STRAFEXPEDITION
Spedizione punitiva austriaca
La scelta del Trentino per un attacco in forze era una vecchia idea del C.S.M. austriaco Conrad von Hötzendorf. Il piano presentava l’audace rischio di sferrare un assalto in forze su un terreno difficile come la montagna. Potenzialmente, tuttavia, era in grado, se tutto fosse andato a buon fine, di isolare completamente le armate italiane schierate, ad est, sull’Isonzo e di arrivare al Po. Si sarebbe potuta forse allora verificare una completa debacle italiana nella pianura veneta, con l’accerchiamento della parte più numerosa e meglio armata del nostro esercito. Il Trentino di prima della guerra non era una provincia autonoma ma, assieme alla regione del Sudtirolo, era unito al Tirolo e Vorarlberg, formando un unico territorio politico-amministrativo annesso all’Austria e dipendente dall’imperialregia Luogotenenza d'Innsbruck. Dal punto di vista militare, escludendo i settori al confine con la Lombardia, troppo accidentati e scarsamente serviti da strade e ferrovie, il punto più favorevole per un attacco era rappresentato dalle due valli che portano alla pianura veneta. Erano a destra la Val Lagarina o Val d’Adige, in direzione di Verona, ed a sinistra la Valsugana che portava a Bassano, ambedue servite da una ferrovia. Tra le due valli stava un territorio montuoso accidentato e solcato da profonde valli longitudinali scoscese e dominate da picchi alti talora 2000 metri. Per la presenza di numerosi pascoli pianeggianti all’altitudine di circa 1000 metri quel territorio era genericamente indicato col nome d'Altipiani, comprendendo gli altipiani di Folgaria e dei Fiorentini, quello di Tonezza, Lavarone e l’altopiano d'Asiago o dei Sette Comuni. Questo difficile settore fu scelto per l’attacco risolutivo.
Perchè Strafexpedition ?
Viene citato in un testo letterario l’episodio di un disertore ceco, certo tenente Anton Krecht del btg. IV/81º, che lasciate le proprie fila il 26 aprile 1916, riferiva ai servizi di informazione italiani che l’offensiva era stata denominata "Al Po!" ma che in pratica era una Straf-Expedition, per punire l’ex-alleato traditore. In realtà nessun documento riservato austriaco citava quel termine e nessun ufficiale asburgico adoperava ufficialmente nei propri scritti o nelle memorie la parola Strafexpedition. Vi erano invece testimonianze del suo uso presso ufficiali italiani al fronte. Ciò fa supporre che il termine fosse presto stato acquisito con chiaro intento, propagandistico, di utilizzarlo in termini sarcastici qualora l’offensiva fosse, come si era certi, fallita. All’inizio del 1916, nel Trentino, il fronte correva soprattutto in alta montagna, come già detto, terreno poco adatto per attacchi in grande stile. I punti maggiormente idonei per tentativi di penetrazione sembravano essere, pertanto, i fondovalle. Già dal 1908 alti ufficiali austriaci avevano ispezionato la frontiera con l’Italia allo scopo di valutare i problemi inerenti la difesa militare di un confine, difeso in seguito anche da alcuni forti corazzati di concezione molto moderna. I preparativi per l’operazione hanno inizio il 12 dicembre 1915. Nel corso di un colloquio tra Conrad e von Falkenhayn, CSM germanico, il generale austriaco propone al collega tedesco di concentrare un gruppo di 16 divisioni in Trentino con l’obiettivo di puntare sui paesi di Schio e Feltre (L'Italia non era in guerra contro la Germania, se questo può essere utile). Per ottenere il concentramento citato, 8 o 9 divisioni austriache dovrebbero lasciare la Galizia ed essere sostituite da analoghe unità tedesche. Falkenhayn inizia una pertinace opposizione al piano sconsigliandolo vivamente. L’operazione prevede un attacco da parte di un'armata (11ª) e lo sfruttamento dello sfondamento da parte di un’altra armata (3ª), pronta ad agire di rincorsa. Gli austriaci sono risoluti ad agire autonomamente, senza attendere aiuti dall’alleato di Berlino. L’arciduca Eugenio assieme al suo capo di S.M. Alfred Krauss commentando l’azione esprimono l’opportunità di estendere le ostilità in Valsugana, per sfruttare il percorso ferroviario della valle. L’idea è di utilizzare la 3ª armata al fianco della 11ª per un attacco a fondovalle. A questo punto, come si dice in questi frangenti, il dado è tratto!.
