Pace:

Il pacifismo

e

la Teosofia

«L'abuso della fede»


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di Antonio Socci



Mi capita molto spesso - di questi tempi - di vedermi sbeffeggiare sui giornali a causa del mio cattolicesimo. Un tempo il temperamento toscano avrebbe risposto per le rime. Oggi mi dico: "troppo onore", con allegria. Non merito tanto. Noi cristiani conosciamo a mente certe parole di Gesù ("sarete odiati da tutti a causa del mio nome", "beati voi quando vi insulteranno e mentendo diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate perché grande è la vostra ricompensa nei cieli"). Non merito davvero tanto onore.

Ma resto poi ammirato nel vedere con che disinvoltura gli stessi giornali e polemisti, nelle stesse pagine, si lanciano in elogi sperticati della mia Chiesa, della Chiesa di cui io sono un semplice figlio e che mi insegna quella fede che costoro irridono. Fanno così con la stessa persona del Papa che non esitano a seppellire talora sotto le peggiori accuse, colpendolo con cattiverie e sarcasmi (per esempio quando chiede di menzionare Dio nella Costituzione europea), salvo poi osannarlo nelle stesse ore per tentare di trascinarlo sulle (loro) barricate a proposito della guerra. Lo stravolgono per usarlo, per farne un propagandista, oltretutto di una cultura a lui opposta.

Naturalmente nessuno l'ascolta, si infischiano di quello che dice, neanche il suo splendido discorso per la Giornata della pace del 1° gennaio è stato letto (infatti nessuno lo cita): pretendono di attribuirgli le loro piccole idee e non si accorgono della grande umanità e della testimonianza di fede di questo gigante del nostro tempo.

Ieri perfino Cesare Garboli - che non conoscevamo nei panni del tifoso vaticano - ha intonato, sulla prima pagina di Repubblica una specie di salmo osannante il prelato che il Papa aveva inviato a Baghdad (dove - Garboli forse lo ignora - ha provato a convincere Saddam Hussein a mollare per risparmiare ulteriori sofferenze al suo popolo). Garboli arriva a parlare del vescovo quasi con passione: "il mio cardinale, il mio Etchegaray", scrive testualmente. Il "mio"? Si sapeva che era un cardinale di Santa Romana Chiesa, non un cardinale "di" Cesare Garboli. Per dare a Cesare quel che è di Cesare, egli può dire "mio" - che so - al suo cane. Ma non a un cardinale.

Anche perché questo annettersi dei cristiani per "usarli" come utili foglie di fico non è gradito affatto ai cristiani. Ci provano da sempre. Lo fecero anche con don Lorenzo Milani, che reagiva molto duramente. Quando la sinistra intellettuale diceva "è dei nostri!", lui rispondeva per le rime: "Ma che dei vostri! Io sono un prete e basta!".

A volte provavano a usarlo perfino contro la Chiesa e lui rispondeva ancora duramente: "in che cosa la penso come voi? Ma in che cosa?", "questa Chiesa è quella che possiede i sacramenti. L'assoluzione dei peccati non me la dà mica L'Espresso. E la comunione e la Messa me la danno loro? Devono rendersi conto che loro non sono nella condizione di poter giudicare e criticare queste cose. Non sono qualificati per dare giudizi", "ci ho messo 22 anni per uscire dalla classe sociale che scrive e legge L'Espresso e Il Mondo. Devono snobbarmi, dire che sono ingenuo e demagogo, non onorarmi come uno di loro. Perché di loro non sono", "l'unica cosa che importa è Dio, l'unico compito dell'uomo è stare ad adorare Dio, tutto il resto è sudiciume".

Grande don Milani! Sante parole: "devono snobbarmi, non onorarmi come uno di loro. Perché di loro non sono".

Lui - con la sua franchezza toscana - lo diceva esplicitamente. Chi ricopre ruoli delicati non può parlare. Non può scendere in polemica con dei giornaletti e degli opinionisti. Giustamente. E allora lo facciamo noi per loro: giù le mani dalla Chiesa! Giù le mani dal Papa! Il papa, semmai, lo si ascolta e lo si segue. E' questo che fanno Garboli e compagni? Dicono il Rosario come raccomanda il Santo Padre, in un documento commovente, agli uomini del terzo millennio? Sono disposti a sottoscrivere le parole del Papa per il quale il primo attentato alla pace è l'aggressione alla vita nascente? Ritengono - come il Papa - che le sorti dell'umanità siano nelle mani di Maria come ha ripetuto solennemente a Fatima?

Non mi risulta. I loro giornali non si limitano a rifiutare tutto questo (che è il vero pensiero del Papa), ma disprezzano con una certa intolleranza questa fede insegnata dal Papa. Bastava sfogliare il settimanale di Repubblica, Il Venerdì, pochi giorni fa, per veder distillare il disprezzo di uno di questi intellettuali - Beniamino Placido - verso i cristiani. Uomini, come Giovanni Paolo II e un miliardo di cattolici, che Placido considera evidentemente dei poveri picchiatelli perché si affidano alla Madonna e - udite, udite! - credono addirittura ai miracoli.

