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Autore: Rosetta Loy

Titolo: La parola ebreo

Casa editrice: Einaudi, Farigliano(CN)

Anno di pubblicazione: maggio 1997

 

Trama

E’ il racconto autobiografico di Rosetta, una bambina abitante a Roma in via Flaminia, nell’arco di tempo che va dal 1936 al 1945.

In realtà ripercorre gli anni della guerra nella mente, provando a trasmetterci un’informazione sugli avvenimenti storici e le proprie sensazioni sui riflessi di quegli avvenimenti nel piccolo mondo che circonda lei bambina. Il libro si apre con la presentazione di alcune famiglie abitanti nel suo stesso palazzo: i Della Seta e i Levi, entrambe ebree. La storia aveva cambiato decisamente direzione da quando, nel 1933, Hitler era salito al potere in Germania. Il suo primo passo era stato quello di dividere la popolazione tedesca in ariani e non ariani .

Inizialmente le restrizioni riguardavano solo gli ebrei a pieno titolo mentre dal 1940 in poi interessarono anche i misti (cioè figli con un solo genitore ebreo).

Nel 1937 cominciarono a sorgere i primi campi di concentramento, ma cominciò anche la resistenza del Papa Pio XI contro le persecuzioni naziste. Il 10 aprile di quell’anno l’Austria diventò provincia del Reich anche perché Hitler era riuscito a convincere il cardinale austriaco Theodor Innitzer a fare propaganda per l’Anschluss (annessione) .

Sempre nel 1937 Rosetta iniziò la prima elementare e contemporaneamente, lo Stato fascista iniziò una campagna di stampa antisemita. Uno dei primi attacchi agli ebrei fu quello di estrometterli dai settori della finanza, della borsa, dell’agricoltura, del commercio, del teatro, del cinema, della musica e dello sport. In seguito all’emanazione delle leggi razziali dell’autunno del 1938, anche in Italia si delineò lo scontro tra Mussolini e Pio XI sulla norma che riguardava i matrimoni tra cattolici ed ebrei convertiti che, se considerati nulli, entravano in contraddizione con il Concordato firmato nel 1929.Infatti , Pio XI , già qualche mese prima nel suo più famoso discorso, pronunciato il 28 luglio 1938, all’indomani della pubblicazione del Manifesto sulla razza, si era chiesto come mai l’Italia avesse voluto imitare la Germania e avesse affermato che esiste una sola razza umana, sottolineando come il razzismo fosse contrario alla tradizione italiana.

Quando vennero emanati, in fasi successive, i decreti contro la razza ebraica, la vita degli ebrei si fece sempre più difficile anche in Italia: fu loro vietato l’insegnamento in qualsiasi scuola, iscriversi o frequentare scuole frequentate da alunni italiani, essere iscritti al partito nazionalfascista, prestare servizio militare nell’esercito italiano, avere alle proprie dipendenze personale ariano e tante altre cose. Nel libro sono citati testualmente molti dei decreti-legge riguardanti la razza, approvati dal 6-7 ottobre al 17 novembre 1938. Quando, nel 1939, Hitler entrò con le sue truppe in Polonia, scoppiò la guerra ma non ancora per l’Italia. Rosetta si trasferì con la sua famiglia nella casa di Mirabello, nel Monferrato, e, durante una sosta a Brescia, sentì da un altoparlante la notizia dell’inizio della guerra. Per l’Italia la guerra iniziò il 10 giugno 1940 e da quel momento tutti gli ebrei "stranieri" (profughi) vennero arrestati e portati nei campi di internamento.

Comunque agli ebrei italiani venne vietato di esercitare qualsiasi professione e di fare qualunque normale attività: era l’emarginazione totale dalla società, ben più pesante dell’isolamento all’indomani della promulgazione delle leggi razziali.

Intanto, a Pio XI, morto nel 1939, era subentrato Pio XII, che si era congratulato con l’ambasciatore Von Bergen per le conquiste ottenute da Hitler e non aveva protestato ufficialmente alla notizia dell’uccisione nei campi di concentramento di 700 preti polacchi.