I preparativi logistici
Questo è un inverno decisamente diverso. Nevica in marzo e nevica in aprile, maggio si annuncia freddo e piovoso, le vigne d'uva Teroldega e Negrara subiscono gravi danni a causa del gelo. Salendo in altitudine, la coltre nevosa resiste a lungo grazie alle basse temperature e, in alcune strade di montagna, i paletti colorati che segnalano il bordo della carreggiata sono letteralmente scomparsi sotto la neve. Il 15 marzo 1916 una slavina di terra, neve e fango interrompe in modo definitivo il traffico di una delle vie più frequentate per l’accesso al fronte, la strada del passo della Fricca che conduce da Trento a Folgaria. Si rendono necessari numerosi sforzi e diversi giorni per liberare il percorso. Il traffico pesante per Folgaria è costretto a deviare sulla strada della Centa o in direzione di Rovereto. Un ponte gettato dal genio attraverso un canalone appoggia le proprie strutture sulle macerie che coprono salme di soldati e cavalli. Neve, ghiaccio e slavine non consentono quindi di iniziare le operazioni alla data prefissata, in aprile. Colpisce particolarmente il metro e mezzo di neve di malga Pioverna, sull’altopiano di Folgaria, punto stabilito per l’attacco dei Kaiserjäger. Sulle cime di Panarotta e Pasubio la neve varia tra i 2/4 metri d'altezza. Al passo di Vezzena, tra Lavarone ed Asiago, invece, alla fine d'aprile, la neve non è particolarmente alta. Il servizio ferroviario della monarchia asburgica sopporta in questo periodo il maggior peso del traffico di rifornimento. Da Trento si diparte la linea Trento-Primolano-Mestre in Valsugana, completata nel 1910. Alcune unità vengono trasferite in Tirolo in modo graduale da altri fronti, per non destare i sospetti del nemico. Il loro concentramento avviene dapprima sul fronte Isonzo, in Carinzia poi in località delle retrovie sudtirolesi utilizzando la ferrovia della Val Pusteria. Solo all’ultimo momento esse vengono avviate in linea. I convogli ferroviari utilizzati sono soprattutto impegnati al trasporto dei materiali d'appoggio, artiglierie e dei rifornimenti dal fronte interno.
[...] Primavera
di sole in Sudtirolo! Fresche mattinate, meriggi ricchi di dolce calore, notti
miti e profondamente tranquille. Il verde tenero ristora gli occhi che per mesi
videro solo il grigio bianco o fosco delle pietre e la macchia scura di qualche
magro alberello. I corpi stanchi d’umidità e di freddo si distendono felici
alla carezza del sole. E quando il sole è troppo generoso e nelle marce
s’incomincia a sudare, quant’è più gradita poi la sosta alle larghe tavole
di legno della linda e tranquilla osteria, quant’è più dolce sorseggiare il
vino, così rosso, buono e a buon mercato! Il vecchio padrone è già diventato
loro amico. É bastato lodargli la cantina - non a parole, perché il tedesco
non lo capisce - ma aiutandosi coi gesti e l’esclamazioni. E ora come va a
pigliarli volentieri quei grossi fiaschi impagliati di dove il vino scende
fresco, ma rosso e denso come il sangue. Che sapore delizioso! Lo si trattiene
sulla lingua perché non scenda in gola troppo presto. Ufficiali, sottufficiali,
e soldati pensano all’osteria - anzi alle diverse osterie, perché la truppa
non oserebbe andare dove vanno i superiori, - sognano quel vino color fuoco,
quell’andare a zonzo per le strade quiete, e gli occhi scuri e lucenti delle
donne. Certe volte il desiderio del vino e delle donne è così forte che gli
ufficiali non aspettano e lasciano il comando degli esercizi ai sottufficiali...
