1917 - La guerra vista dal nemico

 

Leggendo delle imprese di Rommel dal '14 al '18 e prendendo atto dei suoi stessi resoconti, si ricava un quadro esageratamente eroico se non irreale. Osservava, decideva, e poi agiva. Aveva una inclinazione spiccata per la gloria personale e la fama. Il 18 dicembre 1917, prima di lasciare il suo reparto, (Wurtenbergische Gebirgsbataillon-WGB), venne finalmente insignito della onorificenza "Pour le Merite" che, nonostante il francese, era un'alta decorazione tedesca. A suo parere gli sarebbe spettata di diritto dopo il Matajur (del fatto ebbe anche a lamentarsi). Delle autobiografie bisogna sempre diffidare storicamente, poiché l'autore compie opera di bonifica molto vasta nei propri ricordi !!!! e nelle proprie (in)capacità. Vediamo cosa era successo durante la battaglia di Caporetto dall'altro parte seguendo le notizie che ci da con il suo Libro Fanterie all'attacco (La cosa peggiore che una persona possa fare è un libro su se stesso e a questa tentazione non sfugge nessuno, neanche Rommel. Lo aveva fatto Garibaldi raccontandoci un sacco di panzane e lo faranno in molti con lo stesso risultato).

Württembergischen Gebirgsbataillon
(Battaglione da montagna del Württemberg)
Dipende dalla 1ª Brigata Jäger bavarese del Corpo alpino tedesco (Alpenkorps) inquadrata nel III Corpo bavarese Stein
Comandante: Maggiore Theodor Sproesser
Era composto da:
- Comando di battaglione
- Compagnia trasmissioni
- Compagnia mortai leggeri da trincea
- Compagnia complementi
- 3 reparti (Abteilungen) formati cd. da 2 compagnie da montagna e da una compagnia mitragliatrici
Comandanti di reparto: Tenente Erwin Rommel, Tenente Schiellein, Tenente Wahrenberger

 

Dopo la battaglia del Monte Cosna (Romania), a Rommel fu concessa una licenza durante la quale si recò sul Baltico con la moglie in cerca di riposo. Quando riprese servizio nell'ottobre del 1917 per il "WGB stava per iniziare un nuovo capitolo. Gli italiani erano riusciti a prendere Gorizia, la Bainsizza, ma non Tolmino che restava al di quà dell'Isonzo. 

Ringraziamo Annino Stoppa di Cantù per la puntualizzazione Tolmino non fu mai presa e costituì fino al 24 Ottobre 1917 la testa di ponte Austriaca oltre l'Isonzo. La presa di una parte della Bainsizza, non fece che aggravare il fronte Isontino che vedeva appunto la testa di ponte di Tolmino come un cuneo nelle nostre linee. Da Tolmino, ma non solo, partirono infatti le forze tedesche che raggiunsero Caporetto. Rommel e parte dell'Alpenkorp partì dalla collina di S.ta Maria (adiacente Tolmino), attraversando la prima linea italiana presso la chiesetta di S. Daniel (ora cimitero di Volzana) per avventurarsi sul Kolovrat. Ancora una piccola osservazione il Matajur non è "Il monte Maggiore", anche se alcune carte lo indicano erroneamente, la confusione deriva dal fatto che i locali chiamano il Matajur: " Gran Monte". Il Monte maggiore è a nord ovest del Matajur. Il reggimento dei bersaglieri è il 20°, che venne impiegato in combattimento già verso la sera del 24 ottobre nei pressi di Golobi (località a un kilometro della sella di Luico) contro gli slesiani della 12a divisione. Il combattimento si protrasse fino al giorno successivo quando i bersaglieri furono accerchiati dalle truppe di Rommel provenienti dal Kolovrat -Raune e dalla strada che arriva da Cepletischis.

 

