Attraversando i boschi di Abeti del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna, ci si può imbattere in curiosi accumuli di aghi e ramoscelli a forma di un curioso pan di zucchero. Meglio non avvicinarsi troppo, perché alcune formiche dal caratteristico colore rosso ruggine potrebbero iniziare ad arrampicarsi sui nostri abiti ed a spruzzarci di acido formico, dall’odore molto pungente, penetrante e caratteristico.

            La curiosa collinetta è, infatti, un nido di Formica rufa (Formica rufa).

            Questa specie, in realtà, è originaria delle Alpi, dove è facile incontrarla nei boschi di Larice. Dove, con la sua attività predatoria nei confronti di numerosi insetti dannosi per gli alberi, svolge un ruolo di contenimento nei confronti di queste specie e, in definitiva, mantiene i boschi in salute.

            Per tale motivo, a partire dagli anni ’70, si pensò di introdurla nei rimboschimenti di pino e di abete, che, non essendo boschi naturali, bensì prodotti dall’attività dell’uomo, erano particolarmente fragili e soggetti ad aggressioni da parte di numerose patologie, tra le quali diversi insetti parassiti.

            I primi esperimenti vennero effettuati in Liguria, in alcuni boschi di pino: qualche nido venne prelevato dai boschi di larice alpini e portato a destinazione all’interno di grandi fusti. Qui non si era certi che le Formiche rufe sarebbero potute sopravvivere: il loro nido è infatti ricoperto da una caratteristica struttura di aghi e rametti trasportati dalle operaie, ma gli aghi di pino sono enormemente più grandi e pesanti di quelli di larice, se paragonati alle dimensioni delle formiche operaie. In realtà queste dimostrarono una forza straordinaria riuscendo facilmente ad edificare nidi anche con i nuovi aghi. E, una volta insediatesi, hanno iniziato a svolgere egregiamente il loro compito di protezione dei boschi dai parassiti.

            Per questo motivo la Formica rufa è stata introdotta in molti altri boschi di conifere presenti sul territorio italiano. Comprese le abetine del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna.

            La Formica rufa è un insetto sociale e le colonie, composte anche da mezzo milione di individui, sono rette da un sistema matriarcale e sono suddivise in rigide caste che assolvono compiti diversi. Al vertice del sistema si trovano le regine la cui funzione è esclusivamente quella di deporre le uova. (la Formica rufa è una specie nelle cui colonie coesistono più regine, ovvero è una specie cosiddetta poliginica). Immediatamente accanto alle regine ci sono le vergini, che sono potenzialmente fertili, ma che non si sono ancora accoppiate. Quindi vengono le operaie, femmine anch’esse, però sterili, che possiedono ovari regrediti. A loro spettano svariati compiti: dalla costruzione e manutenzione del nido alla sua difesa, dalla raccolta del cibo alla cura ed all’allevamento delle larve. Nella Formica rufa non esistono differenze morfologiche tra le operaie (in altre specie di formiche, infatti, una parte delle operaie può avere un aspetto diverso e svolgere esclusivamente compiti particolari) ed il loro ruolo varia con il progredire dell’età.

            Infine ci sono i maschi, che non prendono parte alla vita delle colonie, ma che servono esclusivamente per la riproduzione, al momento del cosiddetto volo nuziale (le formiche, infatti, sono imenotteri come le api e le vespe e, come tali, possiedono le ali, perlomeno i maschi e le femmine fertili; queste ultime, poi, generalmente le perdono dopo l’accoppiamento). Una volta avvenuto l’accoppiamento gli individui di sesso maschile, esaurita la loro funzione, muoiono nel giro di pochi giorni.

