PER UNA RIVALUTAZIONE AUTENTICA DEL PENSIERO DI GIORDANO BRUNO.

(articolo inviato alla nostra redazione il 9 Marzo 2000 da Tecla Squillaci)

E' bastato  l'anniversario della morte su rogo di Giordano Bruno per riportarne in auge il ricordo alle nostre coscienze di buoni  (e cattivi) italiani. Ma rinnovarne il ricordo non può coincidere unicamente con un intento commemorativo; in questa società voluttuaria ed effimera, superficiale e materialista, che tutto tritura tra le spire di un'informazione becera e distratta , una manciata di articoletti pubblicati sulle principali testate nazionali ed altri consimili espressioni di coinvolgimento popolare non possono riscattare l'immagine di chi, oggi come allora, con diversi mezzi, sotto differenti forme, continua a perseverare in atteggiamenti antiprogressisti, a chi, ora come allora, continua a tarpare le ali del libero pensiero umano. Un così grande esempio di coerenza come lo fu il Bruno, non può appartenere agli opportunisti d'ogni genere.
C'è poi tutta una corrente , anche laica, che per secoli ha attribuito al Bruno l'appellativo di "filosofo mago", di chi vuol relegarlo tra i tanti maghi e profeti che affollarono quel secolo così complesso quale fu il Cinquecento;cercando di dare così un giudizio superficiale su un'epoca che ancora oggi, per l'intreccio di diverse dottrine, per le vicende politiche e per la forza propulsiva di idee e concezioni che si riveleranno determinanti per i secoli successivi, non siamo ancora in grado di definire in modo chiaro e netto.
Così la fama di Giordano Bruno continua tuttora ad essere offuscata da una identificazione a loschi affari di magia; purtroppo anche alcuni manuali di storia della filosofia per i licei continuano a dare un'immagine del filosofo nolano come di un adepto alle pratiche magiche, uno che voleva ridestare il paganesimo  in un'Europa dilaniata dalle guerre di religione.
Si equivoca  in questo modo la sincera ricerca dell'armonia della natura al di là dei dogmi , con il recupero delle istanze pseudomagiche nella loro forma più degenere.
Una rivalutazione autentica e sincera del pensiero di Giordano Bruno deve quindi essere soprattutto volta ad un'attenta analisi del significato del suo pensiero in rapporto alla sua epoca ed  ai presupposti che egli gettò per lo sviluppo della filosofia nei secoli successivi.
Innanzitutto occorre riconoscergli l'azione rinnovatrice  che egli esercitò su un modo di conoscere ed operare pedante ed antistorico, più legato alla pedissequa ripetizione di stereotipi aristotelici che volto alla vera conoscenza; poi occorre saper bene interpretare l'impronta decisiva che egli diede alle moderne concezioni che ne seguirono. Basta questo per cominciare a capire come il suo presunto ermetismo non si esaurì nella sterile perseveranza in pratiche di contenuto occulto quanto piuttosto nell'elaborazione di un pensiero  rivoluzionario, una nuova concezione dell'universo,dell'uomo, della vita, che da tanti predecessori  e contemporanei apprese ma in una sintesi nuova che necessariamente doveva apparire ai dogmatici come involuta, simbolica, arcana.
Il misticismo di Giordano Bruno, così come si rispecchia nelle sue opere, nei dialoghi, nel mito di Atteone ripreso negli Eroici furori, ad esempio, è soprattutto l'espressione di un'ostinata ricerca del sapere intesa nel senso dell'acquisizione della conoscenza della realtà nella sua interezza.
Straordinarie somiglianze riscontriamo anche in una certa letteratura a noi lontana. Nel suo poema Mathnavì yi ma'navi il poeta persiano Rumì dice infatti che " l'amore è estraneo alla terra ed al cielo, in esso vi sono settantadue pazzie", laddove per amore si intende  il desiderio di conoscenza  che nutre il filosofo.
Lo  stesso Atteone, eroe  che va a caccia di fiere e scopre infine di essere se stesso la preda ambita, è una magnifica allegoria della divinità che è in noi stessi  e che non possiamo trovare al di fuori di noi. 
Anche questo è un simbolismo molto diffuso nelle tradizioni  letterarie arabe e persiane. Il leggendario amante Majnun  (che in persiano significa pazzo) , innamorato perennemente alla ricerca dell'amata  Laylì che infine scopre essergli stata sempre vicina.
Ricorre quindi l'uso di un lessico simbolico che allude ad una conoscenza a cui l'uomo si avvicina acquisendo le sembianze della divinità, è questa " passione eroica" che reca ad una divinizzazione repentina ed atemporale.
