ISLAM


MONOTEISMI

In armi nel nome di Dio


Dice che credere significa smascherare gli idoli, qualsiasi pretesa di verità assoluta, ovvero il credente non crede a niente.
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di Filippo Gentiloni


Non so se sia vero che dopo l'11 settembre niente è più come prima. Certamente è così almeno per un aspetto delle vicende mondiali, quello religioso. I grandi monoteismi ‑ ebraismo, cristianesimo islam ‑ in crisi: mai così invocati, mai così inutili, insignificanti. Il dio ha fallito, comunque lo si chiami. Non risponde alle invocazioni di pace, se non spinge addirittura alla guerra, fornisce motivazioni e stimoli. L'ateo trova conferma per il suo ateismo; il credente è inevitabilmente in difficoltà.


Ancora una volta, dunque, «Gott mit uns», come al tempo dei nazisti Da una parte, quella dei terroristi, addirittura «Jihad», guerra «santa», comunque si voglia interpretare questa tremenda affermazione. Dall'altra un continuo risuonare del fatale «God bless America». E sembra che prima di gettarsi dall'aereo i rangers Usa recitino questa preghiera: «Signore onnipotente che dai la libertà e difendi gli oppressi, ascolta la nostra preghiera. Fa in modo che possiamo agire con onore senza mai infangare la nostra fede, le nostre famiglie, i nostri compagni». Ma: quali oppressi? quale Signore? Primo Levi, nel lager, si scandalizzava quando un suo vicino ringraziava il suo Dio perché non era stato scelto per la camera a gas: era stato scelto un altro. Preghiera o bestemmia? Nell'imbarazzo è probabile che Jahweh, Allah, Dio si rivoltino dall'altra parte. Così a Gerusalemme, dove il Dio monoteista si ritrova diviso in tre addirittura nella fatidica «città della pace». Non soltanto diviso, ma combattente, sulle barricate. I carri armati sono arrivati addirittura a circondare la grotta di. Betlemme pronti a sparare sul bambinello troppo palestinese.


Non potendo dare ascolto a preghiere contraddittorie, le une contro le altre, Allah- Jahweh‑Dio non ha altra soluzione della sordità, quella che lo fa diventare sempre più insignificante, lontano. Tanto più quanto più si moltiplicano le preghiere.


Gli atei lo avevano detto da tempo e le recenti vicende non fanno che dar loro ragione. Dio inesistente, comunque lo si chiami. Inutile e spesso addirittura dannoso se è vero, come è vero, che nel suo nome ci si arma e si uccide. Soprattutto, ci si aliena: al punto di morire e di uccidere in vista di un qualche paradiso. Meglio, se proprio volete una religione, quelle che non sono monoteiste: più pacifiche, più umane, più innocue per le società. Dai monoteismi, si potrebbe dire, ci guardi Iddio! Sono, o possono diventare. violenti. Qualche crociata è sempre dietro l'angolo. E qualche rogo per chi la pensa diversamente. E un po' di talebani, pronti a sacralizzare un testo, una verità, una interpretazione. Non a caso dalla terribile crisi delle religioni oggi si salvano soprattutto il buddhismo o le varie forme di new age: niente Dio unico e solo, niente dogma, soltanto una morale di pace e felicità Proprio quella religione che i monoteismi non possono accettare.


È vero che in tutte le religioni monoteiste non mancano minoranze che si ribellano alla violenza sacrale. Minoranze e anche maggioranze. Nell'islam la grande maggioranza prende le distanze dai talebani, ma, dall'Indonesia alla Nigeria all'Italia, non sono pochi i musulmani che più o meno esplicitamente hanno festeggiato l'11 settembre. E i contrari, maggioranza silenziosa, sembra che non abbiano il coraggio di alzare la bandiera della pace: temono che assomiglierebbe troppo a quella a stelle e strisce. La stragrande maggioranza dei cristiani, in tutti i continenti, è per la pace e moltiplica riti e preghiere. Intanto, però, si prepara alla guerra, convinta, forse, che il Dio invocato non ascolterà. Che dire, allora, in questo tragico frangente, al credente che, nonostante tutto, vuole continuare a credere al suo Dio? Che non vuole passare al grande gregge degli atei? Che dire a tutti quei credenti che vorrebbero credere nel Dio della pace e non degli eserciti? È difficile rispondere, ma qualche cosa si può balbettare, nella linea della tradizione che ci è più vicina, quella ebraica e cristiana.


Ripensare, prima di tutto, il concetto stesso di Dio, rivalutando quella grande tradizione che va sotto il nome di teologia «negativa». Credere vuole dire non tanto definire, identificare, descrivere, fotografare il proprio Dio, quanto combattere gli idoli. Idoli: valori che si pretendono assoluti, bandiere per cui varrebbe la pena di uccidere. Il vero credente non pretende di conoscere l'inconoscibile, ma lotta contro tutte le contraffazioni, soprattutto le più pericolose, quelle, appunto, religiose. Quelle costruite dalle patrie e dalle chiese per elevarsi, mantenersi, primeggiare.


