Partitura-bozzetto di Giusto Pio
Castelfranco
Veneto (TV), Ottobre 2000
Dopo
quasi vent’anni, in una ancora calda domenica pomeriggio di fine settembre,
riesco a coronare un piccolo “sogno” coltivato da quando facevo le scuole
superiori. Erano i primi anni ottanta, quando impazzavano i Duran Duran e gli
Spandau Ballet, ma nelle classifiche italiane spopolavano i dischi di Franco
Battiato, e quelli prodotti e scritti da lui per Alice e Giuni Russo. Il nome di
Battiato, a quei tempi, era sempre accompagnato da quello di un “certo”
Giusto Pio, violinista bravissimo che non solo suonava in tutti questi dischi e
nei tour di Battiato, ma firmava anche la musica di tutte queste straordinarie
canzoni di successo. Avevo comprato anche due suoi dischi (entrati anch’essi
nelle hit-parade), “Legione straniera” e “Restoration”, oltre ad un
particolarissimo 45 giri firmato Pio, ma cantato da Battiato e dal titolo “Auto-motion”.
I giornali parlavano spesso di Giusto Pio, poi pian piano, negli anni seguenti,
finito il sodalizio con Battiato, di Giusto Pio purtroppo non si seppe quasi più
nulla, fino a quando il suo nome ricomparve in occasione della rappresentazione
della “Missa populi” durante un’Estate catanese. Con questo non è che in
quegli anni Giusto Pio avesse smesso di comporre, ma essendosi dedicato a
scrivere musica non più molto “leggera” (a parte l’album “Note”),
purtroppo sappiamo bene come un certo genere faccia fatica a scalare le
classifiche, e dunque con quale difficoltà anche io ero riuscito in quegli anni
a reperire i suoi lavori. Capite a questo punto perché dico che ho coronato un
piccolo “sogno” riuscendo ad incontrare, a casa sua, il Maestro Giusto Pio,
scoprendo una persona gentilissima, ospitale, un perfetto anti-divo (nonostante
la sua incredibile e luminosa carriera artistica), disposto a raccontare e a
raccontarsi ad un inopportuno sconosciuto.
GLI INIZI
Leggo
nella biografia del sito di Battiato: “Violinista classico di livello
nazionale, ha vissuto una quarantennale carriera professionale che lo ha portato
a vivere le più disparate esperienze musicali. Diplomatosi a Venezia con L.
Ferro, ultimo violinista della grande "scuola veneziana", ha studiato
composizione alla scuola di Malipiero”. E ancora: “vincitore del concorso
internazionale di Ginevra, di Santa Cecilia etc…”
Sì,
o meglio, a Ginevra secondo premio. Primo premio non assegnato.
“Ha
suonato un repertorio cameristico, solistico, sinfonico ed operistico che spazia
dal Medioevo alla musica contemporanea attraverso il Barocco con una discografia
che vanta decine di titoli”. Non si trovano più questi dischi?
Credo
che ormai siano tutti fuori catalogo.
Suonando
poi diversi strumenti oltre al violino.
Sì,
perché facevo parte del complesso “Symposium Musicum di Milano” con il
quale svolsi un’intensa attività concertistica. In questo complesso suonavo
la viella, la ribeca e la lira da braccio. Si eseguiva musica medievale e
rinascimentale e va detto che a quei tempi eravamo solo noi ad eseguire musica
di questo tipo.
E
avete fatto delle incisioni con questo complesso?
No,
non abbiamo mai inciso dischi di questo genere.
(Peccato!)
In una delle sue biografie che ho letto su un libro, si dice che lei è stato
anche “Concertino dei primi violini dell’orchestra della RAI” e violino
nell’orchestra della Scala.
Ho
suonato anche alla Scala, ma non ero titolare. Ero titolare presso l’orchestra
sinfonica della Rai di Milano. Del resto non si poteva stare in due posti
contemporaneamente!
GLI
INIZI DELLA COLLABORAZIONE CON BATTIATO
E
dunque, mi dica: ma chi gliel’ha fatto fare, nel 1978, di abbandonare questa
luminosa carriera per fare “Juke Box” con Battiato?
