“Si vis pacem para bellum”: se desideri la pace, tienti
pronto per la guerra. Questo assioma riassumeva, in qualche modo, la
teoria della guerra preventiva al tempo dei Romani.
Al tempo presente pare che il Presidente Bush jr. si sia ispirato a
questo principio per aggredire l’Iraq e scacciarvi il tiranno
Saddam Hussein che in vent’anni di governo ha dimostrato di essere
davvero un nuovo Leviathan, o, come direbbe il poeta Virgilio, “monstrum
horrendum, informe, ingens”(Eneide,III, v.658).
Per i Romani, nel passaggio dalle guerre di difesa a quelle di conquista,
fu conseguenza fatale applicare questo principio. Ma dopo la vittoria
definitiva su Cartagine, dilagò, come scrive lo storico Sallustio,
sempre di più la mania di dominio e di controllo su tutto il
mondo allora conquistato e conosciuto: una vera malattia, comunemente
definita imperialismo.
Ma non bisogna credere che la società romana fosse tutta d’accordo
in questo. Infatti, per secoli essa fu percorsa da una grande aspirazione
alla frugalità, alla concordia, al rispetto dei popoli. Non tutti
furono convinti che la pace fosse unicamente il frutto della guerra
preventiva. Il poeta Tibullo malediceva addirittura tutti coloro che
avevano inventato le armi e aggiungeva che non bisogna guardare ai soldati
che combattono e compiono prodigi, ma a quelli che soffrono e cadono.
Lo storico Sallustio, nella “Guerra di Giugurta”, quasi
anticipando l’insegnamento dei vari pontefici della Chiesa, in
particolare quello di Pio XII, di papa Giovanni e del successore papa
Giovanni Paolo II, scriveva che con la concordia si accresce la ricchezza,
con la discordia vanno in rovina le più grandi ricchezze. Per
questo motivo, Cicerone invitava i cittadini romani a dedicarsi alle
arti civili, alle opere di pace(Cedant arma togae!). E, tanto per citare
un’ultima testimonianza della civiltà antica, il grande
poeta Orazio, nel primo libro delle Epistole, osserva come gli sbagli
dei re li scontano i comuni cittadini.
E’ quanto accaduto nella guerra contro l’Iraq di Saddam
Hussein. Ovunque morti, stragi, desolazione, sfaldamento del tessuto
e dell’ordine civile, amministrativo ed economico.
E’ presumibile che se non vi fosse stato l’abbattimento
delle Torri gemelle l’11 settembre del 2001 gli eventi sarebbero
stati diversi. Ma bisogna ammettere che alla base della violenza, dell’odio
etnico, religioso e culturale che investe globalmente lo scacchiere
mondiale vi sono immense sacche di povertà, di egoismo, di profonde
discrepanze sociali ed economiche. Al piccolo mondo dei fortunati corrisponde
quello immenso dei poveri e dei diseredati. Finchè il divario
profondo non sarà colmato, anche in parte, non vi potrà
essere pace e concordia nell’orbe terrestre.
Forse l’incrudelirsi del terrorismo mondiale, dalla Palestina
a tutto il mondo orientale e particolarmente islamico, potrà
trovare tregua risolvendo almeno alcuni dei più gravi problemi
accennati.
E’ vero che, come dice Dante nel decimo canto dell’Inferno
“…il grande scempio tale orazion fa far nel nostro tempio”,
ossia nell’animo degli americani. Ma forse l’evento dell’11
settembre dovrebbe indurre la società americana, pur grande nella
sua operosità e nella difesa dei valori libertari, a uscire per
un momento dal proprio guscio egoistico e solipsistico del proprio immenso
benessere, per aprirsi su un panorama di maggiore solidarietà
mondiale. E’ indubitabile che un certo moderno imperialismo fondato
sull’economia e sulle armi e una certa tracotanza politica si
sia finora evidenziata nel comportamento quanto meno del governanti
statunitensi.
Quanta differenza tra lo spirito evangelico paterno, universale, appassionato
e sofferto di Papa Giovanni Paolo II invocante disperatemenete la pace
e quello freddo e intristito del Presidente Bush jr., che ogni mattina,
come riferiscono, si dedica intensamente alla preghiera e alla meditazione
cristiana, ma poi è ancora tutto rivolto a pensieri di vendetta
e di guerra. E ci auguriamo che la guerra contro l’Iraq non sia
mentalmente ritenuta da lui una prima tappa di prevenzione all’interno
di altri Stati.
Ma, a cose già fatte, occorre pensare ora a recuperare, per quanto
possibile, tutte le ragioni della pace, a ricostruire ciò che
è stato distrutto, a rifondare l’ordine e la giustizia
sulla base di una revisione dello Statuto delle Nazioni Unite, cui bisogna
assicurare rispetto, autorità piena e incondizionata sul piano
giuridico, morale e politico, soprattutto da parte delle grandi potenze
mondiali.
Quanto appare ancora attuale il grido disperato che il Petrarca rivolgeva
ai principi del suo tempo:” Io vo’ gridando pace, pace,
pace!”.