LE FORTEZZE DEGLI ALTIPIANI
(ASIAGO-LAVARONE-FOLGARIA-FIORENTINI)
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AUSTRIACI:
DOSS
DEL SOMMO-SOMMO ALTO-CHERLE-BELVEDERE-LUSERNA-BUSA VERLE-PIZZO
VEZZENA
La Val D’Astico, la Val D’Assa erano alcune delle porte naturali per una possibile invasione da parte degli Austriaci. Questi dal canto loro paventando rivendicazioni nazionalistiche, linguistiche da parte Italiana sul Trentino avevano bisogno di uno schema difensivo a medio e lungo termine. In spregio a quelle che erano ormai tecnologie diffuse, sia in campo civile che militare, si diede inizio, da parte di entrambi gli schieramenti, alla costruzione di fortezze sul vecchio confine storico della Repubblica di Venezia su cui era stata tracciata la linea di confine, che in questo saliente si presentava come un pericoloso cuneo verso la pianura padana. Iniziarono gli austriaci col teorico della guerra Franz Conrad von Hoetzendorf, nonostante che dal 1882 la Triplice Alleanza ci legasse a loro e alla Germania. Le carreggiabili da Trento furono allargate e furono installate funivie per i lavori in quota. Da parte italiana a controbattere la potenza di fuoco di 7 forti ne furono costruiti solo 3 in primo ordine o prima linea: Campomolon (incompleto mancavano le cupole), Campolongo, Verena. Una caratteristica costruttiva differenziava questi schieramenti. Gli austriaci, più padroni della tecnica del cemento armato e del suo fattore di resistenza, costruirono casematte con graticciato d’acciaio e calcestruzzo compresso resistente fino a colpi del peso di 350 kg e torrette d’acciaio al nichel girevoli per artiglieria con spessori di 25/50 cm. Il calibro delle loro artiglierie era però inferiore al nostro e il tiro più corto. Gli italiani dal canto loro, fortezze con mura più sottili ma calibri più grossi e di maggior gittata. Quello austriaco era quindi un apprestamento tipicamente difensivo, come in effetti fu per gran parte della guerra la strategia generale austriaca. Il fronte balcanico russo e quello orientale italiano poi assorbivano tutti gli uomini atti al servizio militare. In Trentino gli Austriaci tenevano (furono costretti dalla situazione russa) un velo di truppe minori e landschuetzen (milizia territoriale non più o non ancora in età di servizio di leva-18>50) d’origine strettamente tedesca, mentre quelli di leva anche di lingua italiana, erano mandati sui fronti orientali o balcanici. Nessuno in Italia avrebbe immaginato che di lì a poco lo scontro si sarebbe trasformato nella Grande Guerra di trincea. La nostra entrata tardiva in guerra non ci aveva facilitato in nessun modo. Non avevamo preso nessuna informazione o precauzione. Ci trovammo i reticolati piantati coi paletti nel cemento, e di sezione cosi grossa da non poter essere tranciati dalle cesoie in dotazione. Questi forti simili a grandi corazzate navali ma immobili dovevano essere autonomi e resistere anche in caso d’assedio. Erano dotati oltre che delle grosse artiglierie di una serie di pezzi minori per la difesa vicina o interna (la traditora) una volta venissero scavalcati. Al loro interno troviamo depositi di viveri, centrali elettriche a benzina, telefono e strumenti ottici di segnalazione in caso di guasto del telefono. Un acquedotto poi captava una sorgente e riforniva il complesso. I forti tedeschi, più vicini di quelli italiani per evitare un aggiramento, erano collegati e circondati da trinceroni dove prendeva posto la fanteria e la milizia con le armi automatiche. L'approntamento.. Ein Jahr später wurde mit dem Bau von sieben Panzerwerken begonnen. Im Gebiet von Lavarone entstanden die Werke „Cima die Vezzena“ (Baubeginn: 1907; Fertigstellung: 1912), „Verle“ (1907 - 1911), „Lusern“ mit den Stützpunkten „Viaz“ und „Oberwiesen“ (1907 - 1910) und „Gschwent“ (1909 - 1912). Etwas später begann man auf der Hochfläche von Folgaria mit der Errichtung der Werke „San Sebastiano“ (1909 - 1913), „Sommo“ (1912 - 1915) und „Serrada“ (Baubeginn: 1912; Fertigstellung: 1915).
Alle
4 del 24 maggio 1915 il Verena dirimpettaio del Verle apre il fuoco, ma solo 24
ore dopo lo seguono gli altri forti. Il comandante la linea dei forti Gen.