E’
stato molto facile e molto naturale. Io allora facevo solo un certo tipo di
musica; con Battiato ho avuto la possibilità di allargare la mia conoscenza.
Pensi che a casa mia la musica leggera non la volevo proprio sentire. I miei
figli ascoltavano le canzoni, ma quando c’ero io, smettevano. Un giorno il mio
amico Antonio Ballista mi chiese se potevo impartire lezioni di violino ad un
musicista “molto promettente” di nome Battiato. Gli impegni di lavoro a quei
tempi erano molto numerosi e il tempo libero a disposizione molto poco. Fu mia
figlia a convincermi ad accettare, perché lei conosceva la sua musica. Erano i
tempi di “Sulle corde di Aries” che, pur non essendo un disco di musica
leggera, veniva trasmesso nei canali della musica leggera lo stesso. Credo che
questo disco, allora, abbia venduto circa 20.000 copie. E così Battiato
cominciò
a venire a prendere lezioni di violino a casa mia, a Milano. Dopo un po’ di
tempo abbiamo scoperto che avevamo modi di “pensare la musica” abbastanza
simili. Forse è questo il motivo che ci ha consentito di iniziare una
collaborazione, proprio con “Juke box”. In quel disco io avevo organizzato
l’orchestra, mentre la direzione era affidata a Roberto Cacciapaglia. Io,
inoltre, ho suonato il violino in due brani.
Prima
di dedicarvi alla musica leggera, Battiato continuò il suo grande lavoro di
ricerca musicale, vincendo anche il premio Stockhausen con “L’Egitto prima
delle sabbie”, e lei incise il bellissimo “Motore immobile”...
Battiato
mi portò a casa due tastiere, e così cominciai a scrivere “Motore
immobile” che poi incisi con Michele Fedrigotti.
Che
doveva essere giovanissimo, allora...
Sì,
era proprio un ragazzo, e aveva una fisionomia precisa alla mia quando avevo
17-18 anni. Ho delle foto in cui sembro Fedrigotti. Invece adesso mi scambiano
per Enzo Biagi!
A
quei tempi Battiato andava in giro a fare improvvisazioni insieme a Juri
Camisasca e mi proposero di unirmi a loro.
Caspita,
che bel “terzetto”...
Franco
al pianoforte, io al violino e Juri cantava. Tutte improvvisazioni...
...che
immagino non siano mai state incise...
Infatti...
in seguito, solo con Battiato, andammo anche a Palermo, al Punto Rosso, che
allora era uno di quei locali cosiddetti alternativi: non c’erano neanche le
sedie e il pubblico era seduto per
terra. Al mattino capitava che alla radio trasmettessero qualcosa di queste
nostre improvvisazioni.
In
fondo sono rimasto affezionato a questo periodo e a questa musica, così
spontanea e genuina, con la quale riuscivamo ad ottenere sonorità molto
interessanti e all’avanguardia.
Battiato,
dunque, smise presto di suonare il violino. Non è stato un bravo allievo?
Ha
fatto miracoli, invece! Non è facile cominciare a suonare uno strumento come il
violino se non si comincia da piccoli. In alcuni concerti, comunque, suonava
anche lui il violino, improvvisando con me.
Dopo
vi siete dedicati alla musica leggera...
Il
primo brano che abbiamo realizzato, praticamente in casa, si chiamava “Adieu”,
con un testo in francese, che pubblicò la WEA. Nel disco Battiato cantava e io
suonavo il violino, ma siccome Battiato non voleva comparire, si firmò con lo
pseudonimo Kui e il nome del cantante che comparve sul 45 giri fu “Astra”.
La cosa curiosa fu che quando si dovette promuovere il disco, tenuto conto che
nel frattempo io ero occupato con l’orchestra sinfonica della Rai, in TV
andava... mio figlio Stefano, che fingeva di cantare e suonare il violino.
Attualmente mio figlio suona la viola presso “La Fenice” di Venezia.
Parecchi anni dopo questo brano è diventato “Una storia inventata” per
Milva. Quando poi Battiato decise che per promuovere la propria produzione
bisognava sostenerla in prima persona, siamo partiti con “L’Era del
Cinghiale Bianco”.
Sì,
perché Franco era amico di Gaber. E’ stato il primo nostro lavoro di
arrangiamento.
