Bernhard Jope, l'affondatore
della Roma, ha quasi sessant'anni: dieci li ha passati nella
Luftwaffe, prima come pilota e poi alla guida di un Gruppo di
aerei da bombardamento, da altri diciotto vola con il grado di
comandante della Lufthansa, sulle rotte transcontinentali. Ha
percorso in aereo centinaia di migliaia di chilometri, eppure
confessa sinceramente che gli dispiacerà molto abbandonare i
Boeing 707 con cui vola regolarmente a Karaci, Bombay, in
Australia o in Canada.
E nato nel 1914 a Lipsia, vive a Maibach, un paesino di poco più
di duecento abitanti a circa sessanta chilometri da Francoforte.
Da pochi anni si è sposato per la seconda volta. Nella città
dove è nato e ha trascorso la prima giovinezza, a Lipsia, non è
più tornato dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, perché la
città è rimasta compresa nel territorio della Germania Est.
Sul terrazzo della sua villa circondata da un piccolo prato
all'inglese, Jope racconta di essere entrato nell'aviazione
della Germania nazista nel 1935, e di avere combattuto per tutta
la durata della guerra prima in Polonia, poi in Francia, in
Norvegia, di nuovo in Francia dove nel 1945 fu catturato dai
francesi. Era soltanto un soldato, uno dei tanti che avevano
combattuto in difesa del Terzo Reich. Fu liberato dopo poche
settimane di detenzione e, in luglio poté rientrare in patria.
La guerra era finita, la Germania sconfitta non aveva più
aviazione, né militare né civile. Jope non conosceva che un
mestiere, pilotare aerei: dovette ritornare a scuola, prendere
la laurea in ingegneria, e come ingegnere lavorare alcuni anni
nell'edilizia. Nel 1955, rispondendo a un invito della
ricostruita Lufthansa ritornò a volare, pilotando gli aerei
destinati alle rotte transoceaniche. Per cinque anni è vissuto
in Sud America, volando dal Cile a New York, e di qui in
Brasile. Nel 1971 è rientrato in Germania, l'anno prossimo andrà
in pensione per raggiunti limiti di età, e sarà costretto a
lasciare l'aviazione.
Dal giorno lontano in cui guidò un gruppo di bombardieri sulla
Flotta italiana che da La Maddalena dirigeva a Minorca sono
passati trent'anni. Alto, stempiato, il corpo un po' appesantito
dall'età, Bernhard Jope dice di ricordare bene l'azione.
Affabile, sicuro di sé, risponde cortesemente alle nostre
domande.
D.: Come e da chi fu comunicato l'ordine di bombardare le
navi italiane?
Jope: il 6 o 7 settembre 1943 fui chiamato al Comando di
Gruppo, e il comandante, che credo fosse il generale von
Richtofen, mi ordinò di preparare l'azione contro la Flotta
italiana, dandomi tutte le istruzioni del caso. Fu però soltanto
due ore prima dell'attacco che, come comandante di Gruppo,
ricevetti l'ordine di levarmi in volo, e con me gli aerei del
Gruppo che comandavo.
D.: Che cosa sapeva della"bomba FX 1400? L'aveva già
usata nel corso di altri bombardamenti?
Jope: Della bomba, che dalle iniziali del suo nome in
codice avevamo soprannominata Fritz, conoscevamo soltanto gli
effetti teorici, e il metodo di puntamento radio-guidato
mediante un piccolo congegno sistemato nella coda dell'ordigno,
che serviva a dirigere la bomba stessa fino al bersaglio, con
una certa approssimazione. L'FX 1400 era un'arma segreta, che
prima era stata sperimentata in Germania, e che veniva usata per
la prima volta contro un nemico proprio in occasione del
bombardamento della Flotta italiana. Il Gruppo di aerei che
comandavo era il solo a esserne armato. A Istres-Marsiglia c'era
un altro Gruppo di bombardieri che aveva in dotazione un'altra
arma segreta, una bomba razzo radioguidata chiamata Henschel
293, ma l'FX 1400 era in dotazione solo agli aerei del mio
Gruppo,
D.: Perché proprio lei con il suo Gruppo foste prescelti
per quella missione? C'era qualche motivo particolare?