  Vedendo il proprio fronte minacciato, l'Austria aveva chiesto allora (settembre 1917) l'aiuto della Germania che, benché sottopressione, aveva acconsentito a trasferire sul fronte dell'Isonzo un'Armata (7 divisioni disimpegnate dalla Russia). L'armata (14a)si formerà poi su base mista ma il comando e tutte le decisioni facevano capo all'alto comando tedesco e vedremo come condizioneranno in positivo i risultati. Il compito del Corpo alpino tedesco era di prendere il Kuk e il Matajur, terza linea di difesa Italiana prima della pianura poi attestarsi sul Tagliamento. Rommel in quel momento era un tenente in attesa di nomina a capitano. Gli furono affidate quattro compagnie delle dieci del battaglione di Sprosser. Pioveva quando scesero la montagna ed attraversarono l'Isonzo. Si ritrovò lungo un sentiero che collegava la prima alla seconda linea. Non si fa cenno di scontri ne qui ne successivamente. Una postazione di mitraglieri venne sorpresa e catturata. La seconda linea era ormai sulla loro strada. Altri capisaldi cedettero ed altri prigionieri andarono ad aggiungersi ai precedenti. Cosa ne fece dei prigionieri, così lontano dalle proprie basi non è dato capire. Ormai la sua avanzata era finita sotto il tiro lungo dell'artiglieria austriaca. Era ormai giunto a pomeriggio inoltrato sul Kolovrat alle pendici del Matajur. Dopo dissidi sui successivi passi col comandante del battaglione delle Guardie Bavaresi che lo seguiva andò a dormire. La mattina del 25 ottobre Sprosser lo raggiunse e concordarono il da farsi. Sfruttando la conformazione della montagna, dalla cui cima non si potevano vedere i fianchi e il fondovalle, procedette contro diversi avamposti italiani che cedettero alla sorpresa. Tutto ciò, come dice lo stesso, era troppo bello per durare. Dal nemico  antistante la sella del Kolovrat e dalla Cima lo dividevano linee di trincea e da quella parte avevano preso a sparagli addosso. La compagnia di testa impegnata in uno scontro selvaggio era minacciata non solo frontalmente ma anche sui fianchi. "Mi fu chiaro," come scrisse, "che solo un attacco di sorpresa poteva tirare fuori dai guai la 2° compagnia". Disposti gli uomini in maniera conveniente attaccò gli italiani dal fianco e questo bastò, come disse, a far cessare il pericolo. Ora i prigionieri erano saliti a 1500.  In quel momento Rommel vide un altro scaglione di truppe italiane disporsi e muovere contro di lui, di fronte e di tergo. L'unica strada di fuga era verso il paese di Luico che si trovava sul lato nord della montagna. Si misero a correre, incrociando carriaggi carichi di armi e cibo. "che spasso" ebbe a dire. Con la punta avanzata del distaccamento era oltre il fronte di 3 Km. Lo scontro principale fra il battaglione di montagna del Württemberg e i bersaglieri italiani avvenne nel primo pomeriggio del 25 ottobre, nel fondovalle a sud ovest di Livek (Luico). Al termine «cinquanta ufficiali e molti uomini della 4a brigata bersaglieri depongono le armi (…) All'abile aspirante ufficiale Stahl do l'incarico di raccogliere i prigionieri e di portarli, passando per La Glava e Quota 1077, a Ravna. Come scorta gli posso dare solo pochi fucilieri da montagna». (Erwin Rommel, 1972 - Fanterie all'attacco, Infanterie greift an - Esperienze vissute, Longanesi, Milano,.  

 

Il numero dei prigionieri continuava ad aumentare. Il suo distaccamento nella notte salì a 6 compagnie. All'alba del 26 ottobre decise di attaccare una piccola altura vicina al paese di Jevszek. Ormai poco lo separava dalla cima del Matajur. I suoi uomini erano sfiniti, ma ripresero il cammino ugualmente. "I successivi scontri con fanteria italiana," disse, "non ebbero storia poiché questi gli andarono incontro urlando Viva la Germania". Rommel ricevette dai suoi superiori l'ordine di ritirarsi, convinti che ormai la cima fosse presa. Rommel disobbedì e con l'unica compagnia che gli era rimasta sotto (sotto il suo comando da primo tenente) mosse verso la cima. Il resto della brigata Salerno, sfidando le ire degli ufficiali, depose le armi. Aveva combattuto e marciato per 52 ore e fatto quasi 9.000 prigionieri. Le sue perdite 6 uomini e 30 feriti. La medaglia "Pour le Merite" era andata a Schorner un suo collega che si vantava di essere giunto prima sulla cima dall'altro versante.  

Matajur una delle cime della 3a linea affidata alla IV brigata cosi da una relazione del Cai Cividale Natisone.
Per la difesa del Matajur era stata destinata dal Comando Supremo Italiano la Brigata di Fanteria “Salerno” del generale Zoppi. La Brigata era partita da Bassano il 22 ottobre 1917 ed era giunta a Savogna in autocarro la sera del 23 da dove, a causa di ingorghi stradali, il reparto doveva proseguire a piedi per raggiungere marciando per un’intera giornata il paese di Luico (Livek). Da questa località, senza riposare, l’unità incominciava a salire il monte la cui cresta venne raggiunta dai primi reparti all’alba del giorno 24 e dagli ultimi soltanto alla sera. Il Matajur era però privo di trincee, reticolati e di qualsiasi altra opera di difesa. L’unica opera militare risultava essere la strada, tra l’altro incompiuta, che saliva da Luico. Appare quindi subito evidente che le condizioni in cui la Brigata “Salerno” avrebbe dovuto difendere il monte non erano certo le migliori. Inoltre va ricordato che i comandanti dei reparti facenti parte della brigata, proveniente da altro teatro operativo, non erano pratici della zona in ci si accingevano a combattere: ciò fece si che lo schieramento dei reparti fosse completato solamente nella mattinata del 25. I reparti, erano così posizionati: 90° Reggimento sulla cresta; 89° Reggimento a mezza costa a quota 700 circa però completamente isolati essendo privi di collegamento con altri settori di difesa sia desta che a sinistra. Questo comportò che, quando la Brigata Bersaglieri, la quale difendeva il passo di Luico, cedette alle preponderanti forze della 12a Divisione Slesiana e dell’Alpenkorps Bavarese con in avanguardia il Distaccamento del Wurttemberg del Tenente Rommel, anche le sorti della Brigata “Salerno” fossero ormai segnate. La manovra d’attacco tedesca per la conquista del Matajur si sviluppò frontalmente da parte dell’Alpenkorps che penetrò fra le due linee difensive in cui la brigata era schierata, mentre i reparti della 12a Divisione Salesiana con una manovra aggirante da nord, salivano dalle valli del Natisone, giungendo alle spalle della linea di difesa principale tenuta sulla cima dal 90° Reggimento.

