I Bersaglieri garibaldini 

Bixio, i fratelli Cairoli, Garibaldi agli arresti e gli ultimi volontari    

 

1859- Bersaglieri Valtellinesi di Vachieri aggregati ai Cacciatori delle Alpi di Garibaldi

Bersaglieri Volontari dell'Esercito Toscano di Achiardi 

Bersaglieri Modenesi o di Vignola di  Araldi-Conti ma composti anche da Trentini  

1866 Legione delle Alpi di Guicciardi e Legione del Po di Quadrio Peranda 

Bersaglieri Livornesi e Genovesi *

Sconfitta di Mentana

dossier completo Garibaldi http://digilander.libero.it/trombealvento/indicecuriosi/garibaldi.htm

e avventure di Garibaldi riscuotono sempre un gran successo, anche perché si parla molto dei successi e poco degli insuccessi (un po' come succede ora per certi personaggi). Nel corso di ricerche sono incappato in un fatterello (piccola scaramuccia) avvenuto a Laveno (sponda lombarda del Lago Maggiore) nel 1859 agli esordi della campagna della II Guerra di Indipendenza. Il Forte austriaco sul lago (castello), circondato da una cerchia di mura esterne, racchiudeva al suo interno un ridotto a forma di croce irregolare con una torre. Questo ridotto poteva contenere circa 150 soldati. Sulla torre bassa era stato installato un telegrafo che comunicava con il fortino di Cerro e le navi all’ancora nel golfo (una torre più alta, invece, fu fatta costruire successivamente). La notte del 30 maggio 1859 una compagnia di Garibaldini, al comando del capitano Landi, sferrò uno sfortunato assalto che fallì per l’esiguità del numero degli attaccanti, per il buio causato dal maltempo e per il terreno impervio. Contemporaneamente Nino Bixio, che giungeva via lago in aiuto ai suoi compagni, fu avvistato dagli austriaci e fatto segno di bordate per cui, a Garibaldi che controllava l’azione dal Colle Brianza, non rimase che ordinare la ritirata. Anni dopo il Conte F.L. Pullè, Colonnello dei Bersaglieri (di cui pubblichiamo stralci dei Diari), costruendo una villa nel parco vi trovò le ossa dei 28 garibaldini morti in azione che furono sistemate in un ossario (nella torre). Garibaldi fece in tempo a visitare il luogo, con un piccolo museo annesso, con animo più tranquillo di quando avvenne il fatto. La villa ora è l'istituto scolastico Galilei in Località Punta San Michele (ignoriamo l’attuale sussistenza dei reperti storici).

