GIROLAMO COMI

SOFFERTA VITA DI POETA

Una vita di sofferenza fu quella dell'autore; dal fallimento di numerosi tentativi di avviare dei piccoli commerci o delle piccole industrie il poeta ne isciva sempre più sconfitto economicamente e prostrato moralmente. Certamente per mancanza di spirito pratico poiché egli stesso rifuggiva la materialità del denaro. Un'inettitudine agli affari che è connaturata nella nobiltà - non dimentichiamo che era erede di un titolo baronale - ma che in Comi era portata alle estreme conseguenze dal suo amore per la poesia - ricordiamo il detto oraziano "Carmina non dant panem" - e dalla sua moralità e onestà di cattolico convertito. Nel 1953 rifiutò, difatti, l'eredità della moglie morta a Roma, condannandosi ad una indigenza quasi totale e alla necessità di cedere il suo palazzo e la sua biblioteca all'Amministrazione provinciale di Lecce in cambio del pagamento dei debiti e di un contributo mensile. I problemi finanziari, però, avevano minato notevolmente la sua salute, aumentanso il suo senso religioso e la sua fede. Ultima raccolta a vedere la luce dopo Spirito d'armonia, che aveva vinto il premio Chianciano, e Canto per Eva fu Fra lacrime e preghiere, un canto sofferente ma illuminato dalla luce vivificante della speranza di una rinascita nell'Amore divino in cui la poesia diventi grazia illuminante, ristoro dei mali della vita, veicolo per ritornare ad un'infanzia primigenia in cui l'uomo, il poeta, si possa identificare con l'umanità. E' l'apoteosi della spiritualità comiana che non si esaurisce, come potrebbe apparire, soltanto in letteratura o in una poesia, ma va oltre, ispira la vita, il comportamento, le decisioni del poeta. In tal modo, negli ultimi anni della sua vita, Comi sposò in seconde nozze Tina Lambrini, la sua fedele governante che gli era stata sempre vicina, anche in povertà. Nonostante la sua nascita nobiliare, egli seppe deporre l'orgoglio di classe e sposare una donna del popolo, del Salento, tanto vicina al suo carattere e al suo modo di pensare.
Girolamo Comi morì a Lucugnano il 3 Aprile 1968; la vita fu per lui una catarsi, un'ascesa alla pace conquistata dopo tanto tormento interiore e fisico. A ventotto anni dalla sua morte, oggi ci si chiede qual è stata l'eredità da lui lasciata al Salento. Una domanda questa a cui è molto difficile dare una risposta, soprattutto per la difficoltà, da parte dei salentini, di recepire un messaggio chiaro, solare, svincolato da qualsiasi polemica sociale e dai problemi della terra. Infine l'austero dogmatismo, le ardue intuizionim, le complesse costruzioni della poesia comiana dovevano riuscire poco gradite alla maggior parte dei salentini, contadini che intendevano ancora la religione connessa a quel senso orfico e superstizioso proprio della cultura dei campi. Fu soltanto presso alcuni intellettuali che la poesia di Comi venne accolta nella sua reale accezione e apprezzata la sua figura, quale maestro e, specialmente, organizzatore di cultura.
L'opera dell'Accademia e de "L'Albero" fu quella di intessere le maglie della cultura salentina ormai lacerate da velleità polemiche di ascendenza bizantina e dalle nuove correnti nazionali, di dar luogo, insomma, ad un'opera di ricognizione interiore ed esteriore onde sapere "chi siamo" e "quanti siamo".
Ma il suo messaggio fu recepito anche dai lucugnanesi che lo conobbero di persona e videro in lui un esempio di vita tribolata e di umiltà, sempre illuminato dalla speranza, dalla gioia della poesia, dall'ansia di ricongiungersi all'amore divino pur nelle sofferenze quotidiane di una terra, il Salento, emarginata e abbandonata a se stessa per tanti secoli.

a cura di Giorgio Barba