Jope: Date le caratteristiche del bersaglio, navi da
guerra pesantemente corazzate, il Comando della Luftwaffe
ritenne che solo con l'FX 1400 sì avesse buone possibilità di
fare centro. Fu scelto il mio Gruppo perché era il solo armato
con quel tipo di bomba, che doveva essere sganciato da grande
altezza. Avrebbe potuto toccare a qualsiasi altro comandante di
Gruppo, se si fosse trattato di una azione normale, ma in quel
caso specifico l'ordine fu invece dato a noi.
D.: Che tipo di aerei c'erano, nel suo Gruppo, e quanti?
Jope: Erano bimotori Dornier del tipo 217 K. A
Istres-Marsiglia ogni Gruppo era composto da 80 o 100 aerei, ma
all'azione contro la Flotta italiana, ai miei ordini, non
parteciparono che 10 o 12 aerei in tutto.
D.: Riteneva possibile incontrare aerei italiani a difesa
delle navi da guerra?
Jope: Era forse possibile che ci fossero aerei italiani,
ma nessuno mi aveva detto nulla in proposito, e personalmente
non lo ritenevo probabile.
D.: Ricorda come si svolse l'azione, quando furono
avvistate le navi, e che cosa fecero gli aerei del Gruppo
durante l'attacco?
Jope: Ricordo benissimo l'insieme delle navi, quattro o
cinque da battaglia, e intorno le altre più piccole, un
convoglio di venti o venticinque navi in tutto. Venivamo da Est,
volavamo da circa un'ora e mezza. Erano le prime ore del
pomeriggio quando avvistammo la squadra, e quando fummo sicuri
che si trattava proprio della Flotta italiana ciascuno di noi si
preparò a fare quello che gli era stato ordinato. Con tutti gli
aerei a poca distanza gli uni dagli altri, sorvolammo
l'obiettivo, e cercammo una buona posizione di attacco. Ciascun
pilota scelse il proprio bersaglio, ma come avevamo fatto per
tutto il volo senza usare troppo le comunicazioni radio, perché
altrimenti il nemico, gli italiani - dico - avrebbero potuto
intercettarle, e sarebbe mancata la sorpresa. Poi il primo che
avrebbe iniziato il bombardamento comunicò agli altri che
iniziava il bombardamento, e ciascun aereo incominciò a
sganciare le bombe, cercando poi di dirigerle con la radioguida
sul bersaglio prescelto.
D.: Temeva che qualcuno degli aerei del Gruppo potesse
essere colpito dalle artiglierie delle navi italiane?
Jope: No. Non conoscevo i calibri della contraerea
italiana, ma sapevo che potevano sparare a una distanza di circa
4.000 metri. E il mio aereo, e quelli del mio Gruppo, volavano a
circa 5.000 metri perché quella era l'altitudine ottimale per
poter dirigere via radio la bomba. Quindi avevamo un buon
margine di sicurezza. Ricordo di aver visto molti proiettili
esplodere al di sotto di noi, ma sempre a una notevole distanza,
e naturalmente senza procurarci alcun danno.
D.: Riteneva legittimo il bombardamento?
Jope: Era una normale azione di guerra, non credo di
essermi mai posto il problema se fosse giusto o meno. D'altra
parte gli italiani erano diventati nostri nemici, e avevo
ricevuto l'ordine di bombardarli. Non c'era nient'altro da fare.
D.: Fu la bomba sganciata dal suo aereo a colpire la Roma
o l'Italia?
Jope: No, non sono stato io. Furono altri due piloti del
mio Gruppo, dei quali adesso non ricordo neppure il nome.
