IL MISTERO DI CRISTO DIO











Perciò io non dirò in nessun caso né “dèi” né “signori”,
ma seguirò l’apostolo: se il Padre e il Figlio devono essere invocati insieme,
io chiamerò il Padre “Dio” e Gesù Cristo “Signore”.

Ma il Cristo da solo lo potrò chiamare Dio, come fa lo stesso apostolo che dice:
“Dai quali (padri) viene il Cristo, che è Dio su tutto, benedetto per sempre”.

Anche il raggio di sole quando è solo, lo chiamerò “sole”;
ma quando dovrò nominare il sole, cui raggio appartiene,
non chiamerò più “sole” il raggio.
Perché in questo modo farei anche due soli.

Tuttavia il sole ed il raggio li conterò come due oggetti
e due forme di una sostanza sola e indivisa,
allo stesso modo come Dio e la sua Parola,
come il Padre e il Figlio

[Tertulliano, Contro Prassea, XIII, 9-10]





 

PER NOI C'È UN SOLO DIO, IL PADRE, DAL QUALE "E in realtà, anche se vi sono cosiddetti dèi sia nel cielo sia sulla terra, e difatti ci sono molti dèi e molti signori, per

"E in realtà, anche se vi sono cosiddetti dèi sia nel cielo sia sulla terra, e difatti ci sono molti dèi e molti signori, per noi c'è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per lui; e un solo Signore Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo per lui" (1 Corinzi 8,5-6). L’interpretazione letterale dei versetti sopra riportati porterebbe a concludere che, pur esistendo molti dei e molti signori (umani, angelici, falsi o pagani), solo il Padre avrebbe diritto al titolo di (vero) Dio e solo il Figlio potrebbe vantare il titolo di (vero) Signore.  

 

Il Padre è però chiamato Signore, cioè κύριός, sia nel Vecchio sia nel Nuovo Testamento (Salmo 35,23 Heb = Salmo 34,23 LXX;  Matteo 11,25; Luca 1,32; Luca 1,68; Atti 3,20; Apocalisse 1,8; Apocalisse 4,11; Apocalisse 11,17; Apocalisse 15,3; Apocalisse 16,7; Apocalisse 19,6; Apocalisse 21,22; Apocalisse 22,5; Apocalisse 22,6), mentre il Figlio, oltre ad essere chiamato Signore cioè κύριός (Luca 2,11; Luca 5,8; Luca 6,46; Giovanni 6,68; Giovanni 21,7; Atti 2,36; Atti 9,5; Atti 10,36; Atti 15,11; Romani 10,9; Romani 14,9; 1 Corinzi 8,6; 1 Corinzi 15,31; Filippesi 2,11; Colossesi 3,25; 2 Timoteo 1,2; 1 Pietro 3,15; Giuda 1,4; Apocalisse 17,14; Apocalisse 19,16), è chiaramente detto Dio cioè θεός in vari punti del Nuovo Testamento (Giovanni 1,1; Giovanni 20,28; Romani 9,5; Filippesi 2,6; Colossesi 2,9; Tito 2,13; Ebrei 1,8; 1 Giovanni 5,20) e negli scritti dei padri apostolici del primo secolo.

 

I titoli di Dio, di Vero Dio e Salvatore sembrerebbero usabili solo per il  Padre. Infatti sta scritto:

·        "per noi c'è un Dio solo, il Padre…ed un solo Signore, Gesù Cristo" (1 Corinzi 8,6) e "Dio Padre del nostro Signore Gesù Cristo" (Efesini 1,17 e anche  Romani 15,6; 2 Corinzi 1,3; 1 Pietro 1,3)

·        "la vita eterna è questo: che conoscano te, l'unico vero Dio e colui che hai mandato, Gesù Cristo" (Giovanni 17,3);

·        "Io sono YHWH e fuori di me non c'è salvatore" (Isaia 43,11).

 

 A ben guardare però tali titoli sono però applicati anche al Figlio. Sta infatti scritto:

·        "la  Parola era Dio" (Giovanni 1,1); "il nostro grande Dio e Salvatore, Gesù Cristo" (Tito 2,13); "Signor mio e Dio mio" (Giovanni 20,28); " Dio benedetto in eterno" (Romani 9,5);

·        "sappiamo poi che il Figlio di Dio è venuto e ci ha dato intelligenza per conoscere il Vero. E noi siamo nel Vero, nel Figlio suo Gesù Cristo. Questi è il vero Dio e la vita eterna" (1 Giovanni 5,20);

·        "Gesù Cristo, nostro Salvatore" (Tito 3,6) e "il nostro grande Dio e Salvatore, Gesù Cristo" (Tito 2,13).

 

 

 

LE DUE NATURE DI GESÙ CRISTO: VERO DIO E VERO UOMO

 

Tra sottomissione ed inferiorità esiste una notevole differenza: per natura tutti gli uomini sono uguali, mentre gli animali sono inferiori agli uomini. Tra gli uomini poi esistono casi di subordinazione come quella dei figli ai genitori o quella dei cittadini alle autorità preposte. Una cosa, pertanto, è dire che Cristo è di natura divina, generato dal Padre e a Lui sottomesso, mentre altra cosa è dire che il Figlio è di natura angelica, creato ed inferiore a Dio. In Cristo coesistono comunque due nature: la natura umana e la natura divina. Coloro che attribuiscono a Gesù una unica natura angelica tentano di giungere ad un compromesso tra le due nature di Cristo.      