Nel vangelo il cristiano non dovrebbe leggere bandiere da elevare sugli spalti contro altre bandiere, ma povertà, nudità, vuoti. Le beatitudini, appunto, che proclamano «beato» non il seguace di questo o quel Dio, ma il pacifico, il «facitore di pace». Basterà questo per renderlo refrattario alla violenza? Forse. Ma non basterà se le istituzioni della sua religione, le chiese, non rinunceranno al Dio «tappabuchi», come diceva Bonhoeffer, accettando di fare un passo indietro.
Filippo Gentiloni
Il Man
ifesto, 1 novembre 2001
 

Commento:

 

  • Filippo Gentiloni:
    In armi nel nome di Dio

    Il Manifesto (1 novembre 2001)
    Dice che credere significa smascherare gli idoli, qualsiasi pretesa di verità assoluta, ovvero il credente non crede a niente.
     

  • Salman Rushdie:
    I paranoici guerriglieri dell’Islam

    la Repubblica (5 novembre 2001)
    Dice che tutto l’Islam va riformato, in senso laico, come il cristianesimo, così non influisce più sulla vita
     

  • Umberto Galimberti:
    Guerra senza ragione

    D di Repubblica (6 novembre 2001)
    La ragione non è una dote umana, nel senso che è propria di tutti gli uomini, ma un derivato culturale, storicamente contingente e quindi fattore non di unità, ma di divisione.
     

  • Francesco Merlo:
    L’orgoglio delle identità

    Corriere della Sera (10 novembre 2001)
    Contro l’attacco recentemente portato in televisione, difende i crocefissi, come espressione della nostra tradizione occidentale. Li difende tuttavia in quanto simboli vuoti, folkloristici, seppur nel senso nobile e popolare del termine.
     

  • Vladimir Soloviev:
    Islam, bizantinismo coerente e sincero

    Tempi - Numero: 45 - 8 Novembre 2001
    L’estremismo islamico riassume l’eredità delle due principali eresie imperiali del Basso Impero: la negazione della libertà umana, la devozione cieca dei fedeli e un’umanità che non viene chiamata a realizzare alcun progresso. Così scriveva Soloviev, sul finire dell’Ottocento, nel suo “La Russia e la Chiesa universale”

   

Tutti i commentatori appaiono decisi a difendere l’occidente, perché in fondo l'occidente come identità è niente e in questo niente ripongono la tolleranza di tutto come il valore più moderno. Tuttavia, è uscito un articolo molto pertinente alla situazione attuale, scritto pressappoco cent’anni fa da Soloviev e ripubblicato da Tempi in data 14 novembre.

Soloviev, partendo dalla consapevolezza che «il vero dogma centrale del cristianesimo è l’unione intima e completa del divino e dell’umano», con la conseguente necessità di una «rigenerazione della vita sociale e politica»,
 individua in
due grandi eresie anticristiane i principali fattori di crisi della chiesa orientale:
la riduzione dell’ideale religioso alla pura contemplazione (monotelismo);
la soppressione dell’immagine vivente dell’incarnazione divina e implicitamente della sua manifestazione storica (iconoclastia).

L’essenza religiosa dell’Islam si fonda su queste due eresie, vedendo nell’uomo «una forma finita senza alcuna libertà e in Dio una libertà infinita senza alcuna forma». La religione si riduce così a un rapporto puramente esteriore, rituale, «tra il creatore onnipotente e la creatura che è privata di qualsiasi libertà non dovendo al suo Signore se non un semplice atto di devozione cieca. È questo il senso del termine arabo Islam». Nemmeno vi è la necessità di cambiare l’uomo e la società: «tutto è abbassato al livello dell’esistenza puramente naturale; l’ideale ridotto a una misura che garantisca una realizzazione immediata».

Le chiese orientali non hanno saputo opporsi all’«anticristianesimo aperto e onesto dell’islam». Soloviev inquadra questa debolezza nel bizantinismo - «anticristianesimo nascosto sotto una maschera ortodossa» - per cui in Egitto e in Asia «cinque anni furono sufficienti per ridurre ad un’esistenza archeologica tre grandi patriarcati della chiesa orientale». Le chiese orientali hanno creduto «che per essere veramente cristiani fosse sufficiente conservare i dogmi e i riti sacri dell’ortodossia senza preoccuparsi di cristianizzare la vita sociale e politica; hanno creduto che fosse cosa lecita e degna di lode confinare il cristianesimo nel tempio e abbandonare l’agone pubblico ai principi pagani».
Così Soloviev. Noi, d’accordo con la sua analisi e con lui, pensiamo esattamente il contrario e non vogliamo essere bizantinisti, coscienti che il rischio c’è anche nel cristianesimo occidentale, incluso quello di casa.