Le donne! Le donne! - Hanno certi occhi grandi come ruote, -
s’entusiasmava Meyer, - e neri, neri come del cartone-pietra (carta
catramata). - Ma sai che sei un asino! - ribatté Fischer. -
Avessi detto scuri
come la notte, o neri come due carboni... ma quando mai s’è sentito
paragonarli a della carta da tetti! [...]. Tuttavia la vicinanza della guerra si
vedeva, si respirava nell’aria. Un gran passaggio di treni carichi d’uomini
e di munizioni... Il paese pieno zeppo di militari... borghesi no, né uomini né
giovanotti, solo qualche vecchio e qualche disgraziato... eppoi lo stato
d’animo dei soldati: tra mangiare, marciare e dormire, c’era ancora tempo di
sentire una gran nostalgia della casa, e della vita ordinata; di rammentarsi che
quei giorni non potevano durare; di ricordarsi della guerra ma non voler
pensarci; [...]. Josef Hofbauer -Marsch in der Chaos
[...] Borgo
Valsugana 8 maggio 1916. [...] Ma gli abitanti restano. Ci stanno i soldati
italiani? Ci possono dunque stare anche loro, che son divenuti cittadini
italiani. Hanno abbandonato i piani superiori: vivono al pianterreno, vivono al
primo piano. Alla notte dormono nei mezzanini, sotto gli androni, nelle cantine,
sotto i portici. Le porte e le finestre dei pianterreni sono blindate di lamiere
e di sacchi di sabbia. Le vetrine dei negozi sono tutte tappate: difese con
sacchi e con lamiere sembrano così i parapetti di qualche ridotta
d'artiglieria. Le cannonate che arrivano, e questo impressionante aspetto di
città trincerata (Sarajevo) che ricorda
continuamente il pericolo, non li spaventano. Escono, si muovono, camminano
lungo i muri per potersi rifugiare facilmente al rombo di partenza di una
cannonata del Panarotta - non c’è pericolo che si sbaglino con altre: ci
hanno fatto l’orecchio! - lavorano, vivono. I bambini giocano soltanto in
alcuni luoghi che l’autorità militare ha indicato come angoli morti .., dove
le bombe non possono arrivare che assai difficilmente. Per andare al caffè
bisogna attraversare un riparo di sacchi di sabbia. Per entrare all’albergo si
è costretti ad infilarsi in un camminamento coperto. La posta ed il telegrafo
funzionano egregiamente in una specie di ridotta. E funzionano anche le
scuole. I bambini vi si avviano con la loro brava borsetta a tracolla,
gaiamente: ma anch’essi hanno ben capito che non è conveniente allontanarsi
dai muri né avventurarsi nelle strade che si offrono all’infilata. Stamattina
ne avevo un gruppetto dinnanzi a me: vivacissimi, si tiravano ogni tanto per la
giacchetta per rubarsi il primo posto in quella loro obbligata fila indiana. Un
rombo lontano. I bimbi si fermano, si guardano: - Panarotta. Drento! (dentro)-E si
infilano nel primo portone dalla piccola apertura blindata. Il proiettile
fischia e passa. [...]
Arnaldo
Fraccaroli
Per le truppe italiane in trincea, l’attesa di un qualcosa d'imminente è nell’aria, impercettibile. Le vedette scorgono colonne in marcia, automezzi che, fumando, arrancano per i tornanti delle stradine di montagna, sentono passare sulle proprie teste proiettili mai sentiti prima. Sono i tiri d'aggiustamento delle batterie medie e pesanti, sibili profondi e cupi che tagliano l’aria e crollano a terra sollevando fontane di sassi, neve e zolle. Ma i fanti continuano la vita di tutti i giorni.