Così la racconta Garibaldi nelle sue memorie " .. Il possesso di Como migliorava molto la nostra situazione. Trovammo rinforzi di uomini, di armi, di mezzi di ogni specie. I piroscafi, grazie alla buona volontà dell’amministrazione, vennero consegnati a noi e così diventammo i veri padroni del Verbano. Tutti i paesi del lago, la Valtellina, Lecco, eccetera, si erano pronunciati a nostro favore. Dovunque si chiedevano armi per contribuire alla nostra impresa. Ma, nonostante questi ammirevoli sforzi, le armi restavano comunque poche e soprattutto erano scarse le munizioni chè avevamo consumato moltissimo negli scontri precedenti. Oltre tutto eravamo lontani dalla nostra base, che era pur sempre il Piemonte. Il patriottismo di molti valorosi serviva a farci avere notizie dalla base, ma restava difficile, o addirittura impossibile, avere armi e munizioni. Questa situazione mi fece nascere l’idea di riavvicinarmi al lago Maggiore. e tentare nello stesso tempo un colpo di mano a Laveno. E così riportai i Cacciatori delle Alpi di nuovo sulla strada che andava da Como a Varese. Il maggiore Bixio, distinto e risoluto ufficiale, uno di quelli, come Medici e Cosenz, cui si può affidare la direzione di qualsiasi impresa, certi che faranno fino in fondo il loro dovere, fu incaricato di andare in avanscoperta per osservare Laveno. Ma non toccò a lui portare l’assalto perché, avvicinandomi al posto, mi resi conto che l’attacco, per avere migliori probabilità di successo, doveva essere portato anche dal lago e Bixio era l’uomo ideale per guidare un’impresa acquatica, dal momento che non era soltanto un ottimo soldato ma anche un eccezionale marinaio. Avrei potuto anche tentare un assalto serio di notte, a Laveno, con tutta la brigata, però avevo saputo che Urban si era molto rinforzato e ci stava dando la caccia. ragion per cui preferii non impegnare tutti gli uomini sapendo di avere un tale nemico alle calcagna. Mi limitai dunque a un colpo di mano parziale. Incaricai per questo due compagnie del primo reggimento, guidate da Bronzetti e Landi. Il magg. Marocchetti aveva il compito di proteggerli col resto del battaglione, ed il colonnello Cosenz con il resto del reggimento. Nel frattempo mi erano arrivati due piccoli obici da montagna, e due cannoncini con alcune munizioni condotte dal prode capitano Griziotti. L’operazione su Laveno non riuscì. Il capitano Landi, che caricò per primo, entrò nel forte verso l’una del mattino con una ventina di uomini ma, non seguito dal resto della forza, fu costretto a evacuarlo, essendo stato lui stesso gravemente ferito. Il capitano Bronzetti fu portato fuori strada dalle guide e non giunse in tempo per cooperare con Landi all’assalto. Una volta respinti, i nostri furono costretti a restare in posizioni scoperte. E per i nemici fu agevole, da dietro ai loro ripari, ferirne qualcuno coi loro fucili. Se insieme con il capitano Landi fosse entrata nel forte tutta la sua compagnia e se fosse arrivata anche l’altra compagnia di Bronzetti (e Bixio per acqua), certo gli ottanta nemici che l’occupavano si sarebbero arresi. Preso quel forte, che dominava tutte le altre postazioni, io poi, avendo a disposizione anche i vapori, avrei potuto facilmente occupare Laveno mantenendo le comunicazioni con il Piemonte.