Un
altro genere. Recentemente è stato ripubblicato su CD, mentre il disco in
vinile attualmente è quotato più di un milione di lire. Non per altro, ma
perché è un disco raro, e perché ne sono state vendute pochissime copie...
Possiamo
immaginare una grande ruota che gira. In mezzo a questa ruota c’è un punto,
in centro, un punto che non ha dimensioni. Pertanto tutto gira, ma il punto
resta immobile. Immaginare cos’è Dio? Il mio cervellino sicuramente non può.
Secondo me è una grave presunzione anche solo paragonare Dio a quello che noi
possiamo immaginare.
Io
mi riferisco all’essenza di Dio, che resta comunque incalcolabile,
inimmaginabile.
Dunque,
il Credo della sua più recente “Missa Populi” è il suo credo?
Sì,
e l’ho fatto dire non da una persona, ma da una moltitudine che lo urla a
tutti. L’ho fatto con questo spirito.
Ha
mai parlato di questi argomenti con Battiato?
No
Mi
sembra che lui sia su altre frequenze d’onda.
Sicuramente,
comunque non saprei spiegarle la “spiritualità di Battiato”: a mala pena so
spiegarle la mia!
Leggo
però su un libro (M.Micale, Centro di gravità permanente, Ed. Bastoni 1994):
“Giusto Pio, figura così importante ed essenziale per il discorso spirituale
e artistico di Battiato”...
(risata)
No, no.
Ancora
da quel libro: “Se grazie a Battiato Giusto Pio ha scoperto il fascino del
pop…”
Sì,
questo sì. Questo è vero.
“..
è grazie a Pio che Battiato ha raffinato nella sua vocazione artistica e
spirituale le istanze classiche, giungendo così alle due opere (Genesi e
Gilgamesh), la cui rigorosa e ferma impostazione dice come pienamente assimilato
il messaggio di Giusto Pio…” Di più: “Giusto Pio vero alter ego maschile
di Battiato”. “Giusto Pio, il violinista che qualcuno ha definito la
coscienza di Franco”. Invece, da quanto lei ha appena detto, sono notevoli le
diversità con Battiato, a livello del sentire spirituale.
Esagerazioni!!!
“Spiritualmente” Battiato non aveva certamente bisogno di me. Certo, dal
punto di vista artistico ho dato un contributo utile, questo sarei stupido a non
dirlo. Ma tutti utili, nessuno indispensabile, su questo mondo. Mia mamma diceva
sempre così. Sicché, ho lavorato tanto, ma che io sia stato proprio
indispensabile per la sua arte è ridicolo.
IL
FAVOLOSO SODALIZIO DAL CINGHIALE AL CAMMELLO
In
riferimento all’aspetto artistico, c’è una cosa che interessa a parecchi.
Molti ascoltatori di Battiato sono molto legati alla collaborazione artistica
dell’accoppiata Battiato-Pio, nella
composizione dei dischi. Sono più affezionati al vecchio Battiato che a quello
di adesso... Lei, nei dischi di Battiato, dal Cinghiale al Cammello, compare
come arrangiatore, o direttore d’orchestra, o violinista, o coautore delle
musiche. Le sonorità e la ritmica che hanno reso inconfondibile lo “stile
Battiato” in realtà sono opera di Giusto Pio, visto come è cambiato in
seguito lo stile di Battiato?
Ma
no, sono di tutti e due insieme, ognuno ha dato il suo contributo. Lui ci avrà
messo il 99% e io ci avrò messo l’1: ognuno ci ha messo il suo.
Come
avveniva la stesura di una canzone?
Non
c’era un metodo, a volte le canzoni nascevano casualmente. Ad esempio una
volta eravamo in macchina, durante un tour. Passando per Poggibonsi mi ricordai
di una canzone del tempo di guerra sull’aria di “Amapola”. Il testo
diceva: “Poggibonsi è stata evacuata...”. E Battiato aggiunse: “e
Gerusalemme liberata”, e così è nata una canzone per Milva. Per quel disco
avevo preso tutti gli appunti in macchina, durante la tournée. Tornati a casa
siamo andati direttamente in sala d’incisione.
