Terrorismo


Islam

I «convertiti» d’Occidente ai vertici di Al Qaeda
 

 
di Magdi Allam



ROMA - Li hanno ribattezzati i «terroristi islamici dagli occhi azzurri». Sono la più recente creatura di Osama Bin Laden. Una quinta colonna di convertiti che aspirano all'estremo sacrificio della vita per annientare l'Occidente. Da loro rinnegato per abbracciare la causa della Umma, la Nazione islamica. Per gli 007 occidentali il compito è assai arduo. Difficile individuarli. Sono perfettamente mimetizzati nell'ambiente naturale che li ha generati. Sono simili in tutto e per tutto ai loro connazionali. Tranne ciò che nascondono nell'animo e nella mente. Consapevole della loro incredibile potenzialità distruttrice, Bin Laden ha fatto promuovere i fanatici di Allah occidentali ai più alti livelli direttivi in seno a Al Qaeda. Dopo aver privatizzato il terrorismo islamico grazie alle sue enormi fortune, dopo averlo globalizzato facendo leva sulla logica e gli strumenti della modernità che non disdegna affatto, lo Sceicco del terrore si è spinto oltre nella sua sfida totale all'Occidente decidendo di combatterlo dall'interno con i suoi stessi cittadini. Lo scenario che si prospetta è più che inquietante. Una sorta di suicidio collettivo promosso da chi ha elevato la fede nel «martirio» come unica ragione di vita. In confronto l'11 settembre rischia di apparire solo un tragico ricordo. Un evento eccezionale. Irrepetibile.


Dalle ceneri delle due Torri gemelle è scaturita la determinazione della superpotenza mondiale a decapitare il «mostro». Ma come un'idra capace di rigenerarsi, Al Qaeda ha moltiplicato le proprie cellule ai quattro angoli della terra. Compreso il ricco e odiato Occidente. Finendo per dotarsi, per scelta o costrizione, di una mentalità e di una prassi occidentale. Improntati a un profondo senso del pragmatismo e dell'opportunismo. Se fino a due anni fa il convertito svolgeva mansioni di natura logistica, oggi lo ritroviamo alla guida spirituale e politica di comunità i cui membri sono musulmani autoctoni. Dalle retrovie della Jihad, la Guerra Santa, sono stati catapultati in prima linea. Oggi i convertiti svolgono un ruolo dirigenziale in seno alla più temibile centrale del terrorismo internazionale.


Prima dell'11 settembre immaginavamo l'Occidente come una fortezza assediata e costretta a difendersi con tutti i mezzi dall'assalto degli estremisti provenienti dai Paesi musulmani. Ebbene oggi si sono invertite le parti. Sono i Paesi musulmani a denunciare l'Occidente per essersi trasformato nella roccaforte degli integralisti e dei terroristi islamici. E' un dato di fatto che l'Occidente è diventato terra di esportazione non solo di un'ideologia islamica radicale, ma anche di militanti della Jihad e, addirittura, di kamikaze pronti a immolarsi nel nome di Allah.


Due i personaggi che hanno marcato questa sensazionale e sconcertante svolta. Il primo è stato Asif Mohammed Hanif, un giovane britannico di appena 21 anni originario del Pakistan. Viveva dall'età di due anni a Derby a nord di Londra. Era uno studente come tanti altri. Eppure il 30 aprile 2003 ha scioccato il mondo facendosi esplodere in un caffè di Tel Aviv. Tre i morti. E' così diventato il primo kamikaze islamico con cittadinanza europea. Soltanto dopo si è scoperto che nel corso di un suo soggiorno di studio in Siria, Asif era stato reclutato da Hamas, la centrale del terrore palestinese che ha rivendicato gran parte degli attentati suicidi contro gli israeliani.


Il secondo personaggio è Antoine Robert, un trentunenne francese. Si era convertito all'Islam nel 1989. Come spesso accade per i convertiti, ha sposato una musulmana, Fatima. Nel 1996 si è trasferito nella città natale della moglie, Tangeri, in Marocco. Ufficialmente si occupava della compravendita di auto usate.


