"Il Corriere di Firenze" del 16/09/2006
Espanta Bruixas in
catalano sono definiti i camini disegnati da Gaudì per
corredare le case di Barcellona, ossia spaventa
streghe. Gli spaventa streghe italiani sono quattro
ragazzi di Firenze (Marco Leoncini: voce e chitarre;
Fabio Nesi: piano, fisarmonica e voce; Simone Fiesoli:
basso; Lorenzo Stefanini: batteria e percussioni) che
dopo anni di apprendistato nel campo del jazz, della
musica etnica, della musica sudamericana, sono finalmente
arrivati al loro primo disco, registrato nel luglio 2006:
Canti di fortuna. Una storia come tante di
gruppi che cominciano a suonare e che ci possono mettere
fino a sette anni, come in questo caso, per arrivare
allesordio discografico, peraltro rigorosamente
autoprodotto. Il fatto è che dai solchi di Canti
di fortuna non esce musica normale. Chissà, forse
ammaliati dal nome gli spiriti che presiedono le fortune
della musica si sono seduti con pazienza ad ascoltare e
sono rimasti intrappolati nella fitta rete dei fraseggi
che i quattro, con laiuto prezioso di Gianni
DellAnna al sax in tre brani imbastiscono lungo il
crinale di 11 pezzi che rappresentano lo spartiacque
virtuale tra chi fa musica gastronomica e chi
fa musica che si può anche mangiare, ma pure vedere,
annusare e perfino ascoltare. Canti di
fortuna ti prende con limpeto della suite
(che non è), tra fughe di pianoforte, acrobazie
chitarristiche, suture di sax e il tappeto presente e
costante di una ritmica attenta. Non solo musica, ma la
musica è prevalente: possono trascorrere quasi sei
minuti prima di sentire la prima parola, ma non il canto,
ché, in forma larvale, abbozzato e indefinito la voce
irrompe sulla scena già fin da Mahdia, il
brano che segue la breve Intro orchestrale.
Dopodiché può succedere di tutto: canzoni che
contengono solo due frasi, canzoni che iniziano dopo un
lungo preludio musicale ed altre che finiscono con una
coda infinita, come comete lanciate a solcare quei cieli.
Emerge, da questo suonare, il gusto di fare
musica, di suonare e trovare gente che possa
ascoltare. E, mutate le situazioni e gli scenari,
quello che succedeva negli anni 70, quando il
progressive rock partì da esigenze analoghe e si
allargò in sonate, opere rock, devastazione dei confini
tra la musica colta e quella
incolta, brani infiniti, perché non
incapsulati e costretti nel bozzolo dei tre minuti da
radio. Finché la deriva estrema di quella
rivoluzione del costume musicale fu la caduta
nel virtuosismo, nel bello fine a se stesso e
quandanche sterile. Non è il rischio che corrono i
nostri spaventa streghe che invece si
ancorano a testi e storie che hanno ascendenze importanti
e declinazioni migliori: da Buzzati a Pascoli, da il
Calvino dei Sentieri dei nidi di ragno al
Giambattista Basile de La gatta cenerentola,
tutti rivisti e reinterpretati o solo citati
allinterno di canzoni che raccolgono stimoli e
spunti dai migliori dei nostri cantautori: da Jannacci, a
De Gregori, da Lolli a Piero Ciampi. Insomma un debutto
convincente e solido, un disco che non si sfarina nemmeno
allascolto più attento. Ascoltate Natale
1945 o le frasi di saggezza contadina dei
Canestri di grano (Sarà forse l'estate a
portarveli via / o una donna seduta tra i filari e la
strada/ e si tinge di vento questa rada foschia / mentre
aspetto la pioggia lentamente che cada") o il
divertito divertissement jazzato di Elogio della
V, intesa come la lettera dellalfabeto
che cambia le merde / in verde / e la pagina / in
vagina". |