Prendiamo
“L’Era del Cinghiale Bianco”, per esempio, di cui c’è anche un video
ambientato in Turchia: l’introduzione della canzone faceva parte di un altro
provino che avevamo fatto in casa e che successivamente è stato inserito nella
canzone.
“Alexander
Platz”: prima era stata scritta per Alfredo Cohen e si chiamava “Valery”!
Di
tutti e due. Naturalmente se io avevo un’idea, Battiato ne aveva 10.000! Era
un vulcano!
E
di tutto questo repertorio vastissimo, c’è qualche canzone, o una in
particolare cui è legato affettivamente?
No,
sono tutte uguali.
E
c’è qualcosa che lei non avrebbe mai voluto scrivere, ripensandoci?
No.
Lavoravamo con il massimo impegno. Non sono canzoni buttate lì, questo è poco,
ma sicuro. Anche Battiato adesso lavora con una serietà e un impegno
incredibili. Non come certi cialtroni che vanno in sala d’incisione senza idee
e si affidano agli strumentisti, facendo uscire dischi nati dal caso. Battiato
va in sala d’incisione con le idee chiare, preparato, preciso.
A
lei non capita più di riascoltare
queste vecchie canzoni?
No,
sono preso dalle cose che scrivo adesso. Anche la mia “Alla corte di Nefertiti”
saranno 8 anni che non la sento più!
Concentrato
e divertito e intanto sornione e ironico quando suona: un’impressione di
molti. Vera?
E’
la mia faccia. Il direttore d’orchestra Franco Caracciolo, che è stato il
primo a dirmelo, mi disse che sembrava quasi che così facendo io stessi
prendendo in giro la gente per il mio modo di sorridere. Ma purtroppo è la mia
faccia! Ero concentrato e insieme mi divertivo, senza alcuna intenzione di
prendere in giro nessuno.
LE
ALTRE COLLABORAZIONI
Parliamo
delle vostre collaborazioni con Alice, con Giuni Russo, con Milva... Dovendo
descrivere queste grandi interpreti, cosa direbbe di ciascuna?
Sono
diverse tra loro, ma sono tutte bravissime. Purtroppo, per avere successo,
bisogna anche sapersi gestire: non basta che uno sia bravo a far musica, deve
essere anche bravo a proporla e fortunato a trovare chi la sa vendere,
promuovere e tenere buoni rapporti col pubblico.
Milva,
per esempio, è una che ha sempre saputo gestirsi bene. Lei, però, non scrive
musica, è un’interprete, e di grande serietà.
Alice:
ha ascoltato le cose che sta cantando ultimamente?
Si,
ho sentito anche la canzone di Sanremo, scritta da Juri Camisasca.
C’è
un disco di Giuni Russo firmato da lei e Battiato...
Metà
brani, perché l’altra metà sono di Giuni e di Maria Antonietta Sisini. Un
brano è di Mino Di Martino.
Ah,
Sibilla, bravissima anche lei!
Cosa
successe quella volta a Sanremo...?
Stonò
in modo allucinante! Io e Battiato non potevamo andare a Sanremo, non avevamo
tempo perché eravamo in sala d’incisione. Allora la accompagnò il
produttore. Lei fu presa dal panico e per aiutarla, invece di mandarle la base
sopra cui lei doveva cantare, le mandarono il brano intero. Lei doveva solo far
finta di cantare. Invece cantò lo stesso e si sentì ancora di più la
stonatura. Quando la sentii in televisione la sera a casa mia, mi misi a ridere.
Fu un disastro. Un disastro! Peccato, perché era bravissima, e la canzone ha
venduto 30.000 copie nonostante tutto! Poi, dopo “Oppio” e “Svegliami”
fece un altro paio di canzoni, “Plaisir d’amour” e “Sex-appeal to Europe”,
sempre cantando molto bene, ma ormai la casa discografica l’aveva scaricata.
E’
molto bravo, Juri. Spero ottenga più successo prima o poi, perché meriterebbe
molto di più. Ha una voce splendida e compone pezzi molto belli.
E’
affezionato a questi dischi?
Non
affezionatissimo... più a “Legione straniera”, però. Il tema era di
Filippo Destrieri. “Restoration”, invece, non è musica nostra, è di Fauré.