            Le femmine fecondate, che diverranno le future regine, possono vivere per diversi anni (generalmente più di cinque) e conservano lo sperma dei maschi all’interno del loro corpo, in un organo chiamato spermateca, per fecondare le uova anche molto tempo dopo l’accoppiamento. Non tutte le uova vengono fecondate, però: infatti da quelle fecondate nasceranno esclusivamente femmine, mentre, se la regina impedisce agli spermatozoi di raggiungere le uova, da queste si svilupperanno i maschi.

            Per quanto riguarda le femmine, poi, che andranno a costituire le varie caste della colonia, non si conosce ancora a fondo il meccanismo che ne regola la differenziazione. Si pensa, però, che non sia un fattore genetico, ma che sulla fertilità o meno delle larve influiscano elementi ambientali secondari. In parole povere, tutte le uova fecondate deposte dalle regine hanno le medesime potenzialità e quindi da esse avrebbero facoltà di svilupparsi adulti di qualsiasi casta. L’orientamento verrebbe stabilito in seguito, attraverso il cibo che viene somministrato alle larve, la temperatura del nido e forse anche particolari sostanze chimiche che la madre emette per inibire la formazione di nuove regine.

            La chimica è sicuramente la base della vita di un formicaio. Ogni formica è fornita di numerose ghiandole (nelle antenne, sul capo, vicino alle mandibole, nel torace, nell’addome e sulle zampe), che emettono particolari sostanze, chiamate feromoni, i cui odori caratteristici trasmettono alle compagne messaggi diversi, dal semplice riconoscimento tra individui di una stessa colonia all’allarme per un’aggressione, dalla traccia di una pista che conduce al cibo a quella che invece riporta al nido. Da questo punto di vista alcuni Autori hanno paragonato una colonia di formiche ad un “superorganismo”, composto, anziché da cellule, da individui che possiedono un patrimonio genetico in parte comune, ma che sono indirizzati verso funzioni e compiti differenti (come accade alle cellule che compongono i vari tessuti di un organismo) e coordinati nelle loro attività da una complessa rete di messaggi principalmente di tipo chimico.

            La vita delle formiche è un complesso sistema di odori ed anche la morte è un fatto di odore. Un individuo morto, infatti, mediante una sostanza chimica, l’acido oleico, emette una particolare esalazione che gli entomologi chiamano “feromone funereo”. Questo sentore fa in modo che le operaie riconoscano la loro simile come morta e che la prendano di peso per portarla in una specie di cimitero, cioè un luogo ben preciso al di fuori del formicaio, dove vengono ammassati tutti i corpi delle compagne morte.

            È stato dimostrato che, se una formica ancora viva e vegeta viene cosparsa di acido oleico, le altre operaie la prendono di peso e la trasportano al di fuori del nido insieme agli altri cadaveri.

            Accanto ai messaggi chimici, poi, ne esistono alcuni motori (tramite movimenti ritualizzati, che normalmente hanno la funzione di reclutare altri individui consimili per la ricerca di cibo o per missioni aggressive) ed, infine, messaggi sonori, prodotti da un apparto che si trova tra il torace e l’addome e che è formato da una specie di plettro su cui vengono sfregate molto velocemente delle minuscole creste muovendo il gastro (che è la parte anteriore dell’addome). Questo produce particolari stridulazioni, quasi impercettibili per il nostro orecchio, che hanno soprattutto la funzione di chiedere aiuto in quelle situazioni in cui a nulla può servire sprigionare feromoni, come ad esempio il crollo di una galleria o un’aggressione da parte di formiche avversarie.

            E ora cerchiamo di capire meglio come sono costruiti i nidi. La grande cupola (detta acervo) di aghi e rametti che può arrivare ad oltre un metro di altezza in realtà non è altro che una piccola parte del formicaio vero e proprio, che si estende per la maggior parte nel sottosuolo e che viene scavato dalle operaie a forza di mandibole. È una struttura alquanto complessa, composta da numerose camere e gallerie disposte su vari piani che hanno la funzione di mantenere una temperatura ed un’umidità costanti all’interno del formicaio stesso e di garantire al tempo stesso una buona aerazione di tutte le sale. Sale in cui vengono accumulate le scorte di cibo, in cui le regine depongono le uova oppure in cui le operaie nutrono e accudiscono le larve ai vari stadi del loro sviluppo.