 

Come Figlio dell'Uomo (Matteo 8,20; Matteo 24,30; Giovanni 3,14; 1 Timoteo 2,5) possiamo dire che il Padre era maggiore di lui (Giovanni 14,28), che non conosceva il giorno della fine (Marco 13,32), che è stato fatto inferiore agli angeli (Ebrei 2,7), che il capo di Cristo è Dio (1 Corinzi 11,3), che farà atto di sottomissione al Padre alla fine dei tempi (1 Corinzi 15,28), che il Padre è il Dio del Signore Gesù Cristo (Giovanni 20,17; Romani 15,6; Efesini 1,17), che vi è un solo Dio, il Padre, ed un solo Signore, Gesù Cristo (1 Corinzi 8,6). Dopo la morte e resurrezione la natura umana venne glorificata e Gesù Cristo uomo meritò i titoli Figlio di Dio (Romani 1,4) e di Signore (Atti 2,36; Romani 14,9; Filippesi 2,9-11).

 

Per la sua natura divina Gesù Cristo poteva però vantare il titolo di Figlio di Dio (Matteo 4,3; Luca 1,35; Giovanni 1,18; Giovanni 10,36) già prima della resurrezione e poteva dire al Padre di glorificarlo con la gloria che aveva presso il Padre prima che il mondo fosse (Giovanni 17,5), perché Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre (Ebrei 13,8). Come Figlio di Dio, Gesù Cristo è pertanto anche Dio, come testimonia tutto il Nuovo Testamento (Giovanni 1,1; Giovanni 20,28; Romani 9,5; Filippesi 2,6; Colossesi 2,9; Tito 2,13; Ebrei 1,8; 1 Giovanni 5,20).

 

 

 

 

L’ERRORE DEGLI ARIANI

 

La Sacra Scrittura non dice che il Figlio non sia subordinato e sottomesso al Padre. Per tre secoli tutti i Padri della Chiesa furono d'accordo su questo. Il pensiero ariano partì da una riflessione giusta e sacrosanta: il Figlio è sottomesso, subordinato e generato, mentre il Padre non è sottomesso, subordinato e generato da nessuno. Il prete Ario, nell'enfatizzare tale ovvia verità, avanzò però l’ipotesi che il Figlio fosse di natura inferiore al Padre (una specie di Angelo creato). Fu come dire che il Figlio di un Re, perché sottomesso al Padre e da lui generato, non era di natura umana (ma una specie di primate umanoide come un gorilla, uno scimpanzé o un babbuino, ....), creato dal nulla e non generato naturalmente dal Padre. La Chiesa, con il Concilio di Nicea (325), sottolineò che Cristo era vero Dio ed anche vero uomo e, come uomo, portava nella carne, durante la sua esperienza terrena, i segni della debolezza, della sofferenza, dell'ignoranza e della morte. Di fatto, non vi fu un tempo durante il quale il Figlio non fosse, perché il Logos, prima di essere generato, esisteva nel seno del Padre (Giovanni 1,1; Giovanni 1,18; 1 Giovanni 1,1-2). Egli era il mistero nascosto in Dio dalle più remote età, la sapienza misteriosa ed occulta, il segreto celato da tutti i secoli a tutte le generazioni (Romani 16,25; 1 Corinzi 2,7-10; Efesini 3,5-9; Colossesi 1,26). Secondo alcuni cristiani dell'antichità (che non avevano ancora elaborato il concetto di generazione eterna), esisterebbero due momenti nel rapporto tra il Padre ed il Figlio: un momento in cui il Logos esisteva dall'eternità innato ed immanente nel cuore di Dio ed un momento successivo in cui venne generato, emanato, proferito dal Padre in funzione della creazione del mondo e stette accanto al Padre come persona distinta (Teofilo, Ad Autolico, II, 10 e 22). Il concetto di generazione eterna fu comunque elaborato da un gran numero di padri della chiesa (Giustino, Teognosto, Taziano, Tertulliano) che paragonarono la generazione del Logos a vari fenomeni naturali (come la luce dalla fiamma, i raggi dal sole, il fiume dalla sorgente, i rami e le radici alla pianta) ma trovò la sua enunciazione più chiara e comprensibile in Basilio. Secondo Basilio, la priorità del Padre rispetto al Figlio è come quella della causa rispetto all'effetto, allo stesso modo di come avviene per la luce, la quale è effetto del fuoco. I due fenomeni, collegati in modo inscindibile da un vincolo naturale, si possono distinguere su un piano logico ma non su quello temporale perché sono perfettamente simultanei. Inoltre, sempre secondo Basilio, non si può parlare di posteriorità del Figlio rispetto al Padre, perché la sua generazione è atemporale, essendo egli stesso preesistente al tempo [Basilio, Contro Eunomio, I, 20 e II, 12-13]. Anche Agostino sottolinea come la generazione del Verbo al di fuori del tempo rese la vita del Figlio coeterna a quella del Padre, così come la processione dello Spirito Santo, avvenuta quando non esisteva il tempo, rese coeterne, uguali, incorporee, immutabili ed indivisibili tutte le persone della Santissima Trinità [Agostino, La Trinità, XV, 26, 47-48].