Abbiamo riarrangiato la sua “Pavane” aggiungendo elementi diversi. Ricordo
di aver depositato alla SIAE la partitura di Fauré e la nostra che aveva
segnate in rosso tutte le parti nuove rispetto all’originale, affinché
potessero valutare quanti ventiquattresimi di diritti d’autore assegnarci.
Comunque in quel periodo mi sono divertito, mi è piaciuto lavorare, ho
guadagnato anche dei soldi, ma tutto fu fatto con serietà, e sempre solo con
Battiato. Ci sono state tante cose molto positive.
Ai
tempi de “La voce del Padrone” cominciavo sempre io i concerti con
“Giardino Segreto” (che è un’aria di Bach), poi “Ostinato” (che è
stato anche sigla della trasmissione “Sereno Variabile”), infine “Legione
Straniera”. Quindi cominciava il concerto di Battiato. Facevo come da
supporter.
Non
sono dischi che ricordano un po’ lo stile del Rondò Veneziano?
No,
Rondò Veneziano è barocco, è musica barocca. Reverberi era molto bravo, ma
scriveva musiche sullo stile di Vivaldi, e lo faceva con molto gusto.
E’
stato il mio ultimo disco di musica leggera e contiene due brani che in qualche
modo anticipano la musica che ho cominciato a scrivere dopo.
Direi
che si fa più fatica a scrivere musica leggera, perché in pochi minuti devi
dire tutto e farci stare dentro tutto. Ci sono dei musicisti di cosiddetta
musica colta che non sono capaci di fare una canzone.
E
lei riesce a seguirla la musica di oggi?
Molto
poco, quasi niente. Non perché non sia interessato, ma perché non ho tempo,
dal momento che in questi ultimi anni, e anche adesso, ho scritto e sto
scrivendo parecchia musica, di un altro genere. Vede, uno deve avere tempo per
seguire tutte le evoluzioni della musica leggera. Comunque, accanto a brani
molto interessanti, ce ne sono altri di pessima fattura.
Oppure
“Il vento caldo dell’estate” per Alice. Pensi che i musicisti tedeschi che
dovevano eseguire il brano erano molto perplessi perché io e Battiato avevamo
pensato la struttura della canzone in un modo alquanto originale e fuori dagli
schemi comuni, e cioè fermando la ritmica durante l’inciso, aggiungendovi
accordi d’organo.
Beh,
insomma, sono stati davvero bei tempi! Ed è bello sapere che tante di queste
canzoni sono state per molte persone come “colonne sonore” della loro vita.
Quindi
ricorda con nostalgia quegli anni...
No.
Nostalgia è una parola sbagliata. Anche dalla RAI me ne andai dopo tanti anni e
tante soddisfazioni, ma senza nessuna nostalgia. Bellissimi ricordi, questo si!
E
quindi è impossibile riuscire a vederla di nuovo..
No,
ho quasi 75 anni... sarebbe patetico!!
Quindi,
come mai ha smesso di collaborare con Battiato?
Primo
perché sono diventato troppo vecchio; secondo perché non volevo essere una
palla al piede e terzo perché volevo lasciare un buon ricordo.
Sono
lo stesso disco. Uno per la EMI e l’altro per la DDD: “Attraverso i Cieli”
è diventato “Utopie”. “Alla Corte di Nefertiti” è stato il primo
lavoro che ho fatto dopo che avevo smesso di scrivere musica leggera. Ripresi a
scrivere nel modo che mi era più congeniale. “Attraverso i cieli” lo
scrissi quando ci furono le vicende di piazza Tienammen, pensando proprio a quei
tragici fatti. Però non mi sembrava giusto speculare sulla strage, e non mi
sono sentito di titolarlo “Tienammen 1989”.
E’
stato Battiato ad inventare il titolo. Ha grande acume e facilità
nell’inventare i titoli. Il brano inizia con una folla che scende in piazza e
urla. Il tutto dopo viene soffocato, e da qui si dipanano una serie di
situazioni che nascono una dall’altra: di spiritualità, di gioia, di
pensieri, di desideri, di allegria… Ci sono dei colori interessanti e ogni
tanto si inseriscono elementi nuovi: paesaggi, situazioni psicologiche diverse
tra loro. In alcune parti del brano si sviluppano atmosfere quasi di preghiera,
liturgiche, adatte per la meditazione; in altre si raccontano situazioni di
lavoro, anche un po’ eroiche, con cori, voci e un recitativo che ricorda la
situazione reale di una persona che dopo aver visto la strage di piazza
Tienammen è dovuto andar via, tutto solo, con i suoi pensieri e le sue cose: un
uomo che ha dovuto abbandonare i suoi sogni.
