1944

I GIUSTIZIATI  DI VERONA

           

I CIANO
Costanzo (il Padre 1876 - 1936)


Costanzo Ciano

Motivazione della Medaglia d'Oro al V.M.:

Al comando di una squadriglia di MAS percorreva novanta miglia entro mari nemici, spingendosi per angusti sinuosi canali, sorpassando strettoie sbarrate e difese da artiglierie, raggiungendo lo scopo di lanciare i sei siluri delle sue tre unità contro le navi rifugiate nella parte più profonda di un munito ancoraggio avversario. Rifaceva quindi lo stesso cammino esponendosi alla reazione del nemico, la quale per mare, per terra, per aria si presentava facilissima, naturale, sicura sulla via del ritorno.

Dopo aver frequentato l'Accademia navale di Livorno, nel 1896  partecipa a corsi di armi subacquee ed è in Libia per la campagna coloniale poi nella Grande guerra, prendendo parte soprattutto alle azioni dei MAS, tra cui la celebre beffa di Buccari o Bakar (gli austriaci controllavano tutto l'alto adriatico, Venezia esclusa) del 10 febbraio 1918. Più volte decorato, al termine della guerra sceglie di essere collocato nella riserva per passare all'impiego civile, come direttore di una compagnia di navigazione di proprietà di Giovanni Agnelli. Dal 1921, eletto deputato per il Blocco nazionale nel collegio di Livorno, si dedica completamente alla politica. Sottosegretario alla Marina e commissario alla Marina mercantile nel primo ministero Mussolini, nel febbraio 1924 diventa ministro delle Poste e Comunicazioni (oggi si direbbero Media) comprendente la Marina Mercantile, le Poste, i Telegrafi e le Ferrovie. Per oltre un decennio gestisce settori cruciali e sovrintende alla privatizzazione della telefonia urbana e alla riorganizzazione dell'amministrazione ferroviaria, accumulando anche una consistente fortuna personale (di sopranome faceva Ganassa) di cui recentemente la Rai ("La Grande Storia") scopre l'esistenza. Amico di Guglielmo Marconi e particolarmente attento all'organizzazione del consenso, avvia una pionieristica rete di radiocomunicazioni direttamente gestita dallo Stato, promuove lo sviluppo del dopolavoro ferroviario e, nel 1928, istituisce l'Ente Italiano Audizioni Radiofoniche (EIAR poi Rai). Nello stesso anno, in onore di una sua impresa bellica della prima guerra mondiale, viene insignito del titolo di conte di Cortellazzo, che passerà al figlio Galeazzo. Il 24 settembre 1930 è chiamato da Mussolini a far parte del Gran Consiglio del fascismo.

Altre decorazioni e riconoscimenti
Medaglia d'Argento al Valore Militare (Alto Adriatico, aprile-maggio 1916);
Medaglia d'Argento al Valore Militare (Alto Adriatico 1916);
Medaglia d'Argento al Valore Militare (Alto Adriatico, novembre 1916);
Medaglia d'Argento al Valore Militare (Venezia, 1917);
Medaglia di Bronzo al Valore Militare (Alto Adriatico, 1917);
Promozione a Capitano di Vascello (Buccari, 1918);
Ufficiale dell'Ordine Militare di Savoia (Pola, 1918);
Commendatore dell'Ordine Militare di Savoia (1918);
Distintivo per ferito di guerra.

E' successo anche questo: "Edda". Sceneggiato "storico" della Rai. Già ho l'orticaria della storia in televisione se a questa aggiungiamo le fiction il colmo deborda quando sento dire in un dialogo da Mussolini "Ciano chi ?", alla notizia che la figlia era fidanzata con Galeazzo. Naturalmente ho spento il televisore e sono passato ad altro. Riporto dalla critica televisiva del momento "Edda è una fiction storicamente corretta" Così lo storico Francesco Perfetti, uno dei maggiori esperti del periodo fascista, difende la veridicità di "Edda", Sono stati otto gli studiosi e gli storici di “chiara fama” e di orientamento politico e culturale molto diverso di cui la Lux Vide si e' avvalsa per la sceneggiatura della fiction di Raiuno "Edda", compreso il Giovanni Sabatucci ormai straconosciuto per le stupidaggini che riporta nella sua consulenza a spese del contribuente. La preoccupazione della fiction non era la verità, ma quella di non scontentare nessuna parte politica. Probabilmente andò diversamente perchè furono i Ciano a dire "Mussolini chi ?".