[...] Non è
ancora l’alba, e sul declivio del monte si muove un fruscio di soldati: è una
pattuglia che va a rilevare la guardia.
Ma aspetta prima il buon caffè caldo che ristori e risvegli completamente. Un
caporale è curvo sopra una marmitta fra due pietre, e risponde brontolando alle
insistenze degli impazienti. Alla fine il caffè è pronto, è distribuito, è
bevuto: scricchiolio di chiodi sulla strada sassosa: la pattuglia si allontana.
Un soldato fischietta una canzoncina: viene fatto tacere. Salgo con un ufficiale
ai nostri appostamenti più in alto e più innanzi verso Rovereto. Ad oriente il
cielo, dietro la corona dei monti, si stinge in un pallido albore: lo saluta
dagli alberi un gorgheggiare lieto d'uccelli. Le ombre prendono forma e colore.
Da insospettabili antri del monte escono soldati in maniche di camicia con un
asciugamani sulle spalle: scendono a fare la loro toeletta, urtandosi senza dir
parola, battendo i piedi per sgranchirsi. La notte è passata tranquilla. I
lavoratori che sono stati nella notte fuori delle trincee a preparare nuove
difese rientrano e vengono a prendere nei giacigli il posto dei compagni che si
alzano. [...]
Arnaldo Fraccaroli
Ecco come il loro servizio informativo valutava i preparativi per l’offensiva. [...] Come si aspettava il 13 marzo 1916 si iniziò la quinta battaglia dell’Isonzo. Frattanto la nostra offensiva subì un gran ritardo. Avevamo fatto assegnamento sull’inverno che sino ad allora era stato mite, senza pensare che generalmente le forti nevicate nel Tirolo cominciano negli ultimi mesi di questa stagione. Nell’interno della Monarchia si notava infatti la partenza delle truppe e si vedevano giungere ogni giorno, attraverso il Brennero, ammalati tolti dagli ospedali del Sudtirolo per far posto ai feriti che ci si attendeva nelle sezioni di sanità. Correvano anche voci sulla grande offensiva. Ed il non essersi accorto di questo non è certo un merito del servizio informazioni italiano. Cadorna venne a sapere solo il 22 marzo della prima notizia di un concentramento di truppe nel Trentino e non credette assolutamente alla possibilità d'una offensiva con grandi obiettivi sui monti. Probabilmente tale sua convinzione fu rafforzata dal fatto che era passato tanto tempo senza che si fosse visto nulla. Anche nella Monarchia l’opinione pubblica non fu insospettita da questa calma apparente e vi fu una presa di coscienza generale solo quando ufficiali tradirono il piano rivelando il raggruppamento in corso. Le chiacchiere scambiate tra ufficiali avrebbero dovuto essere esemplarmente punite dal Comando Supremo (Austriaco). Cadorna venne inoltre ingannato dal fatto che azioni offensive esploranti portate vicino Riva e in Valsugana si scontravano sempre con le stesse truppe da lungo tempo presenti in quei luoghi. Max Ronge capo del servizio segreto austriaco
La "brutta faccenda" del Gen. Brusati
É vero! Il comando supremo italiano non sembrano credere all’offensiva. Da febbraio, si dice come uccelli timorosi della tempesta in arrivo, arrivano numerosi disertori asburgici, soprattutto di nazionalità ceca ed italiana. Tutti concordano nel raccontare grandi preparativi nelle retrovie e forti spostamenti di materiali bellici. Il servizio informazioni della 1ª armata italiana si trova all’erta ed inizia una serrata trasmissione di dati. Il Comando Supremo tuttavia rimane scettico. Gli stessi prigionieri interrogati presso la 1ª armata sono chiamati a testimoniare presso il servizio informazioni del Comando Supremo ad Udine. Tuttavia vengono uditi solo i prigionieri in grado di parlare italiano poiché nessun ufficiale del servizio informazioni del Comando Supremo conosce il tedesco. Inoltre non si crede di proposito a chi parla italiano; costoro sembrano disertori mandati apposta per sviare l’attenzione con false dichiarazioni, si dice. Cadorna ispeziona le linee della Valsugana il 1º maggio 1916. Circondato dagli ufficiali al seguito, nei locali della mensa della 15ª divisione, afferma con sicurezza di considerare i preparativi un bluff.