Dunque,
sul primo lato c’è “Attraverso i cieli”, nel secondo ci sono due brani.
Il primo dura sei minuti e si chiama “Où est donc?”. Ho ripreso una poesia
di Masi Simonetti, un pittore del Cadore che ha vissuto lungamente a Parigi. Ha
scritto una poesia dedicata a sua madre che è morta quando lui aveva tre mesi:
“Où est donc ta mère?”, cioè: “Dov’è tua mamma?. “Elle est habillé
de terre”: “è vestita di terra”. Io ho estratto dalla poesia quattro
versi: “Fra tre giorni partirò anch’io e tu resterai solo nella notte”.
Il
secondo brano?
“Dietro
la maschera”. Tutti i personaggi dei dipinti di Simonetti avevano la maschera,
ma chi guarda non sa cosa si nasconde dietro la maschera. Ha rappresentato anche
un funerale, con una processione di uomini tutti con la maschera che seguono il
feretro. Sembrano dei diavoli! Ho creato questo brano traendo spunto dal quadro:
ho campionato una piccola frase della Messa da Requiem di Verdi, l’ho
rovesciata e quindi eseguita un’ottava sotto, ottenendo un colore musicale
particolarissimo, come una voce corale densa, che si contorce in modo confuso. A
mia moglie fa impressione!!
Per
il mio funerale mi accontenterei di “Pasqua Etiope”
Ah,
“Pasqua Etiope”, da “L’Era del cinghiale bianco”! E’ un brano molto
bello, eseguito con un oboe che quando andammo nella nostra prima tournée non
potevamo suonare. Siccome avevamo pochi brani, dovevamo eseguire tutto il
repertorio che avevamo a disposizione. Per “Pasqua Etiope” mandavamo un
nastro e noi, nel buio, muovevamo delle pile generando così piccoli effetti
luminosi. Non avevamo grandi mezzi: questi erano i nostri “effetti
speciali”!!
“Attraverso
i cieli” è stato definito come “una specie di itinerario musicale lungo
traiettorie celesti e cosmiche, alla ricerca di risposte ai nostri perché, il
tutto costellato di felici ed affascinanti incontri”. Risponde al vero questa
appassionata recensione?
Chi
non sa come è nato in effetti può parlarne così. Ma è giusto che ognuno
legga la musica dal suo punto di vista. Io esprimo il mio, ma una volta
pubblicata, tutti possono interpretarla alla propria maniera.
E’
possibile un itinerario alla ricerca di risposte ai nostri perché attraverso la
musica?
Per
me è il modo più giusto, perché riesce ad entrare in quello che la persona è
veramente. Le parole hanno un significato solo e ben preciso e quindi potrebbero
non andare bene per tutte le persone; al contrario i suoni possono essere
interpretati in un modo o nell’altro, perché hanno una vastità enorme di
significati.
La
New Age è un filone molto ampio. Al suo interno ci sono tanti filoni, tante
mentalità, tante culture, ci sono professionalità che non hanno niente da
dire, e tanti che avrebbero tanto da dire, ma che non hanno i mezzi per farlo.
Sicché la New Age è un pentolone enorme che comprende un po’ di tutto.
Alcuni considerano New Age i miei ultimi lavori, ma a me non importa se vengono
catalogati in un modo o in un altro. Io provo gusto nel fare le cose che faccio,
soprattutto in riferimento alla ricerca sonora. Tutto il resto non mi interessa
granché.
Da
tanti anni dico che ogni tanto nella pubblicità, anche per soli 10-15 secondi,
ci sono delle sonorità di una bellezza enorme, come se fossero dei veri temi.
Il fatto è che dopo bisognerebbe svilupparli! C’è un modo di fare musica
anche senza melodia. Nella mia Messa, per esempio, non ci sono temi, melodie, ma
solo sonorità, colori.
