d’inchiesta, sarebbero dovute essere deferite alla Procura militare. |
http://forum.axishistory.com/viewtopic.php?t=117350 ELENCO DEI "PRESUNTI" CRIMINALI DI GUERRA PROPOSTI PER IL DEFERIMENTO ALLA GIUSTIZIA Non hanno mai subito un processo vero salvo alcuni poi assolti 1. ROATTA Mario — Generale — ex Capo di S.M. dell ‘Esercito http://digilander.libero.it/lacorsainfinita/guerra2/personaggi/roatta.htm |
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Un primo comunicato del 23 ottobre 1946 indicava fra gli inquisiti il generale Mario Roatta, l’ambasciatore Francesco Bastianini, i generali Mario Robotti e Gherardo Magaldi, il tenente colonnello Vincenzo Serrentino. A quell’epoca, Roatta e Robotti erano latitanti, Bastianini si era rifugiato in Svizzera, mentre Serrentino sarebbe stato poi arrestato e fucilato dagli stessi jugoslavi. Il sesto indagato, Pietro Caruso, era già stato giustiziato in Italia nel settembre 1944 per le sue attività di Questore durante la Repubblica Sociale Italiana. Un secondo comunicato del 13 dicembre 1946 comprendeva altri otto accusati, fra cui l’ex-Govematore della Dalmazia Francesco Giunta, il generale Alessadro Pirzio Biroli, Emilio Grazioli (ex Alto Commissario di Lubiana), i generali Gastone Gambara e Renato Coturri. Dal gennaio al maggio 1947 seguirono altri comunicati che portarono il numero degli indagati considerati deferibili ad un tribunale militare a un totale di ventisei. .... Alla fine di ottobre del 1946, pochi giorni dopo la diffusione del primo comunicato con i nomi degli italiani proposti per il deferimento alla giustizia militare, il neo Ministro degli Esteri, il socialista Pietro Nenni, si era rivolto al Ministero della guerra e al Ministero della Giustizia per sollecitarli affinché la Commissione d’inchiesta accelerasse “al massimo” i propri lavori e la magistratura militare procedesse nei processi nei confronti degli indagati. Dopo l’abolizione in Italia del Governo militare alleato, la Jugoslavia avrebbe dovuto rivolgersi direttamente alle autorità italiane per la consegna dei criminali di guerra. Ciò tuttavia era al momento impedito dalla mancanza di relazioni diplomatiche fra i due Paesi. Restava dunque secondo Nenni un “certo lasso di tempo” per condurre autonomamente le indagini e gli eventuali processi... |
2. BASTIANINI Giuseppe — Ambasciatore - ex Governatore della Dalmazia |
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Campo di Gries – Bolzano (brani dal sito http://www.radicalidisinistra.it/i/campagne/memo04/dossier/lager.htm ) | |||
Alberobello: Casa Rossa sottocampo non classificato Via Resia a Bolzano com'era |
Gries va considerato come la naturale prosecuzione del Polizei- und Durchgangslager di Fossoli. L’avanzata degli Alleati e l’intensificarsi delle azioni partigiane resero difficoltosa la formazione a Fossoli di convogli da inviare Oltralpe, quando anche dal cielo la linea ferroviaria e i ponti sul Po venivano spezzonati giornalmente. Il Sudtirolo del Reich, unificato dal settembre 1943 con il Trentino e la provincia di Belluno nell’Operationszone Alpenvorland (OZAV), era considerato un territorio sicuro dal punto di vista politico e militare. Attivo da agosto ’44, dopo la presa di Firenze, Il Lager di Bolzano-Gries fungeva da centro di raccolta e detenzione per politici, zingari, ebrei, rastrellati e ostaggi catturati nelle diverse città del Nord Italia (ndr: o evacuata dai campi del centro Italia) e si serviva di sottocampi di lavoro non individuati o scarsamente documentati. Il Lager principale sorgeva nell’attuale via Resia; esso occupava un’area di circa 2 ettari, era circondato da un muro di cinta sul quale era stato ulteriormente fissato del filo spinato ed il perimetro era di forma rettangolare. La struttura comprendeva due grandi capannoni in muratura: costruiti dal Genio Militare in epoca antecedente all’istituzione