… Vittorino Tarolli Spionaggio e propaganda pag. 88 e segg….Le valutazioni, su quelli che erano più che indizi, presso il C.S. risultarono completamente opposte. Nel frattempo sulle posizioni del V Corpo d'Armata si presenta un disertore, un tecnico già addetto ai lavori di fortificazioni austriache, e snocciola dati e dati sui lavori recenti approntati dal nemico, sulle sue artiglierie, su altri particolari della ormai prossima offensiva. Gli D.I. di Verona e di Brescia (che aveva ricevuto analoghe informazioni) telegrafano tempestivamente a Udine al C.S. concordando nel dire che: «Gli Austriaci stanno maturando un'intensa offensiva contro di noi». Ancora da quell'orecchio non ci si vuol sentire. Amaro è lo sfogo del responsabile dell'U.I. di Verona: «Nella lotta siamo soli però. Il Servizio Informazioni del Comando Supremo non ci segue, non ci capisce, non sente tutta la passione che noi mettiamo nella ricerca della verità, non crede. E accoglie sì gli interrogatori che man mano gli inviamo, ma siccome i suoi informatori o non dicono nulla o svalutano continuamente tutti gli indizi che possono convincere che l'offensiva in preparazione è veramente seria e grandiosa, esso non dà loro importanza: "Qualcosa ci sarà, ammette, ma non potrà essere una gran cosa” Pettorelli Lalatta pag. 75 Nell'arco di 2 mesi i battaglioni austriaci in Trentino raddoppiano. Da un centinaio che erano ai primi di marzo passano a 141 il 21 aprile, a 200 alla fine di aprile, a 226 il 14 maggio. Una massa enorme, valutata oltre 400.000 uomini. L'D.I. della I Armata aveva comunicato queste cifre, in date successive, al C.S. il quale, il 14 maggio, era ancora fermo al conteggio di 126 battaglioni. Il 26 aprile viene catturato un ufficiale cecoslovacco e viene persuaso a raccontare. Dice che l'offensiva sta per scattare e che gli austriaci l'hanno denominata "al Po". Lì ci vogliono ricacciare! L'D.I. dell' Armata lo spedirebbe volentieri a Udine, anche con un gruppo di disertori e di prigionieri, per cercare di convincere il C.S. Ma nessuno degli ufficiali dell'U'.I. del C.S. parla il tedesco e meno che meno lo slavo o il russo. Il Comandante della I Armata Gen. Brusati, che invece crede a quanto gli riferisce il suo D.I., desume che gli austriaci schierano di fronte alla sua armata una forza quasi doppia e chiede a Cadorna dei rinforzi. Il "Generalissimo", ancora" .. il 1° maggio in Valsugana parlando alla mensa della 15a Divisione dice apertamente, davanti a tutti gli ufficiali che potevano sentirlo, che egli non crede all'offensiva perché è un bluff" (Pettoreli Lalatta). L'8 maggio si assiste al tentativo del responsabile dell'D.l. di Verona di conferire direttamente con Cadorna: egli chiede di essere ricevuto ad Udine. L'incontro, dopo due ore di anticamera, non è reso possibile. Perfino Cesare Battisti, confidando nella sua amicizia con il Cadorna, si reca a Udine con l'intento di dissipare le prevenzioni del C.S. L' 11 maggio alla I Armata viene sostituito il gen. Brusati con il gen. Pecori Giraldi. Il 15 maggio in Valsugana, sugli altipiani e in Val Lagarina è battaglia durissima. Una valanga di fuoco si abbatte, ad iniziare alle due di notte, sul nostro fronte. Sono 16 divisioni austriache contro sei italiane (4 in linea, 2 in riserva); sono 1500 cannoni austriaci contro i 400 italiani. … Mancava la fiducia nel lavoro degli altri. Le cause vanno ricondotte sia alla presunzione dell'D.l. del C.S. di poter