Questo tipo di intellettuali sono dei reduci dell'altro secolo, ciò che resta delle vecchie guerre anticlericali. Vivono di pregiudizi, non sopportano la luce della razionalità, vivendo di un oscurantismo laico che non tollera analisi critiche. Non sanno nulla e pretendono di insegnare, non si documentano, non leggono, non si curano neanche della scienza (che ne sa Placido degli studi del Bureau Médical di Lourdes?), citano Emile Zola da anni senza essersi mai documentati sulla sua vicenda (si leggano finalmente Vittorio Messori su Lourdes. Cronaca di un mistero e scoprano cosa accadde a Zola).

Sanno distillare solo disprezzo e sarcasmi, pensando che siano armi terribili, di fronte alle quali noi cattolici ci andiamo a nascondere, rossi di vergogna. Non sanno neanche con chi hanno a che fare, neanche si accorgono dell'effetto che ci fanno. Già un grandissimo giornalista e scrittore inglese - il convertito Gilbert. K. Chesterton, penna irresistibile - ebbe a che fare con questo tipo di intellettuali.

Rivolto a uno di costoro scrisse: "Questo riso, di cui gli uomini fanno uno strumento di tirannia, non è la potenza spaventosa che voi credete". Chesterton chiedeva a bruciapelo se ritenessero che la crocifissione fosse una cosa seria. Ricevendo le stesse risposte positive che i Placido, i Garboli e gli Scalfari darebbero oggi. Ma poi ribatteva loro: "Ebbene vi ingannate. La crocifissione è comica. E' una cosa divertentissima. Era un modo di impalare, paradossale e osceno, al quale erano destinate le persone delle quali si poteva ridere, gli schiavi e i provinciali… Ora, quella forca grottesca che i monelli romani disegnavano sui muri come uno scherzo grossolano, io l'ho vista risplendere sulla sommità dei templi dell'universo! E dopo di ciò io dovrei temere il ridicolo?".

Pensate alla sorte di Pietro che fu addirittura crocifisso a testa in giù. Un vecchio uomo come lui. Eppure "con la testa in giù e le gambe in aria" scriveva Chesterton "Pietro è ancora Pietro, per l'umanità: sebbene con la testa in basso, egli non cessa di dominare l'Europa ancor oggi, e milioni di creature non respirano che nella sua Chiesa".
 

 

Pace: «L'abuso della fede», di Antonio Socci, Il Giornale 23.02.2003


 
Rassegnina    L’equivoco
Ci colpiscono una serie di articoli critici a riguardo del pacifismo:

 

Commento:




 

Tutti desiderano la pace. Molti, con una buona fede, che è addirittura commovente, espongono una bandiera multicolore con la scritta “PACE” al centro: pace, come aspirazione al bene, alla felicità. Quasi nessuno però conosce l’origine di tale bandiera arcobaleno.


Dobbiamo trasferirci a New York, dove la medium russa Helena P. Blavatsky (1831 – 1891) fonda nel 1875 la Società Teosofica, organizzazione che ha lo scopo di interpretare le scritture e le dottrine di tutte le religioni e di rivelarne il presunto significato occulto. Mettendo insieme le “verità” che formano la base di tutte le religioni, la Teosofia vorrebbe dimostrare (e in fondo oggi c’è riuscita) che non esiste una Chiesa che possa monopolizzare tali verità: non esistono dogmi, non ci sono eretici e tutti hanno ragione. Nella Genesi, cap. 9, l’arcobaleno è il segno del patto stabilito da Dio con il creato. Nella Teosofia, al contrario, è simbolo della elevazione della coscienza individuale verso lo spirito divino e universale. La pace cioè, è il risultato dello sforzo dell’uomo, che si eleva a Dio.


La bandiera dell’arcobaleno, come è normalmente esposta, ha i colori invertiti, guardandola dall’alto in basso: dal viola al rosso, invece che dal rosso al viola. La parola pace, nelle varie manifestazioni, sembra non a caso richiamare all’utopia di una società perfetta, che non è mai esistita.


Non giudichiamo la buona fede nell’uso della bandiera, facciamo solo notare due cose:

1) Dio è necessario proprio perché l’uomo non è capace di pace;

2)
la pace non è né una bandiera, né un’idea, né una tranquillità apatica (senza passione). La pace è un avvenimento che si afferma dolorosamente e concretamente nella storia, nella società, nella convivenza di oggi. Bisogna saper indicare dove è, come vi si può partecipare. Altrimenti, hanno ragione gli americani, quando affermano che la pace è la loro società. Hanno così ragione che anche la stragrande maggioranza dei pacifisti vive totalmente come loro, da loro dipendente per la pace e per la guerra.
 

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