Il
Milite Ignoto
“nessuno
muore del tutto finché ne sia conservato il ricordo” Jorge Luis Borges
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Solo
a guerra terminata ci si rese conto di quello che era stato l'altissimo
contributo di vite umane, di impoverimento economico
generale (vinti e vincitori
compresi) e di quanto l'odio si potesse trascinare nelle successive
condizioni di pace. La guerra che aveva fatto saltare quattro teste
coronate primarie, doveva, secondo la coscienza dei più essere posta a
monito delle future generazioni con monumenti che ne ricordassero il
prezzo in vite. Intanto ci si doveva attrezzare per riordinare tutte
quelle sepolture affrettate e temporanee sparse un po ovunque sull'arco
alpino. Una commissione (COSCG) si prese cura di bonificare gli ex campi
di battaglia e dare sepoltura visibile a quanti più soldati era possibile. |
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Quando solo le ossa restavano a testimoniare la presenza
umana si cercava di distinguere se italiano o austrungarico dalle
piastrine di riconoscimento che si erano rivelate insufficienti. I resti
venivano poi avviati ai grandi sacrari ossari. Ogni più piccolo paese si
attrezzò per il suo monumento in cui ricordare quelli che non tornarono.
Per il monumento nazionale si pensò di scegliere una sepoltura fra le
tante ignote. L'idea del Generale Giulio Douhet (sotto a destra) passò anche agli altri paesi. Tutte le madri che non
potevano piangere sulla tomba del proprio figlio avrebbero visto in essa
la propria. Una commissione di decorati venne incaricata di scegliere in
undici luoghi diversi, salme di soldati non riconoscibili.
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- la prima fu recuperata in
un cimitero in località Lizzana, nei pressi di Rovereto;
- la seconda recuperata da un cimitero non molto distante da Porte del
Pasubio;
- la terza dal Monte Ortigara;
- la quarta dal Monte Grappa;
- la quinta era la salma di uno dei 3200 ignoti sepolti nel cimitero di
Collesel delle Zorle;
- la sesta esumata dal cimitero militare di Ca Gamba, nei pressi di
Jesolo;
- la settima proveniva da un piccolo cimitero, allestito dagli alpini,
sul monte Crepa;
- lottava dalle pendici del Monte Rombon, nellalto Isonzo, nei pressi di
Caporetto;
- la nona esumata sullaltura del San Marco che sovrasta Gorizia;
- la decima scelta dalla Commissione tra due salme rinvenute nei pressi
di Castagnevizza del Carso;
- l undicesima fu recuperata a San Giovanni in Tuba, dopo Monfalcone,
alle foci del Timavo |
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Gli eserciti
non sono sempre delle piccole famiglie dove ci si conosce tutti: se
anche fosse i vuoti che si vengono a creare sono riempiti con facce nuove
che neanche fai in tempo a vedere e sono già stesi sul campo di battaglia.
Neppure
il sergente di fureria si ricorda più i loro nomi senza il registro
dell'appello. Al tempo di Napoleone c’erano soldati di tutte le
lingue uniti solo dalla fede che a malapena si capivano, figurarsi il
nome. Potevi sparire ed eri come se tu non fossi mai esistito. Con gli
eserciti nazionali gli impegni verso la popolazione civile erano
aumentati, tanti doveri tanti diritti perché il soldato se lo tratti bene
ti segue se no … Si cominciò così ad escogitare dei sistemi per
l'identificazione del soldato tramite una piastrina
da portare al collo nel malaugurato caso servisse. Questo
non secondario aspetto del sistema portava però la gente, come si direbbe oggi, a
toccarsi e a fare scongiuri (e a non indossarla). La piastrina registrava chi eri, da
dove venivi, quando eri stato arruolato ed altro. Il primo modello di
piastrino italiano,fu adottato con circolare n°207 del G.M.U. 1892 e
consisteva in una lastrina di zinco 5,3x 3,6 su cui si scriveva con un
inchiostro ( particolare, indelebile) e mediante fori si cuciva sotto il
bavero della giacca. Ciò denota già che la giacca aveva una vita lunga
anche lontano dalle lavanderie salvo smontare e rimontare il piastrino o
piastrina. Se questo problema era già pesante in tempo di pace quando non
serviva immaginate in tempo di guerra. Ad esperienze (negative)
fatte si
passò ad un microcontenitore metallico schiacciato 4 x
3,3 (foto a sinistra) al cui interno ben sigillato, era ripiegato un foglietto 21 x 3 con
tutte le informazioni (da portare questa volta appeso al collo). Si era più pratico ma se
veniva con te sotto terra, in un momento concitato era poi illeggibile.
Grazie a questo ci furono anche tanti dissepolti ignoti. Le
organizzazioni “patriottiche” che dai grandi e piccoli centri seguivano il
conflitto se ne inventarono uno più costoso e in parte migliore da portare
al braccio chiamato il braccialetto "Patria". Finita la guerra con la
circolare n°476 del G.M.1932,venne introdotto un nuovo tipo di piastrino
di riconoscimento che avrebbe accompagnato il soldato italiano di ogni
grado,durante le future campagne. Consisteva in una doppia lastrina
metallica 3,5 cm x 4 sulla quale venivano punzonati a macchina i dati del
militare. Le due piastrine erano solidali fra loro,ma all'occorrenza
potevano essere sdoppiate e quel che più conta rimanevano
inalterate nel tempo. |
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Una volta
raccolti, i resti vennero composti in undici bare e avviati alla Basilica
di Aquileia. Il compito di scegliere il milite ignoto venne affidato a
Maria Bergamas nativa di Gradisca d'Isonzo (23/1/1867) il cui figlio
Antonio, di leva nell'esercito austriaco, era fuggito per arruolarsi in
Italia. Le sue spoglie non erano state ritrovate all'epoca e non lo
saranno dopo. La chiesa si era riempita di ceri e fiori. Il 27 ottobre,
mentre l'organo risuonava nel tempio pavesato di bandiere, il Vescovo di
Trieste con l'acqua del Timavo benediceva gli 11 caduti. Alla presenza del
comandante della III Armata, la folla piangente seguì con lo sguardo la
madre che passava davanti alle bare. Ella si fermò davanti alla seconda e
su questa stese il suo velo nero. Ora non rimaneva che traslare la salma a
Roma. Venne organizzato un treno speciale di 17 vagoni che si era riempito
di corone. |
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Il percorso ferroviario subì deviazioni e
fermate in ogni più piccolo paese, dove la gente lasciata ogni attività
si assiepava ai lati dei binari. Alcune migliaia di squadristi radunati
in città danno vita a gazzare e violenze; chi porta la cravatta rossa,
o non si toglie il cappello al passare dei gagliardetti, viene insultato
e se risponde picchiato. Il bilancio di sangue sarà di sei morti e 170
di feriti. Alla stazione di Roma Termini, il Re il
governo e le più alte cariche dello stato fecero ala al feretro
trainato su un affusto di cannone. La salma portata a spalle dalle
medaglie d'Oro salì la gradinata del Vittoriano e venne rinchiusa, dove
ora si trova, alla presenza delle bandiere di tutti i reggimenti.
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