Il fallimento dell’impresa di Landi non venne accolto, in realtà, con la serenità che Garibaldi dimostra nelle “Memorie”. Al contrario, il maggiore Carrano, capo dello S.M. di Garibaldi, riferì che l’Eroe venne colto da una crisi di nervi quando seppe che Landi era stato ricacciato dagli austriaci. Si placò soltanto quando seppe che il capitano era stato ferito gravemente !!!. Urban intanto aveva preso Varese e lui Garibaldi nel prendere Como si prese di rimando anche la cotta per la 18enne marchesina Giuseppina Raimondi che sposerà 6 mesi dopo e che lascerà all’uscita dalla chiesa (per una debacle personale). 
Ma torniamo allo stato sabaudo, che a partire dal 1850, ha preso diversi provvedimenti restrittivi nei confronti dei patrimoni degli ordini religiosi, creandosi cosi un avversario fra i politici legati al clero. Nessuno più partecipa al voto dal 1858 in nome della formula " ne eletti, né elettori". Ricasoli, Presidente del consiglio, cerca con alcune mitigazioni di riaprire un dialogo, ma viene bocciato in Parlamento. Col successore Rattazzi si arriva al pasticcio di Mentana.  In Italia si crede che una sollevazione popolare a Roma obblighi l'esercito italiano ad intervenire per proteggere il papa, e di fatto sostituirsi ai francesi in un semi protettorato. I francesi però, allarmati dai preparativi dei garibaldini, ritornano in forze e questo non è più possibile. Carabiniere sviene alla vista di Garibaldi in arrestoI garibaldini proseguono ugualmente nel loro disegno arruolando soldati al confine dello stato pontificio. Se a Roma ci fosse stata una sollevazione, né i Papalini né i francesi avrebbero retto all'urto su due fronti (si pensava). Il 19 ottobre 1867 Rattazzi, fautore della spedizione contro Roma, si dimette mentre Garibaldi fuggito da Caprera si mette alla testa di 7000 volontari. A Roma ci fu si una sollevazione il 22 ottobre di stampo mazziniano, ma venne anche stroncata nel sangue dagli zuavi. I fratelli Cairoli primi a giungere a Roma trovano la rivolta sedata e cadono a villa Glori. Vittorioso a Monterotondo ma sconfitto a Mentana, dopo la defezione di 3.000 dei "suoi" Garibaldi deve desistere, ormai sconfessato anche dal Governo del Regno che gli manda carabinieri e bersaglieri per arrestarlo. Garibaldi rinfaccerà per molti anni, fino alla morte, la comunanza politica dei disertori con le idee mazziniane che continuerà a difendersi fino alla morte e sarà difeso dai suoi oltre fino a che non usciranno le memorie di Jessie White Mario a fare un po' di chiarezza (vedi scheda carneade di Jessie White Mario e di Mazzini)  Dopo averne accennato cerchiamo di capirne di più dei corpi di questi volontari. Mancando vestiario ed armamento nel 1866 molti volontari erano stati lasciati nei rispettivi distretti di provenienza in attesa d'ordini. Nella stessa campagna un regolare battaglione di volontari bersaglieri, il 41°, fu posto agli ordini di Garibaldi. Era questo un battaglione anomalo fuori corpo creato nel 1865 e definito provvisorio. Avrebbe dovuto incamerare i volontari (emigrati) il che avvenne ma con volontari italiani o congedati. Una minaccia austriaca dallo Stelvio al Tonale aveva indotto il generale a mandare in Val Camonica il 40° reggimento volontari e il battaglione «Bersaglieri». Secondo una fonte non si trattava dei soldati regolari dell’esercito regio, ma di volontari che, avendo appartenuto ad una società di tiro a segno, erano esperti tiratori e quindi bersaglieri. Nei pressi di Vezza d’Oglio c’era stato un duro combattimento, nel quale era caduto il comandante del Battaglione «Bersaglieri», Maggiore Nicostrato Castellini di Rezzato (Brescia) trentasettenne. Il fenomeno garibaldino continuerà ad incrociarsi con la nostra storia e sarà opportunamente segnalato.  A titolo esemplificativo dopo Mentana camicie rosse (idealmente) sono presenti nei seguenti conflitti: Francia (Digione) 1870, Creta 1897, Grecia 1912, Francia 1914, Italia 1915, Spagna, Francia 1940 e Jugoslavia.

Campagne

Ordinamento dei bersaglieri di Garibaldi        

Garibaldi vittorioso a Digione in Francia, sua ultima impresa militare

1859: II guerra d'indipendenza- Cacciatori delle alpi: 4 reggimenti compreso i cacciatori degli appennini + 4 compagnie di bersaglieri garibaldini. All'atto dell'armistizio 1 rgt e 3 cp erano ancora in fase di costituzione.
1860 I Mille :avanguardia di 28 bersaglieri garibaldini nella 2 colonna di marcia coi cacciatori delle alpi
Bersaglieri di Pilade Bronzetti al Volturno
Bersaglieri di mare di Andrea Sgarallino
1866 III d'indipendenza : 2 btg. bersaglieri garibaldini su 10 reggimenti e 2 squadroni guide a cavallo
1867 Mentana: Avanguardia di 3 btg bersaglieri garibaldini e cp di carabinieri
per saperne di più sul fatto di Mentana www.museomentana.it 
 

1866 - IL CORPO DEI VOLONTARI Comandato da Giuseppe Garibaldi  riassunto da http://it.wikipedia.org/wiki/Corpo_Volontari_Italiani  C.S.M Gen. Nicola Fabrizi; sottocapo, T.Col. Enrico Guastalla; Comandante il QG., T.Col. Benedetto Cairoli, aiutante di campo di Garibaldi, Magg. Stefano Canzio, Comandante della zona del Garda il generale Giuseppe Avezzana, Comandante della flottiglia di lago, il T. Col. Augusto Elia con CSM il Cap. Alberto Mario

