il Rimino - Riministoria

Chi manovra contro i fratelli Tonelli?
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Da «Ariminol» n. 24/07.08.2003


Prima pagina.
Mettendo in piazza il "caso Tonelli" (Bottega Video) la "Voce" ha scelto di sbandierare il tema degli "affari di famiglia" ma rischia di essere un falso allarme. La questione seria è un'altra: a chi è funzionale la corazzata degli organi di informazione che fa capo alla Curia? Scopritelo nell'editoriale.

Editoriale.
[...]
Il caso Tonelli e la corazzata della stampa diocesana
Il direttore della Voce di Rimini Franco Fregni, ha di recente messo in piazza "l'affare di famiglia" che coinvolge i fratelli Giovanni (direttore del Ponte e, ormai, ex presidente di Bottega Video) e Giorgio (caporedattore della Rai di Bologna) Tonelli: il primo per iscriversi all'albo fornitori della Rai e gestire in esclusiva i servizi filmati per la sede bolognese, ha dichiarato che all'interno della srl che fa capo alla Curia non c'erano persone legate da rapporto di parentela (entro il quarto grado) con la Rai. Per una svista, ha precisato il responsabile del Ponte. La questione è arrivata sul tavolo del ministro Gasparri, all'Ordine dei giornalisti, alla Commissione di vigilanza Rai, all'Usigrai… Insomma, una tempesta in piena estate.
La vicenda, che ha portato alle dimissioni di Giovanni Tonelli da Bottega Video, ha creato un vero e proprio terremoto ai piani alti della Diocesi di Rimini, proprio nei giorni in cui il vescovo, mons. Mariano De Nicolò, era fuori città per un breve periodo di riposo, costringendo il vicario generale ad una difficile e delicata azione di recupero per salvare il salvabile che ha portato alle dimissioni di Giovanni Tonelli da Bottega Video.
L'impressione è che la "bomba" a orologeria fatta esplodere dalla Voce abbia lanciato schegge che hanno colpito e indispettito non poco anche personaggi influenti sulla scena locale, chiamati in causa da un pasticcio che avrebbero volentieri evitato.
L'obiettivo della soffiata giunta alla Voce è probabilmente da ricercare nell'avvicendamento annunciato al vertice della Rai di Bologna, e oggettivamente lo "scandalo" finirà per pesare a favore del candidato Andrea Basagni e a discapito di Giorgio Tonelli, nelle settimane scorse "difeso" dalle incursioni poliste (d'altra parte su quella poltrona c'è arrivato, oltre che per meriti suoi, anche per grazia ricevuta da Romano Prodi) da una campagna di stampa condotta in prima fila dalla redazione bolognese di Repubblica.
Ma l'aspetto della vicenda che merita di essere approfondito e sul quale tutti hanno sorvolato è forse un altro.
Negli ultimi anni i media messi in piedi dalla Curia di Rimini sono diventati una vera e propria corazzata: oltre al settimanale Il Ponte, fanno capo alla Diocesi anche il portale newsrimini, l'emittente televisiva E' Tv, radio Icaro e, appunto, Bottega Video. Si tratta di un potere mediatico consistente, voluto e costruito soprattutto dal vicario generale mons. Aldo Amati e da Giovanni Tonelli, che agli strumenti informativi della Diocesi ha dedicato la vita. Non certo, come ha scritto La Voce, perché il fratello del responsabile del Tg3 dell'Emilia Romagna (e i sacerdoti compartecipi dell'impresa), abbia voluto fare affari. Piuttosto per condurre una battaglia ecclesiologica (si veda l'articolo su mons. Locatelli) all'interno della chiesa, ma anche culturale e politica nel più ampio territorio della società riminese. Oggi questo "potere" mediatico è funzionale ad un'area politica che fa capo all'attuale sindaco di Rimini Alberto Ravaioli, alla Margherita e in generale al centrosinistra, con un occhio di riguardo ai Ds. Di passaggio ci si potrebbe chiedere perché un filone di pensiero che si è formato nelle stanze del Ponte e che nella chiesa locale ha diffuso la teologia del post-concilio, issando a ogni piè sospinto la bandiera della laicità contro i vari integralismi, abbia finito per assumere i connotati del clericalismo: tolti due laici (e gli imprenditori, il cui ruolo è solo di "sostegno" economico), Bottega Video è l'emanazione diretta della Curia e vede la presenza al suo interno di quattro sacerdoti. Non sono i laici che rischiano in prima persona nella cosiddetta "sfera pubblica", ma il clero.
Ma da qui a fare la predica (un po' bacchettona) alla Chiesa, come fa il direttore della Voce, invitandola ad occuparsi della "vita spirituale", a fuggire il denaro come il peccato, e a non immischiarsi, ad esempio, nell'informazione, ce ne passa. Come ha detto giustamente Massimo Masini, ex sindaco di Riccione ad un incontro organizzato sabato scorso dalla Compagnia delle opere, "c'è in atto una sorta di protestantizzazione della vita religiosa laddove tutto è relegato nella sfera individuale e soggettiva".
Fortunatamente la Chiesa continua a generare santi come Alberto Marvelli. Che, mosso dal desiderio di incontrare la radice di quella energia indomabile che lo ha reso instancabile nel soccorrere gli altri, ha deciso di sporcarsi le mani nella politica e nelle mille implicazioni concrete di cui è fatta la vita. Oggi non è diverso.


