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(prosegue
da "I tre problemi" parte
A)
Il
complesso di colpa e gli scrupoli
La seconda grande calamità emotiva che in varia misura ci
colpisce tutti quanti è il complesso di colpa.
Esso non ha alcun rapporto con una colpa effettiva. La sua origine,
infatti, risale normalmente ad un'età in cui una colpa vera
e grave sarebbe impossibile.
Il complesso di colpa può essere definito come un ossessivo
senso di perversità morale o di peccaminosità. La
persona che lo sperimenta vividamente è perseguitata senza
un attimo di tregua da una profonda sensazione di essere malvagia
e colpevole.
Questo complesso porta con sé il bisogno d'essere puniti.
Sebbene sembri piuttosto strano, la persona che ne è profondamente
afflitta cercherà inconsapevolmente e inconsciamente che
la si castighi.
La manifestazione più grave del complesso è quando
l'individuo vuol farsi del male fisicamente o confessare un crimine
di cui non è responsabile. Una manifestazione più
leggera e più comune è quando il soggetto cerca, per
il matrimonio o anche solo sul piano dell'amicizia, qualcuno che
a suo giudizio potrà castigarlo. Così, non è
raro che una donna, dopo essersi divorziata da un ubriacone che
pur l'ha fatta soffrire, si risposi con un altro alcoolizzato.
Come nel caso dell'ansietà, la natura umana ha i suoi stratagemmi
per attenuare la sofferenza del complesso di colpa. Se l'ansietà
tende a compensarsi nelle fobie, il complesso di colpa tende ad
avere alcune manifestazioni liberatorie che sono i cosiddetti scrupoli.
La parola "scrupolo" proviene dal latino scrupulum, che
significa "sassolino". Quando per caso un sassolino ci
entra in una scarpa mentre camminiamo, noi sentiamo, a un passo
sì e un passo no, una trafitta. Così lo scrupoloso,
mentre percorre il cammino della sua vita, sente a intermittenza
le trafitte della sua colpa immaginaria.
Uno scrupolo, in genere, ha come oggetto qualche peccato o colpa
solo supposti ma ben precisi. Come la fobia delimita e concretezza
la paura generalizzata che è specifica dell'ansietà,
lo scrupolo delimita e concretezza il generalizzato senso di colpa.
Conseguentemente, i conflitti con gli scrupoli, proprio perché
intermittenti, risparmiano all'individuo l'agonia permanente e indeterminata
del suo complesso.
I
disastri di un'educazione all'insegna della severità
Abitualmente, all'origine del complesso di colpa ci sono genitori
severi o rudi.
Forse questi genitori si son detti che la loro severità era
il mezzo migliore per allenare i figli alla disciplina. Hanno giustificato
le esplosioni della loro collera puramente emotiva e gli sfoghi
per le loro delusioni personali con la sacra espressione di "missione
educativa".
Quando tali eccessi diventano un modello fisso del comportamento
dei genitori, i figli porteranno dentro di sé le cicatrici
di quella "missione educativa" per tutto il resto della
vita sotto la forma di complessi di colpa.
Ruth Krause ha pubblicato un libro in cui raccoglie le risposte
d'un gruppo di bambini ai quali era stato chiesto di definire molte
realtà della vita quotidiana. Ecco alcuni esempi: "Le
braccia servono per abbracciare"; "I cuccioli sono animali
che saltano attorno a noi e ci leccano la faccia"; "Una
buca è fatta per scavare".
Lo scopo ultimo della Krause era mostrare che i bambini non pensano
allo stesso modo degli adulti. Quando per esempio un genitore, col
sangue negli occhi e le narici dilatate, si curva sul suo bambino
e tira fuori una voce terrificante: "Sei cattivo! Hai attraversato
la strada mentre t'avevo detto di non farlo!", il figlio continua
a non rendersi conto del pericolo che ha corso. Non pensando con
le categorie di causa e di effetto, non conosce i rischi d'un bambino
che attraversa la strada da solo. Però, egli conserva dentro
di sé questo messaggio: "Sei cattivo".
Per questo, la psicologa Margaret Mead insiste sulla necessità
di comunicare al bambino il proprio amore, anche quando lo si rimprovera
o punisce. La punizione impartita con rabbia è quasi sempre,
se non sempre, molto nociva.
Il
complesso d'inferiorità
L'ultima delle tre fondamentali calamità emotive dell'uomo
è il complesso d'inferiorità. Si tratta del senso
della propria inadeguatezza come persona.
Chi si sente radicalmente inferiore agli altri e in certa misura
capita a tutti può essere, sì, consapevole di certe
sue doti particolari, ma ha dentro di sé un verme solitario
che lo rode: la convinzione della propria insufficienza. Ha l'impressione
che gli altri non possano accettarlo come persona.
È un fenomeno ben diverso dal complesso di colpa. Chi è
afflitto dal complesso d'inferiorità prova un senso non tanto
di perversità morale quanto di insignificanza personale.
La genesi di questo complesso come di tutte le altre nostre deformazioni
emotive è individuabile nei primi anni di vita. Quando i
genitori trattano il figlio come uno straccio e lo educano a tener
sempre alzata la bandiera bianca dinanzi alla loro onnipotente volontà.
Benjamin Spock pensa che l'imposizione rigorosa degli abiti da indossare
e delle ore in cui mangiare nonché l'inflessibile regolamentazione
delle altre funzioni biologiche d'un bambino possono sconvolgere
l'equilibrio emotivo di quel bambino per tutto il resto della sua
vita.
Madri che non vogliono scaldare il cibo una seconda volta e padri
che non tollerano i giocattoli sempre sparsi sul pavimento trasmettono
al figlio questo messaggio: "Tu non meriti tanta importanza.
Tutto quello che puoi fare è adattarti a noi senza disturbare
la nostra quiete".
Ciò non significa che si debba bandire una ragionevole e
amorevole formazione dei figli alla disciplina. Ovviamente, i bambini
debbono imparare che gli altri hanno i loro diritti e comprendere
che la tranquillità altrui va rispettata. Però, quando
questa formazione arriva a certi eccessi, il bambino crederà
facilmente che viene stimato solo in quanto rispetta i desideri
e le comodità dei genitori. Istintivamente, concluderà
che in sé non vale niente: conclusione che danneggerà
la sua fiducia in se stesso, forse per sempre.
La maggior parte delle lezioni efficaci per preparare un bambino
alla vita son quelle impartite più con l'esempio che con
parole rabbiose o severe. Quando vogliamo insegnare a un bambino
come si fa rimbalzare il pallone, non gli scioriniamo un corso teorico
illudendoci che lo assimili. Un bambino non è tanto un pensatore
quanto un imitatore. Perciò facciamo rimbalzare il pallone
noi stessi e gli chiediamo di ripetere quei movimenti. A-vendo una
fortissima tendenza all'imitazione, egli può riuscirci quasi
subito.
I genitori che mascherano l'attaccamento ai propri comodi riempiendosi
la bocca con le parole "missione educativa" insegnano
ai loro figli abitudini egocentriche il cui effetto non può
essere che l'infelicità.
I sette primi anni sono gli anni decisivi.
La cosiddetta opzione umana fondamentale cioè la scelta tra
l'amore (occuparsi degli altri e della loro felicità) e l'avidità
(occuparsi di sé e della propria soddisfazione) è
in gran parte determinata dalle lezioni che offre l'esempio dei
genitori e dal meccanismo dell'imitazione infantile.
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