Era nota la polemica già innescata all’indomani dell’Unita d’Italia (1861) quando Garibaldi chiese per i suoi una regolarizzazione in seno all’Esercito (esempio Guardia Nazionale o terzo o quarto esercito) che non venne esaudita. Nonostante questo Per rinforzare le fila contro un nemico senz’altro più forte di noi in condizioni normali (standard, non impegnato con la Prussia) vennero accettati nei ranghi i suoi volontari che di fatto costituivano una forza armata a se stante essendo dotata di fanteria, cavalleria, artiglieria, genio, marina, sanità, carabinieri, guardia mobile, servizio telegrafico e giustizia militare.
La formazione del Corpo
In data 16 maggio, da Firenze capitale, venne emanata una circolare da parte del Ministero della Guerra che fissava l'ordinamento del Corpo, stabilendone la consistenza in 20 Battaglioni, che avrebbero formato 10 Reggimenti. Ancora una volta quello che teneva in piedi la compagine era lo spirito (unitario) e la fede nel capo. Arrivò gente da tutta Italia
Scrive Virgilio Estival […] Alcuni reggimenti che formavansi nelle provincie meridionali erano quasi esclusivamente composti di Romagnoli, i quali al parer mio formavano la più energica popolazione d’Italia. In genere, tutte le provincie fecero il proprio dovere. Firenze diede quasi 4.000 volontari, Torino più di 3.000, Parma più di 1.000, Ferrara che non ha che una popolazione di 25.000 abitanti, ne diede quasi 1.000. Lugo che soltanto ne ha 9.000 ne diede 500. Faenza 300. In quattro giorni Bologna ne ebbe iscritti più di 1.500, Genova 600, Ancona 450. […] I volontari bresciani erano all’incirca 1.000 provenienti in buon numero dal Lago d'Iseo". Furono creati sette centri di addestramento per i volontari, a Como, Varese, Bergamo, Gallarate, Molfetta, Terlizzi e a Bari e il reperimento delle strutture già fu un dramma a cui si aggiunse quello delle dotazioni sia civili che militari. In pratica vestirsi e armarsi oltre che mangiare. Mancavano le divise, ogni sorta di vestiario e cibo, le tende, le cucine da campo, i mezzi di trasporto, muli e cavalli, le armi, le munizioni, carte geografiche aggiornate, le attrezzature sanitarie e la buffetteria. Inoltre tra le file degli stessi volontari abbondavano non solo i volenterosi, spinti all’arruolamento da seri ideali, ma anche una valanga di mediocri e perfino alcuni giovinastri avventurieri con le fedi penali sporche. Molti ufficiali poi vennero improvvisati facendo prendere posto a piccoli avventurieri o politici in cerca di una carriera, cosa che puntualmente avvenne. Il 22 giugno la forza complessiva del Corpo dei Volontari Italiani contava esattamente 38.041 uomini, 873 cavalli, 24 cannoni e due cannoniere a vapore

Volontari dall'Egitto..sempre Virgilio Estival: “Il primo reggimento era il solo il quale, per la intelligente iniziativa del suo capo che di privata sua autorità fece contratti con fornitori civili, fosse vestito. Il secondo era mal vestito, e come già dissi, i due battaglioni di ultima formazione quasi nudi. Il terzo reggimento aveva soltanto 1.000 camicie e un numero uguale di fucili, il giorno che Garibaldi ne ispezionò il deposito. Il quarto era vestito un poco meglio, ma armato coi fucili della Guardia nazionale; infatti la Guardia nazionale di Brescia diede 1500 fucili ai volontari, 1.700 ne diede quella di Bergamo, ed io stesso vidi cittadini bresciani armare dei volontari coi propri fucili!…Il quinto trovatasi in una situazione più infelice ancora, e più di un terzo dei suoi uomini erano mezzi nudi e senza fucili. Quanto ai reggimenti formatisi nelle provincie meridionali, può dirsi senza tema d’ingannarsi che essi erano equipaggiati nel medesimo modo; e come dicevami a questo proposito uno dei membri della commissione: “solo in cotesta circostanza il governo non aveva fatto ingiustizia per nessun dei reggimenti, tutti erano stati trattati con una rigorosa imparzialità”.
I 10 reggimenti
1° Gen. Clemente Corte, sostituito in seguito dal luogotenente colonnello Federico Salomone
2° Luogotenente colonnello Pietro Spinazzi, sostituito poi dal colonnello Giovanni Acerbi
3° Colonnello Giacinto Bruzzesi
4° Luogotenente colonnello Giovanni Cadolini
5° Col. Giovanni Chiassi, poi alla sua morte (21/7 Bezzecca) Luogotenente Col. Nepomuceno Bolognini
6° Colonnello brigadiere, poi generale Giovanni Nicotera, sostituito poi da Francesco Sprovieri
7° Colonnello Luigi Bossi, sostituito poi dal luogotenente Luigi La Porta
8° Colonnello Eliodoro Specchi, morto suicida, sostituito dal colonnello Vincenzo Carbonelli
9° Colonnello Menotti Garibaldi
10° Colonnello Francesco Corvi, sostituito poi dal luogotenente colonnello Marco Cossovich;
completavano la forza a disposizione il
Morte Cadolini1° Battaglione Bersaglieri Genovesi al comando del maggiore Antonio Mosto;
2° Battaglione Bersaglieri Milanesi al comando del Magg. Nicostrato Castellini, poi dal Cap Antonio Oliva;

