Pace

Ma prima di Peyretti ci fu l'eretico Marcione

«In questa Bibbia crudele io non credo più. Parola di pacifista»

Enrico Peyretti, capofila dei nonviolenti cattolici, rinverdisce l’eresia di Marcione. Rinnega anche l’inferno. E delle torri abbattute l’11 settembre 2001 dice...

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di Sandro Magister,

(Da “L’espresso” n. 5 del 23-30 gennaio 2003, titolo originale “Addio Bibbia crudele”)



 

ROMA – Difficile trovare uno più mite ed evangelico di lui. Per far pace nel mondo, ogni venerdì sera, Enrico Peyretti va in piazza Castello, nella sua Torino, a fare un’ora di silenzio (v. foto di Michele D’Ottavio). Ma poi scrive. Parla. Gira l’Italia da maestro riconosciuto del pacifismo cristiano più puro. Tutto per il suo ideale di nonviolenza universale. Finché «un bel giorno» prima dell’ultimo Natale – dice – anche a lui è scoppiata una grande ira dentro. E non s’è tenuto più.

A farlo arrabbiare è stata la Bibbia, sia dell’Antico Testamento che del Nuovo, con tutte le sue pagine grondanti violenza. «Basta», ha concluso Peyretti. «queste pagine non sono parola di Dio». E basta anche con l’inferno di cui parla Gesù. «Non vi credo più». Ha preso carta e penna e ha scritto di getto «ad alcuni amici sensibili ai problemi spirituali». E poi ha rese pubbliche le sue riflessioni sulla rivistina mensile “Il Foglio” da lui fondata e diretta per più di trent’anni «con alcuni cristiani torinesi» tra i quali Aldo Bodrato, fratello del più noto Guido, testa fine della fu sinistra democristiana. Sul prossimo numero pubblicherà anche le risposte a quella che chiama la sua «provocazione».

E le risposte sinora arrivate, una quindicina, sono di sostanziale plauso. Peyretti tiene coperte le firme, ma parla di «monaci, teologi e filosofi valenti». Ad esempio, «una studiosa d’intesa con un prete» gli ha scritto che «quando nello splendido salmo 137 leggo i versetti finali mi viene da vomitare a urlo: no!». Il salmo è quello degli ebrei in esilio sui fiumi di Babilonia, da cui s’ispira il celebre coro di Giuseppe Verdi “Va’ pensiero”. Finisce così: «E tu, Babilonia criminale! Beato chi ti ripaga del male che ci hai fatto, chi afferra i tuoi bambini e li sfracella contro la roccia».

Fin da ragazzo Peyretti, che oggi ha 67 anni, ha sempre letto ogni giorno un po’ di Bibbia, che per la Chiesa è parola divinamente ispirata. «Ma più leggo i libri della conquista, delle guerre, e più li detesto, li rifiuto. Il peggio è che la Bibbia mi presenta questi orrori non come fatti umani, ma come azioni di Dio. Quando invece sono bestemmia».

E così ha deciso di gettare gran parte dell’Antico Testamento. Via il patriarca Abramo che anche lui impugnò le armi, via Mosé, via Davide. «Se leggerò ancora certi libri biblici di teologia guerriera, finirò per disprezzare l’ebraismo che li ha prodotti e trasmessi, e questo non lo voglio. Terrò cari i libri della sapienza, dell’amore universale. Gli altri li chiuderò».

Non è il solo Peyretti, tra i pensatori cattolici, ad aver fatto di recente un percorso così. Un’altro che gli somiglia è Pier Cesare Bori, professore di filosofia morale all’università di Bologna. Entrambi in gioventù furono presidenti della Fuci (il cenacolo degli universitari cattolici che ebbe come capi i futuri politici Aldo Moro, Giulio Andreotti e più tardi Franco Bassanini, Giorgio Tonini e Stefano Ceccanti) . Entrambi sono stati preti. Poi Bori ha sposato un pacifismo assoluto alla Tolstoj. E infine ha rotto con la Chiesa «violenta» facendosi quacchero.

Ma senza arrivare a questi estremi, anche un cattolico ultrafedele come il senatore Andreotti ha recentemente elevato protesta contro certi passaggi della Bibbia. Sul mensile “30 Giorni”, di cui è direttore, ha pubblicato le rimostranze di una monaca, suor Maddalena, scandalizzata che si legga durante la messa «il passo pornografico di Davide e Betsabea». Non solo Andreotti le ha dato ragione, ma ha rincarato. Ha detto che il papa, se nella giornata della pace di Assisi avesse detto messa seguendo il messale, avrebbe letto quel giorno di una gara tra Davide e Saul a chi massacrava più nemici. Il senatore ha concluso annunciando che presto presenterà in Vaticano una sua lista delle pagine della Bibbia da non far leggere nelle chiese.

L’Antico Testamento è quello che cade di più sotto la scure dei censori. Ma Peyretti rigetta anche pezzi dei Vangeli e degli altri libri della Bibbia posteriori a Gesù. Via le parabole con i re che si fanno guerra, via le minacce di pianto e stridor di denti, via i fuochi della geenna. Sull’inferno la mette così: «L’inferno è questo mondo governato dai potenti criminali, gli unici veri diavoli, ogni giorno in tv a terrorizzarci e chiedere adorazione. Se le religioni non maledicono questo inferno, ne sono parte esse stesse, come diavoli».