Di fatto, dopo aver trascorso un periodo in Afghanistan in un campo di guerriglia di Al Qaeda, è stato incoronato «emiro», ovvero guida religiosa e politica, delle cellule islamiche della «Salafiya Jihadista» a Tangeri. Si tratta della più pericolosa sigla dell'eversione e del terrorismo islamico, coniugando l'intransigenza dogmatica dei fondamentalisti salafiti alla feroce spietatezza dei jihadisti, i paladini della Guerra santa. Assume il nome di battaglia di Abou Abderrahmane. Dopo i sanguinosi e molteplici attentati suicidi del 16 maggio scorso a Casablanca, costati la vita a 45 persone, le indagini lo indicano come la mente e l'organizzatore di questo barbaro atto. Se il processo, attualmente in corso, dovesse confermare l'accusa, Antoine Robert diventerebbe il primo convertito europeo ad aver ordinato e attuato una strage in terra islamica, le cui vittime sono state per la gran parte turisti occidentali e cittadini ebrei. E' impressionante il fatto che ben sedici giovanissimi kamikaze marocchini si siano fatti esplodere quasi contemporaneamente contro obiettivi diversi a Casablanca. Quasi fossero il prodotto di una «fabbrica di kamikaze» da cui i signori del terrore possono attingere a piacimento per realizzare i loro folli progetti di morte. Indubbiamente l'11 settembre, quelle spettacolari e atroci immagini degli aerei che si schiantano in diretta tv contro i simboli della potenza dell'America, hanno fatto scuola, hanno allevato proseliti.
L'ascesa dei convertiti occidentali ai livelli operativi e direttivi di Al Qaeda rappresenta un salto di qualità culturale, oltreché ideologico. Si afferma in qualche modo il primato delle competenze individuali conquistate sul campo rispetto a una consolidata tradizione che privilegia uno status sociale e di potere ereditato e incontestato nel tempo. Potrà apparire curioso ai più, ma si tratta di uno sviluppo modernista e globalista in seno alla più pericolosa rete del terrorismo islamico.


Secondo un esperto dell'antiterrorismo francese, citato dal settimanale saudita Al Majalla , ci sono quattro stadi che hanno segnato la transizione dei convertiti occidentali dalle retrovie all'avanguardia di Al Qaeda.


In una prima fase ai convertiti sono state affidate delle mansioni ausiliarie nell'ambito della logistica. Dovevano aiutare in vario modo le «cellule dormienti» di Al Qaeda, cooperando nella raccolta di documenti falsi e denaro, oppure assicurando ospitalità ai militanti in fuga. In un secondo tempo i convertiti sono entrati a far parte dei «nuclei combattenti». A decine hanno cominciato a riversarsi in Afghanistan, frequentando i campi di indottrinamento ideologico e addestramento alla guerriglia messi a disposizione da Bin Laden. La terza fase ha portato i convertiti a svolgere operazioni speciali nell'ambito della guerra totale sferrata a suon di attentati terroristici. In quest'ambito si collocano i casi di Josè Padilla, l'americano di origine portoricana, arrestato all'aeroporto di Chicago l'8 maggio 2002 con l'accusa di preparare un attentato terroristico con una «bomba sporca» radioattiva, e di Richard Reid, il britannico di origine giamaicana arrestato a Boston il 22 dicembre 2001, dopo aver tentato di far esplodere un aereo della American Airlines su cui viaggiava con una bomba nascosta nella suola della scarpa. Il quarto stadio vede i convertiti nei panni di leader spirituali e politici di comunità musulmane, come è appunto il caso di Antoine Robert.


Per un paradosso storico, proprio mentre s'infiamma il dibattito sull'esaltazione delle radici cristiane dell'identità europea, il Vecchio Continente si è trasformato di fatto in una nuova Mecca del radicalismo islamico. «Dio ci ama perché l'Europa è nelle nostre mani», disse il militante tunisino Lased ben Heni al connazionale Essid Sami Ben Khemais, prima dell'arresto di quest'ultimo a Milano nel 2001. Come è potuto avvenire ciò? Per quanto possa sorprenderci, proprio la necessità dell'Occidente di definire e di etichettare gli «altri», ha favorito l'affermazione di una identità islamica distinta e separata, quasi si trattasse di una realtà etnica, ciò che invece non trova riscontro nei Paesi d'origine dei musulmani. In un certo senso l'integralismo e il radicalismo islamico sono più netti e più forti in Occidente, proprio perché vengono percepiti e vissuti in una dimensione comunitaria e ideologica contrapposta all'insieme della società di accoglienza. L'islamismo finisce per appagare la crisi di identità dei giovani musulmani che non riescono o non vogliono aderire al sistema di valori vigente in Occidente. E' stato il caso di Mohammad Atta, Marwan al-Shehhi e Ziad Jarrah, i piloti-kamikaze dell'11 settembre. Tre studenti-modello, laici e benestanti, convertitesi al radicalismo islamico e alla fede nel «martirio» a Amburgo. A due anni dal più clamoroso attentato terroristico della storia l'Occidente sta scoprendo che i problemi di fondo sono al suo interno.
 
 

Terrorismo: «I «convertiti» d’Occidente ai vertici di Al Qaeda», di Magdi Allam, Il Corriere della Sera, 10.9.2003

 

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