due Squadroni Guide a cavallo al comando del colonnello Giuseppe Missori. una brigata d’artiglieria dell’esercito regolare, ordinata su tre reggimenti, il 4° da campagna, il 5° da montagna e il 2°, al comando del maggiore Orazio Dogliotti, l’Intendenza (Col.Giovanni Acerbi) l’Ambulanza Colonnello Agostino Bertani e truppe minori di servizio o presidio Brigata Pisa (160 uomini), una compagnia dell’artiglieria da piazza, una compagnia di zappatori del genio e un plotone di pontieri, carabinieri (1.000 uomini), difesa Tonale
Ogni reggimento era composto da 4 battaglioni di 4 compagnie ognuno. I dieci reggimenti, su proposta di Garibaldi, furono poi raggruppati in 5 brigate:
1a brigata: Reggimento 2° e 7°, maggiore generale Ernesto Haug;
2a brigata: Reggimento 4° e 10°, maggiore generale Angelo Pichi;
3a brigata: Reggimento 5° e 9°, maggiore generale Vincenzo Giordano Orsini;
4a brigata: Reggimento 1° e 3°, colonnello brigadiere Clemente Corte;
5a brigata: Reggimento 6° e 8°, colonnello brigadiere Giovanni Nicotera.
Il fronte affidato a Garibaldi si estendeva dal confine con la Svizzera, iniziando a nord in corrispondenza del Passo dello Stelvio, del Tonale e Lago di Garda in corrispondenza di Limone sul Garda. Da qui seguitando lungo la sponda occidentale del lago arrivava poi a Desenzano. Garibaldi era intenzionato a penetrare in Trentino attraverso l’unica strada agevole esistente a sud, ossia quella della Valle del Chiese. Scardinato il sistema difensivo dei forti austriaci di Lardaro, il Generale prevedeva di scendere a Tione indi, procedendo per Stenico e Vezzano, occupare la città di Trento.
erano volontari semplici fra gli altri oltre i già nominati e i tanti politici: Pietro Wührer (Brescia, 1847 – 1912), quello della Birra
Angelo Salmoiraghi (Milano, 1848 – 1939), Ottica e strumenti precisione -  Felice Carlo Emanuele Cavallotti (Milano, 6 ottobre 1842 – Roma, 6 marzo 1898) futuro politico
Oreste Baratieri (Condino, 12 novembre 1841 – Vipiteno, 8 aprile 1901) lo sconfitto di Adua - Giuseppe Cesare Abba (Cairo Montenotte, 6 ottobre 1838 – Brescia, 6 novembre 1910) scrittore di fama e il trombettiere Giovanni Martini (John Martin) del film "Piccolo Grande Uomo (Dustin Hoffman)" a Little Big Horn con Custer poi nel 1876

