ROMA, GALLERIA LUXARDO
S Q U A R E
PERSONALE DI GIANNI GALASSI
IN MOSTRA GLI ULTIMI LAVORI
RECENT WORKS SOLO SHOW

DAL 19 GENNAIO 2009


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FOTOGRAFIA REFLEX
Square

GENNAIO 2009
 

 
 

31 gennaio 2009
Gianni Galassi esplora
le metropoli "metafisiche"
 

 
 

14 gennaio 2009
Gianni Galassi:
foto-architetture di luce
 

 
 
ZOOM
MARZO 2009
 
 


COMUNICATO STAMPA

La mostra “Square” pone l’accento su un aspetto peculiare delle fotografie di Gianni Galassi: le geometrie nello spazio costruito, tagli di un’architettura rigida ed essenziale nelle sue forme, che dialogano con la luce solare dando vita a una originale armonia di prospettive e generando soluzioni ottiche infinite. I soggetti ripresi, che siano strutture colossali o dettagli minimi -scale, facciate, grate- sono inanimati, la figura umana non vi appare mai. Eppure è onnipresente come principio di ordine, di razionalità.

Come sempre nella fotografia, l’immagine fissa il momento. Ma nel caso di Galassi lo raffredda, lo congela in rigide strutture, animate soltanto da un sapiente contrappunto di luce e ombra che scompongono le superfici e moltiplicano i piani percettibili. La realtà si trasforma in pura geometria, e senza cedere il passo all’astrattismo sfocia piuttosto in una sorta di iperrealismo che, indifferente all’oggetto in sé e alla riconoscibilità del dato reale, si avvicina inesorabilmente alla metafisica. Nonostante l’ordine che regna sovrano, la vista di chi guarda è spiazzata dall’alternarsi di ombre, di pieni e vuoti, di silenzi profondi che compongono la ritmicità resa da linee e da colori uniformi che escludono i mezzi toni. Galassi reinventa paesaggi industriali, li muta in armonie di blu che si stagliano da superfici monocrome ricamate da ombre: è una visione totalitaria che tende al Gigantismo in cui l’uomo scompare per lasciare spazio solo alla idea della perfezione, del Bello assoluto, racchiuso in sé.

Ogni scatto della serie “Square” è una composizione finita, che si auto-enuncia tramite la sua semplicità geometrica, che esclude il superfluo, e le campiture di colori piatti, col blu che si contrappone al bianco e al nero, e sembra voler quasi varcare il confine che separa la fotografia dalla pittura. La soglia è la luce e Galassi si dedica a studiarla ossessivamente prediligendo le ore che seguono l’alba e quelle che precedono il tramonto. E non è casuale la scelta del quadrato -retaggio di pellicole oggi quasi in disuso-, un poligono che rappresenta un’idea assoluta di geometricità, e che marca inequivocabilmente la distanza di queste opere dalla narratività dei formati rettangolari.

Le 24 immagini in mostra, nel formato 60x60, sono stampate su carta fine-art Epson con tecnologia e inchiostri Epson.


Catalogo in galleria

Ufficio stampa
Studio Luxardo – Via del Gambero, 37 00187 Roma
Tel. 06 6794401 06 6780393 – info@gallerialuxardo.com

Dal 19 gennaio al 7 marzo 2009, da martedì a sabato, ore 16.00 – 19.30

Galleria Luxardo - Via Tor di Nona, 39 - 00186 Roma - Tel. 06 68309555


IL MONDO E' BELLO
di Eva Clausen


Square
è un titolo molto semplice e immediato, ma al tempo stesso inquadra un processo terribilmente lungo. E’ una scintilla di giaccio che nasconde un fuoco in un’era glaciale.

Il mondo, nelle fotografie di Gianni Galassi, è un mondo bello, pulito, a forma di quadrato. Le immagini ritraggono geometrie reali che acquistano la valenza di linee astratte, e quindi di un mondo oggettivamente immaginario. La visione che Galassi ci dà del mondo -reale e immaginario- è quella dell’Ordine assoluto, della perfezione, dell’armonia. Ma nonostante l'ordine vi regni sovrano, la vista di chi guarda viene spiazzata. Il moltiplicarsi delle prospettive, il gioco delle luci e delle ombre, disorientano e turbano. Ma subito dopo l'osservatore ritrova la serenità,  la calma, perché si vede racchiuso in uno spazio in cui la complessità si fa unicità. Si tratta infatti di uno spazio metafisico originato da un iperrealismo raggelato, da cui sembra essere assente qualsiasi forma di vita.