 

Bollettini di guerra dal 17 novembre al 31dicembre 1917

  Interrompiamo qui il racconto ristretto delle memorie che si dilunga poi a Longarone lungo il Piave con schemi e risultati non dissimili (dai 4 agli 8 mila prigionieri). Resta il dubbio se l'ufficio statistica e informazioni dell'esercito tedesco fosse aggiornato o se le cifre e il resoconto fossero gonfiati. In qualsiasi esercito un tal numero di prigionieri e di territorio violato basterebbe alla promozione sul campo e ad una ricompensa. I bersaglieri incontrati dovrebbero quindi essere quelli del 21° reggimento (e non 20°) che testi danno per sciolto nei giorni successivi a Caporetto. Rommel negli anni '40 trasse profitto dal fatto che le sue campagne precedenti avevano comportato operazioni fluide e mobili. Coglieva al volo qualsiasi opportunità. In tutto il corso della sua vita riuscì sempre a prendere rapidamente le decisioni, agire con determinazione e come diceva Liddel Hart "di ricordare con chiarezza e raccontare con vivacità !!!" . Cominciava già a delinearsi in lui anche quella tendenza alla precipitazione per cui in seguito sarebbe stato criticato. La sua presenza in prima linea e a volte oltre  fu una costante anche da Feldmaresciallo " Dove c'è Rommel, c'è il fronte" si diceva. Questo era il credo di Rommel. Vincere una battaglia magari non decide le sorti della guerra, ma perderla non porta a nessun risultato.
    ROMMEL A LONGARONE

Diario del Cap. Coletti: 13 ottobre 1916 ordini ricevuti: “….l’ordine verbale diceva: Si sa che non si può tenere (il Forame, n.d.r.) ma vogliamo mostrare agli Austriaci che possiamo riprenderlo, dunque si deve riprendere la Cima, distruggere le difese nemiche e discendere. !!!

 

Carte alla mano e una velocità incredibile, il giorno 8 novembre Rommel sfondava verso la valle del Piave (ma non era ancora arrivato a  Longarone): I tedeschi vi puntavano per tagliare la ritirata alle truppe del Cadore alto, con una modernissima visione strategica. Le truppe italiane in ritirata dalla Val Cellina e dalla Carnia lasciano l' 8 novembre 1917 una retroguardia sul passo di S. Osvaldo sovrastante Cimolais , ultimo colle verso la valle del Piave. Lo sbarramento del S. Osvaldo trovava i capisaldi sul Monte Cornetto ed il Monte Lodina e per questo motivo i tedeschi tentarono l' aggiramento a destra ed a sinistra, attraverso Forcella Lodina ed attraverso casera Ferron. Durante questa operazione, risalendo verso Forcella Liron e la Val Vajont , precipitò lo Sproesser, comandante del reparto, scivolato sulle rocce innevate per la stagione. Chi effettuò l' attacco frontale risolutore fu la futura volpe del deserto. In questo assalto rischiò la pelle egli stesso, come ricorda nel suo libro "Fanterie all' attacco" e per il fuoco di fucileria dovette velocemente ripararsi fra le sbrecciate mura di una chiesetta poco sotto il passo. Vinte le ultime resistenze, la strada per la valle del Piave era aperta. Rommel si lanciò avanti manovrando audacemente, superando il baratro del Vajont o Colomber e la sera del 9 novembre si attestò sotto Longarone per tagliare la ritirata agli ultimi italiani del 4° C.d.A che rifluivano dal fronte cadorino.