A ricordo del Generale e dei combattenti della Liberta è tradizione, nei ranghi delle Forze armate, che alcuni reparti si fregino della cravatta rossa anziché grigioverde nella divisa d'ordinanza. Alle vicende garibaldine nell'esercito sardo o a fatti post risorgimentali è legata quella del 52° Rgt. fanteria d'arresto della brigata ALPI (ex CACCIATORI DELLE ALPI) concessa nel 1919. Tralasciamo la storia del 157° Liguria per la complessità e passiamo ai ciclisti dell'XI battaglione bersaglieri che amavano riconoscersi come i "garibaldini della III armata". Per giungere all'XI battaglione che attualmente porta la cravatta rossa si è passati dal 182° reggimento fanteria corazzata "Garibaldi" (di cui facevano parte un battaglione bersaglieri (IX) e uno carri) che portavano la cravatta dal secondo dopoguerra in onore della Divisione Garibaldi (fazzoletto rosso) combattente in Jugoslavia con l'Esercito Popolare di liberazione jugoslavo (Partigiani di Tito). Questa cravatta è poi passata in una recente riconversione nuovamente al 11°bersaglieri "Ariete" di cui l'XI ciclisti faceva parte nella Grande Guerra. La storia dei garibaldini della III armata è trattata nella sub pagina di Enrico Toti all'anno 1916 ma qui un breve accenno. 

Fra i 12 battaglioni ciclisti quello più noto, oltre al III ( Oro a Vermegliano q. 85-1916), è l'XI con due medaglie d'Argento (1915-18). Gli ufficiali del battaglione, sotto la giubba d'ordinanza, portavano una camicia rossa con le insegne tricolori come a fianco. Fu così ferito il sottotenente Mario Mona a Monfalcone q. 144. Un'altra più grave ferita al Piave lo allontanò dal fronte quando era capitano. Nel dopoguerra l'ufficiale, dopo l'ispettorato dei Bersaglieri, comandò il 33° rgt. fanteria Livorno. Il 13 luglio del 1943, nei giorni dello sbarco americano in Sicilia scomparve nella lotta. Alla memoria gli venne assegnata la medaglia d'Oro. Pregevole disegnatore, ci ha lasciato diverse cartelle di sue opere sul corpo visionabili nella galleria immagini.  Sopra la camicia indossata dal Cap. Enrico Boario nella grande guerra

Il "volontariato" dei Garibaldini nelle guerre di indipendenza di molti stati europei è  continuato per molti anni arrivando fino alla Grande Guerra ma sotto certi aspetti anche alla seconda guerra mondiale. Qui il racconto di quelli di Grecia del 1897

E' tradizione che la cravatta rossa sia portata anche da altri reparti la cui storia risale a tradizioni di casa Savoia come il 1° reggimento della ex Brigata Re ora 1° S. GIUSTO o al Savoia Cavalleria (3°). La cravatta rossa di questo ha origine da un episodio della battaglia di Torino del 1706. Durante la carica dei “Dragoni di Sua Altezza Reale” (poi Savoia) contro i franco-spagnoli che assediavano la città un portaordini viene inviato a dare notizia dell’esito vittorioso del combattimento al Duca Amedeo II. Il portaordini, circondato da un drappello avversario, viene ferito da un fendente alla gola, che gli macchia la cravatta bianca, ma riesce a portare ugualmente la notizia cadendo poi esanime. “Savoye bonnes nouvelles” dice il Duca e da allora sarà anche il motto ricordato da un filetto rosso sul bavero della divisa. Nel 1923 il filetto rosso al bavero viene sostituito dalla cravatta rossa. Negli anni ’50 ricostituito inizialmente come Gorizia Cavalleria (di Savoia non si doveva più parlare) riprende il bordino rosso alle fiamme a tre punte nere e nel 1961 come rinato Savoia Cavalleria rimette la cravatta rossa con le fiamme nere. 