Galeazzo Ciano

(Livorno 1903 - Verona 1944)

Nel gennaio 1944 fu condannato dal Tribunale speciale straordinario e fucilato assieme a Gottardi, Pareschi, Marinelli e De Bono.

Figlio di Costanzo aderì giovanissimo al PNF. Laureato in legge e puntuale giornalista fu sottosegretario nel 1° governo Mussolini, ministro delle Comunicazioni nel 1924 e presidente della Camera nel 1934-39. Entrò nel 1925 nella carriera diplomatica. Fu viceconsole a Rio de Janeiro, Buenos Aires e Pechino (come segretario di legazione). Nobilitato nel 1928 (nel 1939 ereditò la carica di Conte di Cortellazzo), tornò l'anno successivo a Roma come addetto all'ambasciata presso la Santa Sede. Nel 1930 sposa Edda, figlia di Mussolini, iniziando una rapida carriera politica all'interno del regime. Dopo tre anni come inviato straordinario e ministro plenipotenziario in Cina, nel 1933 divenne capo dell'ufficio stampa della Presidenza del Consiglio e iniziò a vigilare sulla stampa, l'editoria, la radio, il cinema. Ispirandosi al modello tedesco creato da Goebbels, trasformò l'ufficio in sottosegretariato per la stampa e la propaganda, divenuto nel 1935 ministero. Membro del Gran Consiglio dal 1935, partecipò alla guerra d'Etiopia comandando la squadriglia aerea "Disperata"(2 argenti). A 33 anni fu nominato ministro degli Esteri. Favorevole alle relazioni tra Italia e Germania, rilanciò la politica italiana nella zona danubiano-balcanica. Dopo il patto anti-Comintern e il Patto d'Acciaio iniziò la sua conversione antitedesca. Nel periodo di non belligeranza italiana preparò comunque l'attacco alla Grecia, considerata un terreno d'azione personale, fidandosi degli allegri rapporti informativi di Anfuso e Carlo Suckert alias Curzio Malaparte. Tale intervento provocò probabilmente la deflagrazione del conflitto che a detta degli stessi tedeschi non poteva più essere fermato. Nel 1943 venne rimosso dal suo gabinetto e nominato  ambasciatore in Vaticano. Le segrete trattative per coinvolgerlo da tempo in una fronda anti-Mussolini non andarono mai a buon fine. Nella seduta del Gran Consiglio del Fascismo del 25 luglio 1943 votò contro Mussolini. Tentò quindi di fuggire in Spagna senza riuscirvi, in quanto era ormai entrato nel mirino della RSI e del rinato Duce. Nel settembre del 1943 fu catturato e portato in carcere a Verona nonostante l’intercessione della moglie Edda fuggita in Svizzera coi figli e con i famosi Diari, inutilmente cercati dai tedeschi e repubblichini. I diari dovevano svelare molti lati segreti del periodo 1937/43
 

Primo Governo della Repubblica Sociale Italiana 

Presidente Benito Mussolini fucilato a Dongo
Sottosegretario alla Presidenza: Francesco Maria Barracu - fucilato a Dongo
Ministro Esteri Mussolini Sottosegretario: Serafino Mazzolini
"        dell’Interno: Guido Buffarini Guidi - giustiziato il 10 luglio a San Vittore
“        della Difesa : Gen. Rodolfo Graziani (vedi scheda)
“        delle Finanze:Domenico Pellegrini Giampietro - muore a Montevideo il 18 giugno 1970
“        della Giustizia: Antonino Tringali Casanova - Morì di morte naturale il 2 Novembre 1943. (gli successe l'avvocato Piero Pisenti).
“       dell’Agricoltura Edoardo Moroni
“       dell’Economia Corporativa: Silvio Gai - muore a Livorno il  2 novembre 1967
(ma gli successe Tarchi)
“       dell’Educazione: Carlo Alberto Biggini - muore in una clinica di Milano, stroncato da un improvviso cancro il 19 novembre 1945
“       della Cultura Popolare: Fernando Mezzasoma - fucilato a Dongo
“       dei Lavori Pubblici: Ruggero Romano - fucilato a Dongo
“       per le Comunicazioni: Carlo Peverelli
“       del Lavoro Giuseppe Spinelli - muore a Cremona il 17 gennaio 1987
Segretario del P.F.R. : Alessandro Pavolini - fucilato a Dongo
Comandante della MSVN  Renato Ricci (vedi scheda)