            Le operaie si preoccupano anche di procacciare il cibo per tutta la colonia. La Formica rufa è carnivora e pertanto deve cacciare le sue prede. Le sue strategie di caccia sono molto complesse, elaborate e basate su una cooperazione tra individui che consente a questi insetti di catturare ed uccidere anche prede più grandi di loro. Solitamente le operaie circondano un’eventuale preda a gruppi di cinque o sei, quindi alcune di loro la immobilizzano con le mandibole mentre altre le spruzzano addosso il micidiale acido formico contenuto nel loro addome. Tutte le specie di formiche producono questa sostanza (da cui il nome), ma la Formica rufa ne possiede quantità straordinarie: nel suo addome si trova infatti un serbatoio di acido formico che può pesare un quinto del suo corpo! Si è calcolato che in questa attività venatoria un nido di Formica rufa può eliminare quotidianamente 4.000 larve di coleotteri xilofagi (che si nutrono del legno e che parassitizzano gli alberi) e circa 50.000 insetti, per un totale che può arrivare fino a 5 milioni in una sola stagione.

            Quando arriva la stagione riproduttiva dai nidi si alzano in volo sciami di regine vergini e di maschi che cercano di accoppiarsi. Molte femmine moriranno in questo tentativo (ed i maschi periranno tutti, sia che riescano ad accoppiarsi sia che no ce la facciano), ma quelle che sopravvivranno andranno a fondare una nuova colonia. Cercheranno un sito adatto dove iniziare la costruzione del nido, quindi si staccheranno le ali e scaveranno piccole cavità dove deporranno le prime uova fecondate dallo sperma dei maschi, che verrà conservato per molti anni all’interno di uno speciale organo, chiamato spermateca, dal quale mediante una speciale valvola, controllata dalla regina stessa, gli spermatozoi possono raggiungere l’apparato riproduttore e qui fecondare le uova. Dalle prime deposte nasceranno le nuove operaie che andranno a costruire il nido vero e proprio ed il suo caratteristico acervo  e a prendersi cura della regina. La quale, finché le nuove operaie non saranno adulte, a quel momento dovrà nutrirsi delle riserve derivanti dal riassorbimento dei muscoli alari (ora per lei inutili) e di una parte delle uova che essa stessa depone.

            Tutto questo può apparire crudele e violento, ma la vita delle formiche è tutt’altro che quieta. Forse perché questi insetti discendono dalle vespe (sembra che le più antiche risalgano a circa 92 milioni di anni fa), ma di certo sono creature tutt’altro che pacifiche, sebbene le favole di Esopo e La Fontaine le descrivano come creature operose, da cui gli uomini dovrebbero trarre esempio. L’entomologo Edward O. Wilson scrive che “Se le formiche possedessero armi distruggerebbero il mondo in una settimana”. Infatti questi animaletti combattono spesso con i loro simili per il cibo e per il territorio. E nelle loro guerre non esiste il concetto della pietà per i vinti: il nemico va annientato! Sicuramente i grandi favolisti del passato, se avessero conosciuto in maniera più approfondita questi insetti, non li avrebbero scelti quali esempio di virtù, ma certamente il loro mondo e la loro vita sono senza dubbio ricchi di interesse e di fascino.

 

 

 

Bibliografia:

 

Giuseppe Brillante: “Le formiche senza segreti”. Airone N. 255, Luglio 2002. Editoriale Giorgio Mondadori.

Campigna. L’abete bianco e le abetine”. Sentiero Natura N. 1. Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna.

 

L'immagine della Formica rufa proviene dal sito: http://www.bdp.it/parco/percorsi/sentiero1/nodo6.htm

 

 

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