Tuttavia esistono concretamente degli esempi da seguire, dei "liberatori spirituali" che dischiudono agli occhi dell'uomo e del suo intelletto la visione di un mondo non più come "immaginato carcere" ma nella sua interezza come infinito e sconfinato.
Sono uomini come Copernico, il cui ingegno come il Bruno afferma nella sua opera De immenso et innumerabilibus   "non fu mai toccato dall'infamia del secolo oscuro"  e che condivideva le idee di altri "liberatori spirituali" come Egesia, Timeo, Pitagora, Niceta e Cusano.
Di quest'ultimo il Bruno è profondamente debitore  così come anche di Giambattista Della Porta e di Telesio.
La  prerogativa che unisce questi pensatori  è soprattutto la loro tensione spirituale che amplifica notevolmente quella del nascente uomo moderno il quale si accinge ad appropriarsi delle leggi fisiche attraverso la conquista del nuovo metodo scientifico e da qui comincia ad avvertire la profonda ed insanabile lacerazione con il mondo delle istituzioni religiose, con la Chiesa.
Scienza e religione si sono divise il mondo; l'una governa e descrive la realtà fenomenica, l'altra ha la pretesa di dire all'uomo ciò che è bene per la sua anima. Dividendosi questi compiti hanno scavato un solco  profondo, un abisso nella vita dell'uomo, hanno tracciato i netti confini di due opposte "verità" che si fronteggiano, che si sfidano ma che continuano a non trovare alcun punto di coesione.
Questo solco, questa frattura ha avuto inizio e si è man mano accentuata durante l'epoca di Giordano Bruno alla quale egli ha dato voce nella maniera più ampia.
Come già sosteneva il Cusano, anche Giordano Bruno afferma  infatti che il limite della conoscenza non è tanto un difetto quanto piuttosto la consapevolezza che il sapere è una conquista progressiva, un processo che continua all'infinito.
I nemici del libero pensiero, nemici di ogni risma  e di ogni era, che si nascondono dietro i paludamenti dei fedi religiose o di ideologie, i detrattori della ragione umana sono tutti rinnegatori ostinati del motivo più vivo del progresso: il progresso come conquista e quindi come prodotto del pensiero creativo umano che procede verso l'acquisizione della conoscenza attingendo da se stesso la necessaria linfa vitale che lo guida..
Il falso progetto di falsi  ideali si tradisce quando rivela la propria contraddittorietà di fondo. Da una parte esso professa il culto dell'infinito e del trascendente, dall'altro però blocca la conoscenza umana in schemi, dogmi, asserzioni, articoli di fede che rifiutano ogni valenza probatoria, dando così paradossalmente all'Infinito il valore di una normatività rigida e conclusiva. Così usava fare la filosofia della Scolastica, così ancora oggi continuano a propinarci.
La rivoluzione dell'umanesimo, la rivoluzione dell'"homo novus", che vede nell'individuo il vero fautore ed il principale fruitore del progresso che egli stesso costruisce giorno dopo giorno, capace di congetturare ipotesi e di verificarle, è la nuova dimensione del mondo in cui vive Giordano Bruno, una dimensione che propone una differente dislocazione dei poteri nel rispetto della libera facoltà di progettare il proprio futuro. Egli ha ereditato il meglio di questa idea rinascimentale che ha radici profonde, usando la sana tradizione dell'ermetismo, cioè della "magia naturale", per cercare di conciliare il conflitto che stava alla base della concezione religiosa e di quella scientifica. Ha operato, sino all'estremo sacrificio, in modo da riallacciare lo stretto vincolo preesistente tra materia e spirito in una sorta di palingenesi, di espressione genuina della "philosophia perennis" come più tardi verrà definita da Leibniz.
Ed in questo il Bruno non ha fallito, anzi ha trionfato sui suoi nemici, nonostante la morte orribile che gli è stata riservata.
Come diceva Lamartine, l'uomo è un tessitore  che ordisce dal rovescio la trama del tempo. Un giorno, passando al diritto del tessuto, egli potrà contemplare finalmente il disegno magnifico e grandioso che è riuscito ad ordire sul telaio del tempo ma di cui, fino a quel giorno, non ha visto altro che il confuso ed increscioso groviglio di fili.
 
 
 
                         Tecla  Squillaci,  Catania.                     

 

 
 
 

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