del campo ed adibiti a deposito. Gli internati, da 100 a 250 per ogni capannone, dormivano su letti a castello, consistenti in tavolati coperti da sacchi ripieni di trucioli di legno. Ad esclusione dei pericolosi destinati ai blocchi D ed E e dei prigionieri detenuti nelle celle, gli internati venivano suddivisi in squadre per il ripristino dei binari della ferrovia danneggiati dai bombardamenti, lo sgombero delle macerie dalle vie cittadine, scavi per la posa di cavi telefonici, lavori di falegnameria e sartoria, trasporto di materiale da costruzione... Le donne invece erano incaricate di compiere lavori di pulizia in caserme ed ospedali, di occuparsi degli alloggi dei sorveglianti oppure erano addette alle cucine. Numerosi prigionieri furono impiegati in una fabbrica di cuscinetti a sfera, la IMI, posta sotto la galleria del Virgolo. In via Resia a Bolzano ora c’è un muro a segnare un rettangolo di 91 metri per 146 pieno di anonimi condomini. Potevo mettervi la foto attuale ma non rendeva l’idea del campo come quella sfocata vecchia. Grazie al lavoro dell’Aned, l’Associazione nazionale degli ex deportati e a Italo Ribaldi ha visto la luce il libro “Uomini, donne e bambini nel lager di Bolzano. Una tragedia italiana in 7.800 storie individuali”. Fra quelle storie quella dell’unico “triangolo azzurro” internato nel campo: uno “straniero nemico”, l’allora cittadino americano Mike Bongiorno matricola 2264 proveniente da San Vittore “Quando mi trasferirono da qui a Ravensbruek, dei miei compagni d’allora mi salutavano: non ne ho rivisto nessuno" Laura Conti, internata e preziosa esponente dell’organizzazione interna clandestina, ha tracciato in un suo saggio una mappa della popolazione del campo: il numero dei bambini era esiguo, si trattava per lo più di piccoli ebrei o zingari, alloggiati con le madri nel blocco F. Fra le donne le detenute in qualità di Sippenhäftlinge, parenti di partigiani, disertori o semplicemente di "sospetti", erano le più numerose; molte di loro erano sudtirolesi (nel senso questa volta rovesciato di italiane). …… Ricordiamo la figura di Odoardo Focherini, arrestato nel marzo 1944 a Bologna per aver soccorso e salvato dalla deportazione oltre un centinaio di ebrei: condotto in carcere nel capoluogo emiliano, fu internato prima a Fossoli poi a Bolzano, da dove venne deportato nel settembre 1944 a Flossenbürg. Morì nel dicembre di quell’anno a Hersbruck, un sottocampo di Flossenbürg. Le giornate erano scandite da un rituale sempre uguale: sveglia all’alba, appello estenuante, lavoro dalle 7 del mattino fino ad almeno le 16.30 con una breve pausa per la distribuzione di un misero pasto, rancio serale, appello ed alle 20 il rientro nei blocchi. La colazione consisteva in una tazza di caffè nero zuccherato, i pasti in una scodella di minestra di rape o di verze; il quantitativo giornaliero del pane, spesso ammuffito, variava a seconda delle attività lavorative svolte dal prigioniero. |
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Dopo l'8 settembre 1943 e la nascita della Repubblica di Salò un'ampia porzione del paese cessa di fatto di appartenere allo stato italiano per diventare un territorio direttamente amministrato dal Terzo Reich. Si tratta delle province di Trieste, Gorizia, Udine, Fiume, Pola, Lubiana (e di alcuni territori occupati in Dalmazia), riunite nell'OZAK. Ugualmente sottratte all'autorità italiana sono le province di Belluno, Trento e Bolzano, riunite nell' OZAV, la Zona d'operazione delle Prealpi o Alpenvorland. Il "Litorale adriatico" Adriatische Kustenland è affidato all'autorità del Gauleiter della Carinzia Friedrich Rainer, che assunse tutti i poteri politici e amministrativi il 1° ottobre 1943. Prefetti e podestà finiscono sotto il controllo di "consiglieri" tedeschi" con pochissima autonomia. Dalle autorità tedesche dipendono direttamente anche le formazioni