attingere a fonti estere o locali più qualificate, sia alle avversioni e ai rancori esistenti fra i Capi responsabili dei due Servizi (contigui pur se riforniti per canali diversi). Quand'anche il S.I. fosse pervenuto a dei" giudizi unanimi è da chiedersi poi se il Capo di Stato Maggiore (il "Generalissimo") li avrebbe presi in debita considerazione all'atto delle decisioni operative. Cadorna aveva scarsa propensione a tenere conto delle obiezioni e dei rilievi di chicchessia. Nel 1918 il gen. Angelo Gatti trattando della Strafexpedition scrisse nel suo Uomini e folle di guerra che Cadorna "non aveva creduto che la minaccia austriaca sarebbe stata così formidabile come era stata, né che avrebbe potuto generare quelle conseguenze. La virtù stessa dell'intelletto e del!' animo gli erano nociute. Aveva considerato le difficoltà del terreno, numerate le strade, misurato il fronte del presunto attacco e aveva conchiuso che questo attacco, essendo un errore, non doveva accadere". Invece l'attacco arrivò e fu una vera valanga!. Dal 15 maggio al 5 giugno perdemmo 62.000 uomini, fra morti, feriti e dispersi. Il 15 agosto, dopo due mesi di combattimento, le nostre perdite assommarono a 150.000 uomini, circa il doppio delle perdite nemiche. … Forse a distrarre dal Trentino l'attenzione di Cadorna fu l'offensiva franco-inglese sulla Somme e la conseguente controffensiva tedesca su Verdun. Sapeva anche della prossima offensiva russa del generale Brussilov sul fronte orientale (certamente lo sapevano anche gli austriaci) per cui supponeva improbabile la concentrazione di grandi forze austrotedesche sul nostro fronte. Buon per noi che la vittoria di Brussilov in Galizia frenò l'entusiasmo degli austriaci che altrimenti, con altre forze a disposizione, avrebbero spinto più a fondo il loro attacco contro di noi. Qualche responsabilità fu addossata anche all'Ufficio Informazioni del Comando Supremo, così lento ad apprezzare le informazioni sicure ed attendibili che gli provennero dall'U.I. della I Armata. Non per nulla in seguito ai pronunciamenti della Commissione d'inchiesta il Capo di quell'Ufficio venne rimosso (ma non reintegrato Brusati).
Ora però gli indizi sono troppo evidenti per non valutare l’ipotesi di un attacco nel Trentino. L’Adige porta a valle alcune bottiglie con messaggi strani firmati da un patriota trentino. Annunciano che l’attacco è stato annullato, rinviato; le truppe tornano a casa. La stampa svizzera, filotedesca, propone una serie d'articoli che sottolineano l’errore di attaccare in un terreno difficile come il Trentino. Queste sono chiare manovre dei servizi segreti austriaci che tentano di confondere gli Italiani. Cadorna ora si convince. La sua ispezione lo ha fatto molto inquietare poiché le linee di massima resistenza sono poco attrezzate, malsicure e in qualche settore sepolte dalla neve. Teme un attacco nelle valli servite dalle ferrovie, Val Lagarina e Valsugana. Ora è sicuro dell’offensiva imminente, ma non sospetta affatto un attacco sui monti, tanto irraggiungibili sembrano massicci come il Pasubio e cima Portule. Non sembra nemmeno credere che di fronte a Vicenza stanno schierandosi due armate nemiche. La condotta delle truppe italiane in Valsugana ha ora irritato il Capo. Una serie d'attacchi irragionevoli sulle alture tra Borgo Valsugana e Levico hanno logorato i soldati della 15ª divisione ed hanno spostato la prima linea in posizioni sfavorevoli alla difesa.