Eppure l’uomo c’è, la sua presenza è riconoscibile nelle strutture geometriche, create dalla sua mano e dalla sua mente. Si tratta di strutture chiaramente definite e riconducibili a un dato esterno -un palazzo, una scala- ritagliato dalla realtà, inquadrato sofisticamente e poeticamente in essa. Sono dettagli minimi che, pur chiaramente riconoscibili, grazie a un magico ampliamento diventano paradossalmente unici ed emblematici, quindi privi del fatto contingente alla realtà, al di sopra o al di fuori di essa.

Galassi, nel rapporto verità-emblematicità, mette sul piedistallo il secondo elemento distillando ciò che esiste di più esistenziale nel dato reale. Il suo è uno sguardo analitico, fissato sul minimo, che poi nello scatto crea la sintesi. La predilezione per i dettagli e soprattutto per oggetti comuni, che di per sé non si presterebbero in alcun modo al fare arte, riportano alla memoria le immagini della fotografia della Nuova Oggettività, della Neue Sachlichkeit del Bauhaus tedesco: la bellezza della realtà nuda e cruda a cui la fotografia, grazie alla sua peculiarità tecnica, rende il più alto servizio. I fotografi del Bauhaus, e in primo luogo Albert Renger-Patzsch, proclamavano la bellezza delle forme funzionali, geometriche, e vedevano nel loro moltiplicarsi l’esaltazione dell’Ideale inerente al dettaglio. La loro fotografia voleva essere una contestazione della cosiddetta Kunstfotografie, di quel tentativo, secondo loro ridicolo, di gareggiare con la pittura.

La fotografia ha un compito ben diverso dalla tela e dal pennello: testimoniare il dato reale che, nella dilatazione o amplificazione della sua essenza, diventa irreale e magico. E' una fotografia silente, sapiente, in apparenza modesta nella scelta dei motivi e dei mezzi tecnici, che non attinge alla vastità di soggetti straordinari né all'infinito repertorio di “trucchi” del mestiere -viraggi, sfocature, fughe prospettiche-, ma si limita a ritrarre ciò che è e ciò che esiste di più banale, semplice, comune sulla faccia della terra. Eppure, o forse grazie proprio alla sua totale semplicità, diventa Arte.

Confinare Galassi in un angolo rétro della nuova oggettività o di un neorealismo magico sarebbe sbagliato e semplicistico. Di fatto l’artista, pur ricordando certi presupposti del Bauhaus, cambia poi rotta facendo rientrare la pittura,  cacciata dalla porta,  dalla finestra. La soglia è la luce, e già Renger-Patzsch -come anche László Moholy-Nagy e Christian Schad- era pienamente consapevole della sua potenza nella fotografia. Una luce tutt’altro che diffusa e avvolgente, una luce gelida che rende ancora più nitidi i contorni e ancora più accesi i colori che provengono da una tavolozza di poche e sature tonalità. Galassi scarnifica la realtà, toglie ogni elemento -e anche ogni colore- superfluo, per allontanarla da qualsiasi tentazione di stampo narrativo, ma anche di impegno sociale, tipico della fotografia raggelata del Bauhaus. In Square trionfa un'oggettività del tutto particolare: quella soggettiva, che mira alla valenza poetica della singola inquadratura e difende, ossessivamente, il principio dell'Arte per l'Arte, dell’estetismo puro, fine a se stesso, forse l'unico rifugio che il paesaggio postindustriale con le sue grate, turbine e ciminiere ci ha lasciato. Un mondo magico, glaciale, ma oggettivamente e soggettivamente bello.


 LINEE E(D') OMBRE
di Antonio Politano

Gianni Galassi concepisce la fotografia come esercizio di stile. Linguaggio, più che significato. Estetica, non narrazione. Visione creativa, senza descrizione realistica. Catturare per reinventare, andare oltre. Abituato da sempre a esprimersi con le immagini (a 16 anni inizia a vendere le sue fotografie, da decenni lavora nel mondo del cinema e della televisione), con l'inquadratura mette ordine nella percezione istintiva, ritagliando ciò che gli occhi osservano e lo sguardo consapevole seleziona, rintraccia, fa altro. Optando, in questa occasione, per un formato -quadrato (square)- che è in sé un concentrato di rigore, una dichiarazione di intenti, una sfida di proporzioni con cui misurarsi.