Aliprindi adducendo problemi inesistenti non aveva dato il via a tutte le
batterie. Fu immediatamente silurato e sostituito. Per 3 giorni lo scambio di
colpi non risparmiò nessuna postazione principalmente sul
versante austriaco. In quelle condizioni un attacco da terra italiano avrebbe
trovato la strada libera fino a Trento. Quei tre giorni all’interno dei forti
non erano paragonabili neanche all’inferno dantesco. Al Verle l’aspirante
Fritz Weber autore del celeberrimo “
Tappe della Disfatta “ cosi racconta: Il
tenente Gimpelman, dai bottoni sempre lucidi e dalla punizione facile, al primo colpo si rifugia al piano più basso e chiamato il suo sottoposto medico si fa
rilasciare un certificato di prostrazione nervosa e fisica e scompare dal forte
per servizi sedentari. L’aria umida e calda anche in tempo di pace ostacola il
respiro. Ora poi il fumo ed i composti della polvere da sparo rendono l’aria
irrespirabile. L’acciaio è rovente. Crollano i corridoi. Si aprono crepe
nelle strutture. La luce elettrica ormai è un ricordo. Si vive nell’oscurità
fra l’olio degli apparati idraulici, nel terrore che esploda il deposito della
benzina e la riservetta munizioni. Le bare di zinco accatastate per tempo
sono ormai tutte utilizzate dai morti, bisogna seppellire fuori i nuovi. Le condutture
dell’acqua come quelle del telefono anche se situate sottoterra o interrate
sono saltate. E continuano a piovere proiettili che a volte restano inesplosi.
Il campo tutt’attorno al forte è sconvolto. Nei brevi intervalli si esce a
seppellire i morti e a cercare con cemento fresco di rappezzare i buchi e le
crepe. Siamo sordi, ci riesce anche difficile sentire di nuovo i colpi in
arrivo. Chi non riesce a rientrare sarà raccolto in un sacco alla prossima uscita. Il pagliericcio su cui dormo è
imbrattato del sangue dei feriti che ha accolto. Dubitiamo che sul Vezzena ci
sia ancora qualcuno vivo. Esco di pattuglia e vedo in lontananza che sul Luserna
sventola bandiera bianca. Corro ad informare il comandante che prende berretto e
bastone e con alcuni pochi si dirige verso il forte della vergogna. Dopo il non
breve tragitto nei camminamenti ci avviciniamo al forte dal quale non sembra più
venire respiro alcuno. Il cacciatore diciassettenne Jaeger Jochler chiede di
salire al pennone. I colpi di cannone sono come svaniti si sentono solo in
lontananza. Pur con il timore che gli italiani siano ormai vicini strappa il
lenzuolo bianco. Per lui ci sarà una medaglia d’argento – Si sa che dal Forte Belvedere spararono sui traditori o sul fronte del forte per evitare eventuali attacchi italiani e quindi, il fatto predetto, potrebbe essere avvenuto anche in tempi leggermente diversi da quelli narrati. La fine e gli italiani in ogni caso non arrivano. Il 29 maggio e il giorno successivo, piccoli gruppi di soldati si avvicinarono ai forti ma furono respinti con le sole armi a tiro corto. L’inferno era finito: ora era solo guerra di tutti i giorni, di trincea. I grossi calibri italiani, in ghisa, alla lunga avevano evidenziato la loro debolezza costruttiva e per portare in batteria altre e più potenti armi occorrevano strade e carriaggi ed in questo gli austriaci erano già pronti e noi no. Un obice mortaio da 305 poi da 380 e 420 e diverse truppe austriache cominciarono ad affluire al fronte. Dal rovescio di Costa Alta il 12 giugno partì una bordata per il Forte Verena. Centro pieno. Il forte si aprì in due come un coltello arroventato su un panetto di burro. Rimasero uccisi tre ufficiali: il comandante del forte, Carlo Trucchetti, i sottotenenti Pietro Pace e Mario Colletti e 32 soldati. http://www.fortificazioni.net/Saggi/Forte_verena.htm
Poi fu la volta