Cadorna…
"Queste disposizioni sollecitamente e bene attuate dal gen. Etna, comandante del Corpo d'Armata in Val Sugana, furono quelle che durante l'attacco austriaco permisero di arretrare con ordine la difesa alla linea principale di resistenza e d'infrangervi l'offensiva nemica. Anche in Val Lagarina ebbi a costatare analoghi inconvenienti. Ma, nel complesso, anche in questa valle, come in Val Sugana, si era perduto di vista il compito essenzialmente difensivo e la conseguente sistemazione da darsi alle forze ed ai mezzi. Qui, come altrove, l'azione offensiva non avrebbe dovuto servire che a migliorare le condizioni difensive; miglioramento che razionalmente doveva ritenersi ottenuto con l'occupazione del solco Loppio-Mori. Su questa linea bisognava arrestare ogni ulteriore progresso offensivo e basare tutto il problema difensivo sull'organizzazione delle posizioni del Cornale-Vignola-Altissimo, e del Coni Zugna tra Adige e Leno, quale linea principale di resistenza, ed ivi concentrarvi tutti i mezzi di difesa.".
Le linee italiane erano comunque
così a ridosso degli Austriaci e dominate da non poter aver alcun margine di
manovra in caso di attacco. Il capro espiatorio viene identificato nel generale
Amari, comandante la 15ª divisione che viene destituito. Il gen. Cadorna,
francamente adirato, decide di assegnare ad un nuovo corpo d’armata il settore
Valsugana. La vittima più illustre della circostanza è il comandante la 1ª
armata gen. Roberto Brusati. Il giorno 9 maggio 1916, egli viene avvicendato da
Guglielmo Pecori Giraldi, vecchia gloria della campagna di Libia messo in
pensione a riserva per errori: persona di brillante intelligenza pur se, come
lui stesso soleva dire, corto di vista e del tutto sordo. Così
il supremo generale italiano commenta, in una lettera alla figlia Carla l’8
maggio 1916, la drastica decisione di sostituire Brusati: [...] Ho dovuto prendere l’energica risoluzione di proporre la
sostituzione del comandante la 1ª armata. Nei provvedimenti presi per far
fronte ad un attacco austriaco in Trentino, ha mostrato la corda e si è
rivelato nel suo vero valore. Teme le responsabilità, rigetta tutto sui
comandanti di C.d.A, non ha mai forze che gli bastino, perde la
serenità e la calma. É una cosa molto dolorosa di dover colpire dei vecchi
amici e farsene dei nemici [...]
Se non era una presa per il culo questa
..... Brusati verrà riabilitato nel 1919.
All'inizio della Strafexpedition, gli Austriaci avevano concentrato nel Trentino circa 300 battaglioni e duemila pezzi. Delle forze austriache del Trentino, comandate dall'ARCIDUCA EUGENIO, facevano parte la 3a e la 11a Armata comandate dal KOEVESS e dal DANKL. Comandanti di CdA erano i generali KIRCHBACH, KRAUTWALD, SCHEUCHENSTUHL, ARCIDUCA CARLO e LUTGENDORF. L'Italia oppose, compresa la 44a divisione, 172 battaglioni, una quarantina dei quali di Milizia territoriale di scarso valore bellico, e 850 pezzi di tutti i calibri.
La V armata approntata il 22 maggio e sciolta a luglio al termine della offensiva - Comandante: ten. gen. Pietro Frugoni- Capo SM: magg. gen. Gaetano Giardino
VIII corpo d’armata - ten. gen.