della milizia fascista e i vari reparti di polizia e esercito, impegnati anche nelle operazioni di rastrellamento antipartigiane. Qui e in Istria i reparti della Milizia V.S.N ebbero una storia particolare. Si trattava di 7 legioni che i tedeschi (Rainer) avrebbero voluto prendere sotto il loro diretto controllo e che furono denominate prima: “Comando VI Zona Camicie Nere”, poi “Ispettorato Regionale G.N.R. Venezia Giulia”, infine “Comando Generale Milizia Difesa Territoriale”. Le comandava il Gen. Di Pasquale, con sede a Trieste ma dipendente dal Comando Generale della stessa che si trovava a Brescia (da qui arrivavano divise, organici, stipendi, disposizioni, rincalzi). Il giorno che Rainer, con la scusa che gli aerei scendevano a mitragliare i presidi se vi vedevano sventolare il tricolore, ordinò di non issarlo sui pennoni, si ebbe per tutta risposta un sollevamento generale dei militi a cominciare dal comandante del Reggimento “Istria”, il colonnello Libero Sauro, figlio del martire Nazario. Pagò per tutti il più alto in grado che fu allontanato. La bandiera però rimase là dov’era sostituita da una più grande. I militi di questo Reggimento erano quasi tutti istriani del posto, di ogni età e condizione civile. Successivamente il comando fu assunto dal Col. Sommavilla che organizzò una vera e propria Divisione, forte di 10.000 uomini e 5 reggimenti con comandi a Trieste (1° Rgt già legione “San Giusto”), Pola (2° Rgt già legione “Istria”), Fiume (3° Rgt “D’Annunzio”), Gorizia (4° Rgt. “Isonzo”), Udine ( 5° Rgt. “Tagliamento” ). |
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Borgo San
Dalmazzo Sorto nel settembre del 43, il campo trovò immediato alloggio in una ex caserma degli Alpini e vi affluivano Ebrei piemontesi e rastrellati in Provenza dai tedeschi. Fino all’8 settembre 1943 gli Ebrei francesi delle zone controllate dagli italiani non erano perseguiti dai tedeschi, perché trattati secondo le disposizioni allora in vigore in Italia. Questi stranieri provenivano, per la maggior parte, da una località di villeggiatura delle Alpi Marittime: St. Martin Vésubie, una residenza coatta creata dalle forze di occupazione italiane nella Francia del Sud. Dei 349 registrati, la stragrande maggioranza delle persone era di nazionalità polacca (119 persone), cui seguivano francesi (56), tedeschi (42), ungheresi (34), austriaci (25), belgi (22). Furono registrati anche alcuni rumeni, russi, greci, slovacchi, croati, lituani e turchi. In capo a 2 mesi tutti gli occupanti vennero instradati verso Auschwitz. IL SECONDO CAMPO (4/12/1943 – 15/2/1944) Agli Ebrei italiani, dopo la carta di Verona, restavano poche possibilità. Le unità internate a Borgo San Dalmazzo furono sempre poche e il 15 febbraio i 26 ebrei presenti raggiunsero Fossoli. |
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FARLA FRANCA Il tramonto di Fossoli di Primo Levi Io so cosa vuol dire non tornare
Capita spesso di trovare in internet in cartelle di foto sul campo di concentramento di Fossoli fotografie di bimbi che sorridono e di intere famiglie. Nel primo caso si tratta dei bambini di don Zeno, nel secondo del Villaggio degli Esuli Istriani S. Marco entrambi degli anni 50. Evitiamo il cattivo esempio storico dell'uno per l'atro o del tutti per uno. |
Comandante del Lager di Fossoli poi di
Bolzano era l’SS - Untersturmführer Karl Titho (Tenente), coadiuvato dall’SS-Hauptsharführer
Hans Haage (maresciallo). Poco prima della liberazione tutta la documentazione
relativa al campo, compresi gli elenchi degli internati, venne distrutta. Non
si hanno quindi notizie certe sul numero dei convogli partiti dal capoluogo
altoatesino alla volta dei campi di Mauthausen, Flossenbürg, Auschwitz,
Ravensbrück, Dachau. L’ultimo convoglio lasciò Bolzano alla volta di Dachau il
22 marzo 1945 quando questi era probabilmente l’unico ad essere ancora attivo.