Dal gennaio 1942 i nazisti procedettero all’eliminazione totale della razza ebrea, dopo la decisione, presa segretamente nella conferenza di Wannsec, di attuare la cosiddetta "soluzione finale".

Prima di concludere il suo racconto, Rosetta Loy racconta l’avventura del "ragazzo dei Levi" che le viene raccontata da una cugina di Giorgio che era con lui la mattina in cui vennero i tedeschi a casa loro. Anche i Levi e i Della Seta vennero portati via e morirono tutti nei campi di concentramento.

La bambina vede così nella sorte delle persone intorno a sé un esempio della tragedia collettiva del popolo ebraico.

 

Stile

E’ un racconto autobiografico, quindi narrato in prima persona da Rosetta Loy e mira a rendere l’idea di ciò che succedeva durante la guerra. Si svolge nell’arco di nove anni, a Roma per quanto riguarda la vicenda di Rosetta, mentre in tutta Europa per quanto riguarda il conflitto.

E’ scritto in un linguaggio semplice, ma la quantità di avvenimenti storici lo rende difficile da comprendere in tutte le sue parti.

Non è diviso in capitoli, quindi anche per questo può presentare qualche difficoltà nella comprensione. E’ basato sul continuo passaggio dalla narrazione di ciò che avviene a Roma, intorno a Rosetta, alla ricostruzione di quello che contemporaneamente succede in Europa.

Tra gli eventi storici che il libro affronta, in modo persino più ampio e approfondito della vicenda privata che fa da filo conduttore, spiccano l’analisi della questione ebraica e del comportamento del Vaticano rispetto ad essa.

L’autrice appartiene ad una famiglia cattolica e, nel contempo, ha avuto modo di conoscere degli ebrei stabilendo con essi normali rapporti; forse questi motivi l’hanno spinta a documentarsi sui fatti in modo così minuzioso.

Per un lettore come me il libro è stato una fonte di informazioni che non conoscevo: non sapevo, per esempio, quali conseguenze concrete avessero avuto le leggi razziali del 1938 e, soprattutto, non immaginavo che il Papa dichiarasse la sua simpatia per la Germania, nonostante le atrocità compiute dal regime nazista ai danni di milioni di esseri umani e, in particolare, di ebrei.

Conoscevo invece gli eventi della seconda guerra mondiale, che, citati dalla Loy in ordine cronologico, mi hanno aiutato ad orientarmi nella lettura.

In conclusione, posso dire che, dovendo classificare il libro all’interno di un genere letterario, sarei tentato di consideralo allo stesso tempo un’autobiografia e un saggio storico.

 

Pagina esemplare

Le pagine che mi hanno colpito di più sono state certamente quelle seguenti:

"A Monaco est il convoglio fece, per la prima volta, una sosta abbastanza lunga. Eravamo stati in viaggio circa 12-16 ore ininterrotte … gli occupanti dei vagoni vennero fatti scendere a turno, vagone per vagone, per fare i loro bisogni. Erano costretti a farli sui binari che, alla fine, erano tutti insozzati … A Monaco est furono distribuiti anche, per la prima volta, i viveri … Dopo Monaco, tale distribuzione ebbe luogo ancora un paio di volte …

Inoltre, più tardi, alle Frontleitstellen, procurammo della minestra calda distribuendola poi nei vagoni. I loro bisogni, però, potevano farli solo durante le fermate e questo accadeva sovente, almeno una volta al giorno. Da Monaco proseguimmo il viaggio solo la mattina seguente, passando per Landshut, Marienbad-Aussig e Breslavia. Le soste più lunghe durante le quali potemmo far uscire gli ebrei furono presso Breslavia e Auschwitz. Fino allo scarico ad Auscwitz il viaggio era durato almeno quattro giorni [ in realtà ne durò cinque ] … Quando arrivammo nei pressi di Auscwitz, il tratto era pieno di convogli. Rimanemmo tutta la notte davanti alla rampa di scarico del lager prima di potervi accedere. Il treno rimase sulla rampa tutto in giorno e una notte prima di venire scaricato. Noi, vale a dire il Begleitkommando, avemmo tutto il tempo di vedere scaricare gli altri treni e di osservare tutti gli ulteriori procedimenti dopo lo scarico. Erano treni di ebrei che venivano dall’Ungheria e dall’Olanda. Le aperture dei carri merci erano sbarrate da fil di ferro. Gli occupanti dovevano avere una sete spaventosa, perché vidi come protendevano le mani attraverso i fili per cogliere le gocce di pioggia – c’era un tempo orribile – che spiovevano dai tetti.