Ciò che lo attrae è il contrappunto di luci e ombre, pieni e vuoti, attraverso cui si combinano forme e volumi. Le sue sono immagini dense di ombre, chiuse, nere, che contrastano con le parti in luce grazie alla nettezza assoluta di superfici e contorni, alla brillantezza piena dei colori.

Nella camera oscura digitale recupera, dichiaratamente, gli intensi rapporti tra luce e ombra individuati al momento dello scatto, esplorando ogni dimensione chiaroscurale, conferendo l'enfasi cromatica voluta. La sua è una visione forte, senza mezzi toni. In fondo, le sue opere sono quasi dei monocromatismi, i colori sono netti, saturi, sembrano voler incidere l’occhio di chi guarda. Una ricerca di astrazione, senza l’uso del tradizionale bianco e nero, ritenuto di norma più capace di svincolarsi dalla realtà. Una tensione all’essenzialità cromatica fatta invece con il colore, valorizzando l’ombra che proietta e disegna, ricorrendo ai bianchi, ai grigi, ai neri, alla famiglia degli azzurro-blu, a quella degli ocra-beige-marrone.

Colori brillanti, reali e spinti, usati in modo creativo, colori suoi che cerca nel paesaggio architettonico che osserva. Paesaggi industriali d’epoca, architetture di oggi, disegni urbani, più che altro dettagli, con valori estetici che l’occhio riconosce e attraverso il mirino preleva. Figure geometriche trasfigurate, straniate, che mutano aspetto, acquistano senso. Triangoli, rettangoli, parallelogrammi. Monoliti, colonne, cilindri, archi. Spigoli, vertici, angoli. Balconi, finestre, facciate, pareti. Rientranze, aperture. Barriere, supporti, ponteggi, scalinate, ringhiere. Cemento, pietra, mattoni. Cantieri, fabbriche, depositi. Architettura industriale,quasi un’archeologia del presente.

Un universo riorganizzato e riproposto, un mondo inerte, immobile, non toccato dalla presenza umana eppure dall’uomo fatto. Purezza, razionalità, anelito di perfezione. Nessun discorso, nessun contenuto, nessun inseguimento fotografico della vita, tanto meno del drammatico, notevole o pittoresco. Niente figure umane. Pura ricerca espressiva, forme e volumi, luci e ombre, pieni e vuoti. Tagli, porzioni, interpretazioni, disegni. Dialoghi con la luce, spazi di atmosfera metafisica. Che rimandano a certe avanguardie. Tra Escher, per il gusto di incastri e prospettive, Carrà e De Chirico, per la disposizione spaziale. Tra Fontana, per l’uso del colore, e Basilico, per l’attenzione ai paesaggi architettonici. Come Basilico, Galassi non inquadra uomini, né natura. Come Fontana, usa il colore creando dimensioni astratte, ma senza vicinanze di toni. Nelle sue opere c’è come un sentimento di sospensione del tempo, un silenzio. Sta dall’altra parte della strada, a contemplare -congelando l’istante- l’armonia rimasta imprigionata nelle costruzioni dell’uomo. 


GALACTICA
di Carlo di Giacomo

Colori intensi, toni decisi, ombre nette.

Il nero profondo si inabissa nell’anima, il bianco improvviso riflette un inaspettato candore. L’opera “galassiana”, priva di presenza umana, si fa largo nell’osservatore attraverso una comunicazione visiva intensa, decisa, che costringe chi guarda a perdersi nell’immagine seguendo il tracciato delle ombre e dei colori, che lo conduce attraverso un viaggio onirico inaspettato, che sconvolge i canoni mentali di chi crede di trovarsi in presenza di pura fotografia architettonica.

Al di là delle linee architettoniche dei soggetti, interpretati da Galassi con estrema sensibilità, è la scelta dei colori, delle ombre e dell’inquadratura stessa che immediatamente favorisce il passaggio dal razionale all’inconscio. Queste infatti sono immagini che parlano direttamente all’anima. Osservandole è necessario isolarsi dall’esterno, come in un esercizio di meditazione zen. Anche la scelta del formato, quadrato, rompe i canoni, invitando l’osservatore a rivedere e a rimettere in discussione i propri punti di vista. L’insieme di questi elementi consente di “immergersi” in un esperienza sensoriale soggettiva, profonda. Le immagini di Gianni Galassi sono dei déjà-vu, delle rimembranze che riconducono l’inconscio attraverso esperienze interiori conosciute, quasi un recupero delle esperienze d’infanzia rimosse.