 

 EMILIO DE BONO

 (Quadrumviro) viene condannato e giustiziato a Verona. Ha una propria scheda fra i Marescialli d'Italia

Carlo o Carluccio PARESCHI  di Carlo e Tracchi Edvige,
Nato il 19 agosto1898 a Poggio Renatico (Fe) - morto a Verona 1944)
Ministro dell'Agricoltura e Foreste /Membro del Gran Consiglio: Segretario Generale della Confederazione fascista degli Agricoltori, dal 1928 al 1932. Carlo Pareschi, ministro dell'agricoltura e foreste, sa che i fascisti vogliono vendicarsi, ma non si preoccupa di fuggire. Si considera un tecnico prestato alla politica: era venuto al Gran Consiglio per riferire sulla tragica situazione alimentare del Paese. Ha firmato distrattamente l'ordine del giorno Grandi. e pare che alla fine della riunione lo avesse definito come "le solite parole… poi non cambierà nulla".

Giovanni Marinelli, segretario amministrativo del Partito, è invece convinto di essere un intoccabile. È legato al Duce, con cui si da del "tu", fin dalle origini del fascismo. È stato lui l'organizzatore economico della Marcia su Roma; poi è stata una sua creatura la famigerata Ceca, che voleva essere una polizia politica ma in verità non era che una squadraccia di picchiatori, che ebbe la sua tragica notorietà con il sequestro e l'uccisione di Matteotti. Per questo delitto Marinelli fu in primo tempo inquisito e arrestato e poi  scarcerato su intervento dello stesso Mussolini, che aveva tutto l'interesse a proteggere l'uomo di cui si serviva per i più bassi lavori contro gli avversari politici. Solo quando vede arrivare a casa i militi fascisti per arrestarlo, Marinelli capisce che i tempi sono cambiati e che neanche l'intreccio di segreti e complicità col Duce lo potrà più salvare. La scena è penosa: Marinelli singhiozza e i militi lo devono strappare a forza dalla moglie e dai figli.

Luciano Gottardi, presidente della confederazione dei Lavoratori dell'Industria, continua a recarsi in ufficio fino alla metà di agosto, quanto viene destituito. Dopo la costituzione del Partito Fascista Repubblicano scrive a Pavolini per richiedere l'iscrizione; Pavolini, stupito che Gottardi sia ancora a Roma  anziché essere fuggito, gli manda a casa i militi per arrestarlo. 

Tullio Cianetti (1899 - 1974)
Primo di quattro figli, rimane orfano di padre a sei anni. Chiamato alle armi nel 1917, rimane nell'esercito col grado di tenente fino al 23 marzo 1921. È poi istruttore presso il convitto nazionale "Principe di Napoli" di Assisi. Il 10 Aprile 1921 fonda il Fascio della sua città, di cui diviene segretario l'anno seguente. Nel 1922 partecipa alla "marcia su Roma". Il 10 ottobre 1924 è segretario regionale dei sindacati fascisti. Convinto che il fascismo debba lottare contro i bolscevichi ma anche contro i capitalisti speculatori, rimarrà per questo a lungo isolato all'interno del PNF, ricoprendo comunque incarichi nel sindacato. Il 18 febbraio 1931 diventa commissario nazionale della Federazione dei Sindacati e inizia a collaborare con "Il lavoro fascista". Nel 1934 è presidente della Confederazione nazionale dei sindacati italiani; nello stesso anno entra a far parte del Gran Consiglio del fascismo. Il 21 luglio 1934 è nominato sottosegretario di Stato al ministero delle Corporazioni; nel febbraio 1943 diventa ministro. Il 25 luglio 1943 vota la mozione Grandi; una lettera di pentimento scritta il giorno successivo a Mussolini con cui ritira il suo voto gli salva la vita al processo di Verona. Sarà condannato a 30 anni di carcere.  Dopo la Liberazione emigra in Mozambico, dove muore nel 1974. 