Il blocco della Valle del Piave era cosa fatta la mattina del 10 (ore 7). Così scriveva nel bollettino del 10 novembre 1917 il tenente Rommel, che con poche truppe aveva accerchiato le retroguardie della quarta armata italiana in ritiro dal Cadore: «200 ufficiali. 8mila uomini. 20 cannoni da montagna. 60 mitragliatrici. 250 carri carichi. 600 bestie da somma. 12 camion. Perdite 1 morto, 1 ferito grave, 1 ferito leggero. Tempo soleggiato, sereno, freddo». Ma prima che lui giunga a Pirago gli italiani fanno saltare il ponte sul Maè. Quando gli uomini di Rommel, superato l'ostacolo del ponte ancora fumante, si dirigono verso le porte del paese, uno spettacolo indimenticabile li accoglie: il sottoten. Schoeffel, uno dei militari da poco fatti prigionieri, sventola la resa firmata dal comandante la guarnigione di Longarone, in groppa ad un mulo, seguito da militari incolonnati sventolanti un fazzoletto bianco di resa. Inizia, il sacco di Longarone, dettato da una fame e una stanchezza che ha origini lontane. Perdite dalla partenza alla presa di Longarone sempre secondo le sue memorie: 6 morti 2 feriti gravi 19 feriti leggeri 1 disperso.

  Quando gli Italiani decisero di attestarsi sul Piave, la chiave di volta del baluardo doveva essere, oltre al Fiume, il Montegrappa (comprendeva le posizioni di Pertica, Asolone, Col della Beretta, Col Caprile, Tomba, Monfenera, Fontanasecca, Solarolo, Valderoa, Spinoncia, Col Moschin e Col dell'Orso) con le sue pendici che degradano verso il basso. Su queste cime minori due passeranno alla storia. Il Valderoa e il Monte Tomba (via per Bassano). Qui sul Grappa dal 15 novembre al 19 dicembre 1917 i tedeschi, di cui Rommel faceva parte col suo WGB sturmtruppen da montagna, tentarono più volte di prendere il sopravvento sulle difese italiane. Queste erano imperniate, oltre che sui francesi al Tomba, sugli alpini del Feltre già comandati dal capitano Nasci e dal Gruppo alpino Val Majra e Monte Avernis ora comandati dal T. Col. Gabriele Nasci (il generale Nasci comanderà nel 42 il Corpo d'armata alpino in Russia). Dopo ripetute azioni,intervallate da riposi (l'ultima si ha all'inizio dell'anno nuovo), il Wgb viene ritirato. L'attacco del 17 dicembre, se portò alla conquista del Valderoa, evidenziò comunque la tenuta di fondo dello schieramento che vedeva affacciata sulla Val Calcino, la cima Spinoncia (Nasci) mai presa e sulla valle del Torrente Ornic i contrafforti del Tomba e Monfenera. I tedeschi hanno il loro sacrario in Italia a Quero alla congiunzione dei torrenti Tegorzo, Calcino e Ornic. I Francesi a Pederobba per i caduti della riconquista del Tomba del 30 dicembre 1917.

Come la vedevano loro
Chi attaccava erano gli italiani, con l’obiettivo di travolgere gli austriaci. Un compito ingrato, che costituiva uno svantaggio per le truppe italiane, per lo più composte da soldati reclutati alla rinfusa tra braccianti e agricoltori. Non che alpini o bersaglieri fossero degli avversari di poco conto, anzi. Essi cercarono di compensare la scarsa conoscenza del territorio sia con l’ardimento – alimentato anche dall’orgoglio nazionale che per la prima volta sentivano in loro – sia gettando nella mischia un maggior numero di soldati, il che ebbe come conseguenza che le vittime da parte italiana furono molto più numerose di quelle della parte avversa. Senza contare i morti imputabili alla natura: le valanghe, le frane, i mancati rifornimenti per l’inclemenza del tempo o altre catastrofi naturali fecero in questa guerra, la “Grande Guerra”, più vittime delle stesse operazioni militari. Cortina d’Ampezzo, la „capitale“ delle Dolomiti fu dagli austriaci lasciata senza colpo ferire agli italiani per motivi strategici; un regalo che scatenò un’incontenibile euforia nelle truppe italiane entrate in città, rendendole ancora più certe della vittoria. Purtroppo l’atroce disillusione non tardò ad arrivare. Ogni possibilità di avanzare svanì, il sogno di marciare rapidamente verso Vienna si infranse. Il 4 luglio del 1915 già era morta sul Paterno la celebre guida alpina Sepp Innerkofler. E la moderna guerra di movimento si trasformò in logorante guerra di posizione, di troiana memoria. Questa guerra tra i monti viene ricordata per le molte ardite imprese che vi furono compiute: con un’azione temeraria Italo Lunelli, Giovanni Sala e Antonio Berti occuparono il Passo della Sentinella, intagliato tra la Croda Rossa di Sesto e Cima Undici poi la Forcella Serauta nella zona della Marmolada, sempre ad opera di soldati italiani.

 


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