LA MANIFESTAZIONE DELLA GLORIA DEL NOSTRO GRANDE DIO
E SALVATORE GESU' CRISTO












TITO 2,13





 

TITO 2,13

 

La traduzione di Tito 2,13 "…nell'attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e Salvatore Gesù Cristo" (του μεγαλου θεου και σοτηρος ημων Ίησου Χριστου) sembra sostenibile sia dal punto di vista grammaticale che dal punto di vista logico, anche se grammaticalmente e teologicamente sono legittime pure altre traduzioni. Chi accetta il primo punto di vista ricorda come, nel Nuovo Testamento, il concetto della futura gloriosa manifestazione (επιφανειαν = epifaneia) sia sempre applicato al Figlio e non al Padre (vedasi  2 Tessalonicesi 2,8; 1 Timoteo 6,14-15; 2 Timoteo 1,10-4,1-4,8), mentre in nessun punto della Sacra Scrittura si parla di una duplice manifestazione del Padre e del Figlio.

Il termine "epifaneia" (apparizione, manifestazione, venuta, presenza dal verbo greco "epifaino" = appaio, mi rendo manifesto, divento noto, mi faccio vedere, divento chiaramente visibile) è infatti sempre usato per designare la manifestazione gloriosa di Gesù Cristo nel suo trionfo escatologico (Tito 2,13). Dopo essere apparso una prima volta per togliere i peccati di molti (2 Tessalonicesi 1,10), il Signore apparirà una seconda volta (Ebrei 9,28) per giudicare i vivi e i morti, per instaurare il suo regno (2 Timoteo 4,1) e per consegnare a tutti quelli che lo attendono con amore la corona di giustizia (2 Timoteo 4,8). Quando Gesù apparirà glorioso, i beati lo vedranno con chiarezza in tutto il suo splendore perché saranno simili a lui (1 Giovanni 3,2), conformi al suo corpo glorioso (Romani 8,29 e Filippesi 3,2) e destinati a manifestarsi con lui nella gloria (Colossesi 3,4). Nel tempo stabilito, la gloriosa manifestazione riguarderà solo il Figlio, mentre per i viventi il Padre abiterà ancora una luce inaccessibile che nessun uomo ha mai visto né può vedere (1 Timoteo 6,15-16; Esodo 33,20; Giovanni 1,18; Giovanni 6,46; 1 Giovanni 4,12). Solo dopo il giudizio, i benedetti dal Padre (Matteo 25,34) ancora in vita potranno vedere chiaramente Dio come tutti i giusti che il Padre ha già accolto nel seno di Abramo (Giobbe 19,26; Salmo 17,15; Matteo 5,8).

La chiesa cattolica ha sempre considerato corretta la versione corrente, attestata dalla Vulgata di San Gerolamo e da secoli enfatizzata dalla liturgia notturna del Santo Natale. A Cristo sono stati, infatti, attribuiti, fin dal I secolo, i titoli di Signore, Dio e Salvatore in chiara polemica con le tradizioni idolatre del culto imperiale. A favore della traduzione classica di Tito 2,13 esistono poi testimonianze antichissime di autorevoli Padri (Ireneo, Cipriano, Clemente Alessandrino, Atanasio, Giovanni Crisostomo, Agostino) e di un importante Concilio della Chiesa (Concilio di Costantinopoli II del 553 d.C.) [1].

 

 

 

 

La regola di Granville Sharp

La traduzione di strutture identiche

Nomi comuni, nomi propri e aggettivi

Il titolo di grande Dio

False eccezioni

Confronto tra varie versioni

 

 

 

 

 

 

La regola di Granville Sharp

 

Il fatto che nel testo greco l'articolo του (del) non venga ripetuto depone sicuramente a favore della traduzione tradizionale. Secondo una regola della grammatica greca[2] sufficientemente accreditata, quando la congiunzione και (=e) unisce due apposizioni dello stesso caso, singolari, personali e non proprie, se l’articolo (o la preposizione articolata) precede la prima apposizione e non è  ripetuto davanti alla seconda, la seconda apposizione si riferisce sempre alla stessa persona che è espressa o descritta dalla prima apposizione[3]. La regola di Granville Sharp [4] si applica alla struttura:

 

 

articolo + apposizione + kai + apposizione + persona referente

 

 

Tale regola è valida solo per apposizioni  personali, singolari, non proprie e dello stesso caso. Si tratta di limiti peraltro già fissati dallo stesso Sharp per motivi logici e linguistici e non di imposizioni create a posteriori per difendere o per circoscrivere la validità della regola. Due nomi propri, infatti, difficilmente possono essere attribuiti alla stessa persona: essi servono normalmente per identificare e non per descrivere. È poi raro che due nomi di genere o di caso differente possano descrivere lo stesso individuo. Quanto alle apposizioni impersonali e plurali va detto che esse, pur avendo talora valore descrittivo, quasi sempre ne sono totalmente prive.

 

Oggi coloro che si oppongono all’applicazione della regola di Granville Sharp a Tito 2,13 vedono in “Grande Dio” una persona diversa dal “Salvatore Gesù Cristo” sostenendo che la struttura del versetto sia articolo + persona referente + kai + apposizione + persona referente invece di articolo + apposizione + kai + apposizione + persona referente. Occorre con onestà riconoscere che nessuno può dirci con certezza matematica se μεγαλου θεου (Grande Dio) sia apposizione o persona referente: ciò che possiamo invece dire con certezza è che, se si ammette che μεγαλου θεου sia apposizione, la struttura di Tito 2,13 risulta ragionevole e pienamente coerente con la grammatica greca. [5]

 

 

 

La traduzione di strutture identiche

 

La traduzione di strutture identiche dovrebbe seguire criteri omogenei; si confrontino a tal proposito:

 

·        2 Tessalonicesi 1,12 "την χαριν του θεου ημων και κυριου Ίησου Χριστου" (la grazia del Dio di noi e Signore Gesù Cristo);

·        Tito 2,13 "του μεγαλου θεου και σοτηρος ημων Ίησου Χριστου" (del grande Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo);

·        Ebrei 3,1 "αποστολον και άρχιερέα …….Ίησος" (apostolo e sommo sacerdote …. Gesù);

·        Ebrei 12,2  "της πιστως αρχηγον και τελειωτην Іησουν" (della fede autore e perfezionatore Gesù);

·        2 Pietro 1,1 "του θεου ημων και σοτηρος Ίησου Χριστου" (del Dio di noi e Salvatore Gesù Cristo);

·        2 Pietro 1,11 "την αιωνιον βασιλειαν του κυριου ημων και σοτήρος Ίησου Χριστου" (l'eterno regno del Signore nostro e Salvatore Gesù Cristo);

·        2 Pietro 2,20 "του κυριου ημων και σοτήρος Ίησου Χριστου" (del Signore nostro e Salvatore Gesù Cristo);

·        2 Pietro 3,18 "του κυριου ημων και σοτήρος Ίησου Χριστου" (del Signore nostro e Salvatore Gesù Cristo);

·        Giuda 4  "τον μονον δεσποτην και κυριον ημων Ίησου Χριστον" (l'unico Padrone e Signore di noi Gesù Cristo).

 

 

 

Nomi comuni, nomi propri e aggettivi

 

Per definizione, la regola di Granville Sharp è applicabile solo a nomi:

 

·        personali,

·        singolari,

·        non propri e

·        dello stesso caso.

 

Nell’Antico Testamento le forme μεγάλου θεου (Dio grande), אל כבור כבול (Dio potente e grande), אל כבור (Dio grande), אל הרב (Dio forte) non sembrano essere nomi propri della divinità: “forte”, “grande”, “potente” e “terribile” sono infatti aggettivi usati per descrivere e non per definire. Prova ne è il fatto che, oltre Jahvé (Isaia 10,21), perfino un re di Israele (probabilmente Ezechia) è chiamato אל כבור (El Gibbowr) cioè “Dio potente” (Isaia 9,5). Considerando i vari versetti che, nella Settanta, usano μεγάλου θεου (Dio grande) (Deuteronomio 10,17; Nehemia 8,6; Nehemia 9,32; Salmo 24,8; Salmo 77,13; Salmo 86,10; Geremia 32,18; Daniele 2,45; Daniele 9,4), solo per Daniele 2,45 sembra che la forma “Dio grande” sia usata, oltre che per descrivere, anche per definire.