segue da http://digilander.libero.it/lacorsainfinita/guerra2/personaggi/uomini.htm

ROBERTO FARINACCI

Ordine del giorno Farinacci

Non è fra i fucilati perché il suo ordine del giorno stava fra i "dissidenti" di Grandi e Ciano e i fedeli di Scorza (7 vedi a sx) che concordarono l'ordine del giorno con Mussolini. Farinacci come sempre da vent'anni si trova su un versante, meglio su una cresta dove nessuno capisce dove vuole andare e che cosa vuole fare. Molti dubitano che le parole di Farinacci di quel 25 luglio siano a favore del Duce e quindi anche lui deve morire......

"Il Gran Consiglio del fascismo, veduta la situazione interna ed internazionale e la condotta politico-militare della guerra sui fronti dell'Asse, rivolge il suo fiero e riconoscente saluto alle eroiche forze armate italiane e a quelle alleate, unite nello sforzo e nel sacrificio per la difesa della civiltà europea, alle genti della Sicilia invasa, oggi più che mai vicina al cuore delle altre genti, alle masse lavoratrici dell'industria e dell'agricoltura che potenziano col lavoro la patria in armi, alle camicie nere ed ai fascisti di tutta Italia che si serrano nei ranghi con la immutata fedeltà al regime; afferma: il dovere sacro per tutti gli Italiani di difendere fino all'estremo il sacro suolo della patria, rimanendo fermi nell'osservanza delle alleanze concluse; dichiara che a tale scopo è necessario e urgente il ripristino generale di tutte le funzioni statali, attribuendo al Re, al Gran Consiglio, al governo, al Parlamento, al partito, alle corporazioni i compiti e le responsabilità stabilite dal nostro statuto e dalla nostra legislazione; invita il capo del governo a chiedere alla Maestà del Re, verso il quale si rivolge fedele e fiducioso il cuore di tutta la nazione, perché voglia assumere l'effettivo comando di tutte le forze armate e dimostrare così al mondo intero che tutto il popolo combatte serrato ai suoi ordini, per la salvezza e la dignità d'Italia".
L’ODG fu votato col suo solo voto favorevole.

Quello di Scorza concordato con Mussolini da
1 Scorza (Segretario del Partito Fascista),
2 Biggini (Ministro dell'Educazione),
3 Polverelli (Ministro della Cultura Popolare),
4 Tringalli Casanova (Presidente del Tribunale Speciale),
5 Frattari (Confederazione dei datori di lavoro dell'Agricoltura),
6 Buffarini (membro a titolo personale),
7 Galbiati (Comandante della Milizia);
- astenuti: Suardo (Presidente del Senato)