D.: Sapeva che molti uomini sarebbero morti per causa
sua, o a causa delle bombe lanciate dagli aerei del suo Gruppo.
Che cosa ne pensava?
Jope: Non mi sono mai posto il problema, e credo neanche
gli altri piloti. Era un'azione di bombardamento, con un
bersaglio speciale, per il quale eravamo stati prescelti proprio
perché i nostri aerei erano armati di bombe speciali, adatte
allo scopo. Tutto qui.
D.: Che cosa vide, dopo aver sganciato la bomba?
Jope: Non ci accorgemmo subito di avere colpito le due
navi italiane. Non potevamo rimanere sul posto molto tempo, né
potevamo vedere con esattezza quanto succedeva, data l'altezza a
cui volavamo. Dovevamo ritornare immediatamente a
Istres-Marsiglia, e poi ciascuno di noi aveva l'impressione
d'avere colpito il proprio bersaglio.
D.: Era molto difficile, con i mezzi di puntamento in
dotazione alla Luftwaffe, essere sicuri di avere centrato
l'obiettivo?
Jope: Dipendeva dall'altezza da cui era effettuato il
bombardamento. È vero che avevamo in dotazione delle bombe
speciali, un'arma segreta che avrebbe dovuto essere radioguidata
fino al bersaglio, ma era la prima volta che veniva impiegata in
azione, e i risultati non furono quelli che ci eravamo
aspettati.
D.: Che cosa fece al suo ritorno a Istres-Marsiglia, e
quando seppe che aveva affondato la Roma?
Jope: Prima impiegammo un'altra ora e mezza di volo per
raggiungere la base, e immediatamente una parte degli aerei del
Gruppo ripartì per un'altra azione di bombardamento sulla Flotta
italiana. Non c'ero più io, con questo secondo Gruppo, io
partecipai soltanto al primo bombardamento. Non mi pare di
ricordare che ci fosse uno speciale nome in codice per l'azione,
e non ricordo nemmeno il nome di chi guidava questo secondo
Gruppo di aerei. Quando anche i piloti di questo Gruppo furono
ritornati a Istres-Marsiglia dissero che dallo schieramento
mancavano due navi, e così sapemmo che le avevamo colpite, ma
senza sapere che navi fossero, e neppure senza essere sicuri di
averle affondate.
D.: Quanti erano gli aerei del secondo Gruppo, e che cosa
ottennero con il loro bombardamento?
Jope: Mi pare che vi abbiano partecipato soltanto cinque
aerei. I piloti sganciarono le loro bombe, una per ciascun aereo
come tutti quelli del Gruppo, ma non colpirono nessuna nave.
D.: Ha mai avuto contatti con i sopravvissuti della Roma,
e dell'Italia?
Jope: No, mai. Né durante la guerra, né al termine della
guerra.
D.: Aveva già compiuto bombardamenti del genere?
Jope: Nel febbraio 1940 avevo affondato una nave da
trasporto inglese, di circa 42.000 tonnellate, senza
naturalmente impiegare bombe come I'FX 1400. Quello fu il mio
miglior successo personale, per il quale fui decorato con la
Croce di Ferro di Prima Classe.
D.: E per l'affondamento della Roma ricevette un'altra
decorazione?
Jope: No. Ottenni la Croce di Ferro di Seconda Classe con
le Fronde di Quercia verso la fine della guerra, nel 1944, per i
successi che avevo ottenuto personalmente, e per tutti quelli
conseguiti dal Gruppo che comandavo. Per tutta la durata della
guerra ho partecipato, con il grado di maggiore, a circa 300
azioni di bombardamento contro il nemico.
D.: Ha ricevuto lettere di congratulazioni dai comandanti
della Luftwaffe che si riferiscano al bombardamento della Roma,
o documenti ufficiali che ne parlino?
Jope: No, non ho nulla, e non ricordo di averne mai
ricevuto. Si era trattato di un'azione del tutto normale, e come
tale fu sempre considerata da tutti. |