Il nostro Transportfuhrer richiamò la nostra attenzione sui procedimenti usati dopo lo scarico dagli altri treni: egli era letteralmente inorridito e diceva che era una grossa porcheria.

Dopo che mi ebbe avvertito, vidi poi come gli occupanti di un convoglio proveniente dall’Ungheria venivano tirati giù dai vagoni da internati del lager armati di randelli, e come questi ultimi, in parte, buttavano letteralmente fuori vecchi e bambini. Vidi poi che li facevano andare in gruppi in un posto lì vicino, dove parecchi ufficiali SS con lunghi mantelli dividevano con un bastone gli ebrei in due gruppi e, come risultava chiaramente, accantonavano da un lato gli uomini e le donne dall’aspetto giovane e robusto e, dall’altro lato, quelli più anziani e i bambini. Era evidente che, nel primo gruppo, si trattava di persone dalla piena capacità lavorativa, mentre nell’altro c’era gente non pienamente sufficiente. Mentre il gruppo delle persone atte al lavoro veniva trasferito nelle baracche gli altri venivano avviati a gruppi verso una sala enorme che aveva delle grandi porte di ferro che si aprivano e si chiudevano automaticamente. Internati del lager sospingevano a forza gli ebrei in quella sala e li colpivano a randellate. Gli ebrei levavano alte grida e lamenti. A quella vista mi diressi verso quella grande porta che era spalancata e così ebbi modo di osservare che nella sala venivano compressi sempre più ebrei, e che gli ebrei che erano già dentro si stavano spogliando o erano già nudi … Seppi poi da internati del lager i quali stavano al Corpo di Guardia che la grande sala era una camera a gas nella quale gli ebrei, dopo che era stato provveduto al taglio dei capelli femminili, venivano uccisi mediante il gas … in quel epoca arrivavano un numero così esorbitante di convogli che quasi non ce la facevano a gasare e bruciare i cadaveri nei forni crematori posti dietro le camere a gas, bisognava in parte distruggere i cadaveri con i lanciafiamme … Le persone malaticce del convoglio erano rimaste, in parte, a giacere tutta la notte sulla rampa e sui binari.

Nessuno se ne curava, e quando, il mattino dopo, andarono per portarli via, erano già quasi tutti morti. Lo scarico del nostro convoglio avvenne esattamente nello stesso modo".

 

Se dovessi dare un titolo a questo racconto, scriverei: "l’ultimo viaggio" perché sono certo che tutte le persone che salivano su quei treni erano consapevoli che non avrebbero più fatto ritorno a casa.

Queste due pagine sono una parte della deposizione resa al processo di Friedrich Bosshammer, il responsabile delle deportazioni dall’Italia, da una delle guardie che accompagnavano il convoglio in Germania. Il testimone racconta che dopo sedici ore fecero la prima sosta, a Monaco, perché la gente potesse fare i propri bisogni. Poi, appena arrivati ad Auscwitz-Birkenau, i deportati vennero divisi: da una parte gli uomini e le donne con piena capacità lavorativa, dall’altra vecchi e bambini.

Questi ultimi venivano portati immediatamente nelle camere a gas.

Ma arrivavano talmente tanti ebrei che non si riusciva a bruciarli e cremarli nei forni posti dietro le camere a gas, quindi bisognava distruggere i corpi in altro modo.

Purtroppo fecero questa fine Eva Della Seta e Giorgio, Mario e Alba Levi. In queste pagine si capisce realmente la ferocia della persecuzione nazista.

Trovo ingiusto tutto questo e ringrazio di non essere vissuto in quei tempi perché, anche per i non ebrei, è stato il periodo più brutto della loro vita.

Scheda a cura di Operti Corrado

Classe 5E Telecomunicazioni

Anno scolastico 1998/99

I.T.I.S. Pininfarina

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