Pacificamente dinamitardo, Peyretti fa deflagrare la Bibbia e il Credo cattolico in nome, spiega, di una superiore «etica dell’unità umana». Perché solo chi – come lui – possiede «l’etica originaria della pace può giudicare tutte le religioni» e condannare fin da oggi ciò che non vi si conforma, «grazie alla irresistibile coscienza che Dio ci dà del bene e del male».

E l’aldilà? E il giudizio finale? Ecco la risposta: «Dio al momento della morte dei potenti brucerà la loro superbia e i delitti, facendoli ardere come grattacieli polverizzati, e dalle loro ceneri puzzolenti farà uscire piccole anime umiliate e così risanate e salvate». Le due torri abbattute l’11 settembre 2001 «sono il segno di rivelazione che ci è stato dato».

E finalmente quel giorno anche «noi che ci crediamo buoni impareremo ad amare i nemici, e non tanto i nostri piccolissimi nemici personali o di gruppo, quanto i nemici dell’umanità e di Dio, i tiranni e imperatori di ieri e di oggi, e i ridicoli tirannelli e vassalli eletti democraticamente da popoli narcotizzati».


Il testo integrale della “provocazione” di Enrico Peyretti è:

Una provocazione e le risposte. 1 – Basta con la violenza biblica


Ma prima di Peyretti ci fu Marcione


Col suo rifiuto delle pagine violente della Bibbia e della dottrina dell’inferno, Enrico Peyretti rinverdisce due antiche eresie.

La prima è quella marcionita, che ebbe grande fortuna a partire dal secondo secolo.

La seconda è quella dell’apocatàstasi, anch’essa molto antica, ma presente in forma mitigata anche in alcuni grandi teologi dell’ultimo secolo, ad esempio Hans Urs von Balthasar secondo il quale «l’inferno c’è, ma è vuoto».

Per saperne di più, ecco qui sotto le relative voci nell’“Enciclopedia del cristianesimo” stampata nel 2000 dall’Istituto Geografico De Agostini, Novara. Curata da un team di teologi e storici di valore, l’”Enciclopedia” ha la prefazione del cardinale Carlo Maria Martini e contributi dei cardinali Joseph Ratzinger e Camillo Ruini:


MARCIONE – Teologo e filosofo greco (Sinope circa 85 – circa 165). Educato cristianamente, verso il 140 si recò a Roma, dove subì l’influsso del dualismo gnostico. Contrappose il Dio inferiore dell’Antico Testamento, creatore dell’universo, al Dio supremo fatto conoscere solo da Cristo nel Nuovo Testamento. L’assenza di ogni bontà e la giustizia spietata e legalista del Dio creatore rendevano “cattiva” anche la creazione [...]. Secondo questa prospettiva veniva respinto l’Antico Testamento a favore del Nuovo, ma anche questo doveva essere purificato: Marcione compilò una lista di scritti sacri che comprendeva il Vangelo di Luca e dieci lettere di Paolo, debitamente espurgati. Nel 144 egli si separò dalla Chiesa di Roma, costituendo comunità alternative e parallele. Organizzate con vescovi e presbiteri, ebbero larga diffusione fin verso il secolo V.


APOCATÀSTASI – Dal greco “apokatástasis” (reintegrazione, restaurazione), il termine designa nel linguaggio teologico il ristabilimento finale e definitivo di tutta la creazione in uno stato di perfetta beatitudine. Tale dottrina, sviluppata soprattutto dalla patristica greca, nella sua formulazione radicale implicava la salvezza universale, e dunque anche del diavolo. Il concilio di Costantinopoli (553 d.C.) condannò la tesi della certezza della salvezza di tutte le creature. Simile certezza è in contrasto con l’Evangelo e svaluta la libertà umana.


E questa è la sua Apocalisse
 

A un certo punto del suo scritto, Enrico Peyretti richiama l’11 settembre 2001 e chiede:

«Quando capiremo il segno che ci è stato dato, di ‘apocalisse’ che non significa distruzione ma rivelazione?».

Il «segno» è quello dei «grattacieli polverizzati». Segno da lui interpretato come «rivelazione».

Anche qui Peyretti non introduce un’interpretazione nuova. Prima di lui si era espresso in modo simile il cardinale Carlo Maria Martini, in un passo – all’epoca molto criticato – del suo discorso alla città di Milano del 6 dicembre 2001, intitolato “Terrorismo, ritorsione, legittima difesa, guerra e pace”.

Il cardinale disse in quel discorso che l’abbattimento delle Twin Towers è un’«apocalisse nel senso etimologico di un ‘alzare il velo’»; una «rivelazione del male in cui siamo immersi, dell’assurdità di una società il cui dio è il denaro, la cui legge è il successo e il cui tempo è scandito dagli orari di apertura delle borse mondiali».

E Martini, così dicendo, ripeteva un articolo del monaco Enzo Bianchi apparso pochi giorni prima, il 27 ottobre, sul quotidiano “la Repubblica”.

Enzo Bianchi è fondatore e priore del monastero di Bose, in Piemonte. È di Torino. Ed è uscito dallo stesso cenacolo cattolico torinese di cui furono parte Enrico Peyretti e “Il Foglio”.
 

 
Pace: «In questa Bibbia crudele io non credo più. Parola di pacifista. Ma prima di Peyretti ci fu l'eretico Marcione.», di Sandro Magister, L'Espresso, 28.01.2003
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