 

Ai tempi di Pietro e Paolo, יהךה = Jahvé (Esodo 3,14; Deuteronomio 6,4; Salmo 83,19; Proverbi 24,21), יח = YAH (Salmo 68,4), אל  שדי = El Shaddaj (Genesi 17,1) e Ίησος = Gesù (Matteo 1,25; Luca 1,31; Atti 4,12) erano sicuramente nomi propri, mentre “θεος”, “μεγάλου θεου”, “θεος o μεγάς”, “κυριος o μεγάς”, “κυριος” e “σοτηρος” non erano nomi propri.  "Dio", "Dio grande", "Signore", "Signore grande" e "Salvatore" potevano infatti essere pluralizzati,  usati al femminile, impiegati per gli dei pagani, attribuiti a condottieri e ad eroi, riferiti agli imperatori romani (Atti 19,27; 1 Corinzi 8,5; Galati 4,8). Nel Nuovo Testamento, "Dio e Salvatore" sono poi titoli usati tanto per il Padre quanto per il Figlio (Giovanni 1,1 e Tito 1,3-4).

 

 

 

Il titolo di Grande Dio

 

Il titolo di "μεγάλου θεου" oppure “θεος o μεγάς” cioè "Dio grande" è applicato al Padre nell'Antico Testamento dalla versione dei Settanta (Deuteronomio 10,17; Esdra 5,8; Nehemia 8,6; Nehemia 9,32; Salmo 24,8; Salmo 77,13; Salmo 86,10; Geremia 32,18; Daniele 2,45) e traduce sia l'ebraico אל כבור כבול (El Gibbowr Gadaol=Dio potente e grande) sia l'ebraico אל הרב (Elahh Rab= Dio grande).  Nella Settanta troviamo pure, con lo stesso significato, “κυριος o μεγάς” (Salmo 47,2; Siracide 39,6; Siracide 43,2) cioè “Signore grande”,  “κυριε ο θεος o μεγάς” (Daniele 9,4) cioè “Signore Dio, grande e tremendo” e “O Μεγάς” cioè “Il Grande” (Siracide 43,28).

 

Tale titolo sembra applicabile senza problemi anche a Gesù Cristo, considerato che:

 

·        un re di Israele (probabilmente Ezechia) è chiamato אל כבור (El Gibbowr) cioè "Dio potente" (Isaia 9,5), come del resto lo stesso Jahvé (Isaia 10,21);

·        la dea Artemide è chiamata μεγαλης θεας cioè "dea grande" (Atti 19,27);

·        il titolo "Dio e Salvatore" è usato per Cristo anche dall'apostolo Pietro (2 Pietro 1,1): la costruzione grammaticale è molto simile ma utilizza θεου e non μεγάλου θεοΰ;

·        nel Nuovo Testamento il concetto della gloriosa manifestazione futura (επιφανειαν = epifaneia) è sempre applicato al Figlio e non al Padre (vedasi  2 Tessalonicesi 2,8; 1 Timoteo 6,14-15; 2 Timoteo 1,10-4,1-4,8) e in nessun punto del Nuovo Testamento si parla di una duplice manifestazione del Padre e del Figlio;

·        anche se l'enfasi potrebbe andare più sulla gloria (δοξη) che sulla manifestazione (επιφανειαν), occorre notare come il ritorno di Cristo avverrà non solo nella gloria del Padre (Matteo 16,27) ma anche nella gloria del Figlio (Marco 13,26 e Matteo 25,31) e nella gloria del Padre e del Figlio (Luca 9,26);

·        la polemica contro gli imperatori romani, che pretendevano gli arroganti titoli di soter, dominus et deus, portava inevitabilmente i cristiani ad esaltare Gesù Cristo come Salvatore, Signore e Dio;

·        Tito 2,13 fu applicato a Gesù Cristo da numerosi Padri della Chiesa già nei primi due secoli dell'era cristiana e non solo nella polemica antiariana del terzo secolo (Ireneo, Ippolito, Giovanni Crisostomo, Clemente Alessandrino, Atanasio, Agostino);

·        anche altri titoli (ad esempio "αποστολον" cioè apostolo) sono applicati a Cristo una volta sola (Ebrei 3,1) in tutto il Nuovo Testamento.