Però
ci sono sonorità che la ricordano.
Dovendo
fare un raffronto mi sembra che “ Alla corte di Nefertiti” sia molto più in
stile New Age.
Sì,
ma “Alla corte di Nefertiti” è solo elettronica. Invece la Missa ho dovuto
realizzarla elettronicamente per spendere meno. In realtà la partitura
originale nasce con flauti, archi, corni, trombe, tromboni e strumenti acustici.
Mah,
in realtà sia la Messa sia quello che sto facendo adesso risponde ad un unico
mio modo di pensare il suono. L’anno scorso ho scritto “Sensori della
memoria” per una mostra fatta a Padova da uno scultore trevigiano, Romano
Abate. E’ bravissimo, fa delle meravigliose opere in legno di grandi
dimensioni. Mi spedì una lettera in cui raccontava la storia di una mamma che
aveva tre figli, che per un motivo o per l’altro erano morti e voleva che
rappresentassi il dolore della madre. Allora ho scritto un brano realizzato con
mezzi elettronici, dove si alternano momenti di speranza e momenti di dolore.
Quando Battiato lo ha ascoltato, ha detto che secondo lui avrebbe meritato
d’essere fatto con un’orchestra vera, perché facendole con l’elettronica
certe cose non rendono! I violini, per esempio, non possono rendere come quando
sono suonati dal vivo, perché ogni centimetro di arco ha una sonorità diversa
che non puoi ricreare con l’elettronica, dove purtroppo hai solo quel colore
fisso.
Non
ha mai pubblicato questo lavoro?
No.
E
le musiche composte per specifichi eventi, come mostre o performance teatrali,
sono state pubblicate?
Qualcosa
si. Ad esempio è appena stato pubblicato un mio CD allegato al catalogo di una
recente mostra di pittura dal titolo “Le vie dell’Oro”, fatta in una villa
vicino a Castelfranco. Ci sono 13 brani senza titolo, e anche un brano che ho
chiamato “A.d.a.m, ubi es?”, che vuol dire “Anima dell’anima mia”, un
gioco di parole per esprimere la ricerca dell’anima.
Sì,
si potrebbe anche farlo, ma non è facile trovare la casa discografica disposta
a scommettere su questo tipo di musica. Le grosse case discografiche, se non
vendono almeno 100.000 dischi non pubblicano più niente.
Quindi
anche sotto questo punto di vista Battiato stesso non può far niente?
No.
Battiato aveva un’etichetta, l’Ottava, ma era sempre in perdita. Battiato è
un gran generoso e investiva un sacco di soldi per produrre alcuni dischi, ma
purtroppo...
E’
stata una necessità... molti musicisti hanno scritto una Messa, non è un caso.
Ad un certo punto sentii il bisogno di farlo anch’io. E poi è stata
un’esperienza fantastica, nonostante tutti gli ostacoli che ho incontrato. Ma
alla fine ce l’ho fatta. L’ho voluta dedicare a Giovanni Paolo II perché lo
stimo molto. In principio volevo chiamarla col suo nome, come Palestrina aveva
intestato la sua al pontefice del suo tempo, chiamandola Missa Papa Marcelli.
Se
dovesse fare un raffronto con la Messa Arcaica di Battiato...
La
sua è di natura squisitamente meditativa. Per esempio il Kyrie eleison lo usa
per la meditazione.
Attualmente
cosa sta scrivendo?
Sto
scrivendo delle musiche che traggono ispirazione da alcuni versetti del libro
del Profeta Isaia. Ma ne parleremo quando il lavoro sarà finito...
Dopo
quasi tre ore di conversazione, il Maestro mi ha portato nel suo studio di
registrazione, facendomi ascoltare i primi splendidi 9 minuti di “Isaia”.
E’
stato, come immaginerete, un incontro davvero piacevole ed interessante, durante
il quale abbiamo parlato amabilmente di molti altri argomenti e in cui gli ho
manifestato l’intenzione di Alessia, di Paolo e mia di realizzare un sito su
di lui, nel quale inserire anche questa intervista. Intenzione che il Maestro ha
accolto con piacere, e che noi siamo lieti di pubblicare.
Marco Rapelli, con Alessia Cassani e Paolo Micheli