Era uno di quei giorni in cui qualsiasi sforzo tu possa fare, nulla di ciò che fai riesce nella sua totalità.
Arrivato al suo ennesimo tentativo, Sirius incominciò a credere di non essere più capace di praticare anche solo il più piccolo incantesimo, così decise di chiedere consiglio al grande Azimut. Si recò quindi con gran timore nella stanza della rinuncia. Al centro c’era una polla d’acqua scura che occupava quasi tutto l’ambiente con la sola eccezione di una piccola passerella; una fiamma azzurra scaturiva dal centro della polla senza però emettere fumo e senza che fosse possibile capire che sorta di combustibile usasse, lasciando in ombra la maggior parte della camera.
I suoi sensi lo avvertirono di un lieve movimento intorno al limitare della polla.
Intravide quindi delle masse sanguinanti simili a larve che strisciavano, si contorcevano, o si trascinavano lungo i bordi della polla, emettendo dei suoni da cui era però impossibile capire se si trattasse di parole o soltanto di versi di angoscia e di sofferenza.
Quegli esseri ciangottarono pieni d’eccitazione e parecchi di loro si trascinarono fino al limitare della polla per indicare l’acqua con le loro stesse appendici deformi. Si avvicinò al limitare della polla, badando a non calpestarne nessuno mentre si muoveva, e nell’abbassare lo sguardo sull’acqua scura in un primo momento non vide nulla tranne il riflesso della fiamma azzurra. A poco a poco però esso si fuse con le acque, che si agitarono leggermente e gli diedero una così concreta sensazione di essere sul punto di precipitare nella polla che lui protese la mano per sostenersi, e per poco non toccò la persona con cui voleva comunicare. Non appena concluse la conversazione l’incantesimo terminò e lui tornò a trovarsi accanto ad una polla d’acqua scura. Nel frattempo parecchi esseri gli si erano raccolti intorno ed erano intenti a tastare e ad accarezzare con interesse la sua veste azzurra. Con un profondo senso di nausea si scansò da quegli esseri deformi verso i quali ora però provava anche un nuovo sentimento. La pietà.
Il Sommo Azimut lo aveva illuminato, era arrivato il giorno del suo rinnovamento. Per essere compiuto avrebbe dovuto recarsi nel tempio dei nonmorti ed invocare il “Supremo Potere”, se non lo avesse ottenuto o se non vi fosse riuscito sarebbe finito ad alimentare la folta schiera di esseri che bramavano attorno alla polla scura.
S’incamminò quindi verso il tempio ed ad ogni passo era pervaso di terrore, perché i non morti che abitavano quei luoghi non parlavano con voce stentorea ma sussurravano parole che si sentivano appena e che erano colme di disprezzo e di uno spaventoso desiderio. Il viaggio sembrava interminabile perché la paura trasformava i secondi in ore e le ore in anni mentre l’oscurità sussurrante, il fetore intollerabile e il freddo, che intorpidiva le ossa e gli arti, cominciavano a logorare la sua determinazione. A poco a poco il terreno si fece sempre più umido e camminare divenne progressivamente più difficile e oltre ai suoi convincimenti doveva combattere una costante e faticosa battaglia contro il terreno che ben presto si trasformò in una palude limacciosa e maleodorante dove il respiro si faceva sempre più affannoso per il protratto sforzo fisico. Sempre più esausto, sentì le gambe che bruciavano per la fatica e cercò di trovare tratti di terreno più solido, badando a dove metteva i piedi, senza però riscontrare nessuna differenza e continuando a sprofondare sempre di più. L’aria sembrava un liquido che gli fluisse nelle narici e nella bocca coma acqua scura e oleosa che lo fece tossire ripetutamente. Sentendo i polmoni che gli bruciarono si costrinse a trarre un profondo respiro con il solo risultato di essere assalito da violenti conati di vomito come se avesse tentato di bere dell’acqua di palude, mentre minuscoli punti luminosi che cominciavano ad apparire al limitare del suo campo visivo lo avvertivano che stava perdendo progressivamente conoscenza per l’impossibilità di respirare. Annaspando per inalare un po’ d’aria, fu costretto ad arrestarsi. E vide i morti che lo aspettavano là al limitare del Tempio dove poteva scorgere la statua del Sommo Potere. Mani prive di carne, ridotte ad un semplice insieme di tendini e di ossa, emersero dal fango scuro e afferrarono le sue caviglie, mentre voci stridule ridevano e sogghignavano tutt’intorno, quelle mani cominciarono a tirare con forza disumana, cercando di trascinarlo nel sottosuolo perché si unisse agli altri nonmorti nel loro inquieto riposo.
Levando il bastone con un grido ne calò l’impugnatura gemmata sulle mani che lo trattenevano e queste lo liberarono mentre le voci lo avvertivano che non era comunque salvo. Con un ultimo sforzo giunse infine sugli scalini del tempio, la sua volontà si fece più forte quando sentì un leggero clik provenire da sotto il suo piede. In un istante, che gli parve un’eternità, gli passò davanti tutta la sua vita e un profondo senso di impotenza lo pervase, una luce accecante scaturita dagli occhi della statua lo investì trasportandolo e trasformandolo.
Densa e palpabile, l’oscurità si abbatté su quegli esseri informi come se fosse stata in attesa dell’occasione per manifestarsi. Tutto era finito. Solo più la voce del grande Azimut riecheggiava nella stanza della rinuncia.

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Otelma

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