Tutto quello che succederà nell’estate del ‘43 fu da lui precocemente intuito e nonostante gli avvisi ai tedeschi e al Duce non viene ascoltato. Troppe volte ha gridato “al lupo al lupo”.
- Quando il 16 luglio viene dato l'ordine a tutti i gerarchi di parlare nelle Piazze d'Italia per rassicurare il popolo quanto alla difficile situazione bellica, lui inizia a fare accuse pesanti, radicali. Ne seguono animose discussioni. Per uscirne, il gruppo di gerarchi decide di recarsi da Mussolini e lui per porre fine alle critiche convoca il Gran Consiglio per il 24 luglio sera. Di questa decisione ne viene informato il Fuhrer. La crisi morale ed umana di Mussolini si accentua con il fallimento del suo incontro con Hitler, a Feltre. Il Duce ha tentato invano di chiedere nuovi aiuti germanici per le truppe italiane, e soprattutto non è riuscito a parlargli del necessario sganciamento dell'Italia dal conflitto. …Durante il dibattito del Gran Consiglio, rivolto al Duce, ancora afferma: "La mia fedeltà e' stata sempre lontana dagli incensamenti e non ha mai ridotto l'indipendenza del mio giudizio. Tu sai che resterò al tuo fianco con una solidarietà totale ed assoluta. Tu non hai mai creduto di fidarti interamente di noi vecchi. Ad uno ad uno ci hai allontanati, mentre noi non chiedevamo che di servire il nostro paese ed il Regime. Tu molte volte hai scelto i meno preparati, i meno intelligenti ed anche i meno fedeli, solo perché dicevano sempre di si… e giuravano falsamente sulla tua infallibilità. Mussolini abbassa il capo, quasi ad ammettere la verità delle sue parole. E Farinacci prosegue: "I soldati tedeschi muoiono accanto ai nostri… Col tedesco bisogna parlar franco, mostrarsi uomini e non cortigiani; ma una volta scelta una linea di condotta, quella bisogna seguire con la massima lealtà" .
Non sarà così.
Respinge l'ordine del giorno nella seduta del Gran Consiglio del Fascismo del 25 luglio 1943 (in pratica vota per se) e fugge in Germania dove verrà visto con sospetto da Hitler che non vede l’ora di liberare l’amico Mussolini (Gran Sasso 12/9). Rientrato in Italia viene trattato come un appestato e tenuto alla larga dai nuovi fascisti repubblicani. Dal suo feudo indisturbato di Cremona continuò ad osservare l’evoluzione sempre più cruenta del fascismo repubblicano ormai ostaggio di tedeschi senza speranza mentre gli alleati ormai sono alle porte della pianura padana e della sua Cremona. Il 27 aprile con una colonna di fedeli si dirige verso quello che era indicato come l’ultimo baluardo, il Ridotto Alpino Repubblicano, conosciuto anche come Ridotto della Valtellina.  segue a sx
Era il luogo dove i fascisti, coi tedeschi (forse ?), avrebbero dovuto organizzare la difesa finale della Repubblica sociale italiana. L'idea emerse undici giorni prima della Liberazione, il 14 aprile 1945, in una riunione nella residenza di Mussolini, presso Villa Feltrinelli a Gargnano, tra i rappresentanti tedeschi e i massimi dirigenti di Salò. La sua macchina si stacca dalla colonna ormai oltre Milano in Brianza perché vuole accompagnare a casa della sorella ad Oreno la marchesa Carla Medici del Vascello segretaria dei fasci femminili. E’ senza scorta, guida lui con una mano sola, l’autista è seduto dietro e la sua auto sta facendo una inversione verso sud est in area fortemente presidiata da partigiani. Forza un posto di blocco a Beverate e viene inseguito e bloccato dopo una sparatoria in cui hanno la peggio i due del sedile dietro. l’autista muore sul colpo, la Marchesa Medici viene ferita mortalmente (morirà dieci giorni dopo in ospedale), lui è salvo. Il mattino del giorno dopo, 28 aprile 1945, dopo aver passato la notte in una villa di Merate, subisce un processo sommario partigiano anche se lui si difende dicendo che sono anni che è escluso dalle decisioni del partito (come Starace). Conclude che non spetta ai giudici che ha di fronte condannarlo, ma almeno a quelli di Cremona. Alla richiesta della pena di morte sorge una certa esitazione, ma l'intervento di una madre a cui da poco e' stato ucciso il figlio fa decidere unanimamente di fucilarlo alla schiena. Scrive un biglietto di addio alla figlia, poi si libera di tutti i soldi che ha in tasca chiedendo che vengano distribuiti fra i poveri di Cremona. Non vuole morire fucilato alla schiena e si volta di scatto. I partigiani sparano in aria poi gli concedono il petto che viene traforato dalla scarica. Così muore il vecchio massone Roberto Farinacci. Così dal Forum http://www.vivamafarka.com/forum/index.php?topic=107496.0  dei suoi tentativi
