GIROLAMO COMI

SOFFERTA VITA DI POETA

Vita e poesia in Comi s'intrecciano e, pertanto, anche la sua produzione poetica subisce un parabola e si adegua ad una visione organica dell'universo come creazione e specchio della perfezione divina. Nella nuova prospettiva comiana, se il cosmo è un immenso edificio architettonico in cui ogni piccola cosa tommasianamente ha un suo posto particolare, la poesia, che si identifica con la grazia, serve a scoprirne il codice e ad accedere all'eterno, dal gradino più basso sino al gradino più alto, fino alla dantesca rosa dei beati, sino al Verbo, al Logos, a Dio. E' una continua catarsi che permette l'ascesa all'empireo dal paganesimo di Adamo alla sua santificazione. In questo contesto gli architetti umani, Adamo ed Eva, riassumono quel graduale passaggio dalla caduta alla conquista del Paradiso. E particolarmente la figura femminile assume la funzione di redentrice e spesso si identifica con la poesia. Eva, la tentatrice, è ora vista stilnovisticamente come la donna-angelo per la conquista di "un'eternità/in cui la Donna è gemma fiore e ara".
Proprio per questa visione della vita vissuta all'insegna del cattolicesimo, Comi approda al suo Salento con il proposito di promuovere un riscatto della cultura provinciale. Dopo il suo soggiorno a Roma, infatti, il poeta si trasferì , nel 1946, a Lucugnano e, pochi anni dopo, fondò l'Accademia salentina coinvolgendo scrittori, letterati, critici e artisti quali Oreste macrì, E. Falqui, Mario Marti, Vincenzo Pierri, Maria Corti e dando l'avvio alla rivista "L'Albero". Nobile nelle intenzioni il tentativo di dar vita alla cultura provinciale salentina ancora asfittica e sempre più soffocata nelle maglie della coscienza, ma destinato a fallire in quanto la rivista mantenne sempre la sua aristocraticità e la sua lontananza dai problemi reali del Salento, innalzando quindi una torre d'avorio assediata da una parte dalla cultura nazionale che procedeva con ritmo incalzante, dall'altra proprio dai salentini che la relegarono, all'inizio, in una posizione quasi del tutto marginale.
D'altro canto nella poesia di Comi il Salento appare quale categoria della propria anima: un Salento sempre vivo nel suo cuore , anche quando non lo menziona esplicitamente. Dagli scenari salentini, infatti, il poeta trae i paesaggi metafisici pieni di luce delle sue poesie; il brullo colore della terra argillosa, il verde rigoglioso di stanche primavere, i vivi colori delle rose, la solarità dei frutti, il largo respiro degli ulivi. Poeta della sua terra, dunque, ma anche poeta degli uomini che la coltivano: "Ne le pianure solitarie/quegli uomini avviliti/si sono arresi alle scure fatiche/ed alle sorti autoritarie/ed ai sordi disastri./ (...) I contadini della pazienza,/i contadini del lavoro,/nei solchi aridi, inerti son restati/vedendo lungi tronare la scienza,/vedendo fiammeggiar, battagliar l'oro/nel mondo di progresso e di demenza" (Ne le pianure solitarie ).
Si intravede in questi versi la rabbia e la sconfitta di Comi che fa conoscere al mondo le condizioni della sua gente, del suo salento e si fa foriero di "questo fievole grido desolato/Che doveva commuovere il mondo". E se, da un lato, i contadini sudano il loro pane, dall'altro vi è "l'aristocrazia della terra agricola, i suoi capricci elementari, le sue stagioni, le sue lune, le sue pompe, la sua lussuria, la sua castità, i suoi letarghi oceanici" (da Cantico del tempo e del seme, La terra di qui). L'uomo e la terra sono messi di fronte, l'individuo si deve liberare dalla sua terrestrità attraverso la fatica, la fame, la sottomissione, al sofferenza.