VOLONTARI

Mi vengono in mente i garibaldini di Grecia, che i vecchi chiamavano quelli di Ricciotti perché nel 1897 erano andati a battersi (e a morire) contro i turchi, sotto il secondo figlio di Garibaldi. Essi, che erano uomini fatti, stavano volentieri in compagnia ai noi studentelli e facevamo una brigata allegra e godereccia. Palìta raccontava per la ennesima volta il fatto di quand'erano partiti, era leggermente balbuziente: "Il povero Capra (il padre di Capra era stato uno dei Mille) venne a portare la nuova una sera, che eravamo nell'osteria di Banàfa a mangiare i tortelli col prezzemolo e la ricotta; il Banàfa aveva una sorella, Sara, diritta e tornita come un fuso, con due occhi neri che bruciavano e dei seni ondosi con le punte al cielo, che a me mi cavavano il sentimento. Dunque dicevo: Capra tornava da una riunione a Forlì dove Fratti aveva letto il proclama di Ricciotti Garibaldi. "Bisogna arruolarsi, mi sono messo in nota e ho dato anche il tuo nome come eravamo d'accordo" disse a Silvestrini che sedeva accanto a me. Allora saltò su Gnazi: " Ragazzi, io non so dove sia la Grecia, ma se ci andate voi vengo anch'io". "E anch'io" fece eco il Maschio che con Gnazi erano due inseparabili. Io pensavo a tutto fuorché partire per casa del diavolo a dare una mano ai greci che combattevano contro i turchi, e le pigliavano pure, riempii il bicchiere cercando di darmi un contegno distaccato. Sara, che serviva in tavola, si era fermata a sentire: mentre bevevo incontrai i suoi occhi. Dicevano tutto quello che due occhi di donna sanno dire meglio delle parole, dicevano: e tu cosa fai? resti a casa? loro a fare le schioppettate e tu a casa? sei un uomo da niente, hai dell’acqua nelle vene, non venirmi più attorno. Posai lentamente il bicchiere, la guardai negli occhi e dissi: "Naturalmente, anch’io vengo con voi". Sul tardi capitò Pavlò e finì che decise di partire con noi." Così ci andarono in sei (dei 70 di Villa Glori dieci erano del mio paese), Capra e Silvestrini caddero sul campo di Domokòs insieme con Antonio Fratti, Palita si portò a casa, dentro una coscia, una palla turca: era gente che faceva sul serio. Gnazi era anarchico e faceva il fornaio, delle notti capitavamo da lui sulle quattro quando sfornava i padelloni delle ciambelline da un soldo. Era piccolo, grasso, rotondo, buono come il pane, aveva rimasto un rancore irsuto contro i greci che gratificava di epiteti violenti: "Mentre loro si schierarono prudentemente in cima alla montagna, noi ci cacciarono nelle trincee del pendio sicché eravamo esposti a un tiro micidiale, ma questo è niente: quando i turchi ebbero quasi aggirata l'ala destra e il principe Costantino, che comandava, ordinò la ritirata per non restare in trappola, noi dovemmo risalire l’erta allo scoperto sotto un diluvio di palle". Noi però sapevamo il recondito perché di quel rovello che è durato tutta la vita, ce lo aveva confidato il Maschio: dunque la compagnia di Gnazi fu mandata dalle parti di Farsalia, sulla calata del sole Gnazi e un altro volontario si fermarono in una osteria a bere, Gnazi beveva come un fiume e il compagno gli teneva gagliardamente bordone, solo che quel vino non era l'albana o il sangiovese di Romagna; usciti dall'osteria, non avevano fatto mezzo miglio che erano cotti tutti e due: si lasciarono cadere ai piedi di un albero e si addormentarono come sassi. Si riscossero al fresco dell’alba con la testa che gli scoppiava e il fiele in bocca, in compenso non avevano più le scarpe, il facile era sparito, sparito il portamonete dove c’era tutto il poco che possedevano. "Non mi parlare di quella gente!!", ringhiava Gnazi dopo tanti anni. Un battaglione di regolari greci e una Compagnia garibaldina erano chiusi nel forte di Arta assediato dai turchi: l'assedio si era fatto stretto, non avevano quasi più acqua, di viveri c’era rimasto del baccalà puzzolente, in effetti si nutrivano di poca galletta; Gnazi e il Maschio, avvezzi ai generosi mangiari della loro terra, dimagrivano sospirando melanconicamente anche perché il vino era finito, a Gnazi la divisa gli cascava di dosso tant’era calato. Una notte, il Maschio era di sentinella, c'era una luna che si vedeva come di giorno, a un tratto vide un grosso topo che girava lì intorno; lui non stette a pensarci sopra, lo prese di mira e sparò. Accorse il sergente greco capoposto, il Maschio sapeva dire soltanto pòlemos, per il resto si arrangiava in romagnolo, che è press’a poco come il greco, si spiegarono e il sergente tornò a dormire. Di li a un'ora, ecco che vien fuori un altro topo che era il doppio del primo, pareva un gatto, e il Maschio, pensando alla mangiata che avrebbe fatto col suo amico Gnazi, tirò anche a quello. Stavolta andò meno liscia, il sergente sembrava poco persuaso e la spiegazione riuscì alquanto laboriosa; prima di smontare di fazione il Maschio cacciò in un nascondiglio le due vittime e in branda riscosse Gnazi per dargli la buona nuova, Gnazi si sognò tutta la notte che era da Banàfa con gli amici e mangiavano dei gatti in salmì. La mattina, il Maschio andò per prelevare i topi ma al posto dei topi trovò le due code. Gnazi voleva tirare al sergente greco. Gnazi, il Maschio, Palìta, Pavlò: sono tutti sotto terra e anche tu, vecchia torre del mio paese (la torre l’aveva costruita sulla fine del Trecento quell’Antonio di Vincenzo che fece San Petronio di Bologna e un giorno i tedeschi, con la scusa che servirebbe da osservatorio agli inglesi, ci misero sotto una carica di tritolo e buonanotte la torre). Quante volte, guardando le tue pietre nere per il tempo, mi sono detto che avresti seppellito anche me, viceversa sei morta tu, ti ho vista io in polvere: pulvis e cinis e adesso non so se sarò buono di ritrovare le stelle dell’Orsa. Tratto da: "Racconti / Francesco Serantini ; scelta e commento a cura di Giovanna Maramotti Bosi. - Bologna : Calderini, 1970." vedi anche http://digilander.libero.it/lacorsainfinita/diari/evangelisti.htm 