A partire dal 29 aprile e fino al 3 maggio gli internati vennero rilasciati,
pare a seguito di trattative fra la Croce Rossa Internazionale, esponenti
partigiani di Bolzano ed il comando del Lager; tutti i prigionieri ancora
presenti, il cui totale ammontava a circa 3.500 persone, ricevettero un
Entlassungsschein firmato dal Lagerkommandant Titho e vennero condotti a
scaglioni fuori dalla città. Nel novembre 2000 un ex SS del campo - Michael
Seifert, oggi residente in Canada - è stato condannato all'ergastolo in
contumacia dal Tribunale militare di Verona per gli orrendi delitti compiuti a
Bolzano. Titho e Haage non sono mai stati condannati. Sempre loro sono anche
stati di recente scagionati dalla responsabilità della strage di Cibeno di
Carpi (Nel poligono di tiro di Cibeno, frazione a circa 3 km a nord di Carpi,
furono trucidati il 12 luglio 1944 sessantasette internati politici per
rappresaglia ad un attentato avvenuto a Genova).
Dalla “VOCE” di Carpi del 29 luglio 2004 sul libro di Paolo Paoletti "La strage di Fossoli: 12 luglio 1944 … Il suo lavoro ha dunque solide basi documentarie. Ed è proprio per questo che risaltano ancora di più i bersagli polemici che Paoletti elenca all'inizio e alla fine del volume: la pubblicistica sul cosiddetto "armadio della vergogna" e la stessa istituzione della Commissione parlamentare sull'insabbiamento dei fascicoli sulle stragi nazifasciste, che avrebbero distolto l'attenzione dagli errori delle Procure militari che per 60 anni hanno cercato le persone sbagliate e "sono andate dietro all'opinione pubblica o ai venti politici"; la Procura, in particolare, di Bologna che fra il 1946 e il 1948 aveva come unici ricercati Titho e i suoi sottufficiali e quella della Spezia (subentrata a Bologna) che nel 1999 archiviò quelle accuse, senza ammettere che "fin dagli inizi si era sbagliato strada"; (sbagli per) tutti coloro che, da Demos Malavasi (sindaco della città) a Gianfranco Maris, dell'Aned, al senatore Luciano Guerzoni, alla giornalista Carmen Lasorella (in un servizio del Tg1 da Berlino), si sono ostinati nelle accuse a Titho, anche dopo il suo proscioglimento. La polemica di Paoletti coinvolge anche il Comune di Carpi per ".. quelle centinaia di milioni spesi negli anni '80 per i 35 progetti per Fossoli" che se fossero invece stati indirizzati a ricerche archivistiche avrebbero permesso di "... scoprire la verità sulla strage con un largo anticipo". Insomma, ne ha per tutti lo studioso (Paoletti) che non ha mai nascosto di non aver ricevuto da Carpi gli appoggi e l'accoglienza che forse si aspettava. La strage fu ordinata dal comando delle SS di Verona e in particolare da Wilhelm Harster, Fritz Kranebitter, Karl Müller, Fritz Ehrke. Secondo Paoletti, la strage di Fossoli «è anche l'esempio più eclatante del mancato coordinamento tra polizia investigativa inglese e italiana negli anni 1945-48». Basti pensare che Ehrke venne rilasciato a Roma nel 1947, dopo aver sottoscritto una dichiarazione in cui ammetteva di avere partecipato al massacro del Cibeno e indicava i responsabili. Müller invece conservò (in tasca) fino al 1946 l'ordine di esecuzione ricevuto da Kranebitter. |