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Fecondazione artificiale tra diritto, etica e coscienza

Figli in provetta

di Corrado Pintaldi

Sono all’ordine del giorno notizie su coppie che cercano di avere figli ricorrendo ad accordi di maternità, per vedere così realizzato il proprio progetto parentale e che riportano continuamente l’attenzione sulle problematiche inerenti la fecondazione artificiale, tema molto dibattuto negli ultimi anni e che presenta aspetti di carattere giuridico, morale e di coscienza non sempre facilmente conciliabili. Chi scrive, lungi dal voler fornire una “soluzione” a questioni che hanno già fatto versare fiumi di inchiostro da parte di personaggi sicuramente più autorevoli, vuole tentare una ricostruzione dei punti salienti della intera materia evidenziando soprattutto le problematiche inerenti al profilo giuridico della stessa.

La fecondazione artificiale è una tecnica che, contrariamente a quanto si possa credere, risale alla fine del Settecento con una serie di esperimenti avvenuti in Inghilterra. Anche in Italia i primi esperimenti, ad opera di Spallanzani, sono dello stesso periodo. Tuttavia l’interesse dell’opinione pubblicasi è acceso per la materia soprattutto nella seconda metà del Novecento, quando da una genetica di carattere terapeutico si è passati ad una per così dire ”manipolatrice”, dal momento che non ci si è limitati a risolvere problemi connessi alle varie patologie fetali e più in generale alla gestazione, ma si è andati verso un intervento più incisivo e determinante addirittura per ciò che per ciò che concerne le stesse modalità del concepimento.

È ovvio che in un’altra trasformazione così radicale degli orizzonti è necessario l’intervento della legge. Allo stato attuale del nostro ordinamento positivo trova una adeguata regolamentazione solo la fecondazione omologa, dove cioè entrambi i gameti provengono dal marito e dalla moglie. L’articolo 231 del codice civile afferma che il marito è padre del figlio concepito durante il matrimonio, anche se tale concepimento è avvenuto tramite fecondazione artificiale, tecnica che la legge se non prevede espressamente, nemmeno può escludere. I problemi veri sorgono per la fecondazione eterologa, quelle cioè in cui uno o entrambi i gameti provengono da donatori esterni alla coppia. Qui non esiste alcuna forma di regolamentazione giuridicamente vincolante e tutto è rimesso alle predisposizioni da parte degli ordini sanitari interessati, di codici deontologici i quali sono variamente interpretati dagli stessi medici che, cosa più sconvolgente, nello stesso tempo si trovano ad essere, per così dire, giudici e parte in causa.

 

L’assenza di una regolamentazione della materia ha diverse ragioni, tra cui sicuramente alcune dettate dall’opportunità di non ingerire in una materia così delicata, rinviando ad altre fonti, tipo il diritto naturale o per l’appunto i codici deontologici. Alcuni intellettuali hanno sostenuto che, dato il pluralismo filosofico e spirituale esistente in Italia, a ciascuno fosse rimesso di seguire la propria etica, religione o coscienza. Ma queste soluzioni sono poco appropriate perché nel silenzio della legge non sempre i conflitti tra figli e genitori sia sociali che biologici, sono adeguatamente componibili. In particolare, volendo esemplificare qualche aspetto patologico, problemi non ancora adeguatamente risolvibili attualmente si presentano per ciò che concerne il diritto di disconoscimento del figlio da parte del marito che ha consentito alla inseminazione eterologa della moglie, il diritto del figlio alla dichiarazione giudiziale di paternità del donatore se conosciuto, gli obblighi e i doveri di quest’ultimo a seguito del riconoscimento del suo stato di genitore biologico anche se in assenza di una precisa sua volontà al riguardo, il rischio dell’adulterio connesso alla donazione di un gamete da parte di chi è esterno alla coppia, etc…

 

Come si vede la necessità di una legge è impellente e ad avviso di chi scrive, è ancora più necessario che la stesura della stessa sia preceduta da un dibattito a cui partecipino i rappresentanti di tutte le famiglie spirituali e dei movimenti di pensiero che potrebbero avere interesse.

Questo non perché si voglia creare , tramite lo strumento della legge e il potere imperativo ad essa connesso, una sorta di “etica di stato” come è anche stato autorevolmente sostenuto, ma perché sono proprio il pluralismo ed il confronto di strumenti privilegiati di quella dialettica che sola, può portare a soluzioni soddisfacenti per problematiche che investono i diritti fondamentali della persona umana che, proprio orientamenti etici unilaterali e prevaricazioni di stampo lobbistico, potrebbero seriamente compromettere

 

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