L'articolo sul libro papiniano dedicato a Dante , ha suscitato un vespaio.
Ne conosciamo tutti i retroscena, che non rendiamo noti per spirito di riservatezza certamente non giornalistico. Pubblichiamo soltanto la risposta di Pietro Corsi alla lunga lettera della traduttrice chiamata in causa, apparsa sul «Ponte» del 29 giugno 2003.
Gentile signora, lei mi concederà libertà di giudizio sul volumetto papiniano, non esistendo ancora un Minculpop alle cui direttive attenersi. Per lo stesso motivo, lei ha diritto a non condividere «pressoché nulla dell'articolo in questione». Parole generose rispetto al resto della sua lettera dove, con tutta evidenza, «nulla» si salva del mio scritto.
Non ho mai creduto né al Dante brutto né al Dante «medico, mago e alchimista» di cui parla (p. 8 del volume in questione edito da Raffaelli) il presidente del Centro di cui lei fa parte, sulla scia di una tradizione esoterica a cui invano un mio amatissimo congiunto, grado 32° della Massoneria (pensi un po' a chi fanno scrivere sul Ponte), ha tentato di convertirmi con lunghe e pazienti lezioni.
Vengo al «punto chiave». Lei ha inteso quel «conspecta puella» come un ablativo assoluto, mentre non lo è per niente.
Il soggetto del participio in ablativo, infatti, dev'essere diverso dal soggetto della proposizione principale. L'identità del soggetto esclude l'uso dell'ablativo assoluto medesimo.
Il quale esiste soltanto se scriviamo che, «passata una bella ragazza, Dante arrossisce» (oppure: «cessata la tempesta, la flotta parte»).
Non è il caso della sua traduzione: «vista una ragazza, Dante [le] disse». Qui il soggetto che vede, è lo stesso soggetto che parla. Ecco perché scrivevo, e ribadisco, che lei ha perso per strada metà del verbo passivo («conspecta erat»). Con deferenza.