degli altri. Oggi al Verena, in un’ala del forte, c’è un bar rifugio al termine di una cabinovia delle piste da sci. Salendo vedrete le postazioni, ritagliate più in basso nel fianco della montagna, dell'artiglieria trasportata. Una piccola lapide al forte ricorda che lì i morti furono 40. Passa luglio ed i comandi sondano infine la possibilità di scardinare il sistema forti da terra. E’ tardi, forse gli Austriaci si sono rafforzati, troppe perplessità e dubbi condite da disinformazione!!. Due brigate, Ivrea e Treviso, più alpini e guastatori dovranno muovere all’attacco dei tre forti Luserna, Verle, Vezzena. Il 15 agosto le artiglierie campali italiane aprono il fuoco per ridurre al silenzio eventuali appostamenti difensivi esterni. Per 8 giorni riprendono a cadere proiettili che, per fortuna dell'avversario, sono più piccoli di quelli di maggio, la metà. Alle perplessità del colonnello Riveri del 115° reggimento Treviso il generale Oro risponde “ I reticolati si aprono coi denti e coi petti “ Già, riuscirci !. Alle 23 il colonnello col trombettiere al fianco e bandiera spiegata ordina la carica come ai bei tempi risorgimentali. Gli uomini escono dalle trincee, dal bosco, dove la banda resta a suonare la marcia reale e si avviano sul pianoro del Basson, l’altopiano antistante il forte Verle. Di questi atti tattici è piena la storia del primo mese di guerra. Il cielo è terso e illuminato dalla luna piena, e se non bastasse dai bengala e dai proiettori del forte. Il tempo intercorrente fra le 23 e le 10 del mattino è costellato di vari episodi, compreso il recupero della bandiera persa in un primo tempo. Il Colonnello fu catturato alla terza ferita. Sul Basson un cippo ci ricorda che qui alla fine i morti furono 1100 e sicuramente altrettanti i feriti e i prigionieri. Il nome della brigata identificava spesso le zone di provenienza e con qualche giorno di ritardo, per l’evidente imbarazzo, le famiglie furono informate. In ogni paese del trevigiano e pordenonese si piansero decine di morti, in ogni casa un caduto. Delle fortezze un anno dopo ci si era ormai dimenticati, ma da lì partirono i primi colpi che spianarono il terreno alla STRAFEXSPEDITION ( la spedizione punitiva) il 15 maggio. Il cuneo proteso verso la pianura padana ora poteva essere la base di lancio per l’invasione. Tutto il fronte est sarebbe crollato e la guerra per l’Italia sarebbe finita. Le truppe dell’altopiano d’Asiago ressero fino ai bordi, al famoso Salto dei Granatieri al Cengio, all’ultimo forte il Corbin. Uscite dal conflitto danneggiate (a parte i forti Busa Verle e Lusérn) le fortezze austro-ungariche vennero demolite nel 1936 per estrarre il ferro e l'acciaio che contenevano. Di quella che fu la linea delle fortezze superba ed integra testimonianza è oggi il forte Museo Gscwent Belvedere che la sorte ritenne strategico sulla Val d’Astico (tanto che il suo motto era "Per Trento basto io"). 38040 Lavarone (TN) tel. 0464.780005 - cel. 347.2401650 A chi distrattamente passa ora in quelle zone, sfugge una serie di ricordi e luoghi che si stagliano ancora sul suolo dopo 90 anni. Se salite lungo la Val d'Assa, oltre l'Osteria del Termine (confine), vi ritroverete sul Basson e in breve al Forte Busa Verle al passo Vezzena. Se osservate attentamente il terreno intorno al forte vedrete una serie infinita di crateri provocati dai colpi, grandi e piccoli, che sono ancora lì, dopo tanti anni. Il Belvedere è un Museo aperto al pubblico. Ritornando ad Asiago, nelle vicinanze non vi sfuggirà il sacrario, ma se siete pazienti e vi addentrate nei boschi a sud verso il ciglione della pianura, passerete davanti a piccoli cimiteri inglesi a Magnaboschi. Sta a Voi ora scoprire il resto, dai musei, (in progetto uno a Valbella) alle trincee, alle Melette di Gallio. Le immagini sono tratte dalla Guida alle Fortezze di Gianni Pieropan Ed. Pasqualotto Schio
Il cimitero militare di Folgaria
Il cimitero militare di Slaghenaufi
Cimitero militare di Costalta a Luserna
-146 croci croci in legno |
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Pizzo Vezzena | ||
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Busa Verle - Werk Werle | ||
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Luserna - Werk Lusern | ||
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Belvedere - Werk Gschwent | ||
Cherle - Werk Sebastian | ||
Sommo Alto - Werk Sommo | ||
Doss del Sommo - Werk Serrada | ||
Verena | ||
Campolongo | ||
Lisser | ||
Interrotto | ||
Corbin | ||
Casa Ratti |