Ottavio Briccola 13a div: magg. gen. Carlo Carignani; Br. Benevento (133° e 134° fanteria) Br. Milano (159° e 160° fanteria). 29a div: magg. gen. Enrico Caviglia; Br. Acqui (17° e 18° fanteria) Br. Ravenna (37° e 38° fanteria). XX corpo d’armata - ten. gen. Ettore Mambretti 4a div: magg. gen. Felice Santangelo; Br. Piacenza (111° e 112° fanteria) Br. Bari (139° e 140° fanteria). 25a div: ten. gen. Vittorio Elia; Br. Sassari (151° e 152° fanteria) Br. Barletta (137° e 138° fanteria). XXII corpo d’armata - ten. gen. Evaristo Mossolin 24a div: magg. gen. Antonio Gatti; Br. Piemonte (3° e 4° fanteria) Br. Forlì (43° e 44° fanteria). 47a div.: magg. gen. Casimiro Vagliasindi; Br. Campobasso (229° e 230° fanteria) Br. Avellino (231° e 232° fanteria). |
XXIV corpo d’armata - ten. gen.
Luciano Secco 32a div: magg. gen. Gustavo Rostagno; Br. Trapani (144° e 145° fanteria) Br. Modena (41° e 42° fanteria). 33a div: magg. gen. Edoardo Ravazza; Br. Udine (95° e 96° fanteria) Br. Liguria (157° e 158° fanteria). XXVI corpo d’armata - ten. gen. Luca Montuori 23a div: magg. gen. Giacinto Ferrero; Br. Spezia (125° e 126° fanteria) Br. Perugia (129° e 130° fanteria). 46a div: magg. gen. Giulio Amadei; Br. Arezzo (225° e 226° fanteria) Br. Rovigo (227° e 228° fanteria). 2a divisione di cavalleria ten. gen. Giovanni Vercellana II e IV brigata. + altri reparti non indivisionati a disposizione |
Robert Musil (quest'uomo di alta cultura, strappato dalla sua Vienna e sbattuto in una delle più arcaiche valli laterali della Valsugana, a Palù di Fersina- Palai en Bersntol) scriveva: "dove il tempo qui da secoli si è fermato" (La valle incantata. La valle dei Mocheni) con soldati che non avevano mai letto un libro": scriverà poi nel 1922: "… eravamo dei cittadini laboriosi, siamo diventati degli assassini, dei macellai, dei ladri, degli incendiari e roba simile…". Ma già a pochi giorni dalla fallita "spedizione punitiva" dirigendo il giornale di guerra, il Soldaten-Zeitung, nel n. 11 del 20 agosto 1916, Musil scriveva ( criticando gli uomini degli alti comandi, non dell'"Austria" che non esisteva più, bensì dei "Paesi rappresentanti nel Consiglio della Corona" )- "Sono io austriaco? …All'estero devono essersi fatta l'idea che non esiste nemmeno più un Impero d'Austria, dal momento che tutti i nati non si definiscono "austriaci", ma si qualificano secondo il paese in cui è situata la loro piccola patria: calzolaio in Corniola, contadino in Galizia, avvocato in Boemia, giudice in Tirolo, ecc. ecc. Non austriaci! Quali impressioni abbiano suscitato all'estero queste cose, lo abbiamo capito soltanto qui attraverso le esperienze di guerra. Si comprende quindi come l'estero di fronte a questi fatti, anche a prescindere dall'attività degli irredentisti, dovesse convincersi del prossimo sfacelo di uno Stato rinnegato persino dai suoi stessi sudditi, e si disponesse a farne bottino". gli tolsero la direzione del giornale:(Da. R. Musil, "La guerra parallela")
Il 15 maggio scatta l'assalto del nemico e davanti all'evidente disastro Cadorna chiama Clemente Lequio dalla Carnia con poteri speciali per rimettere le cose al loro posto, prima che sia tardi. Lequio verrà però liquidato 12 giorni dopo (alla fine della offensiva) per evidenti contrasti col Capo. La lista dei silurati o trombati da Cadorna (fino alle sue dimissioni quando a essere trombato sarà lui) è infinita.
http://www.associazionetrivenetadelfante.it/AUstrafe.pdf
tutta l'azione nel resoconto ufficiale