L’8 gennaio 1944, due giorni prima della sentenza, Farinacci si presentò nell’aula in cui si svolgeva il processo, nella tetra cornice di Castelvecchio di Verona, con il fermo proposito di deporre come testimone, svolgendo una delle sue brillanti arringhe di avvocato, a difesa degli imputati. Farinacci aveva già deposto davanti al giudice istruttore Vincenzo Cersosimo, ma aveva riservato gli argomenti più strettamente politici, sul filo del ragionamento dialettico, alla corte. Durante quella mattinata carica di tensione, il ras fu visto intrattenersi a lungo, nel cortile di Castelvecchio, con Scorza, che era già in odore di condanna a morte. Si temeva moltissimo ciò che Farinacci avrebbe potuto dire, perché, durante la deposizione resa in istruttoria, s’era lasciato andare a giudizi pesantemente critici verso Mussolini. Gli fu quindi impedito di salire sul predellino. Il gerarca, sconfitto ma non domo, decise allora di rilanciare la posta. Esponendosi personalmente al rischio della sua stessa vita, volle incontrare in un ristorante gli otto componenti del collegio giudicante presieduto da Aldo Vecchini, avvocato e console della Milizia. Tra i giudici, vi erano fascisti di provata durezza, come il prefetto Enrico Vezzalini. Mussolini aveva voluto includere nel collegio il proprio aiutante di campo, il console Vito Casalinuovo, e il capo della Polizia repubblicana, il generale Renzo Montagna, che cercò di esercitare un ruolo moderatore. La mossa di Farinacci poteva costargli l’incriminazione e forse una condanna a morte per direttissima. La posizione del gerarca, infatti, era delicatissima, in quanto pendeva su di lui un procedimento avanti allo stesso Tribunale speciale. L’ex segretario del partito avrebbe dovuto essere giudicato a sua volta sotto la luce del tradimento, per aver tramato contro Mussolini fin dalla fase preparatoria della riunione del Gran Consiglio, come si poteva leggere nel famoso memoriale del maresciallo Ugo Cavallero.
L’incontro di Farinacci con i giudici ebbe luogo all’albergo Colomba di Verona. Toffanin ne fu testimone e così ne riferì ad Adriana Farinacci, in una lettera inedita dell’8 dicembre 1962: «L’albergo ha una specie di loggia nella quale io ero sovrastante la sala dove mangiavano tutti i componenti del Tribunale speciale, tranne Vecchini, e ho sentito e non sentito i discorsi che facevano. Ma è certo che papà tentava abilmente di portarli alla indulgenza senza mostrare troppo il fianco, naturalmente». Sicuramente, Roberto Farinacci volle recare sostegno alla linea della moderazione, che puntava ad alleggerire le posizioni degli imputati con l’invocazione delle attenuanti generiche. Quanto a Vecchini, il presidente del Tribunale si rifiutò di ricevere sia Toffanin sia il gerarca di Cremona. «Era impaurito da Pavolini, non da Mussolini», ha scritto Toffanin ad Adriana Farinacci. Pavolini, infatti, perfettamente allineato con i tedeschi, reclamava la «punizione esemplare» per i congiurati: voleva insomma veder scorrere il sangue. Il generale Montagna, in una lettera alla figlia del gerarca dell’8 novembre 1962, ebbe a confidarle: «Per ragioni ovvie, non dovrà essere detto, per nessun motivo, che a quei tempi avvertii suo padre del pericolo che correva». Lo stesso Montagna, quando la corte, alle 10 del 10 gennaio, si riunì in camera di consiglio per deliberare, cercò invano di strappare alla morte almeno cinque dei sei imputati. Quando toccò di decidere sulla sorte di De Bono, il generale scattò per difenderne la figura di combattente. Vezzalini, a quel punto, intervenne urlando: «Qui si sta tradendo il fascismo e la rivoluzione!». I giudici, anche quelli più favorevoli agli imputati, vacillarono.Alla fine, furono cinque condanne a morte, tutte eseguite, e una sola a trent’anni di reclusione: per Tullio Cianetti, che aveva subito ritrattato il suo voto in Gran Consiglio. Gli altri tredici imputati, latitanti, furono tutti quanti condannati a morte in contumacia.

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