bersagliere garibaldino dei mille: 1860

*  BERSAGLIERI  LIVORNESI  E GENOVESI  

(notizie frammentarie dalla rete)

 

lettera del Sindaco di Livorno al Prefetto nell’imminenza della Terza Guerra di Indipendenza

Nel maggio del 1866, quando era ormai prossimo lo scoppio della Terza Guerra di Indipendenza che si concluse con l’annessione del Veneto all’Italia, i Sindaci di Livorno e Genova decisero di organizzare congiuntamente un reparto di volontari che doveva recarsi a combattere a fianco dell’esercito regolare italiano per l’annessione del Veneto, ancora in mano agli austriaci. Per organizzare tale reparto fu necessario un frequente scambio di informazioni tra i Sindaci delle due Città e i rispettivi Prefetti. Visto che la natura dell’iniziativa richiedeva rapidità di esecuzione, alcune di tali comunicazioni avvennero via telegrafo, altre via lettera. Ecco quanto scrisse in una di tali lettere l’allora Sindaco di Livorno, Eugenio Sansoni, al Prefetto della Città il 2 giugno del 1866:

 

Signor Prefetto, Volontari livornesi 1860 - Bartolena

una eletta schiera di giovani livornesi, tra cui primeggia l’onorevole Assessore Anziano di questo Municipio ingegnere Carlo Meyer, si dispone a partire per Genova ove arruolasi il 1° Battaglione bersaglieri volontari per prendere parte alle battaglie della patria indipendenza. La Giunta Municipale nella Sua adunanza della sera decorsa, conoscendo d’interpretare i sentimenti di patriottismo di tutti i suoi amministratori, dichiara di offrire al Regio Governo di provvedere alle spese necessarie per l'armamento di coloro che, nati o domiciliati a Livorno, si arruoleranno nel 1° Battaglione dei bersaglieri volontari che si forma in Genova, stanziando all’uopo la somma di lire 8 mila prelevabili dalla Massa di Rispetto. Se questa somma risultasse insufficiente sarà provveduto ad altre assegnazioni….

   Il Sindaco di Livorno  Eugenio Sansoni  

 

                                                                               

     


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