Ancora dall'editoriale:
«In un libro scritto di suo pugno, mons. Giovanni Locatelli riapre una dolorosa ferita che ha segnato i suoi dieci anni di episcopato a Rimini: racconta di essere stato ostacolato da un "Consiglio visibile e da uno meno visibile, deciso a frenare ogni cosa", ricorda quando "gli buttarono in faccia la non fiducia nel suo mandato apostolico". Alla luce di queste rivelazioni abbiamo ricostruito i passaggi più critici del magistero di Locatelli a Rimini, dagli scontri col "Ponte" all'allontanamento di don Aldo Amati: il caso.»

Dal servizio relativo, dove si parla del «Ponte»:

I richiami inascoltati al "Ponte"
Le ostilità nei confronti di Locatelli cominciarono molto prima, già "dagli inizi", come afferma lui stesso nel libro "Il fascino dell'oltre". E una delle ragioni di scontro fu la linea editoriale del Ponte nel quale più platealmente e sistematicamente prese forma quel magistero alternativo in contrasto con l'impostazione del vescovo. Un fatto che ebbe rilievo pubblico si registrò nel 1980. Si teneva a Rimini il convegno della rivista "Il Regno", giornale di confronto e di contestazione all'interno della chiesa, su posizioni cattocomuniste e in molti casi in aperto dissenso con le gerarchie. Il vescovo prese le distanze sostenendo che "il convegno promosso dal Regno non coinvolge la responsabilità diretta della nostra chiesa". Ciononostante Il Ponte parteggiò apertamente per il periodico delle editrici dehoniane di Bologna, scrivendo che "Il Regno è uno stimato organo di informazione … autorevole e incisivo". Ben consapevole del ruolo assunto dal Ponte, nel 1980 Locatelli annunciò la sua volontà di affiancare al settimanale una commissione con lo scopo di "aiutare la redazione a garantire un rapporto sempre più organico fra realtà ecclesiale diocesana e giornale", con lo scopo di "rivedere criticamente il lavoro svolto e individuare e suggerire nuove proposte". Visto che nulla cambiava, andò oltre: "Come far sì che Il Ponte non sia - e neppure appaia - Bollettino Diocesano, cioè una pubblicazione ufficiale della Curia? Il giornale non potrà essere una facile cattedra da cui dire e propinare qualsiasi cosa. Il bisogno di una chiarificazione nella testata era sentito perché nessuno, in buona o in cattiva fede, fosse indotto ad equivocare, attribuendo arbitrariamente alla chiesa ogni contenuto degli articoli… Sicuramente chi scrive sul Ponte non ha in mente una tesi da portare avanti a qualsiasi prezzo". Fino ad arrivare a questo accorato appello: "Mi permetto di richiedere una volta ancora a tutti i lettori una loro attiva partecipazione in modo che la redazione si arricchisca di persone e di prospettive di taglio diverso. Sono davvero attesi e desiderati! Saranno i benvenuti tra i membri dell'attuale redazione. Questa compresenza e condivisione ci vuole a tutti i costi" (Il Ponte, 30.3.1980).
Ma nonostante i ripetuti appelli del vescovo il Ponte non cambiò la sua direzione di marcia. E Locatelli tornò a ribadire: "Credo spetti soprattutto al vescovo richiamare i criteri del vivere ecclesiale e diocesano e vigilare perché facciano da supporto vero, tonificante e stimolante alle ricerche. Alcuni di questi criteri sono già stati richiamati in altre occasioni e si trovano sul Bollettino, organo ufficiale a servizio degli operatori pastorali e dei fedeli; ma di tutti in verità, di tutti quelli che vogliono sapere cosa pensa la chiesa come istituzione". Aggiunse che per "far circolare le idee" all'interno della chiesa lo strumento principe era il Bollettino diocesano, mentre agli amici del Ponte ricordò che "mai nessuno può pensare di essere l'unica voce".

I trasferimenti di don Aldo Amati e mons. Fausto Lanfranchi
Nel 1984 Locatelli decise il primo avvicendamento importante allontanando dalla cerchia dei suoi collaboratori più stretti l'allora rettore del seminario, don Aldo Amati. Lo mandò in periferia, alla parrocchia di San Mauro Pascoli, accompagnando la sua decisione con queste parole: "Don Aldo Amati lascia la direzione del Seminario dopo 18 anni di servizio. Certamente ha profuso con meticolosità e precisione le doti non piccole e non poche della sua robusta personalità". E aggiunse: "Dio che conosce i nostri cuori, le difficoltà, le gioie, la dirittura del nostro cammino, lo ricompensi come è giusto". Al suo posto chiamò don Piergiorgio Farina.
Due anni dopo revocò l'incarico di vicario generale a mons. Fausto Lanfranchi, sostituendolo con don Natale Imola, sottolineando la nomina con questa significativa motivazione: "L'ho visto attento alle mie linee di servizio episcopale. Al neoeletto sono certo sarà dato rispetto, amicizia e simpatia …". Quasi a temere che chi aveva fino ad allora avversato la sua funzione di guida, avrebbe fatto altrettanto col nuovo vicario.
Oggi don Aldo Amati è vicario generale della Diocesi e moderatore di Curia. Mons. Lanfranchi è responsabile della Casa Marvelli (è vicepostulatore della causa di beatificazione del Beato) e canonico preposto della Cattedrale.

Alla pagina precedente sul caso Tonelli (nota di Antonio Montanari).


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824/18.08.2003