 

 

 

False eccezioni  (Proverbi 24,21)

 

Nomi propri, a cui non è applicabile la regola di Granville Sharp, sono: Yahweh, Yah, Gesù Cristo, Spirito Santo, Pietro, Paolo, Giacomo, Giovanni, Barnaba …. Alcuni esempi spesso citati, oltre a contenere nomi propri o plurali, non hanno neppure la struttura di Granville Sharp (articolo + apposizione + kai + apposizione + persona referente). A tal proposito si vedano: Proverbi 24,21 (Dio e re); Matteo 17,1 (Pietro, Giacomo e Giovanni); Matteo 21,12 (compratori e venditori); Atti 13,2 (Barnaba e Saulo); Atti 13,50 (Paolo e Barnaba); Martirio di Policarpo 22,1 (gloria del Dio Padre e Spirito Santo).

 

Alcuni tra coloro che dubitano della validità della regola di Granville Sharp[6] citano spesso Proverbi 24,21 che viene normalmente tradotto con "Temi, o figlio, Dio e il re" e che presenta la seguente struttura:

 

 

fobou   ton   qeon   uie   kai   basilea

temi        il           Dio       figlio     e        re

 

מלך     יהוה     ירא     בן

figlio     temi      Jahvé     re

 

 

Osserviamo che qui "Dio" e "re" non sono apposizioni di una determinata persona ma complementi ben distinti. La regola di Granville Sharp si applica infatti alla struttura: articolo + apposizione + kai + apposizione + persona referente. La struttura di Proverbi 24,21 è invece: articolo + complemento oggetto + kai + complemento oggetto. Va inoltre osservato che in Proverbi 24,21 ton qeon (theon) traduce יהוה  (Jahvé) ed è pertanto usato come nome proprio. Non ci sembra pertanto che esistano elementi comuni tra Tito 2,13 e Proverbi 24,21.

 

 

 

False eccezioni (2 Tessalonicesi 1,12)

 

Alcuni considerano κυριου Ίησου Χριστου (Signore Gesù Cristo) come un unico nome proprio e traducono 2 Tessalonicesi 1,12 con “la grazia del nostro Dio e del Signore Gesù Cristo. Non mancano tuttavia versioni bibliche che, considerano tanto “Dio” quanto “Signore” come apposizioni del nome proprio “Gesù Cristo”, applicando la regola di Granville Sharp e traducendo con “la grazia del nostro Dio e Signore Gesù Cristo (Nuova Riveduta  e Nuovissima Versione Paoline). [7]  Granville Sharp osservò come, alla fine del XVIII secolo, larga parte delle versioni inglesi fossero concordi nel rendere 2 Tessalonicesi 1,12 con “according to the grace of our God and of our Lord Jesus Christ”, basandosi su alcuni manoscritti corrotti del Nuovo Testamento. In pratica, in alcuni codici, dopo ημων, alcuni copisti avrebbero introdotto, senza alcuna autorità, un punto non presente nel testo originale, al fine di separare nettamente “Dio” dal “Signore Gesù Cristo” [8].

 

 

 

False eccezioni (Efesini 5,5)

 

In Efesini 5,5 si parla chiaramente del “regno di Cristo e di Dio” (βασιλεια του χριστου και θεου). La regola sopra enunciata non può essere qui applicata perché non abbiamo un’unica persona referente con due distinte apposizioni, ma un unico regno con due titolari: Cristo e Dio Padre. “Cristo” è poi evidentemente usato come “nome proprio” e risulta chiaramente distinto da Dio Padre: basti a tal proposito considerare che, mentre in moltissimi punti della Bibbia il Padre è detto “Salvatore” (Luca 1,47; 1 Timoteo 1,1; 1 Timoteo 2,3; Tito 1,3; Tito 2,10; Tito 3,4; Giuda 25), solamente al Figlio è applicato il titolo di “Cristo

 

 

 

Confronto tra varie versioni bibliche

 

  • expectantes beatam spem et adventum gloriae magni Dei et salvatoris nostri Iesu Christi  [Vulgata]
  • nell'attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo  [C.E.I.]
  • in attesadella beata speranza e della manifestazione della gloria del grande Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo [NVB]
  • aspettando la beata speranza, e l'apparizione della gloria del grande Iddio, e Salvator nostro, Gesù Cristo.  [Diodati]
  • aspettando la beata speranza e l'apparizione della gloria del nostro grande Iddio e Salvatore, Cristo Gesù  [Riveduta (Luzzi)]
  • aspettando la beata speranza e l'apparizione della gloria del grande Dio e Salvatore nostro, Gesù Cristo  [Nuova Diodati]
  • aspettando la beata speranza e l'apparizione della gloria del nostro grande Dio e Salvatore, Cristo Gesù.  [Nuova Riveduta]
  • Looking for the blessed hope and coming of the glory of the great God and our Savior Jesus Christ  [Douay Reims]
  • Looking for that blessed hope, and the glorious appearing of the great God and our Saviour Jesus Christ [KJV]
  • awaiting the blessed hope and appearing of the glory of our great God and Saviour Jesus Christ [Darby]
  • waiting for the blessed hope and manifestation of the glory of our great God and Saviour Jesus Christ [YLT]
  • looking for the blessed hope and appearing of the glory of the great God and our Saviour Jesus Christ  [ASV]
  • awaiting our blessed hope, the appearing of the glory of our great God and Savior Jesus Christ [RSV]
  • looking forward to the happy fulfilment of our hopes when the splendour of our great God and Saviour Christ Jesus will appear  [NEB]
  • as we await the blessed hope, the appearance of the glory of the great God and of our savior Jesus Christ  [NAB]  
  • Nota:  another possible translation is "of our great God and savior Jesus Christ." [NAB]
  • while we wait for the blessed hope—the glorious appearing of our great God and Savior, Jesus Christ  [NIV]
  • looking for the blessed hope and glorious appearing of our great God and Savior Jesus Christ [NKJV]
  • looking for the blessed hope and the appearing of the glory of our great God and Savior, Christ Jesus [NASB]
  • waiting for our blessed hope, the appearing of the glory of our great God and Savior Jesus Christ [ESV]

 

 

 

 

 

 

 



[1] Vedansi, ad esempio, Ireneo, Contro le eresie, I, 10, 1; Cipriano, Al fratello Cornelio, lettera 51;  Giovanni Crisostomo, Omelie su Tito, V; Clemente Alesssandrino, Protrettico, I; Atanasio, Lettera ad Adelfio, 6; Agostino, Collatio cum Maximino, 13; Basilio, Lo Spirito Santo, XVI, 39. Una evidente citazione di Tito 2,13 è poi contenuta nel Secondo Concilio di Costantinopoli (553 d.C.) che inizia con le parole. "Il grande Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo (Tito 2,13), secondo la parabola riferita dai Vangeli, distribuisce i talenti secondo le capacità di ciascuno, ed esige a suo tempo da essi il frutto proporzionato. Se, quindi, chi ha ricevuto un talento e l'ha conservato senza alcuna perdita, per non averlo trafficato e per non aver aumentato quanto aveva ricevuto viene condannato, come non sarà soggetto a più grave e terribile giudizio chi non solo l'avrà trascurato, ma sarà stato causa di scandalo anche per gli altri? E’ chiaro, infatti, a tutti i fedeli che quando si tratta della fede, non solo l'empio è condannato, ma anche colui, che, potendo impedire l'empietà, trascura la correzione degli altri."

 

[2] Hanno approfondito l'analisi della regola di Granville Sharp soprattutto alcuni teologi protestanti, anche se non mancano recenti contributi di cattolici ed ortodossi. Di notevole interesse ci sembrano comunque i recenti lavori degli evangelici  Wallace e Bowman.  (D. B. Wallace, The Article with Multiple Substantives Connected by Kaiv in the New Testament: Semantics and Significance, Ph.D. dissertation, Dallas Theological Seminary, 1995 e R. M. Bowman Jr., Sharp’s Rule and Antitrinitarian Theologies: A Bicentennial Defense of Granville Sharp’s Argument for the Deity of Christ, 1998, Revised Edition, Atlanta).

 

[3] Costruzioni simili non sono infrequenti nel Nuovo Testamento; vedasi ad esempio: Romani 15,6; 2 Corinzi 1,3; 2 Corinzi 11,31; Galati 1,4; Efesini 1,3; 1Tessalonicesi 1,3; 1 Tessalonicesi 3,11; 1 Tessalonicesi 3,13; 2 Tessalonicesi 1,12; Ebrei 3,1; Ebrei 12,2; 1 Pietro 2,25; 2 Pietro 1,11; 2 Pietro 2,20; 2 Pietro 3,2; 2 Pietro 3,18; Giuda 4.

 

[4] Si veda Granville Sharp, Remarks on the Uses of the Definitive Article in the Greek Text of the New Testament, London, 1798. Granville Sharp (1735-1813) è ricordato per gli studi biblici e linguistici, per lo zelo missionario nella diffusione delle Sacre Scritture in Gran Bretagna,  nel Nord America ed in Africa (fu il primo presidente della British and Foreign Bible Society) e per il profondo impegno sociale.  Amico di Beniamino Frankling, di Thomas Jefferson, del generale Lafayette e del fondatore della chiesa metodista John Wesley, dedicò gran parte della propria esistenza a cause umanitarie, come la lotta alla tratta dei negri, l'abolizione della schiavitù in Inghilterra e l'indipendenza religiosa e politica degli Stati Uniti. Le osservazioni grammaticali di Granville Sharp furono soggette a non poche critiche ed incontrarono scarsa approvazione da parte dei biblisti del XVIII secolo: a screditare il lavoro di Sharp contribuirono, non solo alcuni pregiudizi conservatori legati ad un fanatico attaccamento al testo della “King James” (considerata da molti praticamente infallibile), ma anche il fatto che, in numerosi versetti difesi da Sharp (ad esempio: 1 Timoteo 5,21; 2 Timoteo 4,1; Giuda 4), la forma "Dio e Salvatore Gesù Cristo" risultò insostenibile, perché, in questi ed in altri punti del Nuovo Testamento, il cosiddetto "Textus Receptus" si era permesso di aggiungere, senza alcuna autorità, il termine "Dio". La ricostruzione del cosiddetto "Testo Critico" da parte di Wescott e Hort e di Nestle ed Aland confermò però l'esattezza delle osservazioni di Sharp soprattutto per Tito 2,13 e per 2 Pietro 1,1.

 

[5]  A tal proposito vedansi D.Wallace, Greek Grammar Beyond the Basic, 1996, pp. 270-289 e F. Blass & A. De Brunner, A Greek Grammar of The New Testament and Other Early Christian Literature, 1961, pp. 144-145.

 

[6] Vedansi, ad esempio, Esra Abott, On The Construction Of Titus 2.13, in Journal of the Society of Biblical Literature and Exegesis, 1881 e Greg Stafford, Jehovah's Witnesess Defended, Elihu Books, 1998 (che peraltro ripercorre, senza troppa originalità, le argomentazioni dall’unitario Ezra Abott).

 

[7]  Per un’analisi delle possibilità di applicare la regola di Granville Sharp a 2 Tessalonicesi 1,12, vedasi, ad esempio, J. Ed. Komoszewski, The New World Translation and Christologically Significant Article-Substantive και, Dallas Theological Seminary, 2005. Secondo l'autore il titolo "Signore Gesù Cristo" ricorrerebbe ben 62 volte nel Nuovo Testamento e risulterebbe usato come nome proprio caratterizzante il Messia, mentre l'apposizione "Salvatore" interesserebbe sia il Padre (Luca 1,47; 1 Timoteo 1,1; 1 Timoteo 2,3; Tito 1,3; Tito 2,10; Tito 3,4; Giuda 25) che il Figlio (Tito 1,4; Tito 2,13; 2 Pietro 1,1). Inoltre la forma "Salvatore Gesù Cristo" si troverebbe solo in 5 punti del Nuovo Testamento, decisamente troppo pochi per